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Sull’assemblea nazionale dell’area “Il sindacato è un’altra cosa”

Il governo Renzi e le associazioni padronali proseguono indisturbati i propri programmi di attacchi ai lavoratori. Il principale sindacato di questo paese, la Cgil, quando va bene sta a guardare, spesso firma accordi che peggiorano le condizioni dei lavoratori.

Proprio per contribuire a contrastare le politiche di austerità e l’immobilismo della Cgil all’inizio del 2014 Il sindacato un’altra cosa-opposizione Cgil presentò un documento alternativo a quello della segretaria generale Susanna Camusso al congresso.

A un anno e mezzo di distanza da quel congresso le politiche e i programmi della segretaria continuano dimostrarsi fallimentari, ma nonostante ciò l’opposizione in Cgil non è stata ancora in grado di rappresentare un’alternativa realmente efficace.

L’assemblea nazionale doveva essere l’occasione per discutere di questo e prendere le contromisure necessarie per rilanciare l’opposizione. Tutto ciò non è avvenuto e nessuna proposta adeguata a superare i limiti che fino ad ora ci hanno contraddistinto sono state prese.

Pubblichiamo il contributo che come militanti e dirigenti di quest’area abbiamo distribuito all’assemblea del 13 novembre certi di poter offrire fondati elementi di riflessione sul futuro di questa area.

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Un bilancio di verità

Contributo alla discussione all’assemblea nazionale de Il sindacato è un’altra cosa-Opposizione Cgil a Roma il 13 novembre 2015.

A distanza di 18 mesi dalla fine del XVII congresso della Cgil, a otto mesi dal seminario nazionale a Bellaria crediamo che non sia più rinviabile un serio bilancio del lavoro svolto dall’area. Lavoro che a nostro avviso è estremamente deficitario e che richiede drastiche misure di correzione, pena il procrastinarsi della crisi in cui l’area si trova e un suo inevitabile disfacimento.

La fase che stiamo attraversando

È innegabile che la crisi che sta attraversando la nostra area è condizionata anche dal basso livello di conflitto nel paese. L’assenza di mobilitazioni di carattere generale indubbiamente ci consegna un contesto in cui diventa più difficile il conflitto per contrastare i continui attacchi dei padroni.

Ma il fatto che siamo in un periodo di bassa conflittualità nei luoghi di lavoro, destinato prima o poi a finire, non è una giustificazione assoluta per l’impasse in cui è finita l’area, né un motivo per assumere posizioni autoreferenziali.

L’agenda del governo e dei padroni è piena di nuovi e più profondi attacchi alla classe lavoratrice, compito nostro è prepararci per le future contraddizioni e conflitti che inevitabilmente si produrranno.

Dopo la vittoria riportata dal governo sul Jobs Act e successivamente sulla “Buona scuola”, per responsabilità in primo luogo del gruppo dirigente della Cgil, ora nel mirino ci sono il diritto di sciopero e il contratto nazionale. Con il Jobs act hanno demolito i diritti individuali dei lavoratori: totale libertà di licenziamento, demansionamento, controlli a distanza. Ora vogliono abolire anche i diritti collettivi, come il diritto di assemblea, di sciopero e il contratto nazionale di lavoro.

L’obiettivo finale è che nelle aziende non rimanga traccia di un’organizzazione indipendente dei lavoratori. Il sindacato, nella misura in cui deve continuare ad esistere, deve essere un semplice alleato dell’azienda nella ricerca della produttività e del massimo profitto. Tutto deve subordinarsi a questo. Il caso Fiat e gli attacchi di Marchionne in questo senso sono ormai consolidati da tempo come veri e propri esempi da perseguire in ogni categoria. Vedi la lunga lista di contratti disdettati, e la sistematica ricerca di sindacati e sindacalisti compiacenti.

Questo in sostanza è riassunto nei punti di Confindustria rispetto ai futuri contratti nazionali. I contratti in scadenza riguardano oltre 6 milioni di lavoratori e vanno dall’impiego pubblico ai trasporti, dai metalmeccanici al commercio passando per la scuola.

