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Nelle ultime settimane, le cancellerie dei paesi europei sono state pervase da una strana frenesia: dichiarazioni altisonanti, conferenze, summit, coalizioni di “volenterosi”, missioni di “pace”, truppe, missili, bombe… Stati d’animo euforici si sono alternati alla più cupa depressione. La presidente della Commissione Europea, Von der Leyen, ha dichiarato con toni apocalittici: “L’Europa deve fronteggiare un pericolo chiaro e imminente, di una proporzione che nessuno di noi ha mai visto nella sua vita adulta”. D’altra parte, con afflato messianico, la rappresentante UE agli Esteri, Kaja Kallas ha detto che “tocca all’Europa farsi carico del compito” di guidare il mondo libero. Questo stato di esaltazione generale ha purtroppo eccitato menti fragili come quella di Michele Serra, che si è spinto a proclamare: “Qui si fa l’Europa o si muore”. Che negli ultimi tre anni siano già morte centinaia di migliaia di persone in Ucraina e in Medio Oriente, con il pieno appoggio politico e materiale di tutti i paesi europei (e delle istituzioni comunitarie) sembra non bastargli.
Fatto sta che, alla fine, è stato approvato un piano da 800 miliardi di euro, che ricadrà interamente sulle spalle dei lavoratori.
Burro o cannoni (a debito)
Il 6 marzo, i leader dei paesi dell’Unione Europea hanno approvato il maxi piano finanziario da 800 miliardi di euro, “Rearm Europe” (“Riarmare l’Europa”), che due giorni prima Ursula Von der Leyen aveva presentato al mondo. L’obiettivo di questo piano è quello di “rispondere nel breve termine all’urgenza di agire in sostegno all’Ucraina, ma anche quello di assumerci, nel lungo termine, una maggiore responsabilità per quanto riguarda la sicurezza europea”.
Il primo ministro danese Mette Frederiksen ha avuto il merito di illustrarne la sostanza: “Spendere, spendere, spendere!”. L’idea è quella di spendere 800 miliardi per produrre e comprare armi, riarmare i paesi europei (e l’Ucraina) e difendersi dalle “minacce” rappresentate dalla Russia e, sullo sfondo, dalla Cina. Ma sorge subito un primo problema: con quali soldi?
La risposta dei lungimiranti leader europei è: “Indebitarsi, indebitarsi, indebitarsi!”. Il primo punto del piano prevede infatti l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di Stabilità, che permetterebbe agli Stati di sforare il limite del 3% di deficit nel bilancio statale per l’acquisto di armi. In questo modo, si calcola che, se i paesi membri aumentassero in media la propria spesa militare dell’1,5% del PIL, riuscirebbero a mobilitare una cifra complessiva di 650 miliardi di euro in quattro anni. Altri 150 miliardi dovrebbero arrivare da prestiti garantiti dall’UE agli Stati, giungendo così ai fantomatici 800 miliardi, tutti a debito. Il piano prevede anche sussidi e agevolazioni per gli investimenti privati nel settore bellico e la possibilità di dirottare nell’industria della difesa i vari fondi europei prima impiegati per lo sviluppo dei più svariati settori economici (dalla pesca alla ricerca scientifica).
Non c’è quindi alcun “magico albero dei soldi”. Semplicemente la Francia, la Germania, l’Italia, etc., potranno indebitarsi per comprare armi, senza che arrivi loro la famigerata letterina di Bruxelles. Il tutto, in un contesto in cui gli Stati europei vivono da anni in una crisi debitoria permanente. Se, da un lato, quindi, rimane da vedere quanto di questo denaro verrà effettivamente stanziato, dall’altro, il messaggio invece è molto chiaro. Bisogna indebitarsi ulteriormente per comprare armi e tagliare sanità, scuola e welfare per rendere sostenibile questo debito. Il significato reale dell’“economia di guerra” è infine spiegato: un enorme spostamento di ricchezza che viene tolta ai lavoratori e ai giovani d’Europa e regalata ai monopoli della finanza e dell’industria bellica, che si ingrosseranno le tasche con le commesse statali e gli interessi sul debito.
