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Martedì 31 gennaio a Lucca, la sentenza di 1° grado per la strage ferroviaria del 29 giugno 2009 in cui persero la vita 32 persone. 7 anni e mezzo per la prima condanna. Tra i 33 imputati: Mauro Moretti, all’epoca Amministratore delegato della holding FSi, dal 2014 al vertice di “Leonardo-Finmeccanica”, condannato a 7 anni; Michele Elia, Ad di Rfi e dopo Moretti, Ad della holding, a 7 anni e mezzo. L’accusa aveva chiesto 16 anni per Moretti e 15 per Elia. Condannati anche Soprano, Ad di Trenitalia, Margarita dell’Ansf, i manager della Gatx, la società tedesca proprietaria del carro deragliato ed altre società coinvolte.
Sulla sentenza, sulla lunga battaglia condotta dall’Associazione dei familiari e da Assemblea 29 giugno, sulla mobilitazione di questi anni e su come proseguirà, abbiamo intervistato Riccardo Antonini, ferroviere addetto alla manutenzione, licenziato il 7 novembre 2011 per l’impegno a fianco dei familiari e per essersi messo, gratuitamente, a disposizione di familiari e del sindacato nell’incidente probatorio.
Redazione. La sentenza è gravemente insufficiente rispetto alle richieste dall’accusa ma è comunque in controtendenza rispetto all’impunità di cui si è sempre vantato Moretti e riconosce che c’è un problema di sicurezza nelle ferrovie, puoi spiegarci perché?
Ovvio, che non vi sia proporzione tra l’immane tragedia e gli anni di condanna. Ma nessuna giustizia può restituire quei 32 corpi bruciati vivi, tra cui bambini e ragazze. Anche la più pesante delle condanne sarebbe sempre inadeguata. Comunque, è una sentenza importante perché inchioda, per la prima volta, i massimi dirigenti delle ferrovia, le figure apicali, alle proprie responsabilità di fronte ad un disastro ferroviario. Non era mai avvenuto, lorsignori erano sempre riusciti a farla franca o, addirittura, a scaricare le colpe sul macchinista deceduto nell’incidente, come è stato per Crevalcore (7 gennaio 2005: 17 Vittime).
L’altro aspetto, altrettanto importante, è che la sentenza riconosce le colpe degli Ad delle ferrovie e di alti dirigenti per non aver provveduto ad assicurare la sicurezza che avrebbe evitato l’incidente e quindi la strage. Il problema “sicurezza” in ferrovia c’era, c’é e ci sarà, fintanto che non modifichiamo i rapporti di forza a vantaggio dei lavoratori e delle loro organizzazioni e non sviluppiamo un movimento reale per il diritto alla salute ed alla sicurezza nei luoghi di lavoro.
R. L’“Assemblea 29 giugno” in questi anni ha lottato perché si arrivasse al processo, cosa per per nulla scontata, come è stato possibile?
Assemblea 29 giugno, costituita da ferrovieri, lavoratori e cittadini, nei giorni successivi alla strage, si è posta il compito di sostenere i familiari e i sopravvissuti alla strage, nella battaglia per la sicurezza, la verità e la giustizia. Con l’obiettivo di sviluppare la solidarietà, di costruire l’unità, di socializzare la lotta e lo studio, di promuovere iniziative e forme di lotta all’altezza della situazione.
Con i familiari abbiamo promosso centinaia di iniziative (presidi, manifestazioni, dibattiti … in tante parti d’Italia. Tre volte siamo stati al Parlamento europeo a Bruxelles; dal 29 luglio 2009, il 29 di ogni mese all’ora della strage (23.53) siamo sul luogo per ricordare le 32 Vittime; dal 2010 d’agosto organizziamo i “Giorni della Memoria e della Solidarietà”; il 29 giugno di ogni anno, migliaia e migliaia di persone sfilano per la città; alla preparazione dell’anniversario, per un mese, partecipano centinaia di cittadini e cittadine, attraverso attività culturali, sportive, ricreative, sociali, ecc. Sulla strage del 29 giugno sono stati prodotti spettacoli teatrali, quadri e sculture, sono stati scritti libri, racconti, poesie … ed il video “Ovunque proteggi”, premiato in diversi festival del cinema.