La sottoscrizione del pessimo contratto dei chimici da parte di Cgil, Cisl e Uil non renderà i padroni e il governo più disponibili a trattare sugli altri contratti, ma li renderà ancora più esigenti.

Il padronato ha infatti chiuso almeno per ora a ogni possibilità di trattativa coi sindacati su una riforma contrattuale, mettendo nelle mani del governo i prossimi provvedimenti, ovvero nuove leggi ancora più repressive e restrittive. I padroni vogliono la definitiva imposizione ovunque del “modello Marchionne” in particolare con la clausola antisciopero come quelle contenute nel nefasto accordo del 10 gennaio 2014. La catastrofica resa della Cgil a quell’accordo ha trovato solo parziale applicazione sul campo.

La Cgil davanti a tutto ciò è letteralmente paralizzata mostrando un’assoluta mancanza di strategia. L’immobilismo del maggiore sindacato italiano di fronte al continuo scempio dei diritti e al peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori ha raggiunto livelli che hanno pochi precedenti nella storia. La crisi di credibilità della segreteria Camusso diventa ogni giorno più evidente anche per molti lavoratori che in passato l’hanno sostenuta.

Nonostante la difficoltà della fase, nonostante la mancanza di mobilitazioni di massa, l’impasse della Cgil e l’incapacità del gruppo dirigente dovrebbero rappresentare una grande opportunità per rilanciare la battaglia dentro la Cgil e nei luoghi di lavoro, a patto ovviamente di saper mettere in campo la strategia e le parole d’ordine adeguate.

La Fiom e il rinnovo del contratto nazionale

A Cervia il 23-24 ottobre la Fiom ha licenziato una piattaforma arretrata. Inutile dire che i cedimenti promossi da Landini con questa piattaforma hanno l’obiettivo di arrivare a un accordo anche solo temporaneo con la controparte evitando nuovi accordi separati che escludano la Fiom. Questo è anche il senso del grave voto favorevole da parte della maggioranza della Fiom al documento finale all’ultimo Direttivo Nazionale Cgil in cui si dà un giudizio sindacalmente e politicamente positivo dell’accordo dei chimici.

Che poi effettivamente si arrivi a un accordo oggi è tutto da vedere. Se pure è vero che Landini ha ricevuto un ampio mandato sulla piattaforma dai delegati presenti a Cervia (bisogna tener presente che tra un settore di delegati prevale la stanchezza di avere alle spalle tanti anni di contratti non firmati), tuttavia resta il fatto che la fiducia verso il gruppo dirigente inizia a vacillare tra un settore crescente di delegati.

Il fatto stesso che la Fiom abbia revocato la manifestazione del 17 ottobre e che per quella del 21 novembre si sta organizzando male e con mille difficoltà mette in crisi parzialmente l’autorità di Landini in Fiom.

Purtroppo a Cervia ancora una volta la nostra area invece di sfruttare l’occasione per incalzare la maggioranza, provare ad aprire contraddizioni e porsi come punto di riferimento per i delegati disponibili al confronto si è comportata da corpo estraneo all’organizzazione. A causa dell’atteggiamento arrogante tenuto da diversi compagni in questi appuntamenti, che invece di essere occasione per promuovere le nostre posizioni e la nostra critica diventano momenti di sfogo, veniamo percepiti con fastidio non dall’apparato, che non ci interessa, ma dai delegati della maggioranza che a breve potrebbero sviluppare una critica nei confronti di Landini.

La nostra posizione in questi contesti deve essere quella di offrire una sistematica e paziente spiegazione ai delegati delle nostre posizioni: in primo luogo difesa intransigente del diritto a promuovere una battaglia di opposizione alla piattaforma ufficiale; ma nello stesso tempo consapevolezza che, una volta passata la consultazione, la vera partita nel rinnovo del contratto sarà dopo la conclusione della trattativa, per rilanciare la mobilitazione se non ci sarà nessun accordo, e promuovere invece un’opposizione a tutto campo nel caso la Fiom firmasse un contratto inadeguato.

