Dove vanno trovate le colpe del disastro ferroviario in Puglia?
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9 Agosto 2016Nei giorni 25 e 26 luglio, presso tutti gli stabilimenti Fincantieri, i lavoratori sono stati chiamati ad esprimersi con un voto sull’ipotesi di accordo siglata unitariamente da Fim Fiom e Uilm per il rinnovo del contratto aziendale. Il risultato finale complessivo vede il SI prevalere di misura con il 57% (2885) dei voti contro il 42% (2125) dei NO. Se si tiene conto solo del voto strettamente operaio dei cantieri, su cui il nuovo contratto avrà l’impatto più disastroso, il SI passa con un ancor più misero 54%.
In un precedente articolo avevamo spiegato le ragioni per cui ritenevamo profondamente negativa l’intesa raggiunta e per cui abbiamo fatto appello ai lavoratori a respingerla nelle urne. Da questi dati emerge chiaramente come ad una vittoria molto striminzita del SI dal punto di vista “aritmetico” corrisponda una sconfitta politica evidente per tutti e tre i sindacati firmatari ma soprattutto per la Fiom.
Sono infatti i cantieri in cui la fiom ha più iscritti, radicamento e forza sindacale quelli in cui il NO prevale o perde di poco. Clamorosi sono i dati di Ancona e Marghera, dove storicamente più forte è la capacità di conflitto della Fiom, in cui il NO rispettivamente prevale e pareggia.
Altrettanto significativa è la vittoria schiacciante del NO nel cantiere di Monfalcone, che è il più grande ed importante del gruppo, con il 61%. Anche a Palermo e Riva Trigoso la vittoria del SI è solo del 52%. Addirittura nel quartier generale di Trieste, dove sono presenti solo ingegneri, tecnici ed impiegati altamente qualificati il SI non va oltre il 61%. Persino in una realtà storicamente difficile dal punto di vista sindacale come Castellammare il SI si ferma al 68%.
Di fatto l’unico cantiere in cui l’accordo passa con un risultato importante è Sestri Ponente dove viene approvato con l’84% dei consensi.
Queste cifre non lasciano spazio ad interpretazioni. Nel voto i lavoratori, soprattutto quelli legati alla Fiom, hanno voluto punire la scelta fatta dalla propria organizzazione di firmare ad ogni costo l’accordo piuttosto che rischiare di restare esclusa da una intesa separata delle sole Fim e Uilm.
Nel precedente articolo avevamo chiesto al gruppo dirigente della Fiom se anziché dare per persa la battaglia non fosse valsa la pena di tentare di riprendere il conflitto. Oggi rinnoviamo lo stesso quesito con la certezza emersa dalle urne che le debolezze e i timori dietro cui si giustificava tanta arrendevolezza non erano proprie dei lavoratori bensì del gruppo dirigente della Fiom. Questo risultato rappresenta una sconfitta politica che necessita l’apertura di una riflessione seria e profonda all’interno della Fiom in merito alla deriva che la nostra linea sindacale sta prendendo. Questo diventa ancor più necessario nel mezzo di una vertenza così complicata come quella in cui siamo immersi per il rinnovo del contratto nazionale.
Il voto della nostra base di riferimento in Fincantieri ci sta dicendo in maniera inequivocabile che la Fiom non può rimangiarsi le ragioni di anni di lotte. Non può accettare di firmare contratti a tutti i costi e soprattutto non può accettare di veder applicato ciò contro cui ha mobilitato i lavoratori per oltre un decennio.
Il messaggio è chiaro e forte: o la Fiom torna ad avere il coraggio di dire NO, costi quel che costi, come fece a Pomigliano nel 2010 e allora potrà ottenere risultati eccellenti come al rinnovo degli RLS nel gruppo FCA, oppure dovrà pagare un prezzo altissimo. In termini di autorevolezza, di radicamento, di militanti e non ultimo di iscritti.