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2 Gennaio 2017Rivoluzione e vita quotidiana è un libro che raccoglie una serie di articoli di Lev Trotskij apparsi sulla Pravda nel 1923 e che si basavano su quanto emerso durante alcune discussioni tenute con propagandisti nel corso di riunioni organizzate a Mosca; tali articoli furono poi pubblicati nel 1924 in una edizione inglese dal titolo Problems of Life. A quelli apparsi sulla Pravda sono stati aggiunti ulteriori tre articoli: I compiti dell’educazione comunista e La trasformazione della morale, tratti dal bollettino in lingua inglese Inprecorr, edito a cura dell’Internazionale Comunista, e Cultura e Socialismo, dal Novij Mir del gennaio 1927.Rivoluzione e vita quotidiana rappresenta una preziosa testimonianza dei compiti storici che la rivoluzione vittoriosa mise di fronte al potere sovietico e dello sforzo che i bolscevichi misero in atto per corrispondervi.
di Lev Trotskij
Indice
Nota introduttiva
Non si vive solo di politica
Usi, costumi, abitudini
Vodka, Chiesa e cinema
Dalla vecchia alla nuova famiglia
Famiglie e cerimonie religiose
Un comportamento civile e gentile è l’indispensabile lubrificante dei rapporti quotidiani
La battaglia per un linguaggio colto
Contro la burocrazia di ogni genere
Come iniziare
I compiti dell’educazione comunista
La trasformazione della morale
Cultura e socialismo
Famiglie e cerimonie religiose
Il cerimoniale della Chiesa schiavizza anche l’operaio privo di sentimenti religiosi o scarsamente religioso in tre grandi momenti della vita: nascita, matrimonio e morte. Lo Stato operaio ha rifiutato le cerimonie religiose e ha detto ai suoi cittadini che essi hanno il diritto di nascere, sposarsi e morire senza i gesti e le esortazioni misteriose di persone abbigliate con tonache, vesti ed altri abbigliamenti ecclesiastici. Le usanze rendono però più difficile l’eliminazione di cerimoniali del genere. La vita della famiglia operaia è troppo monotona ed è questa monotonia che logora il sistema nervoso. Ecco quindi il desiderio dell’alcool, una fiaschetta contenente tutto un mondo di immagini. Ecco la necessità della Chiesa e dei suoi rituali. Come si può celebrare il matrimonio o la nascita di un bambino in famiglia? Come si può pagare il tributo di affetto ad un caro estinto? Il rituale della Chiesa poggia sulla necessità di forgiare e decorare i principali segnali da apporre lungo la strada della vita.
Con che cosa possiamo opporci a tutto ciò? Dobbiamo ovviamente contrapporre una critica razionalistica, un atteggiamento ateo e realistico verso la natura e le sue forze, per contrastare la superstizione che si trova alle radici del rituale. Ma tale questione concernente la propaganda scientifica e critica non esaurisce l’argomento e in primo luogo si rivolge solo a una minoranza, anch’essa stimolata ad arricchire, migliorare ed elevare la vita individuale e in ogni caso gli aspetti più salienti di essa.
Lo Stato operaio ha già le sue feste, i suoi cortei, le sue riviste e parate, i suoi spettacoli simbolici, le nuove cerimonie teatrali dello Stato. E’ vero che nel complesso questi spettacoli sono troppo vicini alle vecchie forme, che cercano di imitare e perpetuare, ma il simbolismo rivoluzionario dello Stato operaio è nuovo, distinto e impetuoso: la bandiera rossa, la stella rossa, l’operaio, il contadino, il compagno, l’internazionale. Ma nei vincoli ristretti della vita familiare il nuovo non è penetrato, o almeno è presente in misura assai ridotta, mentre la vita dell’individuo è strettamente legata alla famiglia. Ciò spiega perché in fatto di icone, di battesimi, di funerali religiosi ecc. il piatto della bilancia pende verso le usanze. I componenti rivoluzionari di una qualsiasi famiglia non hanno nulla da offrire in sostituzione di queste abitudini: gli argomenti teorici agiscono solo sulla mente, mentre le cerimonie spettacolari agiscono sui sensi e sull’immaginazione. L’influenza di queste ultime è di conseguenza maggiore. Nella gran parte dei circoli comunisti si sente la necessità di opporsi alle vecchie pratiche mediante nuove forme, nuovi simboli, non solamente nel campo della vita dello Stato, dove tutto ciò è stato fatto in grande misura, ma anche in campo familiare.
Fra gli operai ora si nota la tendenza a celebrare i compleanni al posto della festa del santo patrono, e a dare ai neonati nomi che simboleggiano nuovi avvenimenti e nuove idee, piuttosto che nomi di santi. Nella conferenza dei propagandisti della zona di Mosca ho appreso per la prima volta che il nuovo nome di Ottobrina era collegato al diritto di cittadinanza.
Si danno anche i nomi di Ninel (vale a dire il nome di Lenin detto all’incontrario) e di Rem che sta per rivoluzione, elettrificazione, Mir [pace]. Si danno anche i nomi di Vladimir, Il’ic ed anche di Lenin e Rosa (in onore di Rosa Luxemburg) e così via, con lo scopo di mettere in luce il desiderio di collegare i nomi dei ragazzi alla rivoluzione.
A Favzavkom si sono avuti casi in cui la nascita di un bambino è stata celebrata con una finta cerimonia di “ispezione” e con uno speciale protocollo con il quale si è aggiunto il nome del bambino alla lista dei cittadini sovietici. E’ poi seguita una festa. Nelle famiglie operaie si celebra anche l’avvio del ragazzo al lavoro come apprendista. Si tratta di un avvenimento di importanza reale in quanto influenza la scelta del mestiere e il corso della vita stessa. Si tratta anche per il ragazzo di un’occasione per cominciare a intervenire nel lavoro sindacale.