Quella di Cervia è stata l’ennesima occasione persa per poterci mostrare come un’alternativa al gruppo dirigente.

L’uscita del compagno Cremaschi dalla Cgil

Il compagno Giorgio Cremaschi è stato un riferimento e una bandiera per la nostra area per un lungo periodo. Fondatore e per lungo tempo leader della nostra corrente sindacale, ha indiscutibilmente giocato un ruolo in momenti importanti della storia della Fiom e del movimento operaio italiano. L’area ha goduto di questa autorità per un lungo tempo. Non si può non riconoscere che senza la sua autorevolezza in diverse occasioni l’area sarebbe implosa nel giro di poco tempo.

Nonostante questa autorevolezza e il ruolo di leader indiscusso dell’area, Cremaschi ha sempre cercato di ascoltare i compagni e in alcuni casi non ha esitato a rimettere in discussione decisioni e idee personali.

Una su tutte allo scorso congresso, dove si convinse a portare fino in fondo la battaglia congressuale nonostante all’inizio avesse deciso di non parteciparvi. Tutti abbiamo presente l’energia e la determinazione che ci mise in rispetto di una richiesta che gli era venuta dalla base.

La sua uscita dalla Cgil oggettivamente è stata una perdita per la Cgil ma soprattutto per la nostra area. È stata una decisione sicuramente sofferta ma che abbiamo considerato una coerente scelta personale in quanto era ormai completamente sfiduciato sulla possibilità di fare una vera battaglia in Cgil.

Ma proprio qui sta il punto: la sua uscita, seppur legittima, meritava da parte nostra una risposta politica, perché è indiscutibile che se il principale leader dell’area decide di abbandonare la Cgil una risposta politica da parte nostra era obbligata.

La risposta era obbligata a maggior ragione visto che è innegabile che diversi compagni si siano chiesti e continuino a chiedersi sempre più insistentemente “cosa ci stiamo a fare in questo sindacato”. La sua uscita poteva, e in alcuni casi ha prodotto, uno scoramento di compagni e un’incomprensione crescente sulle ragioni della nostra battaglia in Cgil.

Invece di spiegare l’errore di Cremaschi di uscire dalla Cgil, non abbiamo trovato di meglio che pubblicare sul sito dell’area una lettera al compagno Cremaschi in cui sostanzialmente ne comprendevamo le ragioni. Va da sé che chiunque abbia letto quella lettera, sostenitore delle nostre posizioni, simpatizzante o semplice osservatore, avrà concluso che se compendiamo le ragioni di Cremaschi non si capisce cosa aspettiamo ad andarcene anche noi.

Avremmo dovuto invece spiegare che noi siamo per la battaglia in Cgil non perché abbiamo illusioni in questo o quel dirigente, o perché ci poniamo il problema se la Cgil sia o meno riformabile, e tanto meno perché facciamo di un’organizzazione di massa come la Cgil un feticcio, ma perché non siamo disposti a lasciare alla burocrazia sindacale l’egemonia sulla classe lavoratrice di questo paese. Fino a prova contraria, per quanto possa essere screditato il gruppo dirigente di questa organizzazione, oggi sono ancora loro a dirigere la maggior parte del movimento operaio di questo paese.

I sindacati di base

Un altro nodo da sciogliere che non può essere più eluso è quello dei sindacati di base. Qual è la nostra posizione nei loro confronti e qual è l’approccio più corretto? Se non chiariamo questo passaggio continueremo a subire le incursioni nelle nostre fila dei sindacati di base, che hanno sempre visto nella nostra area terreno di conquista e proselitismo, come ha ampiamente dimostrato il rapporto con l’Usb di questi anni.

Per molto tempo abbiamo rincorso il gruppo dirigente dell’Usb che, detto per inciso, è criticabile da molti punti di vista, non solo per settarismo e autoreferenzialità, ma anche per aver riprodotto in sedicesimi gli stessi metodi burocratici che ben conosciamo in Cgil.

