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12 Dicembre 2016Rivoluzione e vita quotidiana è un libro che raccoglie una serie di articoli di Lev Trotskij apparsi sulla Pravda nel 1923 e che si basavano su quanto emerso durante alcune discussioni tenute con propagandisti nel corso di riunioni organizzate a Mosca; tali articoli furono poi pubblicati nel 1924 in una edizione inglese dal titolo Problems of Life. A quelli apparsi sulla Pravda sono stati aggiunti ulteriori tre articoli: I compiti dell’educazione comunista e La trasformazione della morale, tratti dal bollettino in lingua inglese Inprecorr, edito a cura dell’Internazionale Comunista, e Cultura e Socialismo, dal Novij Mir del gennaio 1927. Rivoluzione e vita quotidiana rappresenta una preziosa testimonianza dei compiti storici che la rivoluzione vittoriosa mise di fronte al potere sovietico e dello sforzo che i bolscevichi misero in atto per corrispondervi.
di Lev Trotskij
Indice
Nota introduttiva
Non si vive solo di politica
Usi, costumi, abitudini
Vodka, Chiesa e cinema
Dalla vecchia alla nuova famiglia
Famiglie e cerimonie religiose
Un comportamento civile e gentile è l’indispensabile lubrificante dei rapporti quotidiani
La battaglia per un linguaggio colto
Contro la burocrazia di ogni genere
Come iniziare
I compiti dell’educazione comunista
La trasformazione della morale
Cultura e socialismo
Non si vive solo di politica
Tutti coloro che si dedicano ad attività a carattere propagandistico dovrebbero avere ben presente questa semplice affermazione. I tempi cambiano e cambia anche l’atteggiamento della gente. La storia del nostro partito, nel periodo antecedente la rivoluzione, era una storia di politica rivoluzionaria. La stampa del partito, la sua organizzazione, tutto era dominato dalla politica nel senso più ristretto del termine. La crisi rivoluzionaria aveva accentuato ancor più il grado di interesse politico verso i vari problemi. Il partito doveva conquistare gli elementi della classe operaia politicamente più attivi.
Attualmente la classe operaia è perfettamente cosciente dei risultati fondamentali della rivoluzione; non è affatto necessario continuare a ripetere la storia di questi risultati in quanto non eccita più le menti degli operai e può addirittura arrivare a far dimenticare le lezioni del passato. Con la conquista del potere e con il suo consolidamento dopo la guerra civile i nostri problemi più attuali si sono trasferiti nel campo delle necessità culturali e della ricostruzione economica. Essi sono diventati più complessi, più frazionati e in un certo senso più prosaici. Per giustificare tutte le lotte passate e tutti i sacrifici che abbiamo fatto dobbiamo imparare a comprendere questi problemi culturali e a risolverli uno a uno.
Che cosa ha realmente guadagnato e conquistato la classe operaia a seguito della rivoluzione?
1. – La dittatura del proletariato (rappresentata dal governo operaio e contadino sotto la direzione del partito comunista).
2. – L’Armata rossa, solido sostegno della dittatura del proletariato.
3. – La nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione, senza di cui la dittatura del proletariato sarebbe divenuta una forma priva di sostanza.
4. – Il monopolio del commercio estero, che rappresenta la condizione necessaria per una struttura statale a carattere socialista accerchiata dal capitalismo.
Queste quattro cose, che sono state definitivamente conquistate, costituiscono l’armatura d’acciaio di tutto il nostro lavoro; ogni successo che raggiungiamo in campo economico o culturale − a patto che sia una conquista reale e non una mistificazione – costituisce nell’ambito di questa ossatura una parte essenziale della struttura socialista.
Quale è ora il problema da risolvere? Che cosa dobbiamo imparare innanzitutto? Per cosa dobbiamo batterci? Dobbiamo imparare a lavorare efficientemente: con accuratezza, con puntualità, in modo economico. Abbiamo bisogno di cultura nel lavoro e di cultura nella vita, nelle condizioni della vita. Dopo un lungo periodo preliminare di lotta siamo riusciti a rovesciare il dominio degli sfruttatori facendo una rivolta armata. Tuttavia gli stessi mezzi non servono a creare immediatamente una cultura. La classe operaia deve attraversare un lungo processo di autoeducazione, e lo stesso vale per i contadini, sia contemporaneamente agli operai, sia sulla scia degli operai. Lenin parla di questo mutamento nei nostri obiettivi e nei nostri sforzi nel suo articolo sulla cooperazione.
“… siamo obbligati a riconoscere che tutte le nostre opinioni sul socialismo hanno subito un cambiamento radicale. Questo cambiamento radicale consiste nell’aver dapprima posto il centro di gravità, e dovevamo porlo, sulla lotta politica, sulla rivoluzione, sulla conquista del potere. ecc. Ora invece il centro di gravità si sposta fino al punto di trasferirsi al pacifico lavoro organizzativo “culturale”. Sono pronto a dire che per noi il centro di gravità si trasporta sul lavoro culturale, se non ne fossimo impediti dai rapporti internazionali, dall’obbligo di lottare per la nostra posizione su scala internazionale. Ma se lasciamo questo da parte e ci limitiamo ai rapporti economici interni, allora oggi il centro di gravità del nostro lavoro si porta veramente sul lavoro culturale”.
Penso che a questo punto giovi citare un passo sulla “fase della lotta per la cultura” tratto dal mio libro Note sul Partito:
“Nella sua realizzazione pratica la rivoluzione sembra si sia indirizzata verso tutta una serie di problemi minori: dobbiamo riparare ponti; insegnare a leggere e a scrivere, cercare di abbassare i costi di produzione, lottare contro la sporcizia, catturare i ladri, far arrivare l’energia elettrica dappertutto, ecc. Alcuni intellettuali di bassa lega e con una mentalità distorta che li fa illudere di essere poeti o filosofi, parlano già della rivoluzione con una aria di condiscendente superiorità. ‘La rivoluzione sta imparando a commerciare e ad attaccare i bottoni’, dicono sorridendo. Ma lasciamo perdere i chiacchieroni. Il lavoro quotidiano eminentemente pratico, a patto che sia costruttivo dal punto di vista dell’economia e della cultura sovietica – e tutto ciò comprende il commercio al dettaglio – non è affatto una politica di ‘piccoli atti’ e non tende necessariamente ad avere il marchio della meschinità. La vita dell’uomo abbonda di piccole azioni senza grandi sbocchi, ma non è possibile ottenere grandi risultati senza piccole conquiste. Per essere più preciso, in un periodo di grandi conquiste, le piccole imprese cessano di essere piccole per il fatto di essere inserite in problemi di ampia portata. Attualmente occorre occuparci a fondo della capacità costruttiva della classe operaia. Per la prima volta nella storia la classe operaia sta svolgendo un’attività costruttiva di cui beneficia direttamente e che pianifica da sola. Questa attività pianificatrice, sebbene ancora imperfetta e confusa, collegherà tutte le parti grandi e piccole di questo lavoro, tutti i suoi particolari, nell’unità di una concezione creativa più ampia. Tutti i singoli problemi, anche minori – compreso quello del commercio al dettaglio –rientrano nel piano generale che consentirà alla classe operaia al potere di superare la fase di debolezza economica e di mancanza di cultura. Un lavoro costruttivo di tipo socialista si fonda sull’attività sistematica svolta su vasta scala; con alti e bassi, con errori e ripiegamenti, fra tutte le difficoltà della NEP, il partito porta avanti il suo piano, educa le giovani generazioni nello spirito di questo piano, insegna a tutti a collegare gli scopi individuali al problema comune di tutti coloro che possano essere chiamati un giorno ad attaccare un bottone sovietico e il giorno dopo a trovare la morte senza paura sotto la bandiera del comunismo. Dobbiamo chiedere che si addestrino con serietà e con cura i nostri giovani perché venga loro risparmiato il male di cui soffre l’attuale generazione: la tendenza all’indeterminatezza e alla superficialità. Ma tutta la specializzazione e la preparazione deve servire a uno scopo comune che deve essere compreso da tutti”.
Ad eccezione dei problemi derivanti dalla nostra collocazione internazionale non c’è nulla che ci impedisce, come ci dice Lenin, di lottare per un elevamento del livello culturale. Ora questi problemi, come vedremo subito, non sono affatto di ordine diverso. La nostra posizione internazionale dipende largamente dalla forza della nostra autodifesa, vale a dire dall’efficienza dell’Armata rossa; sotto tale aspetto della nostra esistenza in quanto Stato, il nostro problema consiste quasi interamente nello sviluppo del lavoro culturale: dobbiamo elevare il livello culturale dell’esercito, insegnare ad ogni singolo soldato a leggere e a scrivere. Gli uomini debbono saper leggere libri, usare manuali e carte geografiche, acquisire abitudini di pulizia, puntualità e frugalità. Tutto ciò non può essere realizzato immediatamente, con un colpo di bacchetta magica.
