“Que se vayan todos” – Il malcontento sociale in Perù travolge la presidente golpista Boluarte

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di Jorge Martin (da www.marxist.com)

Quella che era iniziata come una protesta della gioventù contro una contro-riforma delle pensioni si è rapidamente trasformata in una crisi politica di enormi proporzioni. In un contesto di criminalità dilagante, corruzione persistente e disordini sociali, il movimento di massa ha costretto alle dimissioni la presidente golpista Dina Boluarte. Ma il tentativo di sostituirla dall’alto, con la nomina di José Jerí, non ha fermato le proteste. Il 15 ottobre è stato un giorno critico: un manifestante di nome Eduardo Ruiz è stato ucciso dalla polizia e centinaia di persone sono rimaste ferite.

Le proteste hanno preso slancio nel settembre 2025, con manifestazioni guidate principalmente dalla “Generazione Z”, particolarmente colpita dalla contro-riforma delle pensioni. L’esempio delle proteste di massa dei giovani in Asia, e in particolare l’incendio di edifici sede di istituzioni pubbliche in Nepal, è servito da ispirazione. Altri settori oppressi della popolazione si sono presto uniti alle proteste: i sindacati, i lavoratori dei trasporti (particolarmente colpiti dall’insicurezza) e gli studenti.

Le ragioni delle proteste vanno oltre la riforma delle pensioni: l’incapacità dello Stato di frenare la criminalità, il dilagare di furti e rapine e la sensazione che i criminali godano di una diffusa impunità sono stati i fattori scatenanti principali. La popolazione percepisce sia il governo che il Congresso come parte della criminalità organizzata, coinvolti in attività criminali e mafiose. Questa percezione si basa su fatti osservabili: il presidente golpista, il governo e i membri del Congresso stanno cercando di arricchirsi con denaro pubblico.

Un esempio è il ripristino da parte del Congresso del sistema bicamerale e la possibilità di rielezione senza limiti di mandato, nonostante questi siano stati respinti dal 90% della popolazione nel referendum del 2018. Questa “riforma” è stata vista come un modo per consentire a più “topi” di accedere alla mangiatoia statale, o di mantenere i propri privilegi passando da una camera all’altra, per rubare più soldi e concedersi più privilegi.

A ciò si aggiunge la richiesta di giustizia per le oltre 50 persone uccise nella repressione delle proteste contro il colpo di Stato contro il presidente Pedro Castillo nel dicembre 2022, attraverso il quale Boluarte ha consolidato il suo potere. Questo è anche il governo che ha rilasciato [l’ex dittatore] Alberto Fujimori e ha promulgato la legge di amnistia per il personale di polizia e militare che ha violato i diritti umani durante la “guerra sporca” (il ventennio tra gli anni Ottanta e Novanta, di conflitto tra lo Stato e la guerriglia di Sendero Luminoso, ndt)

Le manifestazioni sono iniziate il 27 e 28 settembre. Sono state accolte con una brutale repressione da parte della polizia, con almeno 19 feriti a Lima.

 

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I cortei, i blocchi stradali e le manifestazioni a Lima e in altre regioni hanno denunciato l’intransigenza del governo e il deterioramento delle condizioni di vita. Le proteste riflettono una crisi di legittimità dell’intero regime, che si esprime in uno degli slogan centrali delle proteste: «que se vayan todos» («se ne devono andare tutti»). Il tentativo di concedere concessioni, riformando le parti più indigeste della legge sulle pensioni, non ha fermato il movimento.

L’8 ottobre, un attacco criminale al gruppo musicale di cumbia Agua Marina mentre si esibiva in un centro ricreativo per sottufficiali dell’esercito ha riportato ancora una volta la questione della violenza criminale dilagante in primo piano nell’agenda politica. Questo incidente è stata la scintilla che ha acceso la polveriera della rabbia e della frustrazione tra la popolazione.

Il 9 ottobre, il candidato presidenziale del partito di destra Avanza País, Phillip Butters, è stato oggetto di un tentativo di linciaggio durante la sua visita elettorale a Puno, una delle regioni più colpite dalla repressione durante le proteste contro il colpo di Stato del 2022. Durante le proteste del 2022, Butters, senza motivo, ha accusato le vittime e più in generale la popolazione di Puno di aver causato disordini.