Nel complesso i sindacati dovrebbero giocare un ruolo assai più importante nella creazione delle forme di vita nuova. Le corporazioni del Medioevo erano potenti perché influivano sulla vita dell’apprendista, dell’operaio e del mastro in ogni suo aspetto. Esse salutavano il bambino il giorno della nascita, lo portavano fino alla porta della scuola e alla chiesa quando si sposava e lo seppellivano quando aveva compiuto i doveri per i quali era nato. Le corporazioni non erano semplicemente federazioni di mestieri: esse costituivano la vita organizzata della comunità. Lungo queste linee i nostri sindacati industriali si stanno ampiamente sviluppando con una sola differenza: in opposizione alle forme di vita medioevale, quelle della nuova vita saranno libere dalla Chiesa e dalla sua superstizione e imbevute della tendenza e dall’aspirazione a utilizzare ogni conquista della scienza e della tecnica per arricchire e abbellire la vita.
Il matrimonio, se volete, è l’atto che più facilmente può prescindere dalle cerimonie religiose. Tuttavia anche a tale riguardo occorre domandarci: quante “incomprensioni” ed espulsioni dal partito si sono avute a seguito di matrimoni religiosi? Le usanze rifiutano il matrimonio puro e semplice se non viene beatificato da cerimonie spettacolari.
La questione del funerale è infinitamente più difficile. Essere sotterrato senza funerale è insolito, spiacevole e mostruoso; è come crescere senza battesimo. Nei casi in cui la posizione del defunto ha richiesto funerali a carattere politico, si è creata la scena per nuove cerimonie spettacolari imbevute del simbolismo della rivoluzione: la bandiera rossa, la marcia funebre del rivoluzionario, il saluto sparando colpi di arma da fuoco per aria. Alcuni dei partecipanti alla conferenza dei propagandisti di Mosca di cui abbiamo già parlato hanno sottolineato la necessità dell’adozione pratica della cremazione proponendo di dare l’esempio cremando i corpi degli operai rivoluzionari più importanti. Essi giustamente consideravano questo atto un’arma potente da usare per la propaganda contro la Chiesa e contro la religione. Ma la cremazione – sarebbe ora che l’adottassimo – non significa l’abbandono dei cortei, dei discorsi funebri, del saluto con forme rituali. La necessità di manifestazioni esterne emotive è forte e legittima. Se l’elemento spettacolare nel passato è stato collegato strettamente alla Chiesa, non c’è ragione, come abbiamo già detto, che esso non possa esserne separato. Il teatro si è separato dalla Chiesa prima di quanto non abbia fatto la Chiesa dallo Stato. In antichità la Chiesa ha combattuto violentemente contro il teatro “mondano” rendendosi pienamente conto che era pericoloso in quanto rivale in campo spettacolare. Il teatro è morto: vive solo come spettacolo speciale tra quattro mura. Ma l’usanza giornaliera che si serviva della forma spettacolare ha contribuito a conservare la Chiesa.
La Chiesa aveva in questo campo altri rivali, costituiti da società segrete come quella dei framassoni. Ma queste erano completamente imbevute di mentalità da sacerdote laico. La creazione di un “cerimoniale” rivoluzionario (adoperiamo la parola “cerimoniale” per mancanza di termini migliori) e la sua contrapposizione al “cerimoniale” della Chiesa è possibile non solo in occasioni pubbliche o in circostanze in cui è impegnato lo Stato, ma nei rapporti di vita familiare. Anche ora una banda che suona a un funerale compete con successo con le musiche funebri della Chiesa. E noi dobbiamo naturalmente allearci alla banda nella lotta contro il rituale della Chiesa che si basa sul convincimento da schiavo dell’esistenza di un altro mondo in cui saremmo ripagati centinaia di volte per le miserie ed i mali di questo mondo. Ma un alleato ancora più potente è il cinema.
La creazione di nuove forme di vita e di nuove abitudini nel campo dello spettacolo si muoverà di pari passo con la diffusione dell’istruzione e con il crescere della sicurezza economica. Abbiamo motivo di osservare questo processo con la massima cura. Ovviamente non si dovrà, in nessun caso, esercitare costrizioni dall’alto, cioè si dovrà in ogni caso evitare di burocratizzare le nuove abitudini. Solo con la creatività delle masse, assistita dalla immaginazione e dall’iniziativa artistica, potremo nel corso di anni e di decenni costruire nuove e più elevate forme di vita. Dovremo aiutare questo processo creativo in ogni modo, pur rinunciando a regolarlo. A tale scopo innanzitutto dobbiamo far sì che la tendenza alla cecità lasci il posto al discernimento. Dobbiamo attentamente osservare tutto ciò che accade nella famiglia operaia a tale riguardo e più in generale nella famiglia sovietica. Ogni forma nuova, sia essa un fallimento o un semplice tentativo, deve essere registrata nella stampa e portata a conoscenza del pubblico allo scopo di stimolarne l’immaginazione e l’interesse e di dare impulso alla creazione collettiva di nuove abitudini.
Il Komsomol ha un ruolo importante in questo lavoro. E anche se non tutte le invenzioni riescono, né tutti i progetti si realizzano, che importa? La scelta più opportuna verrà. La nuova vita adotterà nuove forme quasi spontaneamente. Il risultato sarà una vita più ricca, più ampia, più densa di colore e di armonia. Questa è l’essenza del problema.
Un comportamento civile e gentile è l’indispensabile lubrificante dei rapporti quotidiani
Nel corso delle numerose discussioni a proposito del nostro apparato statale, il compagno Chiselev, presidente del Consiglio sussidiario dei commissari del popolo, ha ricordato un aspetto estremamente importante di tale questione. L’apparato statale in che modo entra in contatto diretto con la popolazione? Come “tratta” con il popolo? Come si comporta verso una persona che ad esso si rivolge, con lamentele, con “petizioni”? Come considera l’individuo? Come si rivolge a lui, quando lo fa?… Anche questi sono aspetti importanti della “vita”. A tale riguardo dobbiamo distinguere due aspetti: quello che si riferisce alla forma e quello che si riferisce alla sostanza.