Durante la guerra civile e nel periodo immediatamente successivo, si sono fatti tentativi miranti a sanare la situazione elaborando una “dottrina proletaria del militarismo“ inventata a bella posta, dottrina che mancava di qualsiasi comprensione reale dei nostri veri problemi. Lo stesso è accaduto con il piano ambizioso di creare una “cultura proletaria” artificialmente. Tutte queste “ricerche della pietra filosofale” mostrano nello stesso tempo uno stato di disperazione per la nostra situazione in campo culturale e una fede nei miracoli. Ma noi non abbiamo ragioni di disperare e, per ciò che riguarda i miracoli e le ciarlatanerie da bambini come la “cultura proletaria” o il “militarismo proletario”, è ora di liberarcene per sempre. Dobbiamo vedere lo sviluppo della cultura nell’ambito della dittatura del proletariato e solo ciò può assicurare il significato sociali-sta delle conquiste rivoluzionarie. Chiunque non riesce a vedere tutto ciò svolge un ruolo reazionario nello sviluppo del pensiero e del lavoro del partito.
Quando Lenin dice che attualmente il nostro lavoro si deve concentrare meno nella politica e più nella cultura, dobbiamo aver chiari i termini che egli adopera in modo da non interpretare male il significato di quello che ci dice. In un certo senso la politica ha sempre il primo posto. Anche il consiglio di Lenin di spostare l’accento del nostro interesse dalla politica alla cultura non è altro che un consiglio di natura politica. Quando il partito operaio di un determinato paese decide che in un certo momento i problemi economici e non quelli politici debbano avere la precedenza, prende una decisione di natura politica. E’ quindi ovvio che il termine “politica” viene adoperato a tale proposito con due significati diversi: il primo, in senso ampiamente materialistico e dialettico, indica il complesso di tutti i principi, metodi e sistemi che determinano l’attività collettiva in tutti i campi della vita pubblica; il secondo significato, in senso più ristretto, indica la parte ben delimitata dell’attività pubblica che si occupa della lotta per il potere e in questo senso il termine lavoro politico viene opposto al lavoro economico, alla lotta per la cultura, ecc. Parlando di politica come economia concentrata, Lenin intendeva politica in un senso filosofico ampio. Ma quando esortava a “fare meno politica e più economia“, egli si riferiva alla politica in senso restrittivo e specifico. I due modi di adoperare questo termine sono sanzionati dalla tradizione e sono pienamente giustificati.
Il partito comunista è un partito politico in un senso storico ampio o, possiamo anche dire, filosofico. Gli altri partiti sono politici solo nel senso più ristretto del termine. Lo spostamento dell’interesse del nostro partito verso la lotta per la cultura non indebolisce quindi l’importanza politica del partito. Il partito concentrerà la propria attività nel lavoro culturale ed assumerà un ruolo dirigente in questo lavoro; ciò costituirà il suo ruolo storicamente dirigente, che è un ruolo politico.
Prima di poter fare a meno della sua struttura e di poter dissolversi nella comunità socia-lista, il partito deve lavorare per lunghi anni in direzione del socialismo, ottenere successi all’interno e realizzare una situazione di sicurezza verso l’esterno. Il momento in cui saranno raggiunti questi obiettivi è ancora assai lontano e quindi non serve affatto esaminarlo dettagliatamente. Nel futuro più immediato il partito deve conservare pienamente le sue caratteristiche fondamentali: unità di scopi, centralismo, disciplina e, di conseguenza, capacità di lotta. Ma esso ha bisogno nelle condizioni attuali di una base economica estremamente sana per conservare e sviluppare queste conquiste inestimabili dello spirito comunista. Le questioni economiche assumono quindi una posizione di primo piano nella nostra politica e solamente sulla base di questa considerazione il partito concentra e distribuisce le proprie forze ed educa le giovani generazioni. In altri termini, un lavoro politico su scala più ampia richiede che la distribuzione delle forze e l’educazione e propaganda debbano fondarsi sulle necessità economiche e culturali e non unicamente su quelle politiche, nel senso ristretto del termine.
Il proletariato è una unità sociale poderosa che manifesta pienamente la propria forza durante i periodi di intensa lotta rivoluzionaria che conduce per tutta la classe. Ma nell’ambito di questa unità possiamo osservare una notevole varietà: fra il pastore analfabeta e dotato di scarsa capacità di comprensione e l’operaio metalmeccanico altamente qualificato si possono riscontrare tutta una serie di livelli nel campo della cultura e della vita più in generale. Inoltre ogni classe, ogni gruppo, ogni settore comprende gente dalle età più disparate, dai temperamenti diversi e dal passato eterogeneo. Se non fosse per l’esistenza di questa varietà, il lavoro del partito comunista potrebbe essere assai più facile. L’esempio dell’Europa occidentale ci mostra nella realtà quanto sia difficile questo lavoro. Si potrebbe dire che più la storia di un paese, e quindi della sua classe operaia, è ricca, più sono vasti i raggruppamenti tradizionali, più è difficile raggiungere l’unità rivoluzionaria della classe operaia. Il proletariato russo non ha una lunga storia di classe ed è privo di tradizioni; tutto ciò ha indubbiamente facilitato quella educazione rivoluzionaria che ha portato all’ottobre. Nello stesso tempo però tutto ciò rende assai più difficile la fase rivoluzionaria costruttiva. L’operaio russo – ad eccezione di quello che si trova al vertice della classe – di solito manca delle abitudini e delle nozioni più elementari in campo culturale (per ciò che riguarda la pulizia, l’istruzione, la puntualità, ecc.). L’operaio dell’Europa occidentale possiede in maggior misura queste abitudini in quanto le ha acquisite in regime borghese con un processo lungo e lento. Ciò spiega perché nell’Europa occidentale la classe operaia è così fortemente attaccata al regime borghese, con la sua democrazia e libertà di stampa per i capitalisti, e tutti gli altri vantaggi.
Il regime borghese russo non ha avuto il tempo di fare nulla di buono per la classe operaia; il proletariato russo ha così rotto più facilmente con la borghesia e ne ha rovesciato il regime senza rimpianti. Ma per questa stessa ragione in Russia il proletariato sta solamente cominciando ad acquisire e ad accumulare gli elementi più semplici di una cultura, e lo fa già nell’ambito di uno Stato operaio.
La storia non dà nulla gratis. Avendo concesso uno sconto in un campo, quello politico, ci fa pagare un prezzo più alto in un altro, quello culturale. Più il proletariato russo è passato con facilità (relativa, è ovvio) attraverso la crisi rivoluzionaria, più diventa ora difficile il compito di costruire il socialismo. Ma d’altro canto la cornice della nostra attuale struttura sociale è tale, essendo contrassegnata dalle quattro caratteristiche a cui abbiamo accennato, che tutti gli sforzi genuini in campo economico e culturale portano praticamente l’impronta del socialismo. In regime borghese il lavoratore, senza volerlo, arricchiva continuamente la borghesia e più il suo lavoro era di qualità più egli l’arricchiva. Nello Stato sovietico un operaio coscienzioso, anche senza volerlo – cioè anche se non fa parte del partito o non si interessa di politica – raggiunge risultati di tipo socialista e incrementa la ricchezza della classe operaia. Tutto ciò è la conseguenza della rivoluzione d’ottobre e la NEP non ha cambiato nulla al riguardo.
In Russia sono molti gli operai che non fanno parte del partito, che sono interessati profondamente nella produzione e nell’aspetto tecnico del loro lavoro, ma essi non sono nel loro complesso “spoliticizzati” o indifferenti alla politica. In tutti i momenti più gravi e difficili della rivoluzione sono stati al nostro fianco. Nella stragrande maggioranza non hanno avuto paura dell’ottobre, non hanno disertato, non ci hanno tradito. Durante la guerra civile molti hanno combattuto sui vari fronti, altri hanno lavorato per l’esercito, producendo munizioni. Possono essere descritti come “non politicizzati” ma nel senso che in tempo di pace essi si occupano più dell’attività professionale, oppure delle famiglie, che della politica. Essi vogliono essere tutti buoni operai; diventare sempre più efficienti sul lavoro, per raggiungere una posizione più elevata – in parte a beneficio delle loro famiglie ma anche per la soddisfazione di un’ambizione professionale perfettamente legittima. Implicitamente ciascuno di loro, come ho già detto, svolge un lavoro socialista senza neanche accorgersene. In quanto partito comunista vogliamo che questi operai colleghino coscientemente il loro lavoro produttivo individuale ai problemi della costruzione socialista nel suo complesso. Gli interessi del socialismo saranno assai meglio tutelati da un’attività unificata su questa base, mentre coloro che costruiscono individualmente il socialismo otterranno una soddisfazione morale maggiore dal proprio lavoro.
Ma come si può raggiungere tutto ciò? E’ assai difficile avvicinare questo tipo di operaio con strumenti esclusivamente politici. Egli ha ascoltato tutti i discorsi che sono stati fatti e non si preoccupa di sentirne altri. Non è incline ad aderire al partito. I suoi pensieri sono concentrati verso il lavoro, ma egli non è particolarmente soddisfatto delle condizioni che esistono attualmente in fabbrica. Operai del genere cercano .da soli di arrivare alla radice delle cose; essi non sono comunicativi: fanno parte di quella classe che produce inventori autodidatti. Non rispondono agli stimoli politici – almeno non con grande impeto – ma possono e debbono essere avvicinati su questioni che riguardano la produzione e la tecnica.
