Thailandia – “La gente si è svegliata”: le proteste mettono in crisi il regime
30 Novembre 2020In difesa di Lenin
3 Dicembre 2020Ai tempi dell’emergenza sanitaria covid-19 le prime strutture ad essere state chiuse sono state scuole e università. I luoghi del sapere, noti per non generare profitti sul breve termine e di cui secondo l’attuale classe dirigente si può quindi facilmente far a meno. A differenza della scuola, al centro delle attenzioni degli ultimi mesi, l’università è stata relegata al margine della scena, pochissime sono state le dichiarazioni rilasciate in merito dal ministro competente Manfredi.
È da sottolineare come il discrimine per questi signori si possa individuare nel fatto che la scuola, soprattutto primaria e dell’infanzia, svolge, oltre a una funzione didattico-educativa, un fondamentale servizio di baby-sitting. Secondo costoro l’istituzione scolastica permette di tenere a bada la prole, mentre i genitori, necessari per lo sforzo produttivo del paese, sono impegnati sul posto di lavoro. L’università è invece vista come un parcheggio di giovani adulti, legalmente capaci di agire e badare a se stessi, in grado di caricarsi di tutte le nuove difficoltà create dalla situazione pandemica e da individui responsabili starsene a casa. Prendiamo ad esempio La Sapienza di Roma, che con i suoi 113.500 studenti complessivi, 3.300 docenti e 2.000 funzionari, tecnici e bibliotecari, oltre a 1.800 amministrativi nelle strutture ospedaliere (al 2019), è il più grande campus d’Europa.
La prima università della capitale, che ospita 50 biblioteche e 18 musei, vanta cifre di una città di medie dimensioni ed è un microcosmo in cui si riflettono situazioni e problematiche comuni a tutti gli atenei italiani.
Come una sorta di girone dantesco, nell’immaginario comune è attraversata da una mole enorme di persone e gestita da una macchina amministrativa complessa e farraginosa.
La Sapienza è organizzata in 11 facoltà, tra la città universitaria e diverse sedi dislocate sul territorio ed è nota per il sovraffollamento dato dalla sistematica carenza di aule e spazi inadeguati al numero di iscritti. Un ambiente dispersivo in cui il singolo studente è ridotto a una matricola, un numero senza anima che si deve impegnare a concludere i suoi studi nel più breve tempo possibile, in una sorta di corsa ad ostacoli segnata dalla selezione di classe visti i contributi universitari da versare, i più alti d’Italia per una università pubblica!
La crisi economica poi aggravata dalla pandemia, ha portato un impoverimento generale dell’utenza, causando l’impossibilità per molti di mantenersi grazie a saltuari lavori in nero come accadeva in passato. A questo si aggiungono tutti i problemi legati alla mala gestione dell’emergenza dal punto di vista accademico, come i ritardi sull’inizio dei corsi, le limitazioni di accesso alle strutture universitarie ed ai servizi bibliotecari. Nonostante ciò, La Sapienza ha deciso come unico sostegno materiale agli studenti di innalzare la no tax area da 20 000 euro di ISEE (misura già coperta dal ministero) ad appena 24.000, oltre applicare agevolazioni parziali fino ai 30 mila.
Con un attivo di 45 milioni ed una gestione finanziaria poco trasparente, queste misure si rivelano irrisorie per venire incontro alle necessità della comunità studentesca.
La principale motivazione dietro questa gestione è da individuare nel processo di aziendalizzazione dell’università, mostruosità figlia dalla riforma Gelmini del 2010. Questa prevede l’assegnazione dei finanziamenti pubblici secondo un metro che privilegia gli atenei più efficienti, secondo la classe dominante economicamente virtuosi, ossia con gli attivi più cospicui.
In questo modo favorendo la competizione e la differenziazione tra atenei di serie A e serie B, si condanna la qualità della didattica e della ricerca alla subordinazione a regole e interessi di mercato, visto il peso sempre maggiore occupato dai privati nelle nostre università.
La riforma Gelmini prevedeva il taglio del 15% della spesa pubblica riservata all’università, misura che contribuì a provocare un drastico calo di qualità della formazione e un parallelo aumento delle tasse per le famiglie. Proprio il combinato disposto di queste misure con la complessa situazione sociale del paese ha provocato una conseguente caduta delle immatricolazioni negli ultimi anni. Un’ altra eredità di questa riforma classista è la precarizzazione di numerose figure tra i lavoratori dell’Università, soprattutto ricercatori con contratti a tempo determinato. Otre a produrre nei fatti il blocco del turnover o al massimo un turnover negativo.
È facile immaginare come questi lavoratori precari siano a loro volta vittime della mala gestione dell’emergenza sanitaria, che ha contribuito a peggiorare le loro già difficili prospettive di lavoro. (vedi un articolo di Daniele Argenio).
Va considerato poi che nell’ateneo romano studia un vero e proprio esercito di studenti fuori sede, pari a quasi il 30 percento degli iscritti. Per costoro è molto difficile accedere agli alloggi in studentati, tenendo anche conto che tra loro molti sono gli idonei per un alloggio che risultano non beneficiari. Basti pensare che quest’anno sono solo 500 gli effettivi beneficiari di un alloggio offerto dal bando Lazio DISCO su 2000 studenti risultati idonei!