In tutti i paesi “democratici” civili la burocrazia “è al servizio” del popolo. Ciò non le impedisce di porsi al di sopra del popolo in quanto casta professionale chiusa. La burocrazia in realtà serve i magnati capitalisti; si fa piccola al loro cospetto, mentre tratta l’operaio e il contadino con arroganza, in Francia come in Svizzera e in America. Nelle “democrazie” civili tutto ciò viene presentato, in forma più o meno accentuata, con caratteristiche esteriori di civiltà e di cortesia. Quando è però necessario (e circostanze del genere si presentano quotidianamente), si getta da una parte il paravento della civiltà e appare il pugno del poliziotto: gli scioperanti vengono picchiati nei commissariati di polizia di Parigi, di New York e di altre città del mondo.
Tuttavia, nel suo complesso, la civiltà “democratica” dei rapporti fra burocrazia e popolazione è il prodotto e il retaggio delle rivoluzioni borghesi. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è rimasto, ma in forme diverse: meno “brutale “, addobbato con il mantello dell’eguaglianza e delle buone maniere.
Il nostro apparato burocratico sovietico è unico nella sua complessità in quanto comprende tradizioni di epoche diverse e germi di rapporti futuri. Da noi la civiltà non esiste come regola generale; non manchiamo certamente di maniere brusche ereditate dal passato. Tuttavia questo aspetto in sé non è omogeneo. C’è la semplice scortesia di origine contadina, che certamente non è piacevole ma nello stesso tempo non è degradante. Essa diventa insopportabile e obiettivamente reazionaria solo quando i nostri giovani romanzieri la vantano come una acquisizione “artistica”. Gli elementi più in vista degli operai guardano questa falsa semplicità con ostilità istintiva poiché essi vedono nel carattere rude del linguaggio e del comportamento un segno della vecchia schiavitù e aspirano ad acquisire una capacità espressiva colta, fornita di disciplina interna. Ma di ciò parleremo più avanti.
Accanto a questa semplice, abituale e passiva rozzezza del contadino, ne abbiamo un’altra di tipo particolare: quella del rivoluzionario, quella del dirigente, che ha le sue radici nell’impazienza e nell’ardente desiderio di migliorar le cose, nell’irritazione provocata dall’indifferenza verso ogni forma di iniziativa. Anche questa rozzezza, se presa in sé, ovviamente non è piacevole e intendiamo dissociarci da coloro che la praticano, ma al fondo essa è spesso alimentata dalla nostra stessa carica morale rivoluzionaria e in più di un’occasione in questi ultimi anni è riuscita a muovere montagne. In questo caso non è la sostanza che si deve cambiare, che nel complesso è sana, creativa e progressiva, ma la sua forma distorta…
Ma abbiamo un altro genere di scortesia – e questo è l’ostacolo principale – quella della vecchia aristocrazia, caratterizzata da un tocco di feudalesimo. Si tratta di un comportamento profondamente negativo e dannoso in tutti i suoi aspetti; ce lo troviamo ancora di fronte, in quanto non è facile da sradicare.
Negli uffici di Mosca, e specialmente nei più importanti, questa scortesia aristocratica non si manifesta in forme aggressive mediante urla e minacce verso il pubblico: assai spesso si palesa con un formalismo pregno di insensibilità che ovviamente non costituisce l’unica causa del burocratismo, la causa più importante essendo rappresentata dall’indifferenza più completa verso l’essere umano e verso le sue condizioni di lavoro. Se potessimo impressionare su una lastra fotografica la maniera, le risposte, le spiegazioni, gli ordini e le firme di tutte le cellule dell’organismo burocratico, sia pure nel corso di una sola giornata moscovita, ciò che avremmo sarebbe un risultato di straordinaria confusione. E tutto ciò peggiora nelle province, in particolare lungo la linea di confine tra città e campagna, che è una tra le più importanti.
Il burocratismo è un fenomeno complesso, ma niente affatto omogeneo; si tratta piuttosto di un agglomerato di fenomeni e di processi di origine storica diversa. I principi che mantengono in vita e alimentano il burocratismo sono anch’essi vari; il più importante è dato dalle condizioni della nostra cultura, cioè dall’arretratezza e dall’analfabetismo di una percentuale assai alta della nostra popolazione. L’estrema confusione provocata da un apparato statale in continua ricostruzione, inevitabile in un periodo di rivoluzione, è la causa di molte frizioni superflue che giocano un ruolo importante nella produzione del burocratismo. Il carattere eterogeneo di classe dell’apparato sovietico – un misto di tradizioni aristocratiche, borghesi e sovietiche – è alla radice delle sue forme più ripugnanti.
La lotta contro il burocratismo non può quindi che assumere un carattere diversificato. Al fondo c’è la lotta contro l’arretratezza della cultura, l’analfabetismo, la sporcizia e la povertà. Il miglioramento tecnico dell’apparato, la riduzione del personale impiegatizio, l’introduzione di maggior ordine, accuratezza e precisione nel lavoro e altre misure del genere non esauriscono ovviamente il problema storico, ma contribuiscono ad attenuare gli aspetti più negativi del burocratismo. Si attribuisce grande importanza alla formazione di un nuovo tipo di burocrate sovietico: il nuovo “spet” [specialista]. Ma anche in ciò non dobbiamo ingannare noi stessi. Esistono notevoli difficoltà nel formare migliaia di nuovi operai nello spirito della semplicità, dell’umanità, in condizioni transitorie, con educatori ereditati dal passato. Queste difficoltà sono grandi, ma non insuperabili, tramite una “edizione” molto migliorata di giovani sovietici.
