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È rivolta a Los Angeles e in tutta la California contro le deportazioni di massa degli immigrati “illegali”.
La questione dell’immigrazione costituiva uno dei punti principali del programma elettorale di Donald Trump, che nella più classica delle narrazioni razziste ha più volte definito gli immigrati irregolari “animali che avvelenano il sangue della nazione”, responsabili dell’ondata di criminalità in crescita negli USA. L’obiettivo, ripeteva Trump nei comizi, sarebbe stato quello di rimpatriare fino a 15-20 milioni di persone.
Viste le crescenti difficoltà nell’attuazione di altri parti del programma, dalla politica estera alla questione dei dazi, l’inquilino della Casa Bianca intende recuperare terreno per mezzo del più classico capro espiatorio: l’immigrato che viene dal sud del Rio Grande.
Caccia all’uomo e resistenza di massa
La caccia all’uomo si è concentrata non su lestofanti o spacciatori, l’ICE (Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia federale deputata al controllo dell’immigrazione, conosciuta dai latinos come “la Migra”) ha condotto vere e proprie retate direttamente negli ospedali, nelle scuole e soprattutto nei luoghi di lavoro, come Home Depot, il più grande rivenditore di articoli per la casa noto come un centro di assunzione di lavoratori immigrati. Appena si è sparsa la voce, migliaia di persone si sono riversate nelle strade e hanno provato spontaneamente a impedire ai veicoli dell’ICE di allontanarsi con gli arrestati. Si sono sviluppate battaglie molto dure in tutti i quartieri popolari e ad alta densità di immigrati di Los Angeles, come Paramount, tra i manifestanti e gli agenti di polizia in tenuta antisommossa, che non hanno esitato a utilizzare lacrimogeni, proiettili di vernice e granate stordenti.
Il regno del terrore instaurato da Trump (che ormai procede al ritmo di 3mila arresti al giorno) ha sortito un effetto radicalizzante e provocato una risposta popolare sempre maggiore. I cortei sono cresciuti dal punto di vista numerico, fino ai 10mila scesi in piazza il 9 giugno scorso nella città californiana.
I cortei spontanei sono stati appoggiati da diversi sindacati. La repressione statale non ha risparmiato nemmeno dirigenti sindacali come David Huerta, presidente del sindacato SEIU-USWW, che rappresenta, fra gli altri, i lavoratori delle pulizie e dei servizi di sicurezza.
Huerta è stato picchiato mentre si opponeva a una retata e poi arrestato. Pochi giorni dopo è stato rilasciato, ma è tuttora in libertà vigilata in attesa del processo, con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. L’arresto di Huerta è un segnale del fatto che le gesta di Trump sono rivolte contro il movimento operaio nel suo complesso.
Davanti al movimento di massa in ascesa, Trump ha risposto con la mobilitazione della Guardia Nazionale, un esercito di riservisti che, di norma, risponde agli ordini del governatore dello Stato in cui è richiesto l’intervento. È la prima volta dal 1965 che il presidente degli Stati Uniti non assumeva una decisione del genere. Al grido di “libereremo Los Angeles dall’invasione dei migranti”, ha schierato 4mila riservisti e subito dopo almeno 700 marines dalla vicina base di Camp Pendleton.
L’ipocrisia dei Democratici
La decisione di Trump ha scatenato l’ira dei Democratici e in particolare del governatore della California, Gavin Newsom, che ha tacciato di autoritarismo l’inquilino della Casa Bianca. La preoccupazione di Newsom non riguarda tanto i diritti degli immigrati, ma il fatto di essere stato scavalcato nella gestione delle politiche securitarie. Il coprifuoco a Los Angeles, ad esempio, è stato decretato dalla sindaca democratica, Karen Bass, che ha privato i propri cittadini del diritto democratico di assemblea e di manifestazione. La LAPD (la polizia di Los Angeles) ha aiutato in maniera attiva l’intervento della Migra, liberando le strade per le retate, adducendo la scusa del controllo del traffico.
Sebbene si presenti come il paladino della “resistenza” al movimento MAGA, Newsom ha proposto di escludere gli immigrati illegali dall’accesso alla sanità pubblica della California. Appena prima delle retate, Newsom aveva tagliato i fondi a un programma per fornire assistenza legale ai bambini immigrati. In una telefonata con Donald Trump, il governatore ha assicurato al presidente che non c’era bisogno dell’intervento della Guardia Nazionale, in quanto i corpi di uomini armati dello Stato della California avevano già domato la rivolta. Dopo che Trump ha messo la Guardia Nazionale sotto il controllo federale, Newsom ne ha chiesto il ritiro, ma non ha mai messo in discussione minimamente la politica delle deportazioni. Anzi ha ribadito con orgoglio che ha “tutta l’autorità per collaborare con l’ICE”, autorità esercitata ben “10.500 volte” in passato!
Il governatore democratico è ben lontano dall’essere un progressista: nell’ultimo periodo ha scatenato una campagna contro gli “homeless”, per lo sgombero delle tendopoli che crescono come funghi nelle periferie della metropoli del “Golden State”.
Sono le cifre nude e crude che svelano l’ipocrisia dei Democratici. Durante la presidenza Obama, sono state deportate 2,9 milioni di persone nel primo mandato e 1,9 nel secondo. Joe Biden non è stato da meno: nei suoi quattro anni di presidenza ha espulso 2,8 milioni di immigrati “illegali”. Uno degli strumenti utilizzato da Biden è stato il “Title 42”, una misura di emergenza sanitaria che, introdotta da Trump durante la pandemia, fornisce al presidente il potere di espellere i migranti senza un normale processo in tribunale.