Dopo decenni in cui ci viene detto che bisogna fare sacrifici per ridurre il debito pubblico e tagliare la spesa sociale, da un giorno all’altro ci dicono che è necessario aumentare il debito pubblico per aumentare la spesa… militare! Ma ovviamente, come ha spiegato il segretario della Nato, Mark Rutte, tutto ciò ha il solo scopo di preservare “il nostro stile di vita”.
La sconfitta in Ucraina e il declino dell’Europa
La verità è che i paesi imperialisti europei escono da tre anni di guerra in Ucraina con le ossa rotte. Nonostante gli Stati Uniti e l’UE abbiano inondato l’Ucraina con la bellezza di 266 miliardi di dollari in aiuti finanziari e militari (fonte: Kiel Institute), la guerra è persa e l’esercito ucraino è al collasso. Non abbiamo lo spazio per un’analisi approfondita, per la quale rimandiamo ai numerosi articoli usciti su Rivoluzione n°115 e sul nostro sito (vedi ad esempio Dietro allo scontro tra Trump e Zelensky). Qui, basti dire che Trump ha fatto capire chiaramente che saranno i paesi europei e l’Ucraina a pagare il prezzo della sconfitta al posto degli Stati Uniti. Nella nuova spartizione del mondo tra le superpotenze imperialiste non c’è alcuno spazio per l’Europa, che viene relegata al rango di potenza di terz’ordine. L’esclusione dei paesi imperialisti europei dai negoziati tra Trump e Putin è esattamente il riflesso del declino inesorabile del continente e dei nuovi rapporti di forza che si sono creati nel corso della guerra. Dopo aver giocato alla Terza Guerra Mondiale, la classe dominante europea si trova con un pugno di mosche in mano.
Da questo punto di vista, il piano “Rearm Europe” rappresenta una risposta maldestra e disperata a alla crisi strategica del capitalismo europeo. Armandosi fino ai denti (o dando l’impressione di farlo) e presentandosi come il più agguerrito difensore dell’Ucraina fino “all’ultimo ucraino”, l’Europa spera di poter recuperare un po’ del peso politico perso negli ultimi anni e di strappare qualche concessione a Trump in termini di garanzie di sicurezza in Europa. Anche i paesi imperialisti europei vogliono la propria “pace attraverso la forza” e, per farlo, sono disposti ad alimentare all’infinito una guerra già persa. A preoccupare i governi è anche il rischio di essere travolti da un ulteriore crollo di consenso e legittimità, dopo tre anni di guerra che hanno distrutto l’industria e impoverito i lavoratori di tutti i principali paesi europei. Insomma, i governi europei si stanno nascondendo dietro un dito (da 800 miliardi di euro), nella vana speranza che nessuno si accorga che hanno perso la guerra e che sono altri attori, ben più potenti, a dettarne le sorti.
Ma dietro c’è dell’altro. Come abbiamo detto, Trump è deciso a far pagare ai paesi europei il prezzo della comune sconfitta. E uno dei modi in cui essi dovranno pagare è l’aumento della spesa militare fino al 5% del Pil, di cui una buona parte dovrà essere costituita dall’acquisto di armi americane, come il tycoon ha più volte dichiarato. Gli Stati Uniti non hanno più intenzione di garantire la sicurezza militare dell’Europa e stanno chiedendo all’Europa di pagare la propria parte. Inoltre, Trump vuole invertire la bilancia commerciale Usa-UE costringendo gli europei a comprare beni americani, e le armi, insieme con il gas, sono in cima alla lista. La sintesi è che se gli europei non vogliono suscitare l’ira degli americani (e rimanere scoperti sul piano militare), dovranno riarmarsi e farlo con armi americane. La speranza degli “strateghi” del capitalismo europeo è che, presentando questa servile sottomissione ai diktat di Washington come un grande piano di rinascita europea, e sventolando lo spauracchio di una assai improbabile invasione russa, riusciranno rendere più accettabile alla classe lavoratrice il fatto che verrà ridotta alla fame per saziare gli appetiti del capitale americano e gli irrealistici sogni di grandezza delle borghesie europee in declino.
