L’Internazionale comunista e la Germania – L’appuntamento mancato con la rivoluzione
26 Ottobre 2019Nè la repressione, nè le false concessioni hanno fermato l’insurrezione cilena!
29 Ottobre 2019Dopo due settimane dalle elezioni parlamentari, il nuovo governo formato del PS (Partito Socialista), vincitore delle consultazioni, entrerà ufficialmente in carica questa settimana. Se questo è un dato certo, non è altrettanto chiaro in che misura e come, i potenziali “alleati” del PS (Bloco de Esquerda, coalizione Partito Comunista e Verdi, PAN, LIVRE) sosterranno questo governo, soprattutto il BE. Esclusa la possibilità di una “geringonça” (alleanza) identica a quella del 2015 e di un accordo scritto di governo, le negoziazioni tra il PS e gli altri partiti, sulle singole leggi e i singoli bilanci da approvare, continueranno nel corso di tutta la legislatura.
I risultati delle elezioni
Nelle elezioni legislative del 6 ottobre il PS, così come anticipavano i sondaggi, si è confermato come primo partito con il 36,34% dei voti (crescendo poco di più del 4% rispetto al 2015). Non ha tuttavia raggiunto la maggioranza assoluta, quel 40% necessario che gli avrebbe permesso di governare da solo senza accordi con nessuna altra forza. Il PS si è trovato quindi costretto a chiedere sostegno alla legislatura agli altri partiti definiti di sinistra o centro sinistra.
Nel 2015 lo scenario era stato completamente differente. Quelle elezioni legislative erano state vinte, anche in questo caso senza maggioranza assoluta, dal partito di centro destra PSD in coalizione con il democristiano CDS, lasciando in seconda posizione il PS. Da qui la necessità per i socialisti di Antonio Costa, di cercare una sponda “a sinistra” nei partiti BE e PCP-Verdi per poter governare, e di stipulare con loro un accordo scritto di appoggio esterno al governo (la geringonça appunto).
Il Bloco de Esquerda e la coalizione PCP-Verdi hanno invece in queste elezioni raggiunto rispettivamente il 9,52% e il 6,33% di voti. Un risultato inferiore rispetto alle elezioni del 2015 (10,19% BE, 8,25% PCP-Verdi) e nel caso del PCP decisamente più ridotto. Sono invece cresciuti, raddoppiando i loro voti rispetto al 2015 due piccoli partiti: l’ecologista PAN e il LIVRE. Con 4 deputati in Parlamento il PAN e 1 il LIVRE, queste due forze sono state invitate dal PS a fornire il proprio appoggio al governo allo stesso modo di BE e PCP-Verdi.
I due partiti di destra, PSD e CDS, che in queste elezioni non si sono uniti in coalizione come nel 2015 ma hanno gareggiato da soli, hanno avuto entrambi un risultato disastroso. Se come coalizione nel 2015 si delineavano come primo partito con il 36,86% dei voti, raggiungono oggi il 27,76% dei voti il PSD e un misero 4,22% il CDS. Due nuovi partiti di destra fondati da pochi mesi: Iniciativa Liberal e Chega, riescono invece con il 1,29% di voti ad eleggere un deputato ciascuno.
L’astensione, il “partito più grande”
Un dato che non è possibile ignorare di queste ultime elezioni è l’altissima astensione che le ha caratterizzate: 51,4%. Una percentuale altissima sulla quale è necessario riflettere. A partire dalle prime elezioni libere dopo la dittatura del 1975, nel quale il tasso di astensione era stato del 8,5%, la percentuale è continuata ad aumentare in modo esponenziale fino a raggiungere il 41,9% nel 2011, anno dell’applicazione delle misure della troika e il 44,1% nel 2015.
Rilevante è anche il numero dei portoghesi che vivono all’estero, quest’anno recensiti in maniera automatica, che non hanno votato. In questo caso è possibile vedere un tasso di astensione, sempre in ascesa negli anni, che raggiunge oggi l’impressionante percentuale dell’89,2%. Anche volendo in parte giustificare questi dati con le varie difficoltà tecniche che possano esistere nell’esercitare il diritto al voto in altri Paesi, è importante sottolineare che il fenomeno dell’emigrazione, storicamente molto forte in Portogallo, a causa della debolezza del sistema economico, seppur lievemente diminuito, non si è mai fermato neppure negli ultimi quattro anni di ripresa economica. A partire dalla crisi del 2011 fino alla fine del 2018 sono emigrati quasi un milione di portoghesi, la maggior parte di questi con età compresa tra i 20 e i 29 anni.
Le ragioni dell’emigrazione giovanile e quelle dei dati complessivi dell’astensione sono strettamente connesse. È la stessa fascia d’età che maggiormente non partecipa alle elezioni, sia che viva ancora in Portogallo o che sia emigrata. Sono un esempio di ciò i dati delle ultime elezioni europee: di fronte a un tasso complessivo di astensione del 68,6% quella giovanile (18-24) si attestava all’81%.
