Rivoluzione n° 94
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27 Gennaio 2023Il caso di Alfredo Cospito, militante anarchico condannato all’ergastolo ed al carcere duro sotto il regime del 41 bis, ha riaperto il dibattito sul reato di tortura e non può che generare una riflessione sulla giustizia borghese in Italia, sulle condizioni di detenzione e sulla legge “uguale per tutti”. Cospito, sottoposto al 41 bis dallo scorso maggio, ha iniziato uno sciopero della fame ad oltranza che lo ha già portato a dimagrire oltre 40 chili mettendone a gravissimo rischio non solo la salute, ma anche la vita.
Il 41 bis è un regime carcerario più volte criticato dalla Corte di Strasburgo per i diritti umani mentre il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura ne ha chiesto una drastica revisione.
In questo regime tutta una serie di libertà sono negate e lo svilimento della persona umana è eretto a principio punitivo. Lo scopo sarebbe “impedire le relazioni con l’esterno per rescindere i legami criminali” e per ottenerlo il sistema carcerario obbliga il detenuto all’isolamento, privandolo di ogni socialità, con una sola ora al giorno all’esterno della cella, sottoponendolo alla censura della posta e dei (pochissimi) colloqui attraverso il vetro oltre che alla proibizione di libri e riviste.
Addirittura, i colloqui con lo psichiatra vengono effettuati alla presenza non solo visiva anche auditiva di un rappresentante del GOM (gruppo operativo mobile), interferendo in un momento delicato e configurando una vera e propria umiliazione per il detenuto.
Un modello punitivo che ricorda più il carcere ottocentesco, fatto di violenze e umiliazioni, a cui fu sottoposto l’anarchico Gaetano Bresci all’isola Santo Stefano, piuttosto che un sistema detentivo di un ordinamento “democratico”.
Il paradosso è che il 41 bis venne introdotto nel 1992 dopo la strage di Capaci nella quale persero la vita il magistrato Giovanni Falcone e la sua scorta in un attentato mafioso. Oggi, mentre la trattativa Stato-Mafia non si è mai interrotta, come dimostra il recente arresto del capomafia latitante Matteo Messina Denaro largamente preannunciato da persone a lui vicine, è Alfredo Cospito, che non ha mai ucciso nessuno, a patire l’ergastolo in una condizione carceraria a dir poco disumana.
Il militante anarchico, infatti, è detenuto da oltre 10 anni ed è attualmente nel penitenziario Bancali di Sassari. I reati per cui è stato condannato sono la gambizzazione avvenuta nel 2006 dell’allora Amministratore delegato dell’Ansaldo, Roberto Adinolfi, e l’accusa di aver confezionato due ordigni esplosivi a bassa intensità recapitati alla Scuola Allievi Carabinieri a Fossano nel cuneese, senza provocare vittime.
Ma nel luglio scorso luglio la Cassazione ha riformulato l’accusa in “strage contro la sicurezza dello Stato”, un reato che prevede anche l’ergastolo ostativo, il cosiddetto “fine pena mai”, la pena maggiore che possa essere inflitta in Italia. Questo, secondo l’accusa, a causa della corrispondenza epistolare tra il militante anarchico e alcune riviste legate alla sua corrente politica, cosa assolutamente legale visto che non era proibita dalle condizioni detentive. I giudici lo accusano di essere il capo della sua organizzazione per poter usare contro di lui la clava del 41 bis e dell’ergastolo ostativo, ma è lui stesso nella dichiarazione in cui si assume la responsabilità della gambizzazione di Roberto Adinolfi a dire “sono un anarchico anti-organizzazione”. Dopo sei anni passati regime in Alta Sicurezza, le sue condizioni detentive sono sprofondate nel buco nero del 41 bis.
Questo provvedimento non solo può essere rinnovato con modalità quasi automatiche ma viene ritenuto anche da alcuni giuristi borghesi non commisurato ai reati che gli vengono attribuiti.
