“Rafah sta bruciando” – Civili massacrati a causa del bombardamento di un campo profughi da parte dell’IDF

A cinquant’anni dalla strage di piazza della Loggia
28 Maggio 2024
Gran Bretagna – Votiamo per Fiona Lali! Cacciamo i criminali di guerra!
31 Maggio 2024
A cinquant’anni dalla strage di piazza della Loggia
28 Maggio 2024
Gran Bretagna – Votiamo per Fiona Lali! Cacciamo i criminali di guerra!
31 Maggio 2024
Mostra tutto

“Rafah sta bruciando” – Civili massacrati a causa del bombardamento di un campo profughi da parte dell’IDF

di In Defence of Marxism

Domenica, milioni di persone in tutto il mondo hanno avuto un brivido di orrore collettivo, dopo che un attacco aereo dell’esercito israeliano ha devastato un campo profughi a Rafah, uccidendo almeno 45 persone. I social media sono stati inondati di immagini di uomini, donne e bambini, fatti a pezzi e carbonizzati, uccisi nel sonno. Lenin, una volta, scrisse che il capitalismo è orrore senza fine: a Gaza, queste parole sono incise con il fuoco e scritte con il sangue, davanti allo sguardo del mondo intero.

Come abbiamo scritto nelle scorse settimane, si supponeva che la città meridionale di Rafah servisse da rifugio per i palestinesi, sfollati dalla guerra spietata di Israele nella Striscia di Gaza, che ha già ridotto la città di Gaza in macerie, oltre che aver ucciso o ferito almeno 100mila persone. Ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha minacciato a lungo un’invasione della città del Sud, dichiarando che ciò era necessario per raggiungere l’obiettivo militare israeliano della distruzione di Hamas.

Nonostante settimane di tergiversazioni, e le pressioni da parte degli alleati occidentali di Israele a non procedere con l’operazione (non, dovremmo aggiungere, a causa di preoccupazioni per i palestinesi, bensì per paura che la situazione potesse andare fuori controllo), infine, essa ha avuto inizio tre settimane fa, con l’occupazione da parte di Israele del varco al confine con l’Egitto. Da allora, la città è stata sottoposta a un pesante bombardamento aereo e adesso i carri armati circolano liberamente nel centro di Rafah.

Un milione di palestinesi sono fuggiti da Rafah nelle ultime tre settimane, dopo essere già stati costretti a vagare avanti e indietro nella Striscia, più e più volte, nel corso degli ultimi sette mesi. E dove ci si immagina che debbano andare adesso questi disperati? Tutto ciò che li aspetta a Nord sono macerie lasciate dai bombardamenti, ordigni inesplosi e la totale assenza di infrastrutture basilari come i servizi igienici, l’acqua e le strutture mediche. Gli aiuti sono stati ridotti a poche briciole e la fame dilaga.

Coloro che rimangono a Rafah non possono fuggire in Egitto, dal momento che Israele controlla il passaggio. E, come abbiamo visto nei tragici eventi di domenica, anche nelle zone “sicure” della città, essi devono aspettarsi di essere fatti a pezzi o arsi vivi da bombe da una tonnellata, lasciate cadere sulle loro teste nel mezzo della notte. In altre parole, le loro opzioni sono: restare lì e rischiare di morire, oppure scappare e rischiare di morire.

L’esercito israeliano ha pubblicato una dichiarazione a proposito del bombardamento, in cui afferma di aver condotto un “attacco sulla base di dati di intelligence” con l’obiettivo di colpire due comandanti di Hamas. Secondo il portavoce del governo israeliano, Avi Hyman, “in qualche modo è scoppiato un incendio” in mezzo alle tende dei profughi, vicino ad una struttura dell’ONU nel quartiere di Tal al-Sultan.

Nonostante testimoni oculari affermino il contrario, Israele nega che l’attacco sia avvenuto nella zona umanitaria di al-Mawasi, nella quale i civili erano stati incoraggiati a spostarsi. La dichiarazione dell’esercito israeliano assicura che sono state prese “misure” per evitare danni collaterali e che “aveva calcolato che non ci sarebbe stato alcun danno previsto a civili innocenti”, aggiungendo che “si rammarica di qualsiasi danno a civili innocenti durante i combattimenti”.