Uno dei partecipanti alla conferenza di Mosca sulla propaganda di massa, il compagno Cholzov, si è soffermato sull’estrema scarsità di manuali, anche piccoli, e di pubblicazioni orientative, pubblicati nella Russia sovietica per lo studio delle varie attività lavorative e artigianali. I vecchi libri esistenti in questo campo sono quasi esauriti; inoltre molti di essi sono arretrati tecnicamente, mentre politicamente sono di solito imbevuti di spirito capitalistico. I nuovi manuali a carattere tecnico sono pochissimi e difficili da procurare, essendo stati pubblicati a caso dai vari editori o enti statali senza nessun piano. Dal punto di vista tecnico non sono sempre soddisfacenti; alcuni di loro sono troppo astratti, troppo accademici e di solito senza colore politico essendo in genere traduzioni adattate di libri pubblicati all’estero. Quello che vogliamo in realtà è una serie di manuali nuovi: per il fabbro, l’ebanista, l’elettricista sovietici, ecc. Questi manuali debbono essere adatti allo stato attuale della nostra tecnica e della nostra economia, debbono prendere in considerazione sia l’esistenza di una condizione di povertà nel nostro paese sia le nostre grandi possibilità, devono cercare di introdurre nuovi metodi e nuove abitudini nella nostra vita industriale. Essi debbono presentare concezioni socialiste (o almeno debbono cercare di farlo) corrispondenti alle necessità e agli interessi dello sviluppo tecnico; ciò comprende problemi di standardizzazione, di elettrificazione, di pianificazione economica. In questi libri, i principi e le conclusioni a carattere socialista non debbono rappresentare elementi di semplice propaganda ma debbono essere parte integrante di un insegnamento pratico. Di libri del genere si sente gran bisogno, considerando la penuria di operai specializzati, il desiderio degli stessi operai di diventare più efficienti, e il fatto che la loro esperienza industriale è stata interrotta dai lunghi anni della guerra imperialista e della guerra civile. Ci troviamo quindi ad affrontare compiti estremamente importanti e gravosi.
E’ ovvio che non è facile creare una serie di manuali come questi. I buoni operai, considerati dal punto di vista pratico, non scrivono manuali; i teorici, che normalmente si occupano di scriverli, non hanno esperienza dell’aspetto pratico del lavoro. Inoltre pochissimi di questi ultimi hanno convinzioni socialiste. Si può dare una soluzione se si abbandonano i metodi di routine e si fa ricorso a sforzi combinati. E’ necessaria la collaborazione di almeno tre autori per scrivere o anche solo pubblicare un manualetto. Ci deve essere uno specialista che abbia un’accurata conoscenza dell’aspetto tecnico, uno che conosca le condizioni della nostra attuale produzione nel campo che si è scelto, o che sia capace di informarsi al riguardo; gli altri due dovrebbero essere un operaio altamente qualificato nel settore dato, uno che sia interessato alla produzione e, se possibile, abbia capacità inventive, e uno scrittore professionista che abbia convinzioni marxiste e interessi in campo industriale, con cognizioni a carattere tecnico. In questo modo, o in un modo abbastanza simile, dobbiamo riuscire a creare una bibliotechina modello di manuali tecnici sulla produzione industriale. I libri debbono ovviamente essere .stampati bene, rilegati accuratamente, tascabili e di poco prezzo. Una bibliotechina del genere sarebbe estremamente utile da due punti di vista: riuscirebbe ad elevare il livello tecnico del lavoro e quindi contribuirebbe al successo della costruzione socialista; nello stesso tempo stimolerebbe l’interesse di un buon numero di lavoratori verso i problemi dell’economia sovietica nel suo complesso e di conseguenza verso il partito comunista.
Le nostre necessità non si limitano ovviamente a una serie di manuali. Mi sono diffuso alquanto su tale questione per dare un esempio dei nuovi metodi di lavoro richiesti dai problemi che ci si presentano oggi. C’è molto da fare nell’interesse degli operai “non politicizzati”. Si debbono pubblicare giornali di categoria e creare associazioni a carattere tecnico. Una buona metà della nostra stampa tecnico-professionale deve prestare attenzione alle esigenze dell’operaio dell’industria e soprattutto di quel tipo di operaio capace ma “non politicizzato”, se vuole conquistare lettori al di fuori della cerchia dei sindacalisti. Dobbiamo però essere convinti che gli argomenti politici più convincenti per operai del genere sono costituiti dalle nostre conquiste pratiche in campo industriale, da qualsiasi successo sia pure occasionale nelle fabbriche, da qualsiasi sforzo coronato da successo fatto dal partito in questa direzione.
Le concezioni politiche dell’operaio dell’industria che ci interessa di più ora, possono essere illustrate ancora meglio dal tentativo, come quello che illustriamo qui di seguito, di formulare sia pure in modo approssimativo i pensieri che raramente egli esprime.
“Dunque – egli direbbe – la rivoluzione e il rovesciamento della borghesia mi va bene. Niente da dire in proposito. E’ stato fatto una volta per sempre. Non abbiamo più bisogno della borghesia e non abbiamo bisogno neanche dei menscevichi o di altri loro compari. Per ciò che riguarda la “libertà di stampa”, non importa. Non è questo il problema più importante. Ma l’economia? Voi comunisti vi siete presi l’impegno di dirigerla nel suo complesso. I vostri obiettivi e i vostri piani sono eccellenti, come tutti sappiamo, non continuate a ripeterlo. Voi ne sapete abbastanza, siamo d’accordo con voi e siamo pronti a sostenervi; ma come intendete realizzare i vostri piani? Finora; diciamoci la verità, assai spesso avete commesso errori. Sappiamo bene che non si può fare tutto in una volta, che dovete imparare il mestiere, e che non si possono evitare errori anche grossolani. Tutto ciò è assolutamente vero e poiché abbiamo sopportato i crimini della borghesia, dobbiamo essere assai più indulgenti verso gli errori della rivoluzione. Ma c’è un limite a tutto. Tra le file di voi comunisti ci sono persone di ogni genere proprio come tra di noi miseri mortali. Alcuni apprendono veramente a lavorare, si impegnano realmente sul lavoro, cercano di raggiungere risultati pratici; molti invece se la cavano con chiacchiere oziose. E questi causano un danno non indifferente perché non fanno altro che farsi scappare le occasioni dalle mani…”.
Ecco come ragionano operai di questo tipo: fabbri, ebanisti o fonditori abili e capaci; gente che raramente si eccita, che ha tendenze piuttosto passive in campo politico, ma nello stesso tempo è seria, critica, alquanto scettica, pur tuttavia fedele alla sua classe; si tratta di elementi proletari ad alto livello. Nella fase attuale del nostro lavoro il partito deve prendere in attenta considerazione questo tipo di operaio. La nostra presa su gente di questo stampo – in campo economico, produttivo, tecnico – costituirà il segno politico più evidente del nostro successo nel lavoro culturale, intendendo questo termine nel senso adoperato da Lenin.
Il nostro interesse particolare verso l’operaio capace non contrasta in nessun modo con l’altro problema più importante del partito: il grande interesse del proletariato verso le nuove generazioni. I giovani crescono nelle condizioni di un momento dato, crescono sani e forti, nella misura e secondo il modo in cui vengono risolti certi problemi ben determinati. Vogliamo che le nostre giovani generazioni in primo luogo siano composte di buoni operai altamente qualificati, dediti al lavoro. I giovani debbono crescere con la ferma convinzione che il loro lavoro produttivo è nello stesso tempo un lavoro per il socialismo. Gli “anziani” che sono assai capaci nelle loro attività professionali e, come ho già detto, sono al di fuori del partito, si presentano con grande autorità agli occhi dei giovani proletari per l’interesse che mostrano nell’attività di qualificazione professionale e per il desiderio che hanno di far andare bene le cose. Vedete quindi che il nostro interesse nell’avere operai bravi, onesti e capaci si risolve anche a favore dell’educazione delle nuove generazioni. Senza di ciò non ci sarebbe marcia costante verso il socialismo.
Usi, costumi, abitudini
Nello studio delle manifestazioni della vita ci appare chiaramente la misura in cui l’uomo in quanto individuo è il prodotto e non il creatore dell’ambiente. La vita quotidiana – cioè condizioni e abitudini – “evolve alle spalle dell’uomo”, come diceva Marx, in misura maggiore di quanto accade nella vita economica. Alla creatività cosciente nel campo degli usi e costumi non è riservato che un posto trascurabile nella storia dell’uomo. Le abitudini sono il prodotto dell’esperienza elementare dell’uomo; anch’esse mutano sotto la spinta del progresso tecnico o di stimoli occasionali rappresentati da lotte rivoluzionarie, ma nel loro complesso riflettono più il passato che il presente dell’umanità.