Mentre cresceva l’indignazione, i membri del Congresso di diversi partiti hanno presentato mozioni per destituire Boluarte dalla carica per “incapacità morale permanente”, alimentata in parte da scandali come il “Rolexgate”, il suo abbandono dell’incarico per sottoporsi a un intervento di chirurgia estetica, il raddoppio del suo stipendio per poter ricevere una pensione presidenziale più alta e le accuse di arricchimento illecito. Dina “Balearte” – dal grilletto facile, come è stata ribattezzata dal popolo ribelle – era, a causa del suo atteggiamento arrogante e sprezzante, un insulto costante alle grandi masse della popolazione.

L’idea era quella di sbarazzarsi della presidente, il cui indice di gradimento era diventato il più basso al mondo, appena il 2% (inferiore al margine di errore dei sondaggi), al fine di ripulire l’immagine del sistema.

 

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Come in altri paesi coinvolti nell’ondata della cosiddetta “rivoluzione della Generazione Z”, la corruzione e il lusso ostentato di chi sta in alto contrastano nettamente con le condizioni generali di povertà, miseria e mancanza di prospettive future di chi sta in basso. Ciò è particolarmente evidente nella generazione cresciuta dall’inizio della crisi capitalista nel 2008.

Nelle prime ore del 10 ottobre 2025, il Congresso della Repubblica del Perù ha dichiarato vacante la presidenza con 124 voti a favore, senza astensioni né voti contrari, un gesto politico insolito data l’ampiezza del sostegno trasversale. Boluarte, che non ha partecipato al dibattito né ha presentato alcuna memoria difensiva davanti alla plenaria, è stata dichiarata destituita in base alla disposizione costituzionale di “incapacità morale permanente”.

Questa manovra presenta alcune somiglianze con la destituzione di Martín Vizcarra dalla presidenza nel 2020, che ha scatenato massicce proteste dei giovani a Lima contro l’insediamento di Manuel Merino come suo successore. Anche allora c’era una profonda insoddisfazione nei confronti dell’intero establishment politico e le masse hanno rifiutato una soluzione dall’alto alla crisi politica.

Se Boluarte non fosse stata destituita, la rabbia popolare avrebbe potuto rovesciarla.

La differenza con la situazione del 2020 è l’avvicinarsi delle elezioni del 2026, per le quali sono già iniziate le campagne elettorali. In questo contesto, Dina Boluarte è diventata un utile capro espiatorio, il ronsoco (capibara – il roditore più grande del mondo) che copre la corruzione e la criminalità degli altri topi.

Dal punto di vista dei criminali al Congresso è più conveniente iniziare la campagna facendo sembrare che abbiano sempre voluto rimuovere Dina Boluarte e che alla fine ci siano riusciti, quando in realtà la stragrande maggioranza di loro sono suoi complici.

 

Rifiuto del nuovo presidente

Con la presidenza vacante e senza vicepresidenti disponibili, la Costituzione stabilisce che il presidente del Congresso assuma la presidenza della Repubblica. Così, José Enrique Jerí Oré, fino ad allora capo del Parlamento, ha prestato giuramento come presidente ad interim nelle prime ore del 10 ottobre.

Jerí, 38 anni, avvocato di professione e leader del partito “Somos Perú”, è passato dalla presidenza del Congresso (dal luglio 2025) alla guida del potere esecutivo. Nel suo discorso inaugurale ha promesso ‘riconciliazione’, un governo di transizione e una dichiarazione di “guerra al crimine”.

Sarebbe stato difficile trovare un altro candidato meno qualificato per risolvere una crisi di legittimità delle istituzioni borghesi. Jerí ha precedenti di violenza sessuale (archiviati dal procuratore generale) e diverse accuse (ancora pendenti) di arricchimento illecito e pagamenti irregolari.

La destituzione di Boluarte e la nomina di una figura così screditata come Jerí, invece di spegnere le fiamme della protesta sociale, non ha fatto altro che alimentarle.

 

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Il 15 ottobre, nell’ambito di una nuova chiamata allo sciopero nazionale, migliaia di persone hanno marciato per le strade di Lima, affrontando ancora una volta l’enorme e brutale apparato repressivo della polizia. La polizia era pronta a usare tutti i mezzi a sua disposizione per impedire ai manifestanti di raggiungere il palazzo presidenziale, per paura che lo bruciassero.

 

Durante gli scontri, un agente di polizia in borghese (terna) ha ucciso Eduardo Mauricio Ruiz Sanz, artista hip hop di 31 anni, noto con il nome d’arte “Trvko”, che apparteneva a un collettivo culturale nel quartiere San Martín de Porres di Lima. Un altro manifestante versa in gravi condizioni e decine di manifestanti sono rimasti feriti da pallini, gas lacrimogeni, ecc. Quel giorno, le forze di repressione sono state particolarmente dure con i giornalisti.

