Modena – Appello a tutti gli antifascisti: corteo il 25 aprile!
20 Aprile 2017L’omicidio di Mashal Khan – La dichiarazione della Tendenza Marxista Internazionale
21 Aprile 2017Secondo recenti dati forniti dall’Inps sono stati 134 milioni i voucher venduti nel 2016 utilizzati da circa 1,5 milioni di lavoratori. Uno strumento a cui i padroni hanno attinto a piene mani grazie anche al suo ampliamento voluto da Renzi con il Jobs Act e che l’attuale governo, per evitare i referendum promossi dalla Cgil previsti per il prossimo 28 maggio, ha abolito attraverso un decreto legge. Lo stesso vale per il referendum sugli appalti, anche su questo referendum il governo ha accolto la richiesta della Cgil di ripristino della responsabilità solidale con un decreto.
È davvero una grande vittoria?
Così dopo che la Consulta a gennaio aveva bocciato il quesito sull’articolo 18, depotenziando non poco la campagna referendaria, ecco che il governo Gentiloni mette la parola fine ai referendum accogliendo tutte le richieste della Cgil.
Confindustria e diverse altre associazioni datoriali si sono contraddistinte per aver mostrato una reazione particolarmente scomposta verso la decisione del governo definendola “un grave errore”.
Una campagna isterica, dove si è arrivati a dire che il governo è prigioniero dell’estrema sinistra, paventando il ritorno del lavoro nero. Come se il lavoro nero fosse sparito grazie ai voucher.
La realtà è un’altra, i voucher saranno definitivamente aboliti solo a partire dal 1 gennaio 2018 e nulla esclude che entro quella data il governo non offrirà adeguate compensazioni ai padroni. A dirla tutta, non sarebbe nemmeno necessaria un’ulteriore tipologia contrattuale da aggiungere alle circa 50 forme di contratti precari che tutt’ora esistono, tra le quali le aziende possono pescare per mantenere alto lo sfruttamento e la ricattabilità dei lavoratori. Già spunta l’idea di rilanciare il “job on call”, più noto come lavoro a chiamata, magari depurato di qualche, per lorsignori, eccessiva rigidità.
E che dire degli appalti? Davvero possiamo pensare che aver ristabilito la responsabilità solidale, che consente a chi lavora per un’azienda che ha un’attività o un servizio appaltato o esternalizzato, di rivalersi nei confronti del committente in caso non fosse pagato può essere considerata una reale conquista? Certamente per i lavoratori è uno strumento giuridico importante, ma la realtà è che il sindacato dovrebbe iniziare a mobilitarsi contro la giungla degli appalti.
Una giungla dove predomina lo sfruttamento selvaggio da parte delle società appaltanti spesso con il tacito consenso dei committenti. La Cgil dovrebbe lottare contro gli appalti e per la reinternalizzazione dei servizi nelle società committenti.
Le vere ragioni della scelta del governo
Per quanto sopra spiegato, dunque, la logica del ragionamento che ha spinto il governo a compiere questa scelta sono da ritrovarsi più sul campo politico che in quello economico. Gentiloni ha paura persino della sua ombra. Questo è il riflesso della crisi del Partito democratico e delle sue politiche. Il governo attuale è decisamente più debole del governo Renzi, vogliono in tutti i modi evitare che si ripeta quanto avvenuto con la sconfitta sul referendum costituzionale del 4 dicembre. Allora milioni di persone, in particolare i giovani sfruttarono l’opportunità del referendum per esprimere tutta la loro rabbia contro Renzi e la classe dominante di questo paese. I padroni, anche se divisi sulle decisioni del governo, sanno benissimo che nella società cova un grande malessere e alla fine, accetteranno le modifiche come il male minore.
L’immobilismo della Cgil
Chi scrive, nel dibattito che si svolse nel Direttivo Nazionale della Cgil, assunse una posizione contraria allo strumento referendario. Questo non per una questione di principio sullo strumento in sé, ma perché era una proposta fine a se stessa e non uno strumento ausiliario alla necessaria lotta più generale.
In realtà, la maggioranza del gruppo dirigente della Cgil, decise di avviare la raccolta di firme per chiudere la lotta dell’autunno 2014 contro il Jobs Act. Fu una mobilitazione che vide una straordinaria manifestazione nazionale in ottobre, due giornate di sciopero dei metalmeccanici a novembre e lo sciopero generale del 12 dicembre. Ma anche in quel contesto il vero scopo dell’apparato sindacale non era far naufragare il percorso della legge del governo, ma essere accolti a un tavolo di trattativa per modificarla. Tanto è vero che lo sciopero del 12 dicembre fu convocato proprio a ridosso della votazione in Parlamento, a giochi praticamente fatti.
La Cgil negli ultimi anni ha fatto di tutto per garantire la pace sociale, la “vittoria” sui voucher appare più una rivincita della burocrazia che una vittoria dei lavoratori.
La scelta del governo, assieme ad una serie di trattative tenute aperte, in primis quelle su pensioni e riforma del testo unico del pubblico impiego, in attesa del tavolo contrattuale, trasmette ai vertici sindacali la convinzione di aver ottenuto il tanto desiderato riconoscimento del proprio “ruolo sociale”. Tavoli con chi non perde occasione per sbeffeggiare i milioni di giovani che sono disperatamente in cerca di un lavoro. Una sorta di illusione di ritorno alla concertazione che non c’è e mai ci sarà.
Ora i dirigenti sindacali ci dicono che il prossimo obbiettivo è far assumere al Parlamento con una legge la Carta dei Diritti: il cosiddetto Statuto dei lavoratori in chiave moderna scritto dai dirigenti della Cgil negli scorsi mesi. Obbiettivamente credere e far credere ai lavoratori che questa dovrà essere la direzione di marcia prioritaria per il sindacato nel prossimo periodo è un grave errore. Non solo perché la carta dei Diritti, fatto salvo alcune passaggi condivisibili, rappresenta un arretramento per i lavoratori rispetto allo Statuto dei lavoratori tutt’ora vigente, ma anche perchè nelle sue parti fondamentali, in particolare nella lotta alla precarietà, tenta di governare la precarietà invece che contrastarla.
Contrastare il governo oggi, invece di scambiare la governabilità con i referendum, avrebbe oggi un carattere dirompente se solo questa mobilitazione del sindacato diventasse il trampolino di lancio per una vera lotta per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. Nella misura in cui i dirigenti sindacali non sono disposti a farlo spetta alle lavoratrici e ai lavoratori, dunque, il compito di irrompere sulla scena della lotta di classe e porsi anche il compito di sostituire i vertici sindacali inadeguati.