Il nostro proletariato è di recente formazione e non ha grandi tradizioni. E’ emerso negli ultimi dieci anni in parte dalla piccola borghesia cittadina e in parte dai contadini. La sua vita riflette chiaramente l’origine sociale. Basta richiamare alla memoria La morale di Rasterjaev di Gleb Uspenskij. Quali erano le caratteristiche principali degli abitanti di Rasterjaev, vale a dire dei lavoratori di Tula, verso la fine del secolo scorso? Si trattava di gente urbanizzata o di contadini che, avendo perso ogni speranza di diventare indipendenti economicamente, avevano formato un agglomerato composto di piccola borghesia non istruita e di reprobi. Sin da allora il proletariato è avanzato a grandi passi, ma più in politica che nella vita e nella morale. La vita è conservativa. Nei suoi aspetti primitivi, via Rasterjaev naturalmente non esiste più. Il trattamento brutale riservato agli apprendisti, il servilismo verso i padroni, gli aspetti disgustosi dell’ubriachezza e il teppismo sono scomparsi. Ma nei rapporti tra moglie e marito, tra genitori e figli, nella vita familiare isolata dal resto del mondo, il rasterjaevismo ha ancora profonde radici. Ci vogliono anni, o anche decine di anni, di sviluppo economico e culturale per eliminare il rasterjaevismo dal suo ultimo rifugio – la vita individuale familiare – e per rieducare da cima a fondo allo spirito del collettivismo.
I problemi della vita familiare sono stati oggetto di una discussione particolarmente accalorata alla conferenza dei propagandisti di Mosca di cui abbiamo già parlato. A questo proposito tutti avevano lamentele da fare. Erano particolarmente numerose le impressioni, le osservazioni e le domande; queste ultime non ricevevano risposta perché non erano espresse chiaramente; quindi non sono arrivate mai alla stampa né sono state mai riportate in altre riunioni. La vita dell’operaio e del comunista e la linea di contatto fra i due offre un enorme campo per osservazioni, deduzioni e realizzazioni di ordine pratico!
La nostra letteratura non ci offre nessun aiuto a tale riguardo. L’arte è per la sua stessa natura conservatrice: è staccata dalla vita ed è scarsamente capace di afferrare gli avvenimenti non appena si verificano. Il libro La settimana di Lebedinskij ha avuto grande successo e ha provocato un certo entusiasmo tra i nostri compagni, entusiasmo che mi è sembrato eccessivo e pericoloso per il giovane autore. Per ciò che riguarda la forma, il libro presenta le caratteristiche del lavoro di uno scolaretto, malgrado alcune note di talento. Lebedinskij potrebbe diventare un artista solamente mediante un’attività costante e approfondita. Vorrei tanto che lo diventasse ma questo non è l’aspetto che ci interessa per il momento.
La settimana ha dato l’impressione di qualcosa di nuovo e di poco artistico nella parte “comunista” della vita di cui si è occupata, ma specialmente in questo il libro non è affatto profondo. Gubkom ci viene presentato con un metodo che sa troppo di laboratorio; non ha radici profonde e non è organico. Di qui tutto il libro diventa una divulgazione episodica, un racconto di emigranti rivoluzionari attirati dalla vita. E’ naturalmente inte-ressante e istruttivo dipingere la vita di Gubkom, ma le difficoltà vengono quando l’organizzazione comunista entra nella vita quotidiana della gente. A questo punto si ha bi-sogno di una forte presa. Il partito comunista al momento costituisce la spinta principale di ogni movimento cosciente. Quindi la sua unità con le masse rappresenta la radice dell’azione, della reazione e della resistenza dal punto di vista storico.
La teoria comunista precede lo sviluppo della nostra vita reale di almeno dieci anni e, da un certo punto di vista, di almeno un secolo. Se non fosse per questo fatto, il partito comunista non sarebbe stato quel fattore storico che ha dato il grande impulso rivoluzionario. Grazie al suo realismo e alla sua flessibilità dialettica, la teoria comunista fa progredire la metodologia politica che gli assicurerà l’influenza in ogni condizione. Ma le idee politiche sono una cosa e gli usi e i costumi sono un’altra. La politica è flessibile, mentre le abitudini rappresentano caratteristiche di ostinatezza e di grande stabilità. Ecco perché si verificano tanti conflitti quotidiani negli ambienti operai lungo la linea in cui la coscienza poggia sulla tradizione e questi conflitti sono aspri perché, in senso sociale, restano senza espressione. Essi non si riflettono nella nostra letteratura e neanche nella nostra pubblicistica.
La nostra stampa non parla di tali questioni. Per ciò che riguarda le nuove scuole artistiche che cercano di marciare con la rivoluzione, la vita per esse non esiste affatto. Vedete, esse desiderano ricostruire la vita, non dipingerla; ma la vita non può essere assimilata succhiandola dal dito pollice: deve essere costruita partendo dagli elementi che sono capaci di svilupparsi. Così, prima di costruire, dobbiamo conoscere quello che già esiste. Ciò non si riferisce unicamente alle abitudini, ma a qualsiasi attività umana cosciente. Dobbiamo conoscere ciò che esiste e in che direzione le cose che esistono stanno mutando, prima di poter partecipare alla costruzione della vita. Mostrate, e soprattutto mostrate a voi stessi, prima di tutto ciò che succede in una fabbrica, negli ambienti operai, nelle cooperative, nei luoghi di riunione, nelle scuole, nelle strade, negli edifici pubblici e imparate a comprendere tutti ciò, cioè a trovare una prospettiva per i residui del passato e per gli embrioni del futuro. Questa esortazione vale sia per i romanzieri sia per i pubblicisti. Fateci vedere la vita così come si sta forgiando nel crogiuolo rivoluzionario.
Tuttavia non è illecito supporre che gli appelli di per sé non sposteranno l’attenzione dei nostri scrittori. Abbiamo bisogno di un’organizzazione e di una direzione che si muovano nel senso che abbiamo previsto. Lo studio e la divulgazione dei contenuti della vita operaia debbono in primo luogo divenire compito primario dei giornalisti e di coloro che in ogni caso possiedono occhi e orecchie. Dobbiamo in modo organizzato metterli al lavoro, istruirli, correggerli, guidarli ed educarli in modo da farli diventare scrittori rivoluzionari capaci di scrivere sulla vita quotidiana. Nello stesso tempo ampliare gli orizzonti dei corrispondenti dei giornali operai. Certamente ciascuno di loro è capace di introdurre corrispondenze più interessanti e avvincenti di quelle che abbiamo oggi. A tale scopo dobbiamo formulare una serie di questioni, stabilire i compiti, stimolare la discussione e sostenerla.
Per elevare il livello culturale della classe operaia, la sua avanguardia deve innanzi tutto studiarne la vita. Per far ciò deve sapere come vive. La classe borghese, soprattutto tramite i suoi intellettuali, ha già risolto questo problema in larga misura anche prima di conquistare il potere; anche quando era all’opposizione era una classe ricca con artisti, poeti e pubblicisti al suo servizio, che l’aiutavano a pensare o che pensavano per lei.
In Francia, nel XVIII secolo, il cosiddetto illuminismo era rappresentato da un periodo in cui i filosofi borghesi si impegnavano negli aspetti diversi della vita sociale e individuale e si sforzavano di razionalizzarli, vale a dire di ricostruirli in base alla legge della ragione. Essi si occupavano di questioni che riguardavano non solo la politica e la chiesa ma anche il sesso, l’educazione dei bambini e così via. Non c’è dubbio che per il semplice fatto di porre e trattare tali questioni, essi contribuivano ad elevare il livello culturale dell’individuo non in generale, ma in quanto borghese e soprattutto intellettuale borghese.
La forza della filosofia razionalista, cioè la ricostruzione dei rapporti sociali e personali secondo la legge della ragione, risiedeva però nell’esistenza della proprietà privata dei mezzi di produzione, che diventava il nuovo sostegno della società fondata sulla ragione. La proprietà privata condizionava il mercato, il gioco cieco delle forze economiche non dirette dalla “ragione”. I rapporti economici di mercato si riflettevano nelle condizioni di vita. Finché regnava il mercato, non si poteva neanche pensare di condurre una vera e propria razionalizzazione della vita delle masse popolari. Ecco perché l’applicazione pratica delle idee dei filosofi razionalisti del XVIII secolo era così limitata malgrado il fatto che questi a volte fossero assai penetranti e coraggiosi nelle loro deduzioni.
In Germania l’illuminismo cominciò a esercitare la sua influenza nella prima metà del secolo scorso. Alla testa del movimento era la “giovane Germania”, che aveva come dirigenti Heine e Boerne. Alla base ancora una volta c’era il lavoro critico della sinistra della classe borghese, cioè dei suoi intellettuali, che avevano dichiarato guerra alla schiavitù, al servilismo, all’ignoranza, al localismo con la sua stupidità e i suoi pregiudizi, e che aspiravano a instaurare il regno della ragione, non senza però un maggiore scetticismo rispetto ai loro predecessori francesi.
Più tardi questo movimento fu assorbito dalla rivoluzione piccolo-borghese del 1848. che si dimostrò impotente persino a eliminare le numerose dinastie, per non parlare della ricostruzione da cima a fondo della vita dell’uomo.
