Intervista a Mimmo Loffredo (operaio FCA Pomigliano) sull’emergenza Coronavirus
12 Marzo 2020BOLOGNA – “Non siamo carne da macello” Intervista a Gianplacido Ottaviano, Rsu Bonfiglioli
12 Marzo 2020“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure GRATUITE agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Articolo 32 della Costituzione
IL COVID19 mette alla prova il SSN
L’emergenza del Coronavirus COVID19 ha messo in luce lo stato di debilitazione in cui vige il Sistema sanitario italiano. Vent’anni di politiche scellerate hanno fatto precipitare il finanziamento pubblico per la sanità ai livelli dei paesi dell’Europa orientale (dati Ocse luglio 2019), considerando la sanità come un semplice capitolo di spesa pubblica da saccheggiare e non una leva di sviluppo economico da sostenere. In riferimento al report 2019 della Fondazione Gimbe, il finanziamento pubblico è stato decurtato di oltre 37 miliardi in dieci anni, per tagli conseguenti alle varie manovre finanziarie.
Il nuovo studio dell’Anaao-Assomed (Sindacato medici), pubblicato il 4 febbraio 2020, fa emergere un quadro a dir poco allarmante. Nel 2010 l’assistenza ospedaliera contava 1.165 Istituti di cura, di cui il 54% pubblici (629) ed il rimanente 46% privati accreditati. Nel 2017, il numero degli Istituti di cura è sceso a 1.000. Con una sostanziale modifica della distribuzione totale: gli Istituti di cura Pubblici (Aziende Sanitarie locali, Aziende Ospedaliere ed altre tipologie di Ospedali Pubblici) rappresentano il 51.8% (518) mentre le strutture private accreditate il 48.2%.
Interi reparti chiudono per carenza di organico; i medici che si assentano per malattia o per la cura dei figli piccoli non hanno colleghi per sostituirli. La carenza cronica di personale sanitario viene contrastata da misure ridicole: dal richiamo degli specialisti in pensione, all’utilizzo dei medici dell’Esercito. Parallelamente i giovani neolaureati in medicina scappano all’estero, perché il numero di borse di specializzazione bandito ogni anno dal Ministero è troppo basso. L’Italia risulta infatti lo stato dell’Unione europea con la più alta percentuale (54%) di medici over 55.
L’epidemia di Coronavirus impatta soprattutto sui servizi di Emergenza/Urgenza (DEA, PS, PS Ped, UTI, UTIC, TIN, SIMT/SN). L’analisi dell’offerta di servizi in questo settore strategico, pubblicata il 7 gennaio sempre da Anaao-Assomed, ha evidenziato un notevole squilibrio tra strutture pubbliche e private accreditate. Il 91,5% di accessi urgenti nei Servizi DEA/PS avviene nelle strutture pubbliche, nonostante il ruolo acquisito dal privato accreditato nel settore per acuti in termini di posti letto (23%) e ricoveri (22%), dovrebbe renderne imprescindibile la presenza sul territorio nazionale per far fronte alle emergenze sanitarie di qualsiasi tipo, dal Coronavirus ai terremoti. Ciò evidenzia una diffusa propensione da parte del privato a disertare le prestazioni urgenti a favore di quelle programmate, più redditizie e meno imprevedibili.
Nel contesto dell’emergenza sanitaria tutti si prodigano ad elogiare il comportamento di medici e personale ospedaliero, gli eroi della lotta al COVID, impegnati in uno sforzo titanico, con turni che talora arrivano a 15, 16, anche 18 ore. Purtroppo nessuno ricorda le condizioni e le difficoltà che questa classe lavorativa è costretta ad affrontare ogni giorno, con migliaia di contratti atipici, convenzioni, chiamate “a gettone”, e un contratto nazionale scaduto da 18 mesi.
La crisi odierna deve assolutamente far comprendere che occorre un’inversione di rotta, altrimenti il SSN verrà smantellato del tutto, e i primi a rimetterci saranno tutti i cittadini privi di un’assicurazione integrativa.
Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) nasce nel 1978 con il D.L. n. 833. Si configura come un sistema di tipo Beveridge, basato cioè sui principi di equità, solidarietà sociale e universalità, e sancisce il superamento del sistema delle mutue, che forniva prestazioni sanitarie differenziate sulla base della condizione lavorativa e quindi economica.
Una descrizione dettagliata della storia del SSN e del suo progressivo smantellamento non rientra nelle prerogative di questo articolo. Si espongono di seguito soltanto i passaggi fondamentali che hanno portato alla nascita del sistema di accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie private.
La controriforma del 1992 (D.L. 502 e 517), lascito nefasto del governo Amato, ha previsto l’aziendalizzazione del SSN con il passaggio dalle USL (Unità Sanitarie Locali) alle ASL (Aziende Sanitarie Locali), introducendo di fatto una logica di mercato all’interno del più grande sistema di previdenza pubblica mai eretto in Italia. Il trasferimento dei poteri decisionali alle regioni, previsto dallo stesso decreto, ha indebolito il sistema di assistenza medica territoriale, minando la sua capacità di intervenire in modo differenziato sulla base delle caratteristiche demografiche e ambientali degli specifici distretti. La regionalizzazione ha inoltre permesso l’affermarsi di una crescente disparità assistenziale tra le regioni, un fenomeno alla base della fortissima mobilità passiva (soprattutto sull’asse Sud-Nord) che caratterizza oggi il nostro sistema sanitario.
La controriforma sancisce anche l’obbligo, da parte dei Direttori Generali, a riservare spazi adeguati all’interno dei presidi o aziende ospedaliere per l’esercizio della libera professione intramuraria, nonché una quota non superiore al 10% dei posti letto per l’istituzione di camere a pagamento.
In particolare l’articolo 8-bis del D.L. 502 ha introdotto il sistema delle 3 “A” per regolamentare l’esercizio delle prestazioni sanitarie da parte di strutture private e singoli professionisti. L’Autorizzazione sanitaria è il primo titolo abilitativo necessario per l’erogazione di qualsiasi prestazione assistenziale sul territorio nazionale. L’Accreditamento attribuisce la qualifica istituzionale di gestore del servizio pubblico, ma non consente all’accreditato di erogare prestazioni a carico del SSN se non previa conclusione di appositi Accordi contrattuali.
La singola Regione sancisce i criteri di inclusione, ossia i minimi requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi. I trattamenti ospedalieri, sia in regime di ricovero sia in regime di day hospital, sono remunerati in base a tariffe predefinite (Diagnosis Related Groups: DRG) stabilite a livello centrale dal Ministero della Salute. Il DRG viene attribuito a ogni paziente dimesso da una struttura ospedaliera tramite un software chiamato DRG-grouper tenendo conto di variabili specifiche del paziente contenute nella Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO): età, diagnosi principale, diagnosi secondarie, procedure/interventi chirurgici.
La lunga premessa di cui sopra è funzionale alla comprensione delle leggi e dei meccanismi in atto nella gestione della sanità pubblica e privata, e all’inquadramento del sistema di accreditamento istituzionale previsto dal SSN.
Da oltre vent’anni è in atto in Italia una crescente privatizzazione del SSN, con un progressivo aumento dei posti letto delle strutture private, degli esami diagnostici e dei fondi statali destinati al secondo binario della sanità privata integrativa. Il sistema sanitario pubblico è affetto da una grave patologia, a prognosi infausta, le cui complicanze si ripercuotono tanto sul personale sanitario quanto sui singoli cittadini.
L’esistenza di un numero crescente di strutture sanitarie private pure pone in serio pericolo il principio di uguaglianza e gratuità sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Mentre la distinzione tra ente pubblico e ente privato puro risulta chiara a tutti, spesso risulta difficile, da parte dell’opinione pubblica, arrivare a comprendere i rischi per il SSN connessi alla presenza degli enti privati accreditati. Il presente articolo si prefigge dunque di mettere in luce gli aspetti critici del sistema di accreditamento sanitario, denunciando in 9 punti le iniquità e i difetti strutturali che lo caratterizzano.