Nel 2020, il presidente Merino ha dovuto affrontare immediatamente un’ondata di proteste. La sua repressione ha causato la morte di due giovani e il suo mandato è crollato in soli cinque giorni. Jerí potrebbe fare la stessa fine.

 

Lezioni per il movimento

Il movimento di protesta in Perù ha dimostrato il suo coraggio, la sua tenacia di fronte alla repressione e la sua perseveranza, con manifestazioni che sono durate quasi un mese. Ha accelerato la cacciata dell’odiata Boluarte. Ma finora non ha la forza di abbattere l’intero regime.

Per andare oltre, è necessario imparare le lezioni delle recenti esperienze, sia dalle mobilitazioni contro la corruzione nel 2020 e dall’elezione del governo di Pedro Castillo, sia dalla resistenza di massa contro il colpo di Stato nel 2022-23.

In primo luogo, è fondamentale comprendere che la corruzione non è accidentale, ma è inerente a tutti i regimi capitalisti. Esiste nei paesi dominati dall’imperialismo, con una borghesia debole e parassitaria, come il Perù, ma anche nei paesi capitalisti “avanzati” come la Spagna, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, dove anche il lobbismo, la corruzione e l’assegnazione di appalti alla cerchia ristretta di ministri e politici sono all’ordine del giorno.

La richiesta di un governo “pulito” è in diretta contraddizione con l’esistenza stessa del sistema capitalista.

Anche l’esperienza del governo di Pedro Castillo (2021-22), eletto dalle masse operaie e contadine del Perù rurale e indigeno, che desideravano un cambiamento sostanziale delle loro condizioni di vita attraverso il controllo delle risorse naturali (gas e miniere), contiene importanti lezioni.

La lezione principale è che l’oligarchia capitalista non permetterà che il suo potere, le sue proprietà o i suoi privilegi vengano minimamente intaccati. Qualsiasi tentativo di moderare il proprio programma per compiacerla serve solo a demoralizzare le masse, a smobilitarle e quindi a spianare la strada al disastro. Lo slogan elettorale di Castillo “basta poveri in un paese ricco” poteva essere realizzato solo attraverso uno scontro frontale con i padroni del paese.

La lotta parlamentare può e deve essere utilizzata, ma sempre con la consapevolezza dei suoi limiti e come ausiliaria alla lotta delle masse nelle strade.

Anche il movimento insurrezionale contro il colpo di Stato del 2022-23 contiene importanti lezioni. La mobilitazione di massa è andata molto lontano e in alcuni momenti ha sfidato il potere dello Stato in tutto il sud del paese. Ma non è mai riuscita a coinvolgere la classe operaia nel suo insieme, in particolare nella capitale. La direzione della CGTP (Confederazione Generale dei Lavoratori del Perù) non ha mai avuto alcuna intenzione di mobilitare in modo decisivo la forza della classe operaia, in particolare dei minatori. Sono stati lanciati appelli, ma solo per mascherare la mancanza di una vera mobilitazione.

Ora il movimento è più forte nella capitale, anche se la sua base principale rimane la gioventù. Le altre regioni, sia nel sud che nel nord, rimangono in gran parte ai margini, forse a causa di un risentimento storico nei confronti della capitale, perché ogni volta che manifestano hanno la sensazione di essere “lasciate sole”.

Per rovesciare il regime corrotto e marcio dell’oligarchia capitalista e dei suoi rappresentanti politici (che siano sostenitori di Fujimori, la destra brutale e radicata, o la sinistra “al caviale” che fa il loro gioco), è necessaria la più ampia mobilitazione possibile della classe operaia e dei contadini indigeni poveri.

Per raggiungere questo obiettivo, è necessario un programma che faccia appello a tutti i settori oppressi. Gli slogan del momento sono:

  • Chiudere il Congresso – Devono andarsene tutti!
  • Assemblea costituente rivoluzionaria, con rappresentanti eletti dalle fabbriche, dai quartieri, dalle scuole e dalle organizzazioni contadine.
  • Pace, lavoro e terra.
  • Espropriazione dell’oligarchia capitalista e rinazionalizzazione delle risorse naturali.

 

E per raggiungere questo obiettivo:

  • Sciopero generale nazionale e blocchi stradali, in un’azione simultanea, fino alla caduta dell’oligarchia e dei suoi rappresentanti.
  • Organizzare comitati di lotta di tutti i settori degli oppressi in tutte le regioni, con un coordinamento nazionale.
  • Tutto il potere al popolo lavoratore!

 

20 ottobre 2025

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