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5 Novembre 20206 mesi di chiacchiere. Oggi contagi ovunque e scuole chiuse
Oggi il nuovo dpcm sentenzia il 100% di didattica a distanza per tutte le scuole superiori. Nelle zone rosse saranno chiuse anche le seconde e terze medie. Solo due settimane fa, quando De Luca chiudeva le scuole campane, la ministra Azzolina ancora parlava delle scuole come “luoghi sicuri”.
C’è voluto poco tempo, quanto è bastato a spazzare via le speranze seminate dal governo Conte sul rallentamento dei contagi per effetto delle ultime misure restrittive. Speranze immotivate visto che a parte scuole superiori, attività sociali e ristorazione, tutto il resto rimaneva (e in larga misura rimane!) aperto. Tutto risolto? No, i contagi aumenteranno ancora e i giovani che non si ammaleranno più a scuola lo potranno fare comodamente a casa quando tornano i genitori dal lavoro.
Nel calcolo dei rischi la scuola è stata la prima ad essere chiusa e la ragione è una: milioni di studenti a casa non nuocciono al Pil. Restano aperti asili, materne e scuole elementari. Ma non si tratta di premura per l’educazione dei bambini, bensì dello zelo per garantire che milioni di lavoratori non debbano tenere i bambini a casa e mandino invece avanti la produzione, facendo girare gli ingranaggi arrugginiti che arricchiscono una piccola minoranza in questa società, i grandi capitalisti, che possono tenere aperte le loro attività. Strano virus che non circola dove Confindustria non vuole..
6 mesi di chiacchiere e fallimenti
E’ finito il tempo in cui i dpcm di Conte erano visti con speranza e personaggi come De Luca accrescevano la propria popolarità giocando la carta del leader forte in grado di far fronte all’emergenza. Da marzo sono passati mesi e di mezzo c’è stata un’estate di relativa tranquillità: si trattava del momento per intervenire esattamente per scongiurare una seconda ondata (o prepararsi ad affrontarla) e un nuovo lockdown.
Bisognava destinare più fondi alla scuola, ridurre il numero di studenti per classe, investendo in nuovi spazi e assumendo docenti e personale ATA, garantire la presenza di personale medico nelle scuole e l’allestimento di infermerie, potenziare il trasporto pubblico. Cosa si è fatto? Un concorso ad ottobre per assumere 32 mila insegnati che passeranno di ruolo il prossimo anno (su 200mila precari), banchi mono-posto che arriveranno a scuole chiuse e capienza massima dell’80% per i mezzi di trasporto… In poche parole, nulla.
Fuori dalla scuola è andata anche peggio: il sistema sanitario è di nuovo al collasso, il tracciamento dei contagi si è perso, i lavoratori devono continuare a uscire di casa senza nessuna garanzia sul posto di lavoro, in mezzi pubblici sovraffollati. Ma lo devono fare perché altrimenti non si porta a casa lo stipendio.
Il governo ha accusato i giovani, la movida e delega alle regioni per scaricare le proprie responsabilità. Responsabilità per quel bollettino che ci aggiorna quotidianamente sul numero dei morti. Responsabilità per quei milioni di studenti costretti a seguire le lezioni davanti a uno schermo e per quelli che non hanno neanche quello.
Le scuole oggi erano tra i maggiori vettori di contagio? È possibile. Ma se è così, è perché il governo ha avuto mesi per garantire un ritorno a scuola in sicurezza e non lo ha fatto. La responsabilità è loro, e il prezzo lo fanno pagare a noi.
Se non hai i soldi vieni lasciato indietro
La pandemia ha messo a nudo tutte le falle strutturali del sistema in cui viviamo, in cui tutto cambia se hai le risorse economiche o no. A partire dai singoli istituti: anche nella pandemia, alcune scuole sono più sicure di altre. Mentre alcuni istituti potevano contare su ampi spazi e succursali, scuole come l’Iss Spagna – Campani di Spoleto hanno riaperto senza banchi e altre non hanno riaperto affatto: al Liceo artistico di Napoli il triennio non ha mai svolto le lezioni in presenza.