Punto primo: L’inefficienza del privato
All’interno del dibattito pubblico emerge spesso l’opinione di chi si fa promotore della sanità privata in nome della lotta agli sprechi e al disavanzo. L’idea che l’ospedale privato sia più efficiente, in termini di rapporto efficacia/costo, rappresenta l’ennesimo mito da sfatare.
I dati sui costi dei ricoveri, forniti all’L’Espresso dal Ministero della Salute, mostrano come una singola degenza costi all’erario in media 3.021 euro nel pubblico e 2.870,48 nelle struttura private; la media però nasconde un elemento essenziale, ossia che gli interventi più costosi (trapianti, chirurgia oncologica, neurochirurgia) si eseguono in larga parte nelle strutture pubbliche.
Sempre i dati ministeriali rivelano che per ogni ricoverato in Lombardia vengono spesi 3.100 euro nell’ospedale pubblico e oltre 3.200 in quello privato. In Sicilia il dato è simile, mentre in Liguria si arriva addirittura a 3.338 contro 6.743. Un’ulteriore conferma deriva dal seguente dato: in Lombardia i privati accreditati hanno dirottato il 40% dei fondi regionali, a fronte di un 35% complessivo di prestazioni erogate.
Volendo esprimere il concetto in altri termini si può affermare che il privato, per la gestione di un paziente con una specifica diagnosi, consuma più risorse rispetto all’ente pubblico. Un paziente con scompenso cardiaco costa di più alle casse statali se sceglie di farsi ricoverare al Gemelli piuttosto che alla ASL di Roma. Il motivo risiede nel fatto che i privati accreditati non hanno alcun interesse, né hanno il mandato istituzionale, a calmierare le ansie e le richieste spesso inutili dei pazienti. Per massimizzare i profitti e vincere la competizione con il settore pubblico devono aumentare il più possibile il numero di esami, visite e interventi effettuati. Il mantenimento di un sistema sanitario sostenibile non rientra nella lista di obbiettivi aziendali del privato.
Non a caso il SSN è nato dal fallimento del precedente sistema mutualistico, ed in particolare per risolvere i due grandi problemi che accompagnano da sempre questo tipo privato di tutela: l’insostenibilità finanziaria che causò il default delle mutue (sono sistemi che tendono a costare sempre di più e in ragione di ciò a dare sempre di meno); l’inadeguatezza dell’assistenza sanitaria: per fare profitto le mutue non garantivano mai il giusto riconoscimento delle reali necessità di cura del malato;
Punto secondo: Più privato nel privato accreditato
La libera professione intramoenia rappresenta la modalità con la quale, nel pubblico e nel privato convenzionato, i singoli professionisti svolgono attività assistenziale privata all’interno delle strutture ospedaliere. Questo sistema genera inevitabilmente disuguaglianze tra chi può permettersi di pagare a caro prezzo gli specialisti migliori, ottenendo visite in tempi rapidi, e chi non può concedersi tale privilegio. Mentre nei contratti del settore pubblico l’intramoenia è concessa ai dipendenti ma rimane “facoltativa”, sempre più frequentemente gli enti privati stipulano contratti che prevedono l’obbligo dell’intramoenia, per un numero di ore predeterminato. La struttura infatti recepisce una quota importante della prestazione privatistica erogata dal medico, come compenso per la messa a disposizione di stanza e strumentario.
Il privato convenzionato, oltre a fornire assistenza sanitaria per conto del SSN, svolge anche in parallelo attività privata pura. La maggior parte degli enti accreditati possiedono infatti ambulatori, macchinari ed interi edifici adibiti soltanto ad un assistenza di “eccellenza” pagata a fior di quattrini. Un caso esemplare è rappresentato dalla Fondazione Gemelli di Roma. Il Policlinico Vaticano negli ultimi anni ha messo in atto un preciso piano aziendale di privatizzazione delle cure, con tagli di medici, posti letto, e la creazione di offerte assicurative come il “Pacchetto Gemelli”.