La favola della “difesa comune europea”
Oggi, sembra che il riarmo europeo sia la panacea a tutti i mali. Da ogni lato, politici, burocrati, scrittori e giornalisti proclamano in pompa magna una nuova epoca di rinascita e di unità dei paesi europei. Ma è lo stesso piano “Rearm Europe” a tradire, dietro le apparenze, le divisioni e i conflitti che covano sotto la superficie.
Il piano, che dovrebbe inaugurare una politica di “difesa comune europea”, non prevede in realtà nulla del genere. Come abbiamo spiegato sopra, su 800 miliardi, 650 non sono nient’altro che debito da parte dei singoli Stati. Altro che “tutti uniti!”, la vera parola d’ordine del piano è “liberi tutti!”. Ogni paese europeo farà a gara a riarmarsi più del vicino e ad assicurarsi gli armamenti migliori per il proprio esercito e le commesse più fruttuose per le proprie industrie belliche nazionali. Il riaffacciarsi di un nazionalismo sempre più aggressivo e dei vari “Germany First”, “France First” ne sarà l’espressione politica diretta. Nell’immediato, poi, la prevedibile disputa sui 150 miliardi di euro di debito comune europeo accenderà uno scontro ancora più aspro: quali paesi e quali aziende si aggiudicheranno questi fondi e/o in che proporzione verranno ripartiti? Chi farà la parte da leone, la francese Thales, la tedesca Rheinmetall, la svedese Saab o l’italiana Leonardo?
In questo contesto, la posizione di Elly Schlein e del PD vince il primo premio per l’ipocrisia guerrafondaia, dato che è perfettamente allineata con il mantra bellicista “più armi, più difesa, più deterrenza” con il solo distinguo che l’aumento della spesa militare debba essere sostenuto dal debito comune e non dei singoli Stati. La Schlein non ha nulla contro il fatto che i lavoratori italiani ed europei dovranno stringere la cinghia per comprare missili e caccia bombardieri, l’importante è che tutto ciò avvenga con armonia e coordinazione tra tutti i paesi e con un solo colore, il blu dell’UE. Che dire, si sarà consultata con l’armocromista…
Per indorare la pillola, alcuni commentatori si sono lanciati con entusiasmo a disquisire delle fantasmagoriche ricadute delle commesse militari sull’economia civile. Ma l’idea che un simile processo di riarmo possa rilanciare l’economia dei paesi europei si scontra con una serie di dati di fatto inaggirabili. Il primo è che gran parte dei soldi stanziati per l’acquisto di armi finirà direttamente nelle tasche dei monopoli della guerra americani. Tra il 2020 e il 2024, il 64% delle armi in dotazione agli eserciti europei è stato fornito da aziende americane e la rincorsa a procurarsi le armi più avanzate nel minor tempo possibile non potrà che far accrescere questa percentuale.
Il ritardo tecnologico dei paesi europei rispetto all’America rende questa dipendenza ancora più marcata. È illuminante da questo punto di vista l’episodio della minacciata interruzione dei servizi di Starlink all’Ucraina da parte di Elon Musk. I paesi europei non hanno al momento nessun servizio di banda larga satellitare in grado di sostituire Starlink e potrebbero non averlo per i prossimi anni (o non averlo mai). Inoltre, l’aumento vorticoso delle spese militari e l’emissione fuori controllo di titoli di debito non potrà che alimentare una spirale inflazionistica, in un contesto in cui già dominano tendenze inflattive. Lungi dal rilanciare l’economia europea, il piano della Von der Leyen rischia di darle il colpo di grazia.