Ci vorranno lunghi anni per far sì che vengano realizzate le misure che abbiamo elencato, ma tutto ciò non esclude affatto che si inizi immediatamente una lotta senza quartiere contro il burocratismo, contro il disprezzo ufficiale per l’essere umano e per i suoi problemi, verso quel nichilismo corruttore che nasconde una profonda indifferenza verso tutto, una vile insensibilità che porta a rifiutare di riconoscere la dipendenza dal cittadino, un sabotaggio cosciente o un odio istintivo dell’aristocratico spodestato verso la classe che l’ha deposto. Queste sono le cause principali della rozza scortesia che deve essere oggetto di attenzione da parte dei rivoluzionari.
Dobbiamo raggiungere una situazione in cui l’individuo medio proveniente dalle masse lavoratrici cessi di temere gli uffici governativi coi quali entra in contatto. Più egli si sentirà impotente, più sarà incapace di valersi degli strumenti della cultura, più dobbiamo accordargli attenzione e dedicargli le nostre cure. Si tratta di un principio fondamentale che dobbiamo tenere sempre presente. A tale scopo, oltre a richiedere l’applicazione delle varie misure di cui abbiamo parlato, è essenziale che la nostra opinione pubblica sovietica mantenga costantemente tale questione in primo piano e la consideri da un angolo di visuale più ampio possibile. Si deve in particolare controllare i rivoluzionari, i comunisti e gli altri elementi impiegati nell’apparato dello Stato di cui fortunatamente un buon numero è sano e disponibile a un’azione contro il burocratismo.
La stampa può avere un ruolo decisivo. Sfortunatamente i nostri giornali si occupano poco e in modo non molto edificante della vita quotidiana. Se si toccano argomenti relativi alla vita di ogni giorno ciò viene spesso fatto mediante corrispondenze stereotipate prive di espressioni del genere: “abbiamo una fabbrica che si chiama… In questa fabbrica c’è un comitato e un direttore; il. comitato fa questo e quello, il direttore dirige”. Invece la nostra vita reale è piena di colore e ricca di episodi istruttivi che in particolare si verificano nella linea di demarcazione in cui l’apparato dello Stato entra in contatto con le masse. Non dobbiamo fare altro che rimboccarci le maniche. Naturalmente porci compiti istruttivi ed edificanti in questo campo significa nello stesso tempo guardarci dall’intrigo, dalle frasi fatte e da ogni forma di demagogia.
Un “programma calendario” esemplare potrebbe essere costituito dal mettere alla berlina, dopo averli vagliati attentamente e imparzialmente, un centinaio di impiegati dello Stato, che abbiano mostrato un inveterato disprezzo per le masse operaie nel corso del loro lavoro, per poi cacciarli via dall’apparato statale con procedura pubblica, arrivando fino a processarli, in modo da non consentir loro di tornare. Sarebbe un buon inizio da cui ovviamente non si possono aspettare miracoli, ma un piccolo mutamento dal vecchio al nuovo costituisce un passo avanti che ha un valore maggiore di tutte le chiacchiere e di tutti i discorsi.
La battaglia per un linguaggio colto
Ho letto ultimamente in uno dei nostri giornali che in una assemblea generale degli operai della fabbrica di scarpe Comune di Parigi è stata approvata una risoluzione che raccomanda di astenersi dalle imprecazioni e di imporre multe per le espressioni triviali.
Si tratta di un piccolo episodio nel tumulto di questo periodo, ma un piccolo episodio assai eloquente. La sua importanza dipenderà, tuttavia, dalle ripercussioni che l’iniziativa della fabbrica di scarpe avrà tra la classe operaia.
Il linguaggio sguaiato e le imprecazioni sono l’eredità della schiavitù, dell’umiliazione e del disprezzo per la dignità umana – la propria e quella degli altri. Ciò vale in particolare per le imprecazioni in Russia. Mi piacerebbe sapere dai nostri filologi, dai nostri glottologi e dagli esperti di folklore se esistono espressioni ingiuriose altrettanto sguaiate, triviali e degradanti in qualche altra lingua. Che ne sappia io, non c’è niente, o quasi niente, del genere al di fuori della Russia. L’imprecare russo nelle “profondità più vertiginose” era il frutto della disperazione, dell’amarezza e soprattutto della condizione di schiavitù senza speranza e senza scampo. Le imprecazioni delle classi superiori, d’altro lato, le imprecazioni che uscivano dalla bocca dei nobili, delle autorità, erano il frutto della dominazione di classe, della superbia di proprietari di schiavi, di un incrollabile potere. I proverbi dovrebbero contenere la saggezza delle masse; i proverbi russi rivelano anche la mentalità ignorante e superstiziosa delle masse e la loro condizione di schiavitù. “L’insulto non si attacca al colletto” dice un vecchio proverbio russo, non solo accettando la schiavitù come un fatto, ma accettando anche l’umiliazione che comporta. Due flussi di insulti russi – quello dei padroni, degli ufficiali, dei poliziotti, grassi e nutriti, e l’altro, l’imprecare affamato, disperato, tormentato delle masse – hanno colorito tutta la vita russa di forme spregevoli di termini insultanti. Tale era l’eredità che, tra l’altro, la rivoluzione riceveva dal passato.
Ma la rivoluzione è in primo luogo il ridestarsi della personalità umana delle masse, che si consideravano prive di personalità. Malgrado l’occasionale crudeltà e l’implacabilità sanguinosa dei suoi metodi, la rivoluzione è prima di tutto e soprattutto un risveglio dell’umanità, una sua marcia in avanti, ed è caratterizzata da un crescente rispetto per la dignità personale di ogni individuo, da una sempre maggiore sollecitudine per i deboli. Una rivoluzione non è degna di questo nome se, con tutta la sua potenza e con tutti i mezzi di cui dispone, non aiuta la donna – due, tre volte schiava nel passato – a imboccare la strada del progresso personale e sociale. Una rivoluzione non è degna di questo nome se non si prende la massima cura dei bambini – le generazioni future nel cui interesse è stata fatta. E come si può creare, giorno per giorno, sia pure poco a poco, una nuova vita basata sul rispetto reciproco, sul rispetto di sé, sull’eguaglianza effettiva della donna considerata come collaboratrice, su una cura efficace dei bambini, in un’atmosfera avvelenata dal rumoreggiare, dal rotolare, dallo squillare e dal risuonare delle imprecazioni dei padroni e degli schiavi che non risparmiano nessuno e non si arrestano di fronte a nulla? La lotta contro le “brutte parole” è una condizione di igiene intellettuale, come la lotta contro la sporcizia e i vermi è una condizione dell’igiene fisica.