Punto terzo: Il privato sottrae medici al pubblico
Il SSN è afflitto da tempo dalla carenza di personale medico. Il problema è destinato ad ingrandirsi nei prossimi anni, quando la gobba pensionistica toccherà il suo apice, all’incirca verso il 2025. La carenza di colleghi sta comportando un surplus di lavoro non indifferente, con orari spesso massacranti, casi di errore medico, ed una drastica riduzione del tempo dedicato alla vita sociale e alla famiglia. Da qui al 2025 mancheranno 16.500 medici, soprattutto urgentisti, pediatri e chirurghi.
Grafico del Rapporto Anaao-Assomed del 4 febbraio 2020.
A fronte di una carenza crescente di sanitari, il privato sottrae medici al pubblico. Si consideri ad esempio il caso della regione Lazio. I due terzi circa delle prestazioni diagnostiche sono erogate da privati accreditati, malgrado la maggior parte degli apparecchi di risonanza magnetica appartenga al pubblico. Il dirottamento del personale medico verso le aziende private fa sì che i macchinari non vengano utilizzati nemmeno alla metà del loro potenziale.
Sempre secondo il rapporto dell’Anaoo-Assomed (4 febbraio 2020), nel 2010 risultavano 244.350 i medici in attività in Italia. Tra questi, 110.732 erano operanti presso le strutture pubbliche a tempo indeterminato. Sette anni dopo, nel 2017, i medici attivi sono scesi a 242.532, di cui 101.100 operano negli ospedali pubblici a tempo indeterminato: -9,5%.
Con un sistema pubblico al collasso, molti specialisti preferiscono passare sulla zattera del privato, dove spesso gli stipendi sono migliori e i ritmi lavorativi meno stressanti. Tuttavia è importante puntualizzare che anche nel settore privato convenzionato i medici hanno vita dura, con un contratto nazionale che era fermo da 10 anni, appena rinnovato, e orari di lavoro esasperati dalle esigenze del mercato.
Punto quarto: Il privato convenzionato spesso non rispetta le norme di accreditamento
Si riporta di seguito quanto affermato dal documento del Cnel: “L’applicazione delle norme in materia di accreditamento è stata nella maggior parte delle Regioni disattesa. Ciò ha determinato conseguenze negative sia sulle prestazioni che sul terreno economico”.
Recentemente i carabinieri dei Nas hanno chiuso 52 studi medici e cliniche private e denunciato 22 medici e professionisti del settore sanitario nell’ambito dell’indagine annuale del Comando per la Tutela della Salute fatta d’intesa con il Ministro della Salute su un campione nazionale di 607 centri. Le strutture recriminate utilizzavano farmaci scaduti e esercitavano senza i titoli professionali necessari, talvolta anche in condizioni igienico-sanitarie non adeguate. L’indagine ha inoltre individuato irregolarità in altri 170 centri.
Il caso della Liguria è emblematico. Nella Regione sono proliferati centri privati di diagnostica per immagini, in gran parte convenzionati con la Regione, i cui macchinari non sono adeguati a garantire risultati netti perché sottopotenziati. L’Aifm (Associazione italiana di fisica medica) e la Sirm (Società italiana di radiologia medica) avvisano che occorrerebbero macchinari di RMN con una potenza di campo magnetico pari a 1 tesla, mentre quelli più diffusi in questi centri privati arrivano soltanto a 0,4 tesla. Addirittura non risulterebbero rientrare nell’elenco delle prestazioni eseguibili con campo inferiore a un tesla la risonanza magnetica al torace, all’addome superiore e quella mammaria. Con questa situazione il rischio di mancate diagnosi o di misdiagnosi è molto elevato. Inoltre, proprio perché gli esami effettuati sono spesso poco leggibili, il paziente è costretto a ripeterlo presso una struttura pubblica, gravando per due volte, per uno stesso esame, sul sistema sanitario regionale.