Numeri da record che oscurano quelli del primo mandato di Trump, che deportò “solo” 1,5 milioni di persone.
Democratici e Repubblicani costituiscono due facce della stessa medaglia anche riguardo l’immigrazione. Spargere il terrore è un elemento fondamentale nella politica migratoria di entrambi i partiti. I capitalisti e i loro partiti politici vogliono mantenere i lavoratori immigrati come un bacino di mano d’opera a basso costo da sfruttare sotto la minaccia costante della deportazione, per vanificare i loro tentativi di organizzarsi e lottare. Come spiegò una volta l’economista ultra-liberista Milton Friedman, “l’immigrazione va bene solo finché è illegale”. La differenza è che Trump colora le sue politiche con una retorica razzista disgustosa, mentre i democratici preferiscono lavorare sottotraccia e nel “rispetto della legalità” capitalista.
Il No Kings Day
I compagni dei Revolutionary Communists of America avevano spiegato, al momento dell’insediamento di Trump, che i nodi sarebbero arrivati presto al pettine e che le politiche del tycoon avrebbero portato alla ripresa della lotta di classe. Altro che fascismo alle porte!
Da Los Angeles, infatti, la protesta è dilagata in città grandi e piccole, così come la conseguente repressione della polizia, da Seattle a New York. Il governatore del Texas Greg Abbott ha schierato 5mila soldati della Guardia Nazionale insieme a oltre 2mila poliziotti statali “a difesa delle strade”. Lo slogan “Chinga la Migra” (fanculo l’ICE) è diventato popolare in tutto il paese.
Il 14 giugno le manifestazioni contro Trump hanno raggiunto il culmine nel “No Kings day”. Si calcola che oltre 5 milioni di giovani e lavoratori siano scesi in piazza, in 2mila città. Quello stesso giorno Trump aveva organizzato, in occasione del suo compleanno (e del “giorno della bandiera”), una gigantesca parata militare a Washington. Erano previste 200mila persone, ne sono arrivate molte meno, al punto che il Wall Street Journal ha definito l’evento “sottotono”.
Nonostante le prove “muscolari” (o forse proprio a causa di esse) la popolarità di Trump è in calo. Secondo i sondaggi, il 47% degli americani non sono d’accordo con le deportazioni di massa, percentuale che sale al 58% in California. Il consenso del presidente è sceso dal 50 al 38% dal 6 giugno scorso, data di inizio delle retate (dati Forbes.com).
Il morale fra i marines e i riservisti schierati in California non è tra i più alti. È interessante leggere i loro commenti nelle chat o le dichiarazioni delle organizzazioni dei veterani: “La sensazione è che i marines vengano usati come pedine politiche” e “il sentimento generale in questo momento è che schierare la forza militare contro le nostre comunità non sia il tipo di difesa della sicurezza nazionale per cui ci eravamo arruolati”.
Un presidente anti-operaio
Se la politica dei dazi aveva suscitato consensi tra i vertici di alcuni sindacati (consensi che tuttavia i dirigenti delle unions hanno sempre fornito a politiche del genere, dai tempi dell’accordo Nafta nel 1994 in poi), le azioni del governo li costringono a prendere maggiori distanze da Trump. Non solo devono assistere all’arresto di dirigenti come Huerta, ma ogni settimana Trump si rende protagonista di politiche anti-operaie e anti-sindacali. Dopo il licenziamento di 62mila dipendenti federali nei primi due mesi di mandato ad opera di Elon Musk, a maggio il governo ha deciso di uscire dalla contrattazione collettiva per un milione di dipendenti federali (l’equivalente di 4 lavoratori su 5 rappresentati da un sindacato), “di gran lunga la più grande azione anti-sindacale nella storia americana”, secondo lo storico del movimento operaio Joseph McCartin. Ha anche tagliato il salario minimo a oltre 327mila lavoratori del settore privato impiegati in appalti per le agenzie federali. Un taglio che equivale a una riduzione del 25% del salario.
Senza dimenticare che la legge di bilancio (il “Big Beautiful Bill”) taglierà l’assistenza sanitaria e altri servizi a un settore importante di lavoratori e alle loro famiglie. Non male per colui che voleva “mettere i lavoratori americani al primo posto”.
Le dimensioni delle proteste non sono ancora arrivate ai livelli di quelle scatenate dall’omicidio di George Floyd nel 2020, ma sono il segnale che la luna di miele del governo Trump ha i giorni contati.
In diverse occasioni, i manifestanti sono riusciti a far rilasciare i lavoratori trattenuti dall’ICE, ma solo la mobilitazione della massa della classe operaia può fermare veramente la repressione dello Stato.
I vertici sindacali devono difendere i lavoratori non solo a parole, ma con i fatti. Il SEIU e gli altri sindacati dovrebbero lanciare un’iniziativa per organizzare tutti i lavoratori non sindacalizzati, immigrati e non. Comitati di difesa di quartiere e in ogni luogo di lavoro dovrebbero essere costruiti a Los Angeles e in tutte le altre città, in modo che, al minimo sospetto di una retata, migliaia di lavoratori possano presentarsi, occupare l’edificio e sventare le retate dell’ICE. “Un attacco a uno è un attacco a tutti”, come recitava il motto del sindacato rivoluzionario IWW all’inizio del Novecento.
In ultima analisi, solo la costruzione di un partito dotato di un programma anti-capitalista e che lotti per l’unità della classe lavoratrice potrà sconfiggere la Migra, i politici e il sistema economico che l’hanno creata.