Rivoluzione n° 93
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6 Dicembre 2022Lo scorso 20 novembre ha avuto inizio in Qatar la ventiduesima edizione della Coppa del mondo di calcio. Tra stadi refrigerati costruiti letteralmente nel deserto, la pretesa di emissioni zero e un’estetica innovativa, i vertici del mondo del calcio si sono spesi in una propaganda nauseante per presentare il Mondiale qatariota come un vero e proprio miracolo moderno. La verità, però, è un’altra ed è fatta di corruzione, sfruttamento dei lavoratori, mancato rispetto dei diritti umani e devastazione ambientale. Ma andiamo con ordine.
Il 2 dicembre 2010, a Zurigo, la FIFA assegnava rispettivamente a Russia e Qatar le edizioni del Mondiale del 2018 e del 2022. Sin da subito il Sunday Times rivelò un giro di ricche tangenti che sarebbero state pagate per supportare la candidatura del Qatar, ma per il mondo del pallone Qatar2022 sembrava lontanissimo e con esso tutte le nefandezze che sarebbero venute a galla.
Al contrario, la monarchia del Golfo si mostrava lungimirante e iniziava a mettere radici nel calcio europeo: la compagnia aerea Qatar Airways è oggi partner ufficiale della FIFA, dell’UEFA e della CONMEBOL (la confederazione calcistica sudamericana) e, in passato, è stata main sponsor di squadre come Barcellona e Bayern Monaco; nel 2011, il fondo sovrano Qatar Investment Authority acquisiva il Paris Saint Germain, rendendolo uno dei club più ricchi al mondo. Il suo presidente Nasser Al-Khelaïfi, a capo dell’European Club Association, è tra i principali azionisti della Volkswagen, proprietaria dei tedeschi del Wolfsburg, e di Barclays, partner di vecchia data della Premier League. Inoltre, il network beINSports si spartisce i diritti televisivi di numerosi eventi calcistici europei. In poco più di un decennio la presenza qatariota nel grande calcio si è fatta imponente e il campionato del mondo in corso è solo il più scenografico dei risultati.
I riflettori sul Mondiale dell’emirato si sono parzialmente accesi quando, nel maggio 2015, è scoppiato il più grande scandalo di corruzione che il calcio ricordi: in manette finirono il presidente della FIFA, Sepp Blatter, ed altri altissimi dirigenti, molti dei quali avevano votato per l’assegnazione del Mondiale al Qatar. Tra questi figurava Michel Platini, celebre ex calciatore prestato alla burocrazia del pallone, uno dei commensali alla cena che si tenne all’Eliseo due settimane prima di quel 2 dicembre di cui sopra: a quella tavola, oltre all’ex presidente Sarkozy, sedeva Tamim bin Hamad Al Thani, oggi emiro qatariota. Dopo quella sera, il Qatar vide assegnarsi il Mondiale, acquisì la prima squadra di Parigi e diede il via a un piano di investimenti miliardari in terra francese. Alla faccia di chi ancora sostiene che calcio e politica devono rimanere separati.
La bomba è scoppiata però lo scorso anno, quando un’inchiesta del Guardian ha rivelato le condizioni “prossime alla schiavitù” in cui versavano i lavoratori occupati nella costruzione di stadi e infrastrutture in vista di Qatar2022: stipati in squallide baracche, costretti a turni di 12 ore per 30 giorni al mese e retribuiti con paghe misere (in media 275 dollari al mese), senza alcun tipo di tutela. Il quotidiano inglese parla di almeno 6500 lavoratori morti in 10 anni, tutti provenienti dai vicini paesi dell’Asia meridionale. Il 95% della forza lavoro del Qatar, infatti, è costituita da lavoratori migranti, che vengono reclutati attraverso la Kafala, un sistema che genera gravi forme di sfruttamento poiché permette ai datori di lavoro non solo di stabilire orari, retribuzione, ecc., ma anche di limitare la libertà personale dei lavoratori requisendone i documenti. In Qatar è illegale sia scioperare che formare dei sindacati e i lavoratori che hanno provato a far sentire la propria voce sono stati ignorati o arrestati.
Interpellato da Associated Press sulla questione, Gianni Infantino, attuale presidente della FIFA ha dichiarato che: “Quando dai lavoro a qualcuno, anche in condizioni difficili, gli dai dignità e orgoglio.” Del resto, dal Mondiale qatariota la FIFA guadagnerà quasi 5 miliardi di dollari, quanto basta per seppellire sotto la sabbia del deserto non solo i diritti dei lavoratori e delle minoranze, sistematicamente calpestati nell’emirato, ma anche le voci di dissenso. Sempre Infantino, nella lettera inviata alle 32 nazionali partecipanti, ha invitato a tralasciare le battaglie ideologiche e a “pensare solo al pallone”: un capolavoro di sportwashing, in cui non saranno graditi fuori programma, in campo come sugli spalti. Nel migliore dei casi è un silenzio assordante quello che si leva dagli addetti ai lavori. In Italia, ad esempio, il dibattito è pressoché inesistente. La mancata qualificazione degli azzurri ha tolto dall’imbarazzo i vertici del nostro calcio, che con la monarchia qatariota hanno legami recenti: a Doha sono state disputate le edizioni 2014 e 2016 della Supercoppa italiana. Il silenzio è letteralmente d’oro.
Sostanzialmente, il messaggio è il seguente: quel che è fatto è fatto, ora è il momento di far fruttare l’investimento e tutelare il ritorno economico della FIFA e degli sponsor (Coca-Cola, Hyundai, Adidas e Visa, tra gli altri). Non stupisce, quindi, che a denunciare l’organizzazione criminale di questo Mondiale siano rimaste le sole tifoserie organizzate, spesso costituite da giovani e lavoratori che ben conoscono le dinamiche di un calcio sempre meno “popolare”. Il calcio non è immune alle logiche capitalistiche. Tentativi come quello della creazione della Superlega rappresentano l’istituzionalizzazione di un sistema oligarchico, dove il divario tra i – pochi – club più ricchi e i restanti si fa sempre più ampio. La tendenza all’accumulazione e al monopolio è ben visibile nel fenomeno delle multi-club ownerships per cui, ad esempio, il City Football Group controlla 11 società calcistiche sparse in quattro continenti. Nel frattempo, i servizi di pay-per-view gestiscono i calendari, mentre l’aumento dei prezzi dei biglietti e decenni di politiche repressive negli stadi selezionano fasce sempre più elitarie di tifosi. Il calcio che seguiamo abitualmente non è più “puro” di quello che si gioca in questo Mondiale che, in tal senso, un pregio pure ce l’ha: dimostra, senza infingimenti, che il calcio dei padroni è nient’altro che ricerca e massimizzazione del profitto a ogni costo, specchio fedele del sistema marcio in cui viviamo.