Punto quinto: Le Rems e la speculazione della sanità privata
Gli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari) sono stati aboliti nel 2013, ma chiusi definitivamente il 31 marzo 2015. Al loro posto sono nate le Rems, Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, strutture più piccole caratterizzate da un’ottica non più detentiva ma di cura e di tutela del paziente psichiatrico che ha commesso reato. Dopo pochi anni il sistema delle Rems è già al collasso: per 604 persone collocate, altre 441 in questo momento sono in attesa di un posto. Quarantuno di loro si trovano illegittimamente dietro le sbarre, in via “preventiva” e senza una pena da scontare. La carenza di posti letto ha reso l’ambito delle strutture psichiatriche un grosso business della sanità privata. Per esempio nella città di Bra, alle porte di Cuneo, nel 2015 la clinica San Michele della famiglia Patria è stata accreditata dalla Regione per ospitare un intero reparto dedicato alla Rems, che oggi accoglie 18 persone. Per ogni paziente la clinica riceve 295 euro al giorno (159mila euro al mese).
Punto sesto: La sanità privata ai tempi del Coronavirus
In Regione Lombardia l’apertura indiscriminata al privato ha fatto sì che i servizi di emergenza si riducessero per la necessità di distribuire ricoveri ordinari anche alle strutture private. I letti che vi fanno capo sono oltre 7.500, di cui 380 in reparti di rianimazione. In Veneto, dove rispetto alla Lombardia la sanità privata pesa di meno, si parla comunque del 18 per cento di letti complessivi: 3.425 posti, di cui 50 in Terapia intensiva.
Malgrado una fetta sempre maggiore dei servizi sanitari nazionali venga erogata dal privato convenzionato, di fronte all’emergenza del Coronavirus soltanto una infima percentuale di ricoveri è avvenuto nelle strutture private (4 persone al San Raffaele), e persino con estremo ritardo.
“Noi stiamo seguendo questa partita ancora con la sanità pubblica, ricordo che non abbiamo chiesto accessi ai privati”. Lo sottolinea il presidente del Veneto, Luca Zaia, facendo il punto sul coronavirus nella regione.
Addirittura molti centri si sono limitati a comunicare ai “pazienti che riportino sintomi simili all’influenza (febbre, tosse, problemi alle vie respiratorie) di disdire o spostare la loro visita”. Per tutti l’invito è a “ridurre al minimo i contatti” e, se possibile, di recarsi senza accompagnatori. L’IRCCS Humanitas, convenzionato con il SSN, ha chiuso fino a data da destinarsi il centro prelievi del sangue, riversando così i propri pazienti sulle strutture pubbliche.
Questo genere di emergenze sanitarie è poco redditizio per chi gestisce la sanità privata. Non si tratta solo di fornire i test tampone, il problema è la presa in carico dei pazienti, con i casi più gravi che devono essere ricoverati nei reparti di terapia intensiva o di medicina d’urgenza. I pazienti acuti non rappresentano un buon affare, perché richiedono cure costanti e costose. Dedicare posti letto e risorse “a gratis” per far fronte all’emergenza non rientra nella logica aziendale del privato accreditato.
Lo stesso principio coinvolge altri settori della filiera della salute, come quello farmacologico, ove la logica del curare secondo profitto induce Big pharma a investire sui farmaci più redditizzi e a disinteressarsi del problema della resistenza antibiotica, un’emergenza serissima provocata dall’uso indiscriminato di questa tipologia di farmaco.
Punto settimo: La sanità privata dirotta fondi pubblici e sottrae risorse economiche al SSN
La legge di riforma che nel 1978 ha istituito il SSN prevedeva la libertà per chiunque di farsi una mutua volontaria, ma vietava la possibilità per le mutue di avere finanziamenti sia privati che pubblici. In un sistema sanitario nazionale è infatti inammissibile e paradossale che si finanzino con degli incentivi forme di tutela privata concorrenti con il pubblico.
I fondi pubblici già oggi riconosciuti a tutte le forme di mutua ammontano a una cifra gigantesca, ancora difficilmente stimabile con precisione, che viene pagata attraverso la fiscalità generale. Per esempio questo Gennaio (2020), la Regione Sardegna ha destinato fondi per 160 milioni alla sanità privata. Novanta milioni sono andati a cliniche private tra cui le tre cliniche Korian del gruppo Kinetika, e 70 milioni all’ospedale Mater Olbia, di proprietà della Qatar Foundation. Intanto in Sardegna la sanità pubblica sta crollando, con i servizi territoriali soppressi che non vengono ripristinati e persino la recentissima chiusura dei servizi di Neuropsichiatria infantile.