Rompere radicalmente con il linguaggio volgare non è facile, poiché l’esprimersi senza restrizioni ha radici psicologiche ed è il prodotto di un ambiente incivile. Salutiamo naturalmente con favore l’iniziativa degli operai della fabbrica di scarpe e soprattutto auguriamo ai promotori del nuovo movimento una grande perseveranza. Abiti psicologici che si trasmettono da una generazione all’altra saturando tutta l’atmosfera della vita, sono assai tenaci e, d’altro canto, ci capita spesso in Russia di dare giusto una violenta spinta in avanti, di spremere le nostre forze e poi di lasciare che tutto continui come prima.
Speriamo che le operaie – quelle che appartengono alle file comuniste in primo luogo – sosterranno l’iniziativa della fabbrica Comune di Parigi. Di regola – ci sono naturalmente le eccezioni – gli uomini che usano espressioni volgari disprezzano le donne e non si curano dei bambini. Ciò non vale solo per le masse incolte, ma anche per gli elementi progrediti e cosiddetti “ responsabili” del presente ordine sociale. Non si può negare che le vecchie espressioni volgari prerivoluzionarie siano ancora in uso attualmente, sei anni dopo l’ottobre, e che al “vertice” siano di moda. Quando sono lontani dalla città, in particolare da Mosca, i nostri dignitari considerano in certo modo loro dovere usare espressioni forti. Pensano evidentemente di stabilire un contatto più stretto con i contadini.
La nostra vita russa è caratterizzata dalle più stridenti contraddizioni, sul piano economico come su qualsiasi altro. Al centro stesso del paese, vicino a Mosca, ci sono chilometri e chilometri di acquitrini, ci sono strade impraticabili – e proprio nelle vicinanze potete vedere improvvisamente una fabbrica che impressionerebbe un ingegnere europeo o americano per la sua attrezzatura tecnica. Contrasti del genere abbondano nella nostra vita nazionale. Accanto al tirannico e rapace profittatore vecchio stampo, che è tornato in vita nell’attuale generazione, che è passato attraverso la rivoluzione e l’espropriazione, indaffarato a truffare e a realizzare profitti legali o clandestini, e conservando intatta la sua volgarità e ingordigia da suburbio, incontriamo il tipo migliore di operaio comunista, che dedica quotidianamente la propria esistenza agli interessi del proletariato mondiale ed è pronto a battersi in qualsiasi momento per la causa della rivoluzione in qualsiasi paese, anche in un paese che non sarebbe capace di individuare sulla carta geografica.
Oltre a questi contrasti sociali – tra l’ottusa bestialità e il più elevato idealismo rivoluzionario – spesso assistiamo a contrasti psicologici in uno stesso individuo. Un uomo è un comunista leale, devoto alla causa, ma le donne per lui non sono che “femmine”, da non prendere sul serio in nessun modo. O può accadere che un comunista che pure si è distinto quando parla delle nazionalità minori, cominci a parlare in tono irrimediabilmente reazionario. Ricercando la causa di tutto questo dobbiamo ricordarci che le diverse parti della coscienza umana non mutano e non si sviluppano simultaneamente e lungo linee parallele. C’è una certa economia nel processo. La psicologia umana è assai conservatrice e i mutamenti dovuti alle esigenze e agli stimoli della vita investono, in primo luogo, i settori della mente che vi sono coinvolti direttamente.
In Russia, lo sviluppo sociale e politico degli ultimi decenni ha proceduto in un modo del tutto inconsueto, e con salti e balzi sorprendenti: e ciò è alla base della nostra attuale disorganizzazione, che non si limita alla economia e alla politica. Le stesse carenze si manifestano nella mentalità di molta gente, dando come risultato una strana mescolanza di concezioni politiche avanzate e ben maturate e di tendenze, abitudini e, in una certa misura, idee che sono un’eredità diretta di leggi domestiche ancestrali. Per ovviare a questo, dobbiamo rafforzare il fronte intellettuale, cioè dobbiamo sottoporre a verifica con metodi marxisti tutta la mentalità di un uomo; e questo dovrebbe essere lo schema generale di educazione e auto-educazione del nostro stesso partito, cominciando dai vertici. Ma ancora una volta il problema è estremamente complesso e non può essere risolto solo con l’insegnamento scolastico e con i libri: le radici delle contraddizioni e delle incongruenze psicologiche risiedono nella disorganizzazione e nella confusione delle condizioni in cui la gente vive. Dopo tutto, la psicologia è determinata dalla vita. Ma la dipendenza non è puramente meccanica e automatica: è attiva e reciproca. Il problema deve quindi essere affrontato in molte forme diverse: quella della fabbrica Comune di Parigi è una tra le altre. Auguriamole il migliore successo.
P.S. – La lotta contro le espressioni volgari è parte della lotta per la purezza, la chiarezza e la bellezza della lingua russa.