Se la Russia è riuscita a sostenere l’aumento della spesa militare, ciò è stato possibile grazie al fatto che ha mantenuto ed accresciuto l’esportazione di materie prime e di altri beni, sostenendo così il valore del rublo. I paesi europei escono invece da questa guerra con un’industria martoriata, alti prezzi dell’energia e un drastico ridimensionamento dei propri mercati di sbocco tradizionali. La Francia è stata cacciata dai propri domini ex-coloniali in Africa, scalzata dalla Russia, e la Germania si ritrova tagliata fuori dai rifornimenti di gas russo a basso costo e con crescenti difficoltà a vendere le proprie merci su un mercato cinese sempre più competitivo; tutto ciò senza considerare i dazi di Trump.
Il riarmo dell’Europa, lungi dal garantire una maggiore indipendenza dall’imperialismo americano, non farà che approfondire la subordinazione politica, militare ed economica nei confronti di quest’ultimo. Quello che si otterrà sarà solo fare schizzare i debiti pubblici dei paesi europei, imporre riforme draconiane di austerità e alimentare una spirale inflattiva che eroderà ulteriormente i salari reali. Gli unici a guadagnarci, come sempre, saranno i grandi monopoli capitalistici, americani ed europei.
Guerra e rivoluzione
Il capitalismo europeo si trova in uno stato di declino irreversibile e sul piano globale viene accerchiato da avversari molto più potenti che minacciano di tagliargli qualsiasi sbocco verso l’esterno: Stati Uniti, Russia e Cina. Questo accerchiamento costringe e costringerà le borghesie europee a riarmarsi per non venire fagocitate dalle altre potenze e ad intensificare sempre di più lo sfruttamento della classe lavoratrice europea. Questo non potrà che accelerare le spinte centrifughe che già attraversano l’Unione Europea, dal momento che ogni paese cercherà di esportare la crisi, la disoccupazione, l’instabilità politica e la lotta di classe verso il proprio vicino. Il piano “Rearm Europe” è solo il preludio alla frammentazione e, forse, alla totale scomparsa dell’Unione Europea. La prospettiva più probabile è quella di un mosaico di staterelli armati fino ai denti, piegati dalla crisi economica e dall’instabilità politica, pronti ad azzannarsi l’un l’altro per raccogliere le briciole che cadono dalla tavola delle superpotenze.
In ultima istanza, l’unico vero ostacolo ai piani di riarmo delle borghesie europee e a guerre sempre più devastanti è la ribellione e la lotta contro il militarismo da parte della classe lavoratrice dei paesi europei. Gli eventi degli ultimi anni e il ruolo criminale della classe dominante europea in Ucraina e in Medio Oriente, mentre imponeva in patria recessione economica e brutale repressione nelle piazze, hanno scavato in profondità nella coscienza delle masse. L’inflazione, decenni di stagnazione salariale e di tagli ai servizi sociali hanno già portato all’esplosione di ondate di scioperi che hanno travolto la Germania, la Francia, la Grecia, ecc. I tentativi di questa stessa classe dominante di imporre ulteriori sacrifici non potranno che infiammare le polveri e provocare movimenti di massa ed esplosioni rivoluzionarie in tutti i paesi europei. La lotta di classe tornerà a irrompere con un’ampiezza e una forza che non si vedevano dagli anni ‘70, ponendo all’ordine del giorno la questione di quale debba essere la via d’uscita dalla crisi: l’economia di guerra e la miseria che i padroni vogliono imporre alla classe lavoratrice o la liquidazione del sistema capitalista e la creazione un’economia basata sul controllo democratico dei lavoratori sulla produzione. Per decenni, i propagandisti del capitale hanno raccontato la favoletta del “giardino ordinato” europeo, dove regnavano pace e progresso. La fine di questa bella illusione non potrà che fare chiarezza sull’unica vera alternativa che i lavoratori e i giovani europei si trovano di fronte: socialismo o barbarie.
• Contro l’imperialismo e la guerra!
• Libri, non bombe!
• Assistenza sanitaria, non spesa militare!
• Case, non caserme!
• Pace fra i popoli, guerra ai capitalisti!