I privati in sanità si appropriano non solo di fondi pubblici ma anche di suolo pubblico. E’ il caso dei 700 mq all’interno del nuovo palazzo della Regione Lombardia, utilizzati per aprire un grande ambulatorio polispecialistico privato, dove una visita viene garantita in 3 giorni a partire da 60 euro.
Il progressivo smembramento della sanità pubblica sta portando ad un aumento dei prezzi anche nel privato; si riducono infatti le potenzialità e i mezzi del principale competitor della sanità privata e cioè il pubblico.
I partiti politici recentemente al governo sono colpevoli di aver favorito finanziariamente il dilagare della sanità privata in Italia. Il caso più lampante è rappresentato dalla bozza del patto per la salute che la ministra Giulia Grillo (M5S) ha sottoposto questa estate alle regioni per giungere a un’intesa. L’articolo 5 del documento afferma che i fondi integrativi (mutue) sono complementari al SSN, cioè sono parte di esso avendo lo stesso scopo di garantire la tutela della salute. L’idea di fondo è quella di sostituire il sistema pubblico universalistico e solidale con un sistema multipilastro (pubblico, mutue e assicurazioni private); una proposta per altro già avanzata dall’ultimo governo Berlusconi. Sempre lo stesso articolo continua sostenendo la necessità di rivedere la normativa attualmente in vigore per incrementare, attraverso maggiori incentivi fiscali, le prestazioni integrative, rendendole di fatto sostitutive. Se le contraddizioni e l’ipocrisia del Movimento 5 stelle sono ormai cosa risaputa, una fetta degli opinionisti di sinistra sarà sorpresa nell’apprendere che anche il Ministro Speranza (Liberi e uguali) il 24 ottobre di fronte alle Commissioni congiunte Affari Sociali della Camera e Igiene e Sanità del Senato ha dichiarato di voler accelerare l’approvazione “di questo documento strategico”.
Punto ottavo: Sanità privata convenzionata: una mangiatoia per truffatori e corrotti.
Un sistema dove l’assistenza sanitaria rappresenta fonte di profitto si espone inevitabilmente al rischio di truffe da parte dei privati. Il numero di inchieste e di irregolarità emerse nel settore in questi anni è davvero spaventoso. Basta una rapida ricerca sul Web per rendersi conto di quanto “marcio” ci sia nell’amministrazione dei gruppi sanitari privati, soprattutto in quelli convenzionati.
Questo Dicembre due persone del gruppo ospedaliero San Donato sono state arrestate nell’ambito di un’indagine per truffa aggravata alla Regione Lombardia. Otto case farmaceutiche vendevano a 9 ospedali lombardi del Gruppo San Donato farmaci a un prezzo (peraltro più alto di quello di mercato) che poi il gruppo si faceva legittimamente rimborsare dalla Regione. Gli ospedali del Gruppo evitavano però appositamente di comunicare che le case farmaceutiche avessero intanto emesso note di credito con cui a posteriori riconoscevano agli ospedali uno sconto sul prezzo. Così facendo la Regione continuava a pagare un prezzo pieno sui farmaci, ingrossando il fatturato degli ospedali.
