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Dopo che il referendum voluto dal primo ministro del Pd, che è anche il segretario nazionale del Pd, ha subìto una sconfitta devastante, il Presidente della Repubblica del Pd ha dato all’ex ministro del Pd Gentiloni l’incarico di formare un nuovo governo del Pd sostenuto in parlamento dal Pd.
Questi gli ultimi aggiornamenti sulla democrazia.
Inoltre la Corte Costituzionale ha bocciato la legge elettorale voluta dal Pd. “Pertanto” il Presidente del Senato, che del tutto casualmente è del Pd, ha detto che non c’è fretta di andare a votare.
La classica farsa all’italiana? Non solo. Guardiamo gli ultimi cinque anni. Quando nel 2011 Berlusconi è ormai logorato, una specie di colpo di Stato parlamentare organizzato da Napolitano, per conto della Bce, lo sostituisce con Monti. Il governo Monti-Fornero è uno dei più odiati nella storia della Repubblica e giustamente nelle elezioni del 2013 i partiti che lo avevano sostenuto vengono pesantemente puniti nelle urne; il Pd manca una vittoria annunciata. Risultato? Gli stessi identici partiti formano il nuovo governo con a capo Letta.
Renzi si approfitta allora furbescamente della loro impopolarità e si propone come il “nuovo”. Risultato: non cambia nulla e per i lavoratori sono ancora bastonate. Jobs act, “Buona scuola”, oltre alle porcherie varie tra banche fallite e amici di famiglia, segnano i mille giorni del suo governo.
Quindi dal 2016, ogni volta che si vota, il Pd inizia a prendere legnate: Torino, Roma, Napoli… cambia qualcosa? Ma figurarsi! Si arriva così al referendum, coi risultati che sappiamo.
È vero che in questa società la “democrazia” è poco più di una mascherata. Non per caso Karl Marx, scrivendo sulla esperienza rivoluzionaria della Comune di Parigi, sottolineò che nel capitalismo la democrazia è poco più della libertà “di decidere ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante debba rappresentare e ingannare il popolo nel parlamento”. Ma oggi persino questo miserevole diritto viene messo in discussione e si tenta di aggirarlo con ogni mezzo.
Il motivo profondo di questo non va cercato nelle leggi, nelle costituzioni o nella faccia di bronzo dei “politici”. Il motivo è nella statistica che dice che 8 persone detengono la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale (3,5 miliardi di persone). Se ovunque aumentano lo sfruttamento, l’ingiustizia sociale, la disoccupazione, la povertà, la disperazione, è ovvio che questo si rifletta anche nelle urne e che gran parte della popolazione voti, in ogni modo possibile, contro coloro che identifica come responsabili o complici di questa situazione. E allora, meglio che non votino!
L’ex primo ministro Prodi dichiara che la risposta sarebbe “un nuovo riformismo”, che “non possiamo continuare con la polarizzazione (sociale – Ndr) che abbiamo, altrimenti alla fine ci sarà la rivolta.”
Ma non c’è “riformismo” in nessun angolo del pianeta: la parola “riforme”, ormai da due generazioni, significa in realtà “controriforme nell’interesse dei capitalisti” e questo in gran parte delle forze “riformiste”, di sinistra o centrosinistra, di cui Prodi è stato uno dei principali responsabili.
Governare oggi significa gestire un sistema economico con una crisi ormai marcia, nel quale l’unica politica è quella dell’austerità.
Renzi ha perso, il suo partito è in minoranza e si divide, il governo Gentiloni è un ectoplasma senza nessuna credibilità. Ma la cosa clamorosa è che nessuno dei cosiddetti “vincitori” del 4 dicembre, ossia il variegato fronte del NO, si pone il problema più elementare: se non se ne vogliono andare, bisogna costringerli.
Lasciamo stare Salvini, troppo impegnato a fare sciacallaggio fra terremoti, maltempo e immigrati.
Lasciamo anche stare la surreale “sinistra Pd”, che manda Bersani a dire che non si deve votare e che bisogna invece occuparsi dei “problemi reali”: ad esempio buttare 20 miliardi in una banca già fallita? Lasciamo anche stare la variegata sinistra (Sinistra Italiana, Prc, Pisapia, ecc.), impegnata a sfogliare ricordi del centrosinistra che fu. Dimentichiamoci infine del gruppo dirigente della Cgil, che alla dichiarazione di non ammissibilità del referendum sull’articolo 18 risponde… con un ricorso alla Corte europea.
Ma i Cinque Stelle? Cosa aspettano i vari Grillo, Di Maio, Di Battista, ecc. a fare appello alle piazze? A organizzare assemblee, proteste, manifestazioni? Il M5S ha il seguito di milioni di elettori, se li chiamasse a una mobilitazione attiva per cacciare il governo ed esigere elezioni, la risposta sarebbe enorme.
I capi grillini, è vero, gridano spesso “elezioni, elezioni!”. Poi però, guardando meglio, si legge per esempio che Luigi Di Maio chiede di “armonizzare” la legge elettorale del Senato con quella della Camera. Tempo previsto: “tre giorni” secondo i 5 Stelle, molto di più secondo il presidente del Senato. Perché bisogna cambiare la legge, ridisegnare le circoscrizioni, mettere d’accordo tutti…
Il fatto è che il M5S sta già provando le “delizie” del governo nelle città in cui ha vinto le elezioni. E i risultati non sono incoraggianti, soprattutto a Roma. Il M5S ha milioni di voti, ma non vuole vedere milioni di persone in piazza, persone in carne ed ossa che porterebbero in un movimento di lotta contro questo governo tutta la loro rivolta contro la propria condizione sociale, di lavoro e di vita. Un movimento del genere sottoporrebbe i 5 Stelle a una pressione enorme e li costringerebbe a confrontarsi con quella realtà che hanno sempre negato: che in questo sistema, quando si arriva ai problemi reali, la vera divisione non è tra “onesti” e “furbetti”, ma tra lavoratori e padroni, tra sfruttati e sfruttatori, e che la “casta” non è altro che lo strumento di questi ultimi.
Non sappiamo come finiranno i balletti parlamentari di questi giorni, se il governo durerà o se alla fine si andrà a elezioni. Una cosa però ce l’abbiamo chiara: se riusciranno a rinviare le elezioni sine die l’impegno deve essere quello di contribuire alla costruzione di un movimento di lotta, di massa, contro il Governo, contro le politiche di austerità e contro l’Europa del capitale.
È questo l’unico vero modo di essere coerenti con il moto popolare che il 4 dicembre ha sepolto Renzi e il Pd sotto venti milioni di NO.