Per chi non beneficia degli alloggi o delle pochissime borse a disposizione, gli affitti a Roma oscillano tra i 300 e i 500 euro mensili, spesso utenze escluse. Prezzi gonfiati dalla speculazione edilizia da parte di palazzinari sciacalli, per cui sono 200 mila le abitazioni tenute sfitte nella capitale pur di mantenere elevati i prezzi. Se consideriamo poi il costo di libri, della cancelleria, degli abbonamenti ai mezzi pubblici e delle mense, che sono solo cresciuti negli ultimi anni, studiare serenamente è possibile solo per un ristretto numero di privilegiati.
Inoltre l’Italia è al terzo posto nella classifica dei paesi europei più cari per contributi universitari. Solo il 10% degli studenti è beneficiario di qualche borsa di studio. Questa era la triste realtà prima della pandemia, ed è la tragica realtà oggi, durante la seconda ondata.
E per quanto riguarda le professioni sanitarie? Dopo la crisi sanitaria vissuta in primavera cosa ne è stato del numero chiuso? Dei tirocini?
Finiti i fiumi di retorica, gli applausi e i ringraziamenti ai nostri angeli, va detto che solo alla Sapienza si sono presentati 6.292 candidati al test di medicina, per 1.030 i posti disponibili a cui se ne sommano altri 84 per odontoiatria, nel 2019 posti disponibili erano 985+84.Un aumento di appena il 4%, che risulta irrisorio a fronte dell’allarme lanciato già nel 2018 dalla Federazione dei medici di medicina generale che prevedeva 80.000 posti scoperti nei 10 anni a seguire e dalla reale necessità evidenziata dalla disastrosa gestione della crisi sanitaria.
Inoltre, oggi alla Sapienza almeno una classe di medicina segue in reparto Covid e centinaia di aspiranti infermieri/ medici (e altre professionalità) non possono terminare le poche ore di tirocinio che li separano dalla laurea. A causa dell’emergenza gli accessi alle strutture sanitarie sono limitate e si dà precedenza a coloro che devono espletare un numero maggiore di ore di tirocinio, costringendo gli studenti esclusi a pagare ulteriori tasse senza usufruire di alcun servizio. Quindi il loro percorso verso la professione viene rallentato proprio quando il sistema sanitario ha estremamente bisogno di loro.
Osserviamo che da pochi giorni si sono concluse le elezioni studentesche ed a breve si terranno quelle per il rettore.
Riponiamo scarsa fiducia negli organi rappresentativi messi in palio, spogliati negli anni di molto potere decisionale, come ad esempio il senato accademico, che ha ceduto molte delle sue prerogative decisorie in favore del consiglio di amministrazione . Altresì ne critichiamo aspramente il sistema elettorale, rigurgito fascista, che permette di esprimere alle diverse “classi” di questa società universitaria una propria rappresentanza, ma in maniera ineguale, distorsiva rispetto all’effettivo peso specifico ricoperto e del tutto antidemocratica.
La partecipazione decisamente più alta rispetto al 2018, ma ancora attorno ad un quarto degli aventi diritto, è esclusivamente frutto del voto online e non è realmente rappresentativa della rabbia che cresce tra gli studenti. Non è casuale che liste che hanno ottenuto più consensi siano quelle generosamente finanziate più o meno velatamente dai partiti e organizzate dai vari opportunisti di turno che le usano come trampolino di lancio per la politica istituzionale.
Il rettore Gaudio ha lasciato il posto alla Polimeni, altra sostenitrice di una visione aziendalistica della gestione universitaria. Nonostante il leftwashing della sua candidatura portato avanti dalla stessa e da note testate schierate a suo sostegno, l’elezione della prima donna rettrice a La Sapienza si prefigura come un’ulteriore svolta a destra dell’amministrazione.
Come abbiamo cercato di argomentare, l’emergenza Covid 19 è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso e acuito le difficoltà già prima ampiamente diffuse nel mondo universitario, evidenziando lo stampo classista dei nostri atenei, con migliaia di studenti tagliati fuori dalla didattica a distanza a causa della carenza di costosi dispositivi. Così come la mancanza di una necessaria connessione ad alta velocità ha condannato molti a non potere partecipare alla sessione estiva e a rallentare conseguentemente la loro carriera universitaria.
Oggi più che mai è necessario unire le lotte degli studenti di ogni grado e quelle dei lavoratori del nostro paese, dentro e fuori il mondo della conoscenza. Quell’unità nella lotta, che già ha portato a molte conquiste nel passato, è la stessa che ci porterà alle conquiste e vittorie future!
Rivendichiamo una università PUBBLICA, GRATUITA, davvero democratica, LAICA ed INCLUSIVA . Un’ università davvero accessibile a tutti, in cui tutti i servizi complementari necessari siano forniti gratuitamente, dall’ alloggio, ai libri, alla mensa, ai dispositivi informatici e non solo.
Nessuno deve essere lasciato indietro.
È necessario investire in spazi, assunzioni massicce di personale, regolarizzazione di professori, ricercatori e personale precario o esternalizzato!
Per realizzare tutto ciò è necessario
- almeno un raddoppio dei finanziamenti pubblici a favore dell’università.
- Niente fondi e nessun tipo di agevolazione alle università private, i cui spazi vanno espropriati se necessario a favore dell’istruzione pubblica.
- NO al numero chiuso in nessuna sua forma, non si può parlare di alcun criterio di merito in una società di diseguaglianze accese e crescenti.
- Studiare deve essere un diritto, non un privilegio.
- Vogliamo una didattica e una ricerca LIBERA da canoni e interessi privati.
I soldi ci sono: sono nelle tasche di coloro che hanno fatto profitti per centinaia di miliardi in questi mesi.
Informati, contattaci , organizzati e lotta insieme a noi !