Il punto, tuttavia, è un altro. La pena inflitta a Cospito è “commisurata” al suo reato più grave dal punto di vista dello Stato, ovvero quello di voler abbattere il sistema capitalista basato sullo sfruttamento e sull’oppressione.
Da questo punto di vista i metodi con cui la classe dominante, anche attraverso la magistratura e le sue sentenze, difende i propri privilegi non è nuovo. L’abbiamo visto nella repressione negli anni ‘70 quando i lavoratori tentavano “L’assalto a cielo” e anche al G-8 di Genova nel 2001, con le torture nel carcere di Bolzaneto in quella che la corte di Strasburgo definì “mattanza cilena” contro una generazione che si ribellava al capitalismo.
Per tutti questi motivi non possiamo che ritenere scandalosa la condanna a Cospito cui va immediatamente revocato il 41 bis così come la condanna politica all’ergastolo ostativo.
Lottiamo per l’abolizione del “41-bis”. Questa disposizione, sicuramente popolare per quanto riguarda i mafiosi, non è affatto servita a sconfiggere la criminalità organizzata. Il caso Cospito dimostra come può essere utilizzata a fini politici, contro ogni dissenso: oggi è rivolta contro gli anarchici, domani contro le lotte operaie.
Clamoroso è il divieto, imposto dalla magistratura al medico di fiducia di Cospito, di rilasciare interviste sullo stato di salute del suo assistito a Radio Onda d’Urto.
Per quando ci riguarda, come marxisti rivoluzionari, ci poniamo sul terreno della lotta di classe e lottiamo quotidianamente per una società socialista libera da ogni sfruttamento e oppressione. Lo facciamo con le armi più affilate del movimento operaio come l’organizzazione, la lotta di massa e lo sciopero.
Gli operai dell’Ansaldo di Genova hanno dimostrato più volte che non hanno bisogno di nessuno che al loro posto incuta timore ai padroni e ai loro lacchè. L’hanno fatto anche di recente, con uno sciopero in grado di paralizzare il porto, di costringere le “istituzioni democratiche” ad ascoltarli ed anche “le forze dell’ordine” e lasciagli superare il cordone di polizia per evitare che fosse travolto dalla loro determinazione, oltre che dall’utilizzo sapiente dei carrelli elevatori per container portati in manifestazione.
Comprendiamo la rabbia, soprattutto tra le giovani generazioni, di coloro che vogliono combattere questo sistema indignati dalla sua violenza e dalla miseria crescente che genera. Alcuni tra loro si illudono che azioni eclatanti, come quelle rivendicate da Cospito sotto la bandiera dell’anarchismo, possano “detonare” la lotta di classe attraverso il loro esempio.
L’inettitudine dei vertici sindacali e della cosiddetta “sinistra” non fanno che alimentare queste frustrazioni, per usare le parole di Lenin “l’anarchismo è stato non di rado una specie di castigo per i peccati opportunistici del movimento operaio”.
Come i liberali, infatti, i terroristi e i sostenitori dell’azione eclatante si ergono a rappresentanti del popolo. I primi fanno delle manovre parlamentari il loro strumento di azione, i secondi credono nella “punizione esemplare” contro gli sfruttatori e i difensori della classe dominante, magari con l’uso delle o bombe o delle pistole, ma entrambi erano accomunati dal tentativo di sostituirsi all’azione cosciente delle masse, relegandole al ruolo passivo di mero osservatore.
Una organizzazione rivoluzionaria non si autoproclama “avanguardia” con l’obbiettivo, spesso morale, di salvare le masse, ma contribuisce attivamente a dare una espressione cosciente e organizzata al movimento dei lavoratori, che ha in sé la forza per cambiare la società e abbattere il capitalismo.
Con questo metodo con un lavoro determinato e paziente, armati di un programma di azione capace di partire dalla coscienza di massa per trasformarla in senso anticapitalista come marxisti interveniamo nelle lotte che non potranno che crescere spinte dalla tempesta sociale che sta arrivando.