Queste menzogne nauseabonde contrastano con il comportamento di Israele per tutta la durata della guerra. Quante volte campi profughi, ospedali, edifici residenziali, moschee e strutture dell’ONU sono state bombardate a Gaza per uccidere questo o quel singolo comandante di Hamas? Gli eventi di domenica sono di ordinaria amministrazione. Come ha detto alla BBC il rappresentante della UNRWA [agenzia ONU per i profughi palestinesi, Ndt] a Rafah : “Nessun luogo è sicuro a Gaza. Nessuno è al sicuro, inclusi gli operatori umanitari”. I social media sono pieni di messaggi di solidarietà e di rabbia di fronte a questo crimine orrendo, mentre “Rafah on fire” (“Rafah in fiamme”) e “Rafah is burning” (“Rafah sta bruciando”) sono diventati dei trend online.

Come sempre, l’esercito israeliano ha combinato la sua esternazione ipocrita di “rammarico” con la promessa di condurre un’“indagine”. Abbiamo già sentito questo ritornello: ogni volta che viene commesso un crimine di guerra, l’esercito israeliano insabbia l’indagine, per poi concludere che non c’è stato alcun misfatto. Così è stato, ad esempio, dopo l’omicidio della nota giornalista palestinese Shireen Abu Akleh ad opera di un cecchino israeliano, o dopo la sparatoria che ha ucciso 15 civili nel Nord di Gaza ad aprile, mentre si dirigevano verso un posto di blocco. Ci sono molti esempi di questa pratica routinaria di procedere e non c’è motivo di ipotizzare che questa volta sia diverso.

Il baratto di Netanyahu: vite umane per un’ancora di salvezza politica

Con una mossa insolita, Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in prima persona al parlamento israeliano, nella quale ha definito il bombardamento come un “tragico incidente”, ripetendo la promessa dell’esercito di indagare sull’accaduto. Questa presa di posizione, da parte di Netanyahu, che è solitamente indifferente davanti alla morte dei palestinesi, riflette la pressione dell’opinione pubblica. Questo è un indicatore della rabbia profonda che quest’ultima atrocità ha provocato, in un momento in cui i crimini di Israele stanno facendo montare la pressione in patria e all’estero.

Come abbiamo scritto all’inizio delle operazioni dell’esercito israeliano a Rafah, le considerazioni di Netanyahu sono mosse prima di tutto dalla politica interna. Egli deve fronteggiare una frustrazione crescente rispetto all’andamento della guerra, che non è riuscita, come è evidente, a distruggere Hamas, e rispetto all’assenza di un qualsiasi passo in avanti in direzione di una liberazione degli ostaggi nelle mani di questa organizzazione. Considerando la sua posizione nei sondaggi e il fatto che la principale coalizione di opposizione, riunita attorno a Benny Gantz, sta minacciando di fare pressioni per un’elezione anticipata appena la guerra sarà finita, Netanyahu sa che il proprio futuro dipende dal protrarsi del conflitto.

Allo stesso tempo, il suo governo di coalizione dipende dall’appoggio di banditi sionisti fondamentalisti di estrema destra come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, che hanno fatto sapere chiaramente le proprie intenzioni. Essi vogliono una nuova Nakba, con la totale liquidazione e/o espulsione dei palestinesi da Gaza e dai territori occupati. Questi estremisti reazionari hanno minacciato di far cadere il governo di Netanyahu e di imporre nuove elezioni, se venisse fatto qualsiasi passo in direzione di un cessate il fuoco duraturo.

Inoltre, Netanyahu è al centro di numerosi processi legali per corruzione, che egli può evitare finché rimane al potere. Di conseguenza, egli è fermamente intenzionato a portare avanti una invasione generale di Rafah e a proseguire la guerra il più a lungo possibile, con tutta la morte e la distruzione che ciò comporta. In altre parole, Netanyahu sta comprando un’ancora di salvezza per la sua carriera politica e la sua libertà personale con il sangue di migliaia di palestinesi innocenti.

Le conseguenze di questa intransigenza si riverberano ben oltre i confini di Israele. Le masse arabe in tutto il Medio Oriente provano un profondo senso di simpatia e di solidarietà nei confronti dei palestinesi. Ogni nuovo orrore perpetrato dall’esercito israeliano a Gaza fa aumentare la rabbia che ribolle sotto i piedi dei regimi dispotici della Giordania, dell’Egitto, del Kuwait, dell’Arabia Saudita, e così via.

Tutti i dittatori capitalisti che governano questi paesi sono stati smascherati dalla guerra di Gaza. Mentre si riempiono la bocca di discorsi sulle sofferenze dei propri “fratelli musulmani”, tutti loro stavano intraprendendo un processo di “normalizzazione” nelle relazioni con Israele prima dell’inizio del conflitto. Di conseguenza, nel migliore dei casi non hanno fatto nulla per aiutare i palestinesi e, nel peggiore, sono venuti direttamente in aiuto del regime sionista. Nel caso della giunta militare in Egitto e della famiglia reale in Giordania, lo hanno fatto agendo da guardie di frontiera per conto di Israele, accerchiando i palestinesi; oppure, nel caso dei Sauditi, hanno aiutato a proteggere Israele dai missili sparati dalle forze Houthi, che agivano in rappresaglia al massacro dei palestinesi.