Nella nostra Russia arretrata l’illuminismo assunse un carattere piuttosto ampio nella seconda metà del XIX secolo. Cerniscevskij, Pisarev, Dobrolubov, formati alla scuola di Belinskij, dirigevano i loro strali critici non tanto verso le questioni economiche quanto verso la confusione, la reazione e il modo di vivere orientale. Alle vecchie tradizioni essi contrapponevano l’uomo nuovo, il “realista” e l’“utilitarista” che desidera costruirsi la vita sulle leggi della ragione e che viene ben presto trasformato in un “essere pensante critico”. Ma mentre i razionalisti francesi del XVIII secolo erano capaci, solo in misura piuttosto ridotta, di cambiare la vita e la morale formulate non dai filosofi ma dal mercato, mentre il ruolo giocato dai razionalisti tedeschi era ancora abbastanza modesto, l’influenza reale dell’insegnamento degli intellettuali russi sulla vita e sulla morale del popolo era addirittura trascurabile. A conti fatti, il ruolo storico giocato dai razionalisti russi, movimento popolare compreso, si limita all’aver preparato le condizioni per l’avvento dei partiti del proletariato rivoluzionario.
Solo dopo che la classe operaia ha conquistato il potere, si sono create le condizioni per una reale trasformazione della vita fin nelle sue radici più profonde. Non è possibile razionalizzare la vita, cioè trasformarla secondo i dettami della ragione, senza razionalizzare la produzione, poiché le radici della vita e delle sue condizioni si trovano nell’economia. Solo il socialismo si è posto il compito di seguire fino in fondo la strada della ragione e di subordinare tutte le attività umane a questo scopo. La classe borghese nelle sue tendenze più avanzate si è limitata solo alla razionalizzazione della tecnologia da un lato (tramite le scienze naturali, la chimica, le invenzioni, le macchine) e la politica dall’altro (tramite il parlamento); non ha però razionalizzato l’economia, che è divenuta il terreno di scontro della concorrenza cieca. Quindi l’ignoranza e la cecità continuano a regnare nella vita della società borghese. Il potere che è stato conquistato dalla classe operaia si trova di fronte al compito di dare alle fondamenta dei rapporti umani un controllo cosciente e una direzione. Solo così si aprirà la strada della ricostruzione razionale della vita.
Tutto ciò significa che il nostro successo nel campo degli usi e dei costumi dipende dal successo in campo economico. E’ tuttavia vero che anche nelle attuali condizioni economiche potremmo introdurre nella nostra vita un elemento maggiore di critica, di iniziativa e di razionalità. Questo è uno dei compiti del periodo in cui viviamo. Ciò che è tuttavia ancora ovvio è che la ricostruzione della vita, l’emancipazione delle donne dalla condizione di schiave domestiche, l’educazione comunista dei bambini, la liberazione del matrimonio dagli elementi di costrizione economica, e così via, sono risultati che si possono ottenere nella misura in cui la crescita di forme socialiste di economia controbilanciano i residui del capitalismo.
Un esame critico degli usi e dei costumi è divenuto una necessità per far sì che la vita, che è conservatrice per le sue tradizioni che risalgono a migliaia di anni, non resti indietro rispetto alle possibilità di progresso che si presentano, anche nelle risorse economiche di oggi, e possa aprirsi al domani. D’altro canto, successi anche minimi nel campo degli usi e dei costumi ovviamente destinati ad elevare il livello culturale dei lavoratori e delle lavoratrici, avrebbero come effetto l’ampliamento delle possibilità di razionalizzazione dell’industria e la realizzazione più rapida delle istituzioni socialiste; a sua volta ciò apre la strada a nuove conquiste nel campo della socializzazione della vita. La dipendenza a questo punto è logica. Il fattore principale è l’economia ma, per influenzare l’economia, noi, in qualità di partito comunista e di Stato operaio, possiamo operare solo tramite la classe operaia elevando costantemente la conoscenza tecnica e il grado di cultura dei suoi elementi costitutivi. In uno Stato operaio la cultura serve il socialismo e il socialismo si batte per una espansione notevole della cultura, di una vera cultura al di fuori delle classi, di una cultura dell’uomo e dell’umanità.
Vodka, Chiesa e cinema
Due grossi avvenimenti hanno lasciato una nuova impronta nella vita operaia. Uno è l’avvento della giornata lavorativa di otto ore, l’altro la proibizione della vendita della vodka in quanto rappresentava un’entrata trascurabile rispetto al notevole aumento delle entrate dello Stato. La rivoluzione ha ereditato la liquidazione del monopolio della vodka; essa ha riconfermato questo provvedimento ma nel farlo è stata mossa da motivi di principio. Solo con la conquista del potere da parte della classe operaia, che è divenuta creatrice di un nuovo ordinamento economico, la lotta contro l’alcoolismo tramite l’educazione e il proibizionismo ha potuto ricevere un significato storico. Il fatto che si sia rinunciato alla rendita proveniente dallo sfruttamento dell’alcoolismo durante la guerra imperialista non altera il fatto fondamentale che l’abolizione del sistema per il quale il paese incoraggiava a bere costituisce una delle conquiste della rivoluzione.
Per ciò che riguarda la giornata lavorativa di otto ore, si tratta di una conquista diretta della rivoluzione. Come fatto in sé, la giornata lavorativa di otto ore ha portato a un mutamento radicale nella vita dell’operaio, liberandolo per due terzi della giornata dalla sua attività lavorativa in fabbrica. Tutto ciò ha gettato le basi per un mutamento radicale di vita, per uno sviluppo culturale, per l’educazione sociale e cosi via; ne ha solamente, ripetiamo, gettato le basi. Il significato principale della rivoluzione d’ottobre risiede nel fatto che il miglioramento economico di ogni operaio eleva automaticamente il livello materiale e culturale della classe operaia nel suo complesso.
“Otto ore per lavorare, otto ore per dormire, otto ore per svagarsi”, dice la vecchia formula del movimento operaio. Nel nostro caso essa assume un nuovo significato. Più viene utilizzata con profitto la settimana lavorativa di otto ore, più aumenta la possibilità e la capacità di fruire in modo più igienico delle otto ore di sonno, e più le otto ore di riposo possono essere impiegate a scopi culturali e in senso pieno.
La questione degli svaghi assume un’importanza maggiore per ciò che riguarda la cultura e l’istruzione. Il carattere del bambino si rivela e si forma nel gioco. Il carattere dell’adulto si manifesta chiaramente nei suoi svaghi. Ma nella formazione del carattere di tutta una classe, quando questa classe è giovane e si muove in avanti, come è il caso del proletariato, gli svaghi debbono occupare una posizione preminente. Il grande riformista e utopista francese Fourier, ripudiando l’ascetismo cristiano e la soppressione degli istinti naturali, costruì la sua phalanstère [comune del futuro] sull’utilizzo e sulla fusione giusta e razionale degli istinti e delle passioni umane. Si tratta di un’idea profonda. Lo Stato operaio non è né un ordinamento spirituale né un monastero. Noi prendiamo la gente cosi come è stata generata dalla natura, e come in parte è stata educata e in parte diseducata dal vecchio ordinamento. In questo materiale umano cerchiamo un punto d’appoggio, la leva costituita dal nostro partito e dal nostro Stato rivoluzionario. Il desiderio di svago, distrazione, viaggi e divertimento è uno dei più legittimi della natura umana. Possiamo, e in realtà dobbiamo, dare alla soddisfazione di questo desiderio un carattere artistico più elevato e allo stesso tempo fare degli svaghi uno strumento di educazione collettiva, libero dal controllo dei pedagogisti e dalle tendenze moralizzatrici che operano senza posa.
L’arma più potente in questo senso, un’arma che eccelle su tutte le altre, è oggi il cinema. Questa stupenda innovazione ha: operato nella vita dell’uomo con rapidità straordinaria, che non ha precedenti. Nella vita quotidiana delle città capitalistiche il cinema è diventato una parte integrante della vita cosi come lo è il bagno, la birreria, la chiesa e le altre istituzioni indispensabili, raccomandabili e cosi via. La passione per il cinema è radicata nel desiderio di distrazione, nel desiderio di vedere qualcosa di nuovo e di introvabile, di ridere, e di piangere non sulle proprie sfortune ma su quelle degli altri. Il cinema soddisfa questa richiesta in modo diretto, visivo, pittoresco e vitale, non richiedendo nulla dal pubblico; non richiede neanche che si sappia leggere e scrivere. Ecco perché il pubblico mostra una passione così grata verso il cinema come fonte inesauribile di impressioni e di emozioni. Tutto ciò fornisce una base, e non solamente modesta ma di grandi dimensioni, per l’impiego delle nostre energie educatrici in senso socialista.
Il fatto che siano trascorsi sei anni senza che abbiamo preso possesso del cinema, mostra che siamo lenti e incapaci di comprendere, per non dire francamente che siamo inetti. Questa arma che non chiede altro che di essere adoperata, costituisce il migliore strumento di propaganda, di una propaganda tecnica, educativa ed industriale, di una propaganda contro l’alcoolismo, di una propaganda igienica, di una propaganda politica, di qualsiasi tipo di propaganda vogliate fare, accessibile a tutti e attraente per tutti, che penetra nella memoria e può anche divenire fonte di entrate per lo Stato.