Oggi si parla di tornare alla didattica a distanza, fingendo che si sia fermata a maggio. La didattica a distanza non è mai stata superata e con la riapertura di settembre si è scelto quasi ovunque un modello misto: invece di trovare spazi adeguati a svolgere le lezioni in presenza, metà classe seguiva da casa e metà a scuola (a giorni o a settimane alterne).
Tutta la gestione è stata fatta in nome dell’autonomia scolastica, che da più di vent’anni assegna ai singoli istituti competenze vastissime, tra cui il reperimento e la gestione dei fondi. Questo vuol dire due cose. Da un lato, si prova a supplire ai continui tagli all’istruzione (l’Italia è ultima in Europa per fondi destinati alla scuola sul totale della sua spesa pubblica) lasciando che siano le scuole a rimediare chiedendo elevati contributi alle famiglie o rivolgendosi alle aziende. Dall’altro, le scuole più ricche hanno avuto più mezzi per riaprire le scuole in sicurezza e più mezzi per garantire il ricorso alla didattica a distanza, e le altre scuole non hanno potuto garantire né sicurezza né qualità.
Con la dad queste diseguaglianze diventano ancora peggiori, fra chi riuscirà a tenere il passo e i tanti che saranno semplicemente lasciati indietro. Si tratta di quegli studenti tagliati fuori da qualunque percorso scolastico per mancanza di mezzi: in Italia uno studente su 8 non ha un computer e il 45% vive in case prive di spazi adeguati per studiare.
Neanche un passo indietro
Dobbiamo ribellarci a questa situazione. La chiusura delle scuole non deve significare un isolamento in cui ognuno prova a cavarsela in attesa che passi la nottata, perché questo non sarà possibile. Ma non pensiamo che sarà così. Stiamo già vedendo un aumento delle proteste come quelle dei lavoratori dello spettacolo, della sanità, dell’industria, della scuola. Abbiamo visto piazze piene della rabbia di chi vede fallire la propria piccola attività e dei tanti giovani privati di un futuro. Questa è la strada: una battaglia collettiva per difendere con le unghie e con i denti la nostra salute, il diritto allo studio, il diritto a un futuro.
Dobbiamo lottare per la scuola, a partire dalla rivendicazione che la didattica a distanza debba essere garantita a tutti fornendo banda larga e dispositivi elettronici, rivendicando quegli spazi democratici di cui siamo stati progressivamente privati, più finanziamenti all’istruzione, un massiccio piano edilizio per rimettere in sicurezza tutti gli istituti. Il sindacato deve organizzare scioperi e mobilitazioni dei lavoratori della scuola per rivendicare questo. Noi ci dichiariamo sin d’ora disponibili a sostenere e diffondere questa lotta.
Ma la scuola non è un’isola, a maggior ragione in una pandemia. Oggi è necessario chiudere le scuole per garantire la salute? Sì, ma che si chiudano anche le attività non essenziali, garantendo il salario a tutti, lavoratori e disoccupati; che si faccia subito un piano senza precedenti per ospedali, tamponi, medici territoriali, posti letto, terapie intensive. Si nazionalizzino i capitali e le risorse produttive necessari per usarle in modo pianificato. Si rimuovano tutti i responsabili di questa gestione criminale della pandemia e si facciano prendere le decisioni a comitati di lavoratori, personale sanitario, studenti.
È un intero sistema che ha fallito: il capitalismo. La situazione drammatica in cui ci troviamo ci impone di organizzarci per una lotta contro questo sistema. È precisamente il momento di alzare la testa!
Facciamo appello a tutti per partecipare alla assemblea nazionale del 7 novembre per discutere e organizzarci insieme! http://bit.ly/AssembleaALT7Novembre
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