Ad ogni udienza (sono state 147 tra incidente probatorio, udienza preliminare e processo) siamo stati presenti con gli striscioni, le foto delle Vittime, le magliette con i volti poggiate su 32 sedie dell’aula.
Volantinaggi e presidì in tutta Italia, anche per altre stragi come Viareggio. E’ stata sviluppata un’attività quantitativamente impressionante ed una mobilitazione qualitativamente straordinaria. E all’interno di tutto ciò, abbiamo sempre promosso campagne: dalle dimissioni di Moretti (a Viareggio sono state raccolte 10mila firma) alla prescrizione (“NO alla prescrizione per Viareggio!”); dalla sicurezza (con proposte elaborate in seminari e convegni) fino al processo (“Non accetteremo un’altra strage di Stato impunità”). Il 29 dicembre 2016 è stata organizzata una fiaccolata con 500 persone; il 31 gennaio all’udienza per la sentenza sono venute centinaia e centinaia di compagni/e e tanti cittadini e familiari di altre stragi.
R. A febbraio alcuni reati andranno in prescrizione, la mobilitazione quindi prosegue, quali sono gli obbiettivi che si prefigge ora “Assemblea 29 giugno”?
Per oltre un anno e mezzo abbiamo condotto la battaglia per il “NO alla prescrizione”di due reati importanti: incendio colposo e lesioni gravi e gravissime. Per quanto riguarda il 1° grado ce l’abbiamo fatta a non farli decadere, attraverso una mobilitazione che ha, tra l’altro, costretto il capo dello Stato Mattarella, il presidente del Senato Grasso ed il ministro di Giustizia Orlando ad avere incontri con i familiari. Le istituzioni o, meglio, lo Stato hanno detto che non potevano risolvere il problema, ma sicuramente le Camere penali hanno optato per l’unica soluzione per non far scattare la prescrizione: tenere anche 4 udienze a settimana. La prescrizione è un istituto giuridico che, dopo 7 anni e mezzo, cancella questi reati. Consideriamo che l’incendio è la causa per cui hanno perso la vita 32 persone.
Quindi, questo problema si pone con forza, come la stessa questione delle dimissioni dei condannati che ricoprono cariche pubbliche come, ad esempio, Moretti e Margarita. Vigilanza e mobilitazione su prescrizione, dimissioni, come sul tema della sicurezza, perché ogni proposta che abbiamo avanzato per evitare disastri nel trasporto merci di sostanze altamente pericolose, sono state fatte proprie anche dall’Agenzia nazionale per la sicurezza (Ansf) e dalla Direzione investigativa del ministero delle Infrastrutture (attenzione, stiamo parlando di organismi di Stato). Queste proposte, ad oggi, sono rimaste lettera morta. “Semplicemente” perché profitto, mercato, competitività … non possono subordinarsi alla sicurezza, alla salute, all’ambiente. Loro sono “partigiani” delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni, del taglio del personale e di una politica di abbandono sulla sicurezza; noi dobbiamo essere, continuare ad essere, partigiani della vita, come bene inviolabile e irrinunciabile.
Il 18 gennaio in Corte di Cassazione a Roma vi è stata l’udienza sul ricorso contro il licenziamenti presentato da Riccardo. La Corte ha acquisito le memori delle parti e nei prossimi mesi vi sarà il pronunciamento se accogliere o respingere il ricorso.
Nel primo grado di giudizio, il giudice del lavoro Nannipieri di Lucca, ha respinto la reintegrazione di Riccardo per aver “violato l’obbligo di fedeltà” all’azienda (dei Moretti, degli Elia, dei Soprano …). In Appello a Firenze, il collegio giudicante (Giovanni Bronzini, Schiavone e Liscio) non ha neppure sentenziato respingendo il ricorso per inammissibilità.
La gravità di tutto ciò si commenta da se. Il licenziamento di Riccardo è un licenziamento politico, quindi discriminatorio, ed aver bocciato la sua reintegrazione è una sorta di istigazione e di incoraggiamento per padroni, manager e dirigenti a proseguire indisturbati a penalizzare sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
Mobilitarsi e mobilitare non è solo un elemento forte nella ricerca della verità, ma è strumento fondamentale e indispensabile a disposizione per lottare contro le ingiustizie e le disuguaglianze di questa società.