Questa loro autoreferenzialità ha visto il suo apice alla vigilia dello sciopero della Cgil del 12 dicembre dello scorso anno, in cui hanno promosso l’aperto boicottaggio, per poi convocare quest’anno scioperi e manifestazioni a nastro di cui la maggior parte neanche dignitosamente partecipate, col chiaro obbiettivo di prevenire le mobilitazioni degli altri sindacati di base.

Il culmine dell’ipocrisia è stato toccato la scorsa primavera quando l’Usb, dopo aver per oltre un anno propagandato la propria ostilità al Testo Unico firmato da Cgil, Cisl e Uil, facendo ripetuti appelli ai nostri militanti ad uscire dalla Cgil e denigrando tutte le organizzazioni sindacali di base che obtorto collo vi avevano aderito, alla fine ha sottoscritto l’accordo giustificandolo con la necessità di poter candidare i propri delegati alle elezioni Rsu.

Per anni ci è stata spiegata la necessità che la nostra area facesse un fronte con questa organizzazione fino alla recente presa d’atto che con questa organizzazione non esistevano più le condizioni minime per proseguire il lavoro comune. Ciò nonostante si prosegue nel promuovere la formazione di un’intersindacale in cui l’unica differenza oggi è che l’Usb non è contemplata in questo fronte.

Perché non decolla l’intersindacale? Perché da un lato quasi tutti i sindacati di base stanno, salvo rare eccezioni locali, attraversando una profonda crisi; dall’altro perché nella sostanza non significa altro che stabilire un coordinamento tra micro ceti politico-sindacali.

Il rapporto coi sindacati di base non può che appoggiarsi sul concreto terreno della lotta di classe, delle specifiche vertenze dove dobbiamo promuovere l’unità tra i lavoratori a prescindere se siano iscritti o meno a un sindacato.

Da questo punto di vista crediamo che l’esempio della vertenza promossa insieme al Si Cobas dai nostri compagni nella Fiom alla Carpigiana di Modena rappresenti un modello di fronte unico da analizzare attentamente.

Per lo stesso motivo i compagni della Filt hanno sostenuto le ragioni dello sciopero nazionale del Si Cobas in occasione del 29-30 ottobre per la conquista di un contratto nazionale avanzato nel trasporto merci, non con un semplice comunicato di solidarietà ma facendo appello alla Filt perché vi aderisse e andando a volantinare ovunque fosse possibile nei centri di smistamento dei principali spedizionieri a livello nazionale.

I rapporti con Democrazia e lavoro e gli Autoconvocati in Cgil

Che non ci sia una strategia e che il concetto di fronte unico sia completamente avulso dalla maggioranza del gruppo dirigente della nostra area lo si percepisce anche dai rapporti con l’area Democrazia e lavoro, che seppure con alti e bassi e non poche contraddizioni (vedi anche l’ultimo direttivo nazionale della Cgil), oggi è in conflitto con la Camusso.

Invece di porsi il problema di offrire punti di confronto e di lavoro con quest’area, cosa che invece abbiamo fatto per esempio nel direttivo nazionale della Funzione pubblica il 29 ottobre sommando i voti su un ordine del giorno da noi promosso, proseguiamo in molte realtà con un atteggiamento di autosufficienza che ci preclude ogni possibilità di interloquire con settori operai che militano in quell’area.

L’esempio più lampante è stato il direttivo nazionale della Cgil di maggio, dove era non solo necessario ma elementare promuovere un’unità d’azione con Democrazia e lavoro per sommare le nostre forze nel contrapporci al documento della maggioranza. Alla fine così è stato, ma a costo di infinite discussioni nella nostra delegazione.

Eppure per compagni con una lunga esperienza in Cgil avrebbe dovuto essere un concetto elementare capire che questo ci avrebbe permesso di mostrare come la nostra area intende l’opposizione alla Camusso. Uniti nel voto senza rinunciare alla nostra indipendenza di analisi e di opposizione. Questo è il modo migliore per interloquire coi delegati di base di quell’area e rompere le barriere che ancora si frappongono tra noi e loro.