Quando, in questi paesi, sono scoppiate proteste per chiedere di agire in difesa dei palestinesi, le forze dello Stato sono state mandate per reprimerle, contribuendo ad accrescere il malcontento. Se Netanyahu continua ad alzare la posta in gioco, la pressione sociale diventerà sempre più difficile da contenere per questi regimi. C’è il rischio di un’esplosione, che potrebbe far sì che la guerra si estenda oltre Gaza, o provochi una nuova ondata rivoluzionaria come quella che ha attraversato il Medio Oriente dopo il 2011, ma su un livello ancora più elevato.

Gli imperialisti temono di perdere il controllo

Questa possibilità non è sfuggita all’attenzione degli imperialisti in Occidente, che sono sempre più allarmati dall’impatto dell’assenza di scrupoli di Israele nel condurre questa guerra. L’ultima cosa che vogliono è che la guerra si allarghi o un’esplosione rivoluzionaria che potrebbe minacciare i loro interessi nella regione, oppure far piombare la già fragile economia mondiale in una recessione in piena regola.

Sono anche preoccupati per la propria situazione interna. In un paese dopo l’altro, ci sono state continue proteste e manifestazioni in solidarietà a Gaza negli ultimi sette mesi. Questo movimento ha ricevuto ulteriore impulso da una potente ondata di accampamenti studenteschi, allestiti in più di 100 università in tutto il mondo. Questa lotta ha resistito a una feroce repressione poliziesca, alle calunnie della stampa e a infondati attacchi giuridici, mentre Israele si prende gioco di tutti i principi del diritto internazionale.

Tutto ciò ha solo esasperato la rabbia e l’indignazione dei lavoratori e dei giovani in tutto il mondo e smascherato l’ipocrisia della cosiddetta democrazia capitalista, nella quale la libertà di espressione e di protesta è permessa finché non vengono minacciati gli interessi degli imperialisti e dei loro alleati.

Le scene infernali che arrivano da Rafah rischiano di gettare benzina sul fuoco. Ciò ha fatto andare nel panico le classi dominanti occidentali, tanto che politici che avevano totalmente appoggiato Israele finora (incluso il presidente francese Emmanuel Macron e il ministro degli Esteri inglese David Cameron si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni in cui criticano l’esercito israeliano e fanno appello a un cessare il fuoco. Tutto questo avviene in seguito al fatto che la Corte Penale Internazionale ha concesso ai procuratori di emettere mandati di cattura contro Netanyahu e Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano, per crimini di guerra, ordinando ad Israele di porre fine alle proprie operazioni a Rafah.

I leader israeliani hanno risposto con il solito sprezzo, accusando la più alta corte internazionale di essere mossa da “antisemitismo”. Le decisioni dei governi di Irlanda e Spagna di riconoscere la Palestina come Stato sono stati accolti dalle proteste accorate di Tel Aviv, per la quale ciò equivarrebbe a “premiare il terrorismo”.

Sebbene il presidente americano Joe Biden si sia schierato a difesa di Israele, condannando la CPI e ripetendo le sue lamentele rispetto a Spagna e Irlanda, il fatto è che l’imperialismo americano sta cominciando a perdere la pazienza nei confronti del suo principale alleato in Medio Oriente. Non bastano fiumi di rimproveri a dissuadere Netanyahu dal procedere nella sua direzione. Il problema è che i rimproveri sono tutto ciò che gli americani sono disposti ad utilizzare contro Israele. Al contrario, nonostante le lacrime di coccodrillo che stanno versando sui corpi carbonizzati di Rafah, tutti i governi occidentali – incluse Irlanda e Spagna – continuano ad armare e a finanziare la guerra di Israele a Gaza. Essi si sono legati al regime sionista assassino di Netanyahu, e nessuno è pronto a prendere alcuna misura concreta per proteggere i palestinesi.

Le dichiarazioni addolorate, cui abbiamo assistito negli ultimi giorni, sono un contentino per le masse in patria. Gaza è un fattore in molte elezioni, incluse Gran Bretagna e Stati Uniti, dove i principali partiti sono costretti ad onorare a parole l’idea che le vite dei palestinesi valgano qualcosa.