Sempre il gruppo San Donato, oggi sottoposto alla direzione di Angelino Alfano (un fatto quanto meno sospetto), nel 2008 è stato al centro di un maxi scandalo, con 6 milioni e mezzo di euro rubati allo Stato in 3 anni (nel periodo 2004-2007). Le cliniche di Rotelli (avvocato pavese) hanno ricevuto numerosi avvisi di garanzia per i reati di truffa al Sistema Sanitario Nazionale e falso ideologico nella compilazione delle cartelle cliniche. Secondo gli inquirenti le cartelle cliniche di diversi ospedali del Gruppo contenevano palesi falsificazioni finalizzate a ottenere rimborsi ingiustificati per milioni di euro dalla Regione. Ottantamila di quelle cartelle sarebbero state truccate e gonfiate per ottenere rimborsi illeciti per almeno 18 milioni di euro. Le falsificazioni si basavano sulla semplice e grossolana sostituzione del codice DRG, per cui interventi banali come l’asportazione di un neo venivano rimborsati anche 14mila euro (come interventi complessi di chirurgia oncologica). L’attuazione di questa frode gigantesca è stata possibile a causa delle caratteristiche del sistema di controllo della Regione Lombardia; un meccanismo fatto apposta per coprire il gioco dei truffatori. La regola regionale era infatti quella di esaminare soltanto il 5 per cento delle cartelle di ogni istituto. Non solo, l’assessorato alla Sanità stabiliva che i controlli fossero preannunciati con almeno 48 ore di anticipo e che i funzionari dovessero specificare alla struttura da controllare quali cartelle cliniche sarebbero state prelevate. Viene in mente il motivetto del Gratta e Vinci: “Ti piace vincere facile?”. Malgrado la fondatezza delle recriminazioni nel 2011 caddero tutte le accuse sulle cliniche di Rotelli e l’inchiesta venne archiviata dal pm dopo tre anni di indagini.
Restando alla Lombardia è necessario aprire una parentesi sul caso Formigoni. L’ex inquilino storico del Pirellone ha ottenuto benefit di lusso pari a 6,6 milioni di euro, tra cui yacht, vacanze e cene, in cambio di favori e rimborsi non dovuti a due enti sanitari privati convenzionati, Fondazione Maugeri di Pavia e Ospedale San Raffaele, per un totale di circa 200 milioni di euro. Formigoni è finito tra gli indagati nel 2012 ed è stato infine condannato a 5 anni e 10 mesi.
Anche la Regione Lazio è stata rapinata in più occasioni dalle cliniche private romane. Nella fattispecie gli istituti di Villa Speranza, Fondazione Roma, e Casa di cura Sant’Antonio da Padova e i rispettivi responsabili sono accusati di truffa ai danni dello Stato dalla Procura di Roma. Per quattro anni (2011-2015) avrebbero chiesto e ottenuto dalla Regione rimborsi doppi per le prestazioni sanitarie domiciliari a malati terminali. Gli extra così ottenuti arrivano a 7 milioni e 300 mila euro.
Se si avessero ancora dubbi in merito alla totale mancanza di trasparenza nella gestione delle strutture accreditate, si riporta di seguito il caso dell’Istituto neurotraumatologico italiano (Ini). Si tratta di un colosso della sanità privata, in possesso complessivamente di terreni e fabbricati per oltre 192 milioni, non tutti adibiti all’assistenza sanitaria (il principale business del gruppo). La società, sulla quale incombe un’indagine della Procura di Roma dal 2017, mentre proclamava lo stato di crisi chiedendo dilazioni a Equitalia e accedendo agli ammortizzatori sociali, ha acquistato case in centro a Venezia, a Roma e sulla costiera laziale. Con la sottoscrizione del contratto di solidarietà l’Ini ha fatto in modo di ridurre la prestazione, cioè il monte orario, dei singoli dipendenti fino al 60 per cento. Un taglio che si scontra con i requisiti minimi per l’accreditamento. Non solo, la perdita d’esercizio di oltre 62 milioni (2014) non è stata determinata da un negativo andamento delle strutture sanitarie, ma da operazioni connesse alla gestione degli immobili e dalla distribuzione di compensi agli amministratori e al collegio sindacale per oltre 1 milione e 300mila l’anno!
Domenico de Felice, medico e opinionista di sanità sociale, in un articolo del Fatto Quotidiano spiega come in Piemonte un numero cospicuo di ultrasessantenni si reca in istituti privati lombardi per l’operazione di cataratta. Il DRG della cataratta comprende gli esami preoperatori, l’intervento e due controlli post operatori. I pazienti arrivano in autobus il giorno dell’intervento, vengono operati e ripartono la sera. Ovviamente gli esami pre e post operatori non vengono effettuati, ma le cliniche ricevono comunque il compenso per la prestazione completa.