Come coi sindacati di base anche con Democrazia e lavoro e gli Autoconvocati in Cgil serve un approccio diverso dal passato. Sostenere e promuovere ogni occasione in cui c’è la possibilità di allargare l’opposizione in Cgil. Al contrario se, come ormai si teorizza apertamente nelle nostre riunioni, si sostiene che la nostra area deve essere “un corpo estraneo” nella Cgil e che la battaglia politica va fatta anche a livello “personale” contro questo o quel dirigente della maggioranza, la naturale conseguenza di una tale sterile tattica è esclusivamente la smobilitazione e la demoralizzazione delle nostre fila.

C’è anche questo limite tra i motivi che hanno portato una serie di compagni delegati, che in quanto a combattività e autorevolezza tra i lavoratori non hanno nulla da invidiare ai nostri migliori compagni, ad abbandonare la nostra area in questi anni.

Le nostre campagne

Senza nulla togliere ai compagni che quotidianamente portano avanti coerentemente le posizioni più avanzate nei propri territori e nelle proprie fabbriche, realmente rappresentativi di un radicamento tra i lavoratori, dobbiamo ammettere che il gruppo dirigente in questi 18 mesi non è stato in grado di promuovere una sola vera campagna che avesse un’aderenza con la realtà.

Questo limite chiaramente non può essere addossato tutto all’esecutivo, crediamo di non dire nulla di nuovo quando affermiamo che i coordinamenti locali e regionali sono nella grande maggioranza in crisi.

Ma è comunque un fatto che negli esecutivi vengono lanciati i titoli di eventuali campagne o impegni da prendere che cadono nel vuoto. Senza che venga mai fatto un bilancio al riguardo. La maggior parte di queste “campagne” non trovano un reale momento di elaborazione neanche nell’esecutivo.

Così oggi ci troviamo nella situazione in cui ogni settimana, oltre alle dichiarazioni di routine su ogni genere di questione, apprendiamo del lancio di una campagna, l’uscita di un nuovo giornalino, un volantino da utilizzare, come nella questione sul diritto di sciopero presentata come una campagna nazionale. Sicuramente una campagna nazionale sarebbe necessaria, ma dove e quando se ne è discusso i dettagli?

Sarebbe anche arrivato il momento di fare un bilancio di chi usa questi giornalini telematici, quante diffusioni sono state organizzate, dove e come registriamo ricadute positive sul lavoro proposto dal centro nazionale.

Non abbiamo molte illusioni che le ricadute siano positive, vista l’assoluta mancanza di discussione o almeno di un confronto preventivo via mail sulle cose che vengono pubblicate.

La nostra proposta

L’assemblea nazionale avrebbe dovuto fare il punto della situazione, dire fin dove siamo arrivati e come procedere. Ancora una volta invece prendiamo atto che si preferisce tutelare l’immagine dell’area a discapito della realtà, descrivendo qualcosa che non c’è, piuttosto che fare i conti con le vere difficoltà quotidiane.

Per tutti questi motivi riteniamo che è arrivato il momento di fare un bilancio onesto. Prendiamo il coraggio a quattro mani e affrontiamo i nodi decisivi delle nostre difficoltà.

Proponiamo che l’esecutivo nazionale includendo il suo portavoce rimettano il mandato all’assemblea e che si apra un percorso di tipo congressuale dell’area che partendo dai territori discuta metodi e strategie d’azione per rilanciare la nostra area. Le dimissioni sono propedeutiche per un serio e puntuale rilancio della nostra attività su basi politiche e rivendicative più solide, frutto di un vero confronto libero da scadenze congressuali e di conferenze della Cgil, in cui potersi confrontare apertamente partendo dalle divergenze ma soprattutto dalle tante cose che ci uniscono.

Anche se siamo ridotti al lumicino abbiamo un patrimonio per quanto piccolo da preservare e rilanciare, l’unico modo per farlo è dare voce a contributi, critiche e proposte dei compagni attraverso un percorso strutturato.

Senza personalismi, prendendosi tutti le proprie responsabilità nei confronti di tutti i compagni della nostra area.

12 novembre 2015

 

Mario Iavazzi componente Esecutivo dell’area
Paolo Brini componente Esecutivo dell’area
Paolo Grassi componente Esecutivo dell’area

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