Gli stolti reazionari sostengono che la rivoluzione, anche se non l’ha rovinata completamente, è sulla via di devastare la lingua russa. Ci ,sono effettivamente una gran quantità di parole ora in uso che sono sorte per caso: e alcune sono espressioni provinciali perfettamente inutili, altre sono contrarie allo spirito della nostra lingua. Eppure gli stolti reazionari si sbagliano completamente sul futuro della lingua russa, come su tutto il resto. La nostra lingua uscirà dal vortice rivoluzionario rinvigorita, ringiovanita, con una maggiore duttilità e delicatezza. Il nostro vecchio linguaggio prerivoluzionario, ovviamente ossificato, burocratico e influenzato dalla stampa liberale, si è già considerevolmente arricchito di nuove forme descrittive, di nuove espressioni più precise e più dinamiche. Ma durante tutti questi anni tempestosi la nostra lingua è stata certo grandemente bloccata e parte del nostro progresso culturale consisterà, tra l’altro, nell’espungere dai nostri discorsi tutte le parole e le espressioni inutili e tutte quelle che non sono in armonia con lo spirito della lingua, pur conservando le acquisizioni indiscutibili e inestimabili dell’epoca rivoluzionaria.
La lingua è uno strumento del pensiero. La precisione e la correttezza del discorso è una condizione indispensabile per la precisione e la correttezza del pensiero. Il potere politico è ora passato, per la prima volta nella nostra storia, nelle mani dei lavoratori. La classe operaia possiede un’abbondante scorta di esperienze di lavoro e di vita e un linguaggio basato su queste esperienze. Ma il nostro proletariato non ha la preparazione scolastica necessaria per leggere e scrivere, per non parlare dell’educazione letteraria. E questa è la ragione per cui la classe operaia ora al potere, che di per se stessa e per la sua natura sociale è un’enorme garanzia di integrità e di grandezza della lingua russa nel futuro, non ha sinora la necessaria energia per opporsi all’intrusione di nuove parole e di espressioni inutili, corrotte e talvolta orribili…
La lotta per l’educazione e per la cultura assicurerà a tutti gli elementi avanzati della classe operaia tutte le risorse della lingua russa nella sua estrema ricchezza, sottigliezza e raffinatezza. Per salvaguardare la grandezza della lingua tutte le parole e le espressioni criticabili devono essere espunte dal linguaggio quotidiano. Anche il linguaggio ha bisogno di igiene. E la classe operaia ha bisogno di un linguaggio sano più e non meno delle altre classi: per la prima volta nella storia comincia a pensare in modo indipendente sulla vita e sui suoi fondamenti e per pensare ha bisogno dello strumento di un linguaggio chiaro ed incisivo.
Contro la burocrazia di ogni genere
Debbo tornare di nuovo a parlare, e non sarà l’ultima volta, dei problemi della vita della classe operaia. Lo scopo a cui tendo è la difesa, contro gli attacchi di critiche più burocratiche che progressive, dell’interesse cosciente e a mio parere estremamente valido delle masse verso i problemi della loro vita.
La burocrazia “progressista” disapprova le discussioni sui problemi della vita che si svolgono sulla stampa, nelle riunioni e nei circoli. A che serve, dicono, perdere tempo in discussioni? Facciamo sì che si dia inizio ad un programma di realizzazione di cucine comuni, di nidi, di lavanderie, di ostelli ecc… E i più ottusi tra di loro di solito aggiungono (o piuttosto danno per inteso o dicono a bassa voce, in quanto preferiscono questo modo di esprimersi al discorso franco): “Tutte parole e null’altro “. Il burocrate spera – e mi domando se non abbia già pronto un brillante piano finanziario – che quando diventeremo ricchi, senza neanche il bisogno di parlare regaleremo al proletariato condizioni di vita culturale elevate così come si fa un regalo per il compleanno. Non c’è bisogno, dicono questi critici, di condurre fra le masse una propaganda per illustrare quali saranno le condizioni di vita socialiste, in quanto il processo del lavoro crea di per se stesso “un senso di socialità”.
Cosa si deve rispondere ad argomenti del genere? Che bisogno c’è di avere un partito comunista se quel “senso di socialità” creato dal processo del lavoro è sufficiente a risolvere i problemi del socialismo? In realtà c’è una lunga strada da percorrere da quel vago “senso di socialità “ fino alla volontà decisa di ricostruzione della vita. II lavoro del nostro partito deve essere svolto proprio lungo questa strada. I problemi della vita debbono essere fatti penetrare nella coscienza delle masse. Nessun governo, anche il più attivo e intraprendente, può riuscire a trasformare la vita senza l’iniziativa delle masse. Lo Stato può organizzare le condizioni di vita fino all’ultima cellula della comunità, cioè la famiglia, ma a meno che queste cellule non si combinino di loro spontanea volontà in un’unione e in una comunità, non si possono ottenere mutamenti seri e radicali nelle condizioni economiche e nella vita familiare.
Nel nostro caso il problema non è costituito solo dalla mancanza di nuove istituzioni, come cucine comunitarie, nidi, case gestite da comuni. Sappiamo assai bene che molte donne hanno rifiutato di affidare i loro bambini ai nidi e sappiamo anche che non lo farebbero neanche ora, essendo vittime di una mentalità ristretta creata dall’inerzia e dal pregiudizio contro tutte le innovazioni. Molte case assegnate a famiglie che vivono in comune sono state ridotte in pessime condizioni e sono divenute inabitabili. Coloro che vi abitavano non consideravano le case comunitarie come l’inizio di nuove condizioni di vita ma come specie di caserme fornite dallo Stato. Le comuni assai spesso si sono quindi dimostrate un completo fallimento a causa dell’impreparazione, dei metodi affrettati, della mancanza di autodisciplina e di cultura. I problemi della vita richiedono uno studio critico approfondito e metodi ben ponderati. Per fare una avanzata è necessario assicurarsi le retrovie, che sono rappresentate dalla crescente coscienza nei riguardi delle condizioni di vita familiare e dalla richiesta di cultura sempre maggiore da parte di uomini e donne della classe operaia, specialmente da parte delle donne.