In fatto di capacità di attrazione e di svago il cinema è già un rivale della birreria e del bar. Non so se New York o Parigi al momento abbiano più cinema o più bar e quali di queste attività renda di più. Mi sembra però chiaro che, al di là di ogni altra considerazione, il cinema sia un concorrente del bar per ciò che riguarda il modo di passare le otto ore di svago. Riusciremo ad assicurarci quest’arma senza paragoni? E perché no? Il governo dello zar nel giro di pochi anni aveva creato una rete fitta di bar statali che fornivano un’entrata di quasi un miliardo di rubli oro. Perché il governo operaio non dovrebbe essere capace di creare una rete di cinema? Questo apparato di divertimento e di educazione potrebbe diventare sempre più parte integrante della vita nazionale. Usato per combattere l’alcoolismo potrebbe nello stesso tempo divenire una fonte di entrate. E’ possibile tutto ciò? Perché no? Naturalmente non è facile. In ogni caso sarebbe assai più naturale e più consono alle energie e capacità organizzative dello Stato operaio di quanto, ad esempio, non sia il tentativo di ripristinare il monopolio della vodka.
Il cinema entra in concorrenza non solo con il bar ma anche con la Chiesa; questa rivalità potrebbe essere fatale a quest’ultima se potessimo contrapporre alla chiesa separata dallo Stato socialista la fusione dello Stato socialista con il cinema.
Il sentimento religioso praticamente non esiste, e in realtà non è mai esistito, fra la classe lavoratrice russa. La chiesa ortodossa rappresentava un’abitudine quotidiana e un’istituzione governativa che non è riuscita mai a penetrare profondamente nella coscienza delle masse né a fondere i propri dogmi e canoni con le emozioni più intime del popolo. La ragione di tutto ciò è sempre la stessa: le condizioni di arretratezza della vecchia Russia, compresa la sua chiesa. Quindi, risvegliato dalla cultura, l’operaio russo si libera facilmente dei suoi rapporti puramente esterni con la chiesa, trattandosi di un rapporto che si è sviluppato con l’abitudine. Per il contadino ovviamente tutto ciò diventa più difficile, non perché abbia assimilato l’insegnamento della chiesa più profondamente e intimamente – il che ovviamente non è affatto vero – ma perché l’inerzia e la monotonia della sua vita sono intimamente legate all’inerzia e alla monotonia delle funzioni della chiesa.
Il rapporto fra l’operaio e la chiesa (parlo dell’operaio proveniente dalla massa dei non iscritti al partito) si basa in gran parte su una abitudine, e ciò è particolarmente vero per le donne. Le icone addobbano le pareti della casa che, prive di esse, sembrerebbero nude; non ci si è abituati a farne a meno. L’operaio non si preoccuperà di procurarsi nuove icone, ma non è sufficientemente pronto a liberarsi di quelle vecchie. Come si può festeggiare la primavera se non mangiando la torta pasquale? E questa torta deve essere benedetta dal prete altrimenti non avrebbe senso. Per ciò che riguarda l’andare in chiesa, la gente non ci va perché è religiosa: la chiesa è piena di luci sfolgoranti, affollata di uomini e donne vestiti con gli abiti migliori, è bello cantare – tutta una serie di attrazioni socio-estetiche che non fornisce né la fabbrica né la famiglia di un quartiere operaio. Non c’è molta fede o praticamente non ce ne è affatto. In ogni caso non c’è né rispetto per il clero né fede in una forza magica rituale, ma non c’è neanche una volontà attiva che possa rompere con tutto ciò.
L’elemento di distrazione, di piacere e di svago gioca un ruolo importante nei rituali della Chiesa. Con metodi teatrali la Chiesa opera sulla vista, sull’olfatto (con l’incenso) e, mediante questi sensi, sull’immaginazione. L’uomo ha un grande desiderio, di cui non può fare a meno, di cose teatrali, desidera vedere e sentire cose insolite e cose che colpiscono, vuol rompere la monotonia della vita quotidiana; questi desideri continuano ad essere alimentati dalla fanciullezza alla vecchiaia.
Per liberare le masse dai riti e dalla sottomissione alla Chiesa acquisiti dall’abitudine la propaganda antireligiosa non basta. Essa è ovviamente necessaria ma la sua influenza pratica, diretta, si limita ad una ristretta minoranza di gente più coraggiosa spiritualmente. La maggioranza della gente non risponde alla propaganda antireligiosa non perché abbia un rapporto profondo con la religione ma, al contrario, perché questo rapporto spirituale non esiste affatto e invece ne esiste uno inerte, meccanico e informe che non è passato per la coscienza, un rapporto come quello dell’uomo della strada che di volta in volta non ha nulla in contrario ad unirsi ad una processione o ad una cerimonia pomposa, ad ascoltare canti o ad agitare la mano.
Rituali senza significato che poggiano sulla coscienza come un peso inerte non possono essere distrutti con la sola critica ma debbono essere sostituiti con nuove forme di vita, nuovi svaghi, nuovi spettacoli pieni di significato culturale. E di nuovo pensiamo naturalmente al più potente di questi spettacoli, il cinema, perché è anche uno strumento più democratico del teatro. Non avendo bisogno di un clero vestito di broccati ecc., il cinema proietta sullo schermo immagini spettacolari che hanno una capacità di presa assai più grande di quelli che potrebbe realizzare la chiesa più ricca, la chiesa che abbia un’ esperienza millenaria, oppure una moschea o sinagoga. Nella chiesa si rappresenta un solo dramma e sempre lo stesso di anno in anno, mentre col cinema si possono far vedere tutte le cerimonie pagane, ebraiche e cristiane in sequenza storica con l’evidenza della somiglianza dei rituali. Il cinema diverte, educa, colpisce l’immaginazione con quello che proietta e libera dalla necessità di passare la soglia della chiesa. Il cinema è un grande concorrente non solo del bar, ma anche della chiesa. Ecco uno strumento che dobbiamo assicurarci ad ogni costo!
Dalla vecchia alla nuova famiglia
I rapporti interni alla famiglia e le vicende familiari sono, per la loro stessa natura, elementi assai difficili da conoscere soprattutto dal punto di vista statistico. Non è quindi facile dire se i legami familiari oggi (nella vita reale e non solamente sulla carta) si rompano più facilmente e più frequentemente di prima; in larga misura dobbiamo accontentarci di formulare giudizi di massima. Inoltre il periodo precedente la rivoluzione differisce da quello in cui viviamo per il fatto che prima tutti i turbamenti e i conflitti drammatici nelle famiglie operaie passavano sotto silenzio per la classe operaia stessa, mentre ora, la vita di una gran parte degli operai degli strati più elevati che ricoprono funzioni di responsabilità avviene assai di più alla luce del giorno e ogni suo conflitto interno diventa oggetto di commenti e a volte di pettegolezzi.
Fatte queste riserve, non si può tuttavia negare che le relazioni familiari, comprese quelle della classe operaia, siano a pezzi. Nei dibattiti che si sono avuti nelle riunioni dei propagandisti della zona di Mosca questo fatto è stato presentato come chiaramente accertato e incontestabile. I partecipanti alle discussioni sono stati tutti, ciascuno a suo modo, impressionati da questo fatto; alcuni hanno manifestato apprensione, altri sono stati un po’ più prudenti, altri ancora sembravano perplessi. In ogni, caso era a tutti chiaro che si stava sviluppando un grosso processo in maniera molto caotica, che questo processo assumeva a volte caratteristiche malsane e rivoltanti, a volte forme ridicole o tragiche, e che non era ancora riuscito a estrinsecare tutte le possibilità nascoste di promuovere un nuovo e più elevato ordinamento di vita familiare. Nella stampa sono filtrate informazioni sulla disintegrazione della famiglia, ma solamente occasionalmente e in termini assai vaghi e generici. Ho letto in un articolo che la disintegrazione della famiglia nella classe operaia veniva presentato come un caso di “influenza borghese sul proletariato”. Non si tratta di una cosa così semplice. Le radici della questione sono assai più profonde ed intricate. E’ vero che esiste l’influenza del presente e del passato borghese, ma il processo principale consiste nell’evoluzione penosa della stessa famiglia proletaria, un’evoluzione che conduce alla crisi. Stiamo ora assistendo alle prime caotiche fasi di questo processo.
E’ assai nota l’influenza profondamente distruttiva della guerra sulla famiglia. Tanto per cominciare, la guerra dissolve automaticamente la famiglia separandone i componenti per un lungo tempo o mettendo insieme la gente a caso. Questa influenza della guerra è continuata e si è rafforzata con la rivoluzione. Gli anni della guerra hanno frantumato tutto quello che aveva resistito per la sola forza di inerzia della tradizione storica: il potere dello zarismo, i privilegi di classe, la vecchia famiglia tradizionale. La rivoluzione ha cominciato col costruire un nuovo Stato e con ciò ha raggiunto il suo scopo più semplice e urgente. L’aspetto economico del problema si è dimostrato assai più complicato. La guerra ha scosso il vecchio ordine economico, la rivoluzione l’ha rovesciato e ora ne stiamo costruendo uno nuovo ricavandolo ancora in gran parte dai vecchi elementi riorganizzati in nuove forme e in nuovi modi. In campo economico solo recentemente siamo usciti da un periodo di crisi profonda e abbiamo cominciato a sollevarci. I nostri progressi sono ancora lenti, il raggiungimento di nuove forme socialiste di vita economica è ancora assai lontano, ma abbiamo superato completamente il periodo peggiore. Il punto più’ basso era stato raggiunto nel periodo tra il 1920 e il 1921.