Anche il settore della riabilitazione è stato preda di truffe a più riprese. Per il setting ottimale della riabilitazione primaria si distinguono un “livello intensivo ad alta complessità”, un “livello intensivo” ed uno “estensivo”, a bassa intensità di cura. Gran parte delle strutture riabilitative private punta al riconoscimento del primo tipo di setting, caratterizzato da requisiti maggiori, ma anche da tariffe più appetitose. Purtroppo una verifica reale dell’appropriatezza del setting riabilitativo non esiste. Con determinati escamotage è possibile convertire un DRG ortopedico (“estensivo”) in uno neurologico ad alta intensità di cura, per esempio riferendo un problema di deambulazione ad una neuropatia periferica in realtà clinicamente ininfluente.
Punto nono: Infiltrazioni mafiose nella sanità privata
La storia del nostro sistema sanitario è costellata da casi di cliniche private usate per il riciclaggio del denaro sporco e per far ottenere profitti alla Ndrangheta. Il settore sanitario finisce nel mirino della mafia perché rappresenta il secondo capitolo di spesa. Secondo il BILANCIO 2019, le spese totali ammontano a 877.346.939.404 euro. Il rimborso dei titoli del debito è la voce principale, che pesa per il 26% sul bilancio, seguito dalla spesa per la tutela dei livelli essenziali di assistenza, cioè sanità (8,3%), per gli oneri finanziari su titoli del debito statale (7,2%) e per il sostegno alle gestioni previdenziali (7,1%).
La liberalizzazione spinta del sistema sanitario, la carenza e l’inadeguatezza dei meccanismi di controllo per favorire la crescita del privato, sono caratteristiche che rendono la sanità lombarda maggiormente esposta all’infiltrazione mafiosa.
Anche questa volta la Fondazione Maugeri del capoluogo pavese asserve bene alla funzione di esempio emblematico in senso negativo. L’ex IRCCS pavese (ora declassato a ICS) ha ospitato tra le sue mura Giuseppe Setola, boss dei casalesi, Pasquale Barbaro e Francesco «Ciccio Pakistan» Pelle, due esponenti di Ndrangheta. Quest’ultimo, latitante dal 30 agosto 2007, è stato accolto nella clinica Maugeri dal 31 luglio 2008 sotto falso nome, per poi essere arrestato dai Ros proprio durante la degenza.
Un altro caso inquietante è quello dell’ex primario del reparto di oculistica della clinica Maugeri Aldo Fronterré, condannato a 10 anni nel 2019. Secondo le indagini nel 2008 il medico di origini siciliane avrebbe effettuato una falsa perizia attestante la semi-cecità del boss dei casalesi Giuseppe Setola, colpito da maculopatia, dichiarandolo incompatibile col carcere. Setola fuggì dopo la disposizione dei domiciliari e tornato nel casertano uccise 18 persone in pochi mesi. Riarrestato nel 2009, Setola richiese una nuova perizia all’ex primario, il quale accettò in cambio di 50 mila euro.
Per salvare il nostro Sistema Sanitario da derive consumistiche e di privatizzazione è necessaria una lotta a oltranza, con scioperi e mobilitazioni di piazza, portata avanti da un movimento di massa, a cui afferiscano non solo professionisti sanitari ma anche le altre categorie lavorative. Bisogna pretendere un riordino legislativo che preveda l’abolizione della sanità integrativa, l’eliminazione dell’integrazione tra pubblico e privato, dell’intramoenia, e la regolamentazione della libera professione secondo i reali bisogni di salute. Solo con risoluzioni drastiche, come l’espropriazione e il riutilizzo degli Istituti accreditati che presentano irregolarità (e magari anche gli altri) si potrà impedire a mafia e imprenditori fraudolenti di mettere le proprie mani sul SSN. Nessun fondo pubblico può essere destinato ad ingrossare il budget delle cliniche private. Sarà inoltre necessario eliminare gli elementi che favoriscono la sanità privata nella competizione con il pubblico: ticket, superticket, liste d’attesa infinite.
* neolaureato in Medicina in attesa di una borsa di specializzazione