Vi indicherò alcuni casi recenti che illustrano i rapporti fra l’iniziativa dello Stato e quella delle masse, nel campo dei problemi della vita quotidiana. Al momento, grazie all’energia del compagno Cherjentzev, è stato posto in modo organico un problema estremamente importante della vita quotidiana: la puntualità. Se si esamina questo problema da un punto di vista esclusivamente burocratico, si potrebbe dire: “Perché ci disturbiamo a discuterne? A che serve fare una certa azione di propaganda, fondare un’associazione i cui membri si identificano anche con fasce da portare al braccio, ecc.? Le autorità non dovrebbero fare altro che ottenere il rispetto della puntualità per mezzo di un provvedimento che preveda sanzioni per i ritardatari”. Esiste già un decreto che va in questo senso. Circa tre anni fa avevo fatto approvare, con l’appoggio deciso del compagno Lenin, un provvedimento che si occupava della partecipazione puntuale alle riunioni operative, alle sessioni dei comitati, ecc., approvato e debitamente ratificato dal partito e dai soviet, che comportava le solite sanzioni nei riguardi di coloro che lo avessero violato. Qualcosa di buono in realtà fu fatto mediante questo provvedimento, ma sfortunatamente non si tratta di molto.
Anche gli operai più responsabili continuano attualmente a venire con mezz’ora e più di ritardo alle riunioni dei comitati. In buona fede essi credono che il loro ritardo sia dovuto al fatto che hanno troppi impegni, ma in realtà è dovuto a trascuratezza e a mancanza di rispetto per il tempo loro e degli altri. Uno che è sempre in ritardo perciò è “terribilmente occupato”, di solito lavora assai meno accuratamente ed efficientemente di un altro che arriva sempre puntuale. E’ assai curioso notare che durante le discussioni a proposito della “lega del tempo” la gente sembrava avesse dimenticato l’esistenza di un provvedimento del genere. Non mi sembra di averne mai sentito parlare neanche nella stampa. Tutto ciò dimostra quanto sia difficile far cambiare le cattive abitudini servendosi solamente della legislazione. Si sarebbe dovuto senz’altro riesumare il provvedimento di cui abbiamo parlato per appoggiare l’azione della “lega del tempo”, ma se non siamo sostenuti dallo sforzo di elementi operai avanzati nell’ottenere puntualità ed efficienza, le misure amministrative serviranno a ben poco. Gli operai “responsabili” sarebbero forse assai più cauti nel rubare il tempo di centinaia e di migliaia di operai se fossero sottoposti a un reale controllo esercitato pubblicamente.
Si prenda un altro caso. Le “autorità responsabili” combattono da anni contro la cattiva stampa, l’inaccuratezza della lettura delle bozze, la pessima rilegatura dei libri e la orribile impostazione tecnica di libri e giornali. Si sono fatti progressi, ma non molti. Questi difetti nella nostra attività tipografica ed editoriale non sono certamente dovuti a deficienze tecniche. Il problema è che i lettori non sono sufficientemente esigenti e competenti. Il “Giornale dell’operaio” – per fare un solo esempio – non si sa perché venga piegato per largo invece che per lungo. Prima di cominciare a leggerlo si deve ripiegare il giornale in modo più funzionale e rimettere a posto le pagine. Fare tutto ciò, ad esempio in tram, non è affatto facile. Nessun editore borghese oserebbe presentare un giornale del genere ai suoi lettori. “Mosca operaia”, giornale a otto pagine, viene venduto senza essere tagliato. I lettori debbono tagliare le pagine con qualsiasi cosa abbiano sottomano, e spesso arrivano a farlo con la mano; la conseguenza è che rompono anche una parte del testo. Il giornale diventa grinzoso e non può essere passato ad un altro lettore dopo che il primo lo ha letto. Perché si tollera questa mancanza di attenzione? La burocrazia operaia naturalmente ha la tendenza a dare tutta la colpa all’inerzia degli editori, che ovviamente si deve condannare e contro cui combattiamo con tutte le armi che abbiamo a disposizione, e costituite dalle risoluzioni delle conferenze del partito. Ma la passività dei lettori è un elemento ancora peggiore, così come lo è la loro noncuranza per le proprie comodità, la loro mancanza di abitudini culturali. Se un lettore andasse un paio di volte a battere i pugni – intendo ovviamente dire in un modo formalmente accettabile – sul tavolo dell’editore, questi non oserebbe mai più fare uscire un giornale con le pagine non tagliate. Ecco perché questioni anche minori come quella delle pagine di un giornale non tagliate o della rilegatura dei libri debbono essere attentamente analizzate e discusse in pubblico. Si tratta di un mezzo interessante per elevare il livello culturale delle masse.
Tutto ciò si applica ancor più al complicato sistema di rapporti interni della vita familiare e personale. Nessuno in realtà immagina che il governo sovietico stia per costruire case ottimamente ammobiliate e comuni fornite di ogni comodità, che stia per invitare il proletariato ad abbandonare le abitazioni dove vive ora per trasferirsi in nuove abitazioni. Supponiamo che si fosse capaci di realizzare questa gigantesca impresa (il che ovviamente è fuori questione), tutto ciò non recherebbe un grande vantaggio. La gente non può essere spinta ad abbracciare di punto in bianco nuove condizioni di vita; essa deve crescere gradualmente in queste nuove condizioni così come è cresciuta nel vecchio sistema di vita. Oppure deve coscientemente e deliberatamente creare una nuova vita, cosa che farà nel futuro.