Per ciò che riguarda la vita familiare il periodo di crisi è ancora lungi dall’essere superato e il processo di disintegrazione opera ancora a pieno ritmo. Dobbiamo ricordarcelo bene. La vita familiare e domestica sono ancora, per così dire, nel loro 1920-21 e non hanno ancora raggiunto il livello del 1923. La vita domestica è più conservatrice di quella economica anche perché la prima è assai meno cosciente dell’ultima. In politica e in economia la classe operaia agisce come un sol blocco e spinge avanti la sua avanguardia, il partito comunista, cercando di realizzare per suo tramite i compiti storici del proletariato. Nella vita domestica la classe operaia è suddivisa nelle cellule costituite dalle famiglie. Il mutamento di regime politico, il mutamento di regime economico – il passaggio delle fabbriche e delle officine nelle mani degli operai – hanno avuto certamente influenza sulle condizioni familiari, ma solo indirettamente ed esternamente, senza toccare le tradizioni domestiche ereditate dal passato.
Una riforma radicale della famiglia, e più in generale di tutta la vita domestica, richiede uno sforzo cosciente enorme da parte di tutta la classe operaia e presuppone nella classe stessa l’esistenza di una potente forza molecolare rappresentata dal desiderio di cultura e di progresso; ci vuole un aratro che ari in profondità per rovesciare il suolo più compatto. L’introduzione dell’uguaglianza politica fra uomini e donne nello Stato sovietico era uno dei problemi più semplici. Assai più difficile era quell’altro: introdurre l’uguaglianza in campo industriale tra uomini e donne che lavorano nelle fabbriche, nelle officine e nei sindacati e in modo tale da non mettere le donne in posizione di svantaggio rispetto agli uomini. Raggiungere invece una eguaglianza reale fra l’uomo e la donna all’interno della famiglia è un problema infinitamente più arduo. Prima che ciò accada si debbono rivoluzionare tutte le nostre abitudini domestiche. Tuttavia è ovvio che a meno che non si raggiunga un’eguaglianza reale fra uomo e donna in seno alla famiglia, sia in senso generale sia nelle condizioni di vita, non possiamo parlare seriamente di uguaglianza sociale e nemmeno di eguaglianza politica. Finché la donna è incatenata al lavoro domestico, alla cura della famiglia, alla cucine e al cucito, sono estremamente ridotte tutte le sue possibilità di partecipare alla vita politica e sociale.
Il problema più facile da risolvere era quello della conquista del potere; ciò malgrado ha assorbito tutte le nostre forze nel primo periodo della rivoluzione e ha richiesto infiniti sacrifici. La guerra civile richiedeva misure estremamente vigorose. Gente sciocca e dalla mentalità ristretta ha denunciato ad alta voce l’immoralità e la depravazione sanguinaria del proletariato, mentre ciò che in realtà stava succedendo era che, costretto ad adoperare la violenza rivoluzionaria, il proletariato cominciava a combattere per nuovi livelli di cultura e per un reale umanitarismo. Nei primi quattro o cinque anni abbiamo passato un periodo di crisi sconvolgente in campo economico. La produttività del lavoro crollava mentre i prodotti erano di qualità straordinariamente bassa. Il nemico vedeva, o meglio voleva vedere, in una situazione del genere il segno della putrefazione del regime sovietico. Ma in realtà non era che una fase inevitabile della distruzione delle vecchie forme economiche e dei primi infruttuosi tentativi di creare nuove forme.
Nel campo dei rapporti familiari e delle forme di vita individuale si dovrà inevitabilmente attraversare un periodo di disintegrazione che metterà in crisi le vecchie tradizioni ereditate dal passato che non siano ancora state oggetto di riflessione. Ma nel campo della vita domestica il periodo di critica e di distruzione inizia più tardi, dura assai di più ed assume forme dolorose e poco corrispondenti a criteri sani; tali forme sono complesse e non sempre percepibili, se ci si limita ad osservazioni superficiali. Queste fasi progressive di mutamenti critici nelle condizioni dello Stato, dell’economia e della vita in generale debbono essere chiaramente definite se si vuole impedire che l’osservazione di questi fenomeni crei allarme. Dobbiamo imparare a giudicare in moda corretto. Tali fenomeni, a comprendere la loro giusta collocazione nello sviluppo della classe operaia e a sviluppare coscientemente le nuove condizioni verso forme socialiste di vita.
Questo avvertimento. è necessario poiché già sentiamo voci di allarme. Al dibattito fra i partecipanti alla conferenza di Mosca a cui ha già accennato, alcuni compagni sono intervenuti mostrando grande preoccupazione per la facilità con cui si rompono i vecchi legami familiari e per l’estrema debolezza dei nuovi legami. In tutti i casi citati le vittime sono la madre e i figli. D’altro canto chi fra di noi non ha sentito, in conversazioni private, lamentare la demoralizzazione dei giovani sovietici e specialmente di quelli che appartengono alle organizzazioni giovanili, ai Komsomol? Non tutto quello che si dice a tale proposito è esagerazione; c’è anche una parte di verità. Certamente dobbiamo combattere i lati più oscuri e più negativi di questi aspetti reali in quanto ciò rientra nella lotta per una nuova cultura e per lo sviluppa della personalità umana. Ma per cominciare il nostro lavoro, per partire dall’a b c del problema senza assumere atteggiamenti di reazionario moralismo o di scoraggiamento sentimentalista, dobbiamo innanzi tutto accettare i fatti e renderci conto di quello che sta in realtà succedendo.
Come abbiamo detto, avvenimenti di enorme portata, come la guerra e la rivoluzione, lasciano il loro segno sulla famiglia e sulla sua vecchia struttura. Sulla scia di questi avvenimenti è intervenuta una talpa che scava sotto la superficie, e questa talpa è il pensiero critico, lo studio e la valutazione cosciente dei rapporti familiari e delle forme della vita. La forza dirompente dei grandi avvenimenti, unita alla forza critica delle menti risvegliate, ha generato un periodo distruttivo per i rapporti familiari, il periodo che stiamo vivendo ora. Dopo la conquista del potere, l’operaio russo deve ora muovere in molti settori della sua vita i primi passi coscienti versa la cultura. Sotto l’impulso di grandi conflitti per la prima volta la sua personalità si libera. da tutte le forme tradizionali della vita, da tutte le abitudini domestiche, dalle pratiche e dai vincoli religiosi. Non c’è quindi da meravigliarsi se all’inizio la protesta dell’individuo, la sua rivolta contro le tradizioni del passato, assumono forme anarchiche o, se volete chiamarle così, dissolute. Abbiamo osservato questo fenomeno in politica, nell’esercito, nell’economia; in questi settori l’individualismo anarchico si è palesato sotto forma di estremismo, di settarismo, di retorica da comizio. Non ci si meravigli quindi se questo processo agisce in profondità e quindi con reazioni dolorose per i rapporti familiari. La personalità risvegliata, desiderando riorganizzarsi in nuove forme dopo essersi liberata dalle vecchie influenze, si presenta con tendenze alla “dissipazione”, alla “malvagità”, e a tutti gli aspetti deleteri che vengono denunciati nelle discussioni che si fanno a Mosca.
Strappato dal suo ambiente abituale a seguito della mobilitazione, il marito si trasforma in cittadino rivoluzionario sul fronte della lotta. Si tratta di un mutamento profondo: i suoi orizzonti si allargano, le sue aspirazioni spirituali si elevano e assumono aspetti assai più complessi. Ne risulta un uomo completamente diverso; quando torna a casa, trova che nella famiglia tutto è rimasto praticamente immutato. Salta quindi per aria il vecchio rapporto di armonia e comprensione con gli altri componenti della famiglia, mentre non se ne costruisce uno nuovo. Il disorientamento di tutti diventa ben presto scontento e poi irritazione. La famiglia si sfascia.
Il marito è comunista. Vive attivamente, si impegna nel lavoro sociale, la mente gli si apre, la vita personale viene assorbita dal lavoro. Ma anche la moglie è comunista. Ella vuole partecipare al lavoro sociale, alle riunioni pubbliche, vuole lavorare nel Soviet o nel sindacato. La vita a casa praticamente incomincia a non esistere prima che i due se ne accorgano; la mancanza di un’atmosfera casalinga produce continui conflitti. Marito e moglie cominciano a litigare. La famiglia si sfascia.
Il marito è comunista, la moglie è apolitica. Il marito viene assorbito dal lavoro mentre la moglie continua ad occuparsi della casa. I rapporti sono “pacifici” e nei fatti basati sul solito distacco. Ma il comitato di partito, la cellula del marito decide che egli debba eliminare le icone dalla casa. Egli è pronto ad obbedire perché trova che la decisione è giusta, ma la moglie la considera una catastrofe. Un avvenimento di portata limitata come questo mette immediatamente in luce l’abisso che separa la mentalità del marito da quella della moglie. I rapporti si deteriorano e la famiglia si sfascia.