Biden intravede la sconfitta elettorale in alcuni Stati cruciali , qualora il voto dei giovani e dei musulmani gli volti le spalle. In Gran Bretagna, sia i conservatori sia i laburisti (che si sono schierati senza sfumature dietro Israele fin dall’inizio della guerra) hanno espresso la propria “preoccupazione” rispetto alla situazione a Gaza. Numerosi parlamentari laburisti, ai quali, salvo un miracolo, appare certa la vittoria schiacciante alle elezioni generali del 4 luglio, hanno rilasciato dichiarazioni identiche sui social media, in cui esprimevano dispiacere per i morti a Rafah, facendo appello a un cessare il fuoco, a una soluzione a due Stati e alla “messa in sicurezza di Israele”.

Nessuno li prende sul serio dopo che il segretario del Partito Laburista Keir Starmer ha dichiarato che Israele aveva il “diritto” di assediare Gaza e, ad ogni svolta, ha appoggiato il diritto di Israele a “difendersi”, sebbene ciò conduca a un genocidio.

Cacciamo questi ipocriti disgustosi!

Parallelamente, la stampa borghese ha cominciato a cambiare tono, mentre conduttori televisivi reazionari come Piers Morgan hanno scoperto da un momento all’altro che “massacrare così tante persone innocenti rintanate in un campo profughi è indifendibile”. Ci chiediamo perché Morgan era privo di una tale chiarezza morale quando Israele bombardava il campo profughi di Nuseirat, o quello di al-Maghazi, o tutte le altre volte in cui hanno distrutto un obiettivo civile.

Dietro tutta questa disgustosa ipocrisia, risiede il fatto che la questione della Palestina è diventata un fattore all’interno della lotta di classe in tutti i paesi del mondo. Nel mezzo di una crisi generale del capitalismo, essa è diventato un catalizzatore di tutta la rabbia e il malcontento per le guerre incessanti, la povertà, l’instabilità e l’ingiustizia.

Inoltre, milioni di persone hanno visto davanti ai propri occhi il doppio-pesismo di un sistema che si vanta di favorire la democrazia e un ordine basato sulle regole, ma che li getta a mare entrambi quando i suoi interessi vengono intaccati. Se il bombardamento su Rafah fosse avvenuto in un campo profughi, in una scuola o in un ospedale in Ucraina, non ci sarebbero stati dubbi sul fatto che la stampa e l’establishment politico occidentali avrebbero condannato l’ennesimo crimine di guerra russo, chiedendo subito sanzioni. Eppure, tutto quello che basta ad Israele è scusarsi a mezza bocca e continuare come prima: ricompensata per il disturbo con un flusso ininterrotto di denaro e di munizioni.

Gli eventi del 7 ottobre, nei quali centinaia di civili sono stati uccisi, sono stati sfruttati dalla stampa occidentale, che si è subito adoperata instancabilmente ad alimentare l’isteria, profondendo dettagli morbosi sulle atrocità di Hamas, alcuni dei quali non sono mai stati provati, e altri sono stati in realtà smentiti. L’obiettivo di tutto questo era di giustificare preventivamente la successiva rappresaglia e la punizione collettiva del popolo palestinese da parte di Israele, dipingendo l’intera popolazione di Gaza come barbarici “animali umani”. Una di queste menzogne preconfezionate, riprodotta da dozzine di giornali, era che Hamas decapitò bambini il 7 ottobre. Adesso, immagini inoppugnabili di bambini palestinesi decapitati dalle bombe dell’esercito israeliano sono davanti agli occhi di tutti.

E se ci sono state alcune voci critiche sulla stampa, non abbiamo visto nulla delle proporzioni del torrente di propaganda dopo il 7 ottobre. Né ci saranno conseguenze significative, mentre Israele cerca tacitamente di mettere questo sfortunato “incidente” sotto il tappeto. Una cosa che gli eventi degli ultimi sette mesi dovrebbero insegnarci è che, non importa quanto sangue innocente palestinese venga versato, questo non spingerà le nostre classi dominanti a prendere azioni decisive. Non c’è limite alla depravazione morale cui il regime sionista è capace di ricorrere che possa spingere gli imperialisti a rompere i legami con il proprio alleato strategico in Medio Oriente.

Ciò significa che l’unico modo di aiutare i palestinesi è che i lavoratori e i giovani inizino una lotta contro le proprie classi dominanti imperialiste in ogni paese della Terra. Una campagna coordinata di scioperi che colpisca le aziende chiave, che costruisca uno sciopero generale politico contro i guerrafondai, riuscirebbe ad isolare la macchina bellica di Israele. Una lotta rivoluzionaria è necessaria, in Medio Oriente e in tutto il mondo, per liberare i palestinesi dal loro incubo e mettere fine al sistema capitalista che è, in ultima istanza, la causa delle loro sofferenze. Non c’è tempo da perdere.

 

Condividi sui social