La riorganizzazione della vita può e deve cominciare già partendo dai salari che si percepiscono in regime sovietico. Il fatto che questi salari siano più o meno elevati non toglie nulla ad una constatazione evidente: condurre le faccende domestiche in comune è più pratico che condurle separatamente in ogni famiglia. Avere la cucina in una grande stanza realizzata unendo due o tre stanze rappresenta una sistemazione assai più conveniente di cinque o anche dieci cucine una separata dall’altra. Ma se non si operano questi mutamenti tramite l’iniziativa delle masse, sostenuta dalle autorità, è anche ovvio che un vago “senso di socialità” non riuscirà da solo allo scopo. Si deve avere una chiara comprensione di quella che è la situazione attuale e di come si deve tendere a trasformarla. Sappiamo bene quali sono stati gli enormi vantaggi ottenuti dalla classe operaia dal passaggio dagli accordi individuali agli accordi collettivi; conosciamo bene il lavoro che è stato svolto dai sindacati e quante discussioni anche sugli aspetti tecnici siano state necessarie e quante riunioni per raggiungere questo scopo. Il passaggio dalla vita in abitazioni separate alla vita in abitazioni comunitarie è per molte famiglie assai più complicato, ma nello stesso tempo riveste una maggiore importanza. Il vecchio tipo di famiglia isolata si è sviluppato alle spalle della gente, mentre la nuova vita su basi comunitarie non può cominciare ad esistere se non è aiutata dallo sforzo cosciente di tutti coloro che partecipano al mutamento. Il primo passo verso questa nuova organizzazione della vita deve di conseguenza essere rappresentato dall’indicazione delle contraddizioni sempre maggiori fra le nuove esigenze e le vecchie abitudini. Ecco che cosa deve fare il partito rivoluzionario. La classe operaia deve diventare cosciente delle contraddizioni della sua vita familiare, deve affrontare il problema alla radice con piena comprensione della sua essenza; e quando tutto ciò sarà realizzato, almeno da parte de-gli elementi più avanzati della classe, non ci sarà inerzia di burocrati sovietici che riuscirà a ergersi contro la volontà illuminata del proletariato.
Consentitemi di terminare questa mia polemica contro le concezioni burocratiche della vita quotidiana con un racconto assai interessante del compagno Charcevskij, che ha cercato di occuparsi del problema della riforma delle abitazioni domestiche servendosi di metodi cooperativi.
“Il giorno in cui si celebrava la cooperazione internazionale – scrive il compagno Charcevskij (cito da una lettera che mi ha inviato) – ebbi una discussione con i miei vicini di casa, che in gran parte sono operai di modeste condizioni. All’inizio questa discussione non sembrava promettente“. “Al diavolo le cooperative – dicevano. A che servono? Ci fanno pagare prezzi superiori a quelli del mercato, mentre si debbono fare chilometri per arrivare agli spacci“. E i discorsi continuavano su questo tono. Provai un altro sistema. “Bene – dissi – supponiamo che il nostro sistema di cooperazione sia sbagliato al 90%. Ora analizziamo gli scopi e i fini della cooperazione e, per avere una migliore comprensione e cercando di superare le nostre abitudini in fatto di proprietà, consideriamo in primo luogo i nostri interessi e le nostre esigenze“.
“Subito tutti si trovarono d’accordo sul fatto che avevamo bisogno di un circolo, di un nido, di una cucina comunitaria, di una scuola, di una lavanderia, di un luogo in cui far giocare i bambini, ecc. Poi cominciammo a riflettere su come fare ad avere tutte queste cose. Uno dei partecipanti alla discussione cominciò a perdere la pazienza e gridò: ‘Ci avete detto che avremmo avuto una comune, ma non ne vediamo ancora neanche l’ombra’. Lo interruppi dicendogli: ‘A chi ti riferisci quando dici voi? Noi tutti ci siamo trovati d’accordo circa la necessità di organizzare tutte queste iniziative. Non hai proprio ora lamentato il fatto che i bambini soffrono per l’umidità nel tuo appartamento seminterrato e che tua moglie è legata alla cucina come una schiava? Cambiare queste condizioni è interesse comune di noi tutti. Cerchiamo di condurre le cose in modo da migliorarle. Come faremo? Ci sono otto appartamenti nella nostra casa. Il cortile è piccolo. Non c’è spazio per molte altre cose e qualsiasi iniziativa siamo in grado di prendere ci costerà molto’. Ci mettemmo a discutere e avanzai un suggerimento: ‘Perché non con-vinciamo una comunità più ampia, quella che corrisponde al nostro quartiere, ad unirsi alla nostra iniziativa per realizzarla’? “.
“Cominciarono a fiorire i suggerimenti e si iniziò a discuterne la realizzazione. Un uomo con concezioni abbastanza borghesi in fatto di proprietà fece un’offerta assai caratteristica: ‘La proprietà privata delle abitazioni è abolita – disse – quindi abbattiamo le staccionate divisorie e costruiamo un canale di scolo per tutto il quartiere per impedire l’avvelenamento dell’aria’. E un altro aggiunse: ‘Lasciamo nel mezzo di questa area uno spazio per far giocare i bambini’. E quindi un terzo se ne uscì fuori con un altro suggerimento: ‘Chiediamo alle autorità sovietiche di costruirci un locale nel nostro quartiere o almeno di sistemare le abitazioni in modo da lasciarne libero uno da utilizzare come circolo e come scuola’. Seguirono altre richieste ed altri suggerimenti: Che ne pensate di una cucina comune? E di un nido? Voi uomini pensate solamente a voi stessi – quest’ultimo proveniva da una donna che aggiunse: ‘Non pensate mai a noi‘”.
“Ora, ogni volta che li rincontro, mi chiedono – le donne in particolare: ‘E il tuo progetto? Quando cominciamo? Verrebbe assai bene’. Poi propongono di fare una riunione di quartiere con questo ordine del giorno. Ogni quartiere ha da dieci a venti comunisti fra i suoi abitanti e spero che con l’aiuto del partito e delle istituzioni sovietiche potremo fare qualcosa…”.
Questo caso rientra nell’idea che ho esposto e dimostra chiaramente quanto giovi far macinare i problemi della vita dal mulino del pensiero proletario collettivo. La macina è robusta ed è capace di lavorare qualsiasi cosa le venga data.
Si può ricavare un’altra lezione da questo racconto. “Pensate solo a voi stessi” dicevano le donne al compagno Charcevskij, “e non pensate mai a noi”. E’ assai vero che non esistono limiti all’egoismo degli uomini nella vita quotidiana. Per mutare le condizioni della vita dobbiamo imparare a vederle con gli occhi delle donne. Questo però è un problema che spero di avere il tempo di trattare adeguatamente in un’altra occasione.