Una vecchia famiglia. Dieci o quindici anni di vita in comune. Il marito è un buon operaio, dedito alla famiglia; anche la moglie vive per la casa, a cui dà tutte le sue energie. Ma per caso ella entra in contatto con un’organizzazione di donne comuniste e le si apre davanti agli occhi un nuovo mondo. Le sue energie si indirizzano verso un obiettivo nuovo e di portata più ampia. La famiglia viene trascurata, il marito è irritato, la moglie si sente colpita nella sua nuova coscienza civica. La famiglia si sfascia.
Si potrebbero moltiplicare all’infinito esempi di tragedie familiari come queste, tutti conclusi allo stesso modo: la rottura dei legami familiari. Ci siamo limitati ad indicare i casi più tipici. In tutti gli esempi citati la rottura è dovuta a un conflitto fra comunisti ed elementi senza partito, ma la rottura della famiglia, o meglio della famiglia vecchio tipo, non avviene solo nei settori della classe che hanno posizioni di responsabilità e che sono quindi più esposti alle influenze derivanti dalla nuova situazione; il movimento di disintegrazione dei rapporti familiari penetra in profondità. L’avanguardia comunista si limita a subire prima, e in maniera più violenta, ciò che è inevitabile per la classe nel suo complesso. L’atteggiamento fortemente critico verso le vecchie condizioni di vita e i nuovi diritti che si creano nell’ambito della famiglia vanno oltre la linea di demarcazione fra i comunisti e la classe operaia nel suo complesso. L’istituzione del matrimonio civile ha rappresentato un duro colpo alla famiglia “consacrata”che si nutriva in larga misura di apparenze. Le forze esterne, le tradizioni sociali e in particolare i riti religiosi hanno perduto di capacità di attrazione nella misura in cui si sono indeboliti i vecchi legami familiari nell’ambito della famiglia tradizionale. I colpi subiti dalla Chiesa erano anche colpi diretti verso la famiglia tradizionale. Vediamo ancora che continuano ad essere praticati, per forza di inerzia, riti religiosi, sia pur privi del carattere di obbligatorietà e del riconoscimento statale; questi riti servono da puntelli alla vacillante istituzione della famiglia. Ma quando non esistono legami profondi all’interno della famiglia, quando solo la forza di inerzia impedisce che la famiglia crolli, allora qualsiasi spinta esterna è destinata a mandare tutto in frantumi e nello stesso tempo a vibrare ulteriori colpi alle cerimonie religiose. Queste spinte esterne sono destinate ad esercitarsi ora assai più di prima. Ecco la ragione perché la famiglia vacilla, non riesce a recuperare il proprio e-quilibrio e finisce col cadere. La vita si erge a giudice delle sue stesse condizioni e condanna in modo crudele e doloroso la famiglia. La storia fa cadere le vecchie querce e i frantumi volano via.
La vita sta indubbiamente mettendo in luce alcuni elementi di un nuovo tipo di famiglia. Non resta che comprendere chiaramente la natura di questi elementi e il processo della loro formazione. Come in altri casi, dobbiamo distinguere condizioni fisiche e psicologiche, generali e individuali. Dal punto di vista psicologico l’evoluzione della nuova famiglia, dei nuovi rapporti umani in generale, significa, per la classe operaia, un passo in campo culturale, lo sviluppo dell’individuo, l’innalzamento delle sue esigenze e della sua disciplina interna a un livello più alto. Da questo punto di vista la rivoluzione in se stessa ha ovviamente comportato un grande passo in avanti, mentre i fenomeni peggiori della disintegrazione della famiglia non fanno altro che mettere semplicemente in luce l’anormalità del modo in cui si esprime il risveglio della classe e degli individui che la compongono. Tutto il nostro lavoro culturale, sia quello che facciamo sia quello che dovremmo fare, sotto questo aspetto diventa una preparazione per nuovi rapporti e per una nuova famiglia. Senza un elevamento del livello culturale dell’operaio e dell’operaia presi individualmente; non può esistere un tipo nuovo e più elevato di famiglia, perché in questo campo non possiamo che ovviamente parlare di disciplina interna e non di costrizione esterna. La forza della disciplina dell’individuo nell’ambito della famiglia viene condizionata dalla vita interna, dall’ampiezza e dal valore dei legami che uniscono marito e moglie.
La preparazione fisica per le condizioni della vita e della famiglia nuova non possono anche in questo caso essere separate essenzialmente dal lavoro più generale della costruzione del socialismo. Lo Stato operaio deve diventare più ricco in modo da affrontare seriamente il problema dell’educazione pubblica dei ragazzi e della liberazione della famiglia dal fardello della cucina e dell’educazione pubblica dei bambini; ciò è impensabile senza un miglioramento sensibile di tutta la nostra economia. Abbiamo bisogno di fare grandi passi avanti in campo economico e solo se riusciremo a farli potremo liberare la famiglia dalle funzioni e dai lavori che ora l’opprimono e la disintegrano. Il bucato deve essere fatto in una lavanderia pubblica, i pasti debbono essere consumati in ristoranti pubblici e le riparazioni dei vestiti debbono essere fatte in laboratori pubblici. I figli debbono essere educati da buoni insegnanti che abbiano una vocazione reale per questo lavoro. Allora il legame fra marito e moglie sarà libero da qualsiasi elemento esterno e accidentale e ciascuno smetterà di assorbire la vita dell’altro. Si avrà finalmente una vera e propria eguaglianza e nell’ambito di questa eguaglianza il legame dipenderà dall’affetto reciproco e acquisterà una stabilità interna che ovviamente non sarà la stessa per tutti e non sarà obbligatoria per nessuno.
Possiamo così costruire la nuova famiglia percorrendo due strade:
a) elevando il livello culturale della classe operaia sia nel suo complesso sia per ciò che riguarda gli individui che la compongono;
b) migliorando le condizioni materiali della classe organizzata dallo Stato.
Questi due processi sono intimamente connessi l’uno all’altro.
Quello che abbiamo affermato non implica naturalmente che in un dato momento del progresso materiale emergerà di colpo la famiglia del futuro. Anche ora è possibile fare alcuni passi verso la costruzione della nuova famiglia. E’ vero che lo Stato non può ancora accollarsi l’educazione dei ragazzi e la creazione di una catena di ristoranti e di lavanderie a carattere pubblico, ma ciò non significa che le famiglie più intraprendenti e progressiste non possano raggrupparsi in unità collettive di lavoro domestico. Esperimenti di questo genere debbono ovviamente farsi con cautela: l’equipaggiamento tecnico del collettivo deve rispondere agli interessi e alle esigenze del gruppo stesso e deve fornire vantaggi evidenti, sia pure dapprima modesti, a ciascuno dei suoi membri.
“Questo compito – ha scritto recentemente il compagno Semasko a proposito della necessità di ricostruire la nostra vita familiare –viene realizzato meglio da un punto di vista pratico; le prescrizioni e gli inviti moralizzatori avranno di per sé scarsa efficacia. Ma un esempio, un’illustrazione di nuove forme, servirà assai più di mille opuscoli eccellenti”.
Questa propaganda pratica viene condotta assai meglio in base al metodo che i chirurgi chiamano trapianto. Quando un paziente presenta una superficie ampia di carne viva in conseguenza di una ferita o di una bruciatura e non si può sperare che la pelle cresca sufficientemente in modo da coprirla, si trapiantano brandelli di pelle presi da altre parti del corpo che poi vengono attaccati pezzo per pezzo sulla superficie da ricoprire. Questi brandelli di pelle aderiscono alla carne e crescono fino a coprire tutta la superficie senza pelle.
Lo stesso accade nel campo della propaganda pratica. Quando una fabbrica o un’officina adottano forme di vita comunista, altre fabbriche seguiranno prima o poi. Le unità-collettivo familiari per i lavori di casa debbono essere accuratamente studiate prima di essere realizzate. Il primo passo deve essere un’iniziativa di vari individui appoggiati dal potere governativo, e in primo luogo dai soviet e dagli organi economici locali. La costruzione di nuove abitazioni –dopo tutto dobbiamo costruirle!– deve essere adattata alle esigenze delle comunità familiari di nuovo tipo. Il primo successo evidente e innegabile, sia pur limitato nella portata, in questa direzione farà inevitabilmente sorgere nell’ambito di settori più ampi il desiderio di organizzarsi su linee simili. Non siamo ancora pronti a varare un piano ben congegnato e iniziato dall’alto, sia dal punto di vista delle risorse materiali dello Stato, sia in considerazione della preparazione dello stesso proletariato. Possiamo sfuggire al punto morto in cui ci troviamo attualmente solo creando comunità modello. Dobbiamo consolidarci il terreno sotto i piedi e quindi non dobbiamo lanciarci in avventure o in esperimenti a carattere burocratico o fantasioso. Ad un certo momento lo Stato sarà capace di socializzare, ampliare e approfondire il lavoro fatto, con l’aiuto dei soviet, delle cooperative e degli altri organi locali. In questo modo la famiglia, così come ci ha detto Engels, “passerà dalla sfera della necessità a quella della libertà”.
Note
1. Copyright 1971 Edizioni Samonà e Savelli, Roma Traduzione: Sirio Di Giuliomaria