Le ragioni di ciò, dipinte dai media borghesi, come un disinteresse generale dei giovani verso la politica, non sono un mistero. Depredati di ogni possibilità di futuro nel tempo nella Troika e costretti ad emigrare, sottoposti anche oggi, nonostante la ripresa economica, a lavori precari e sottopagati o a tasse d’istruzione altissime e mancanza di alloggi universitari, non trovano nessuna forza politica che rappresenti i loro interessi.
Eppure i giovani continuano ancora ad interessarsi alla politica anche se non attraverso i partiti tradizionali. Le ultime manifestazioni sul problema climatico, che hanno visto una vasta partecipazione di giovani e giovanissimi in tutto il mondo, sono state molto partecipate anche in Portogallo. Ciò a testimonianza della grande potenzialità di una generazione che non è appena silenziosa ma sta cercando altri mezzi di espressione.
PCP e Be non crescono ma perdono voti
Entrambi i partiti di sinistra, BE e PCP, seppur con le rispettive differenze, hanno impostato la loro campagna elettorale sulle parole d’ordine del: “Più forza (più voti) per i nostri partiti”. Nella misura in cui questo si sarebbe realizzato le misure a sostegno della popolazione strappate al PS durante la precedente legislatura (1) sarebbero diventate ancora più numerose e più incisive. Sostanzialmente puntavano entrambi ad una riproduzione del passato esperimento di appoggio esterno al governo. Il BE, ancora più ottimistico sui propri risultati dichiarava espressamente la sua ambizione a diventare una forza di governo.
I risultati delle elezioni del 6 ottobre hanno invece delineato uno scenario differente, non solo questi due partiti non sono cresciuti ma hanno perso voti rispetto al 2015, confermando quanto già era apparso nei risultati delle ultime elezioni europee. La perdita di voti, tranne in alcuni casi dove solo il BE ha conquistato dei voti perdendoli altrove, è stata omogenea in tutti distretti. Nei distretti principali dove è concentrata la maggioranza dei lavoratori, Porto e Lisbona, entrambe le forze hanno perso molti voti. Lo stesso è accaduto nel distretto di Setúbal, dove l’anno scorso aveva avuto luogo la dura lotta dei lavoratori portuali (decisamente ignorata dal PCP e dalla CGTP) dove il PCP, fino al 2015, aveva continuato a guadagnare consensi.
In entrambi i casi è chiaro che l’esperienza di appoggio al governo non abbia beneficiato il PCP e il BE e che molti dei loro voti si siano spostati invece verso il Partito Socialista. L’idea del PCP e BE come paladini dei diritti dei lavoratori contro il PS, è decisamente scricchiolata dopo l’approvazione dell’ultima modifica del codice del lavoro da parte del Parlamento, che non solo non ha cancellato le misure negative introdotte durante il periodo della Troika ma a queste ne ha aggiunte altre peggiorative, di allargamento del periodo sperimentale per giovani al primo lavoro o disoccupati da lungo tempo e di estensione della durata dei contratti brevi.
È opportuno tuttavia fare una differenziazione tra BE e PCP e cercare di capire perché, seppure entrambi i partiti non conquistino voti nelle ultime elezioni, l’uno riesca, pur diminuendo la sua percentuale, a conservare lo stesso numero di deputati mentre l’altro, il PCP, subisca un deciso ridimensionamento. A livello mediatico, il BE ha difeso il voto per la propria forza politica come unico antidoto ad una possibile e pericolosa maggioranza assoluta del PS. Ha fatto ciò anche attraverso una personalizzazione degli scontri avvenuti in Parlamento tra il leader del Bloco, Catarina Martins e il leader del PS, Antonio Costa. Inoltre, l’immagine di un partito “giovane” e aperto ai nuovi movimenti come quello LGBT per esempio, quale il Bloco, in contrapposizione al tradizionale PCP, votato da un elettorato maturo e generalmente conservatore, lontano da questi temi, è stato uno dei motivi del diverso successo dei due partiti.
Al di là di questi aspetti, è necessario considerare che il BE non è strutturalmente organizzato nelle organizzazioni sindacali, sebbene abbia qualche militante, sparso qua e là nelle lotte. Il caso del PCP è differente, ha basi radicate e forte influenza nella CGTP, il principale sindacato portoghese. È facile percepire allora come l’immobilità della CGTP di fronte al governo, complice l’appoggio esterno del PCP allo stesso, abbia punito maggiormente questo partito piuttosto che il Bloco.
Inoltre il PCP non solo si è limitato a tenere a freno la CGTP ma ha assunto anche un atteggiamento ostile verso i nuovi piccoli sindacati che in questi anni sono nati nel corso delle lotte dei lavoratori di varie categorie (professori, infermieri, autisti di materie pericolose, etc.) proprio come risposta ad un’esigenza di radicalità maggiore. Se alcuni di questi sindacati potevano avere a livello generale un orientamento politico confuso, ciò non toglie che le esigenze dei lavoratori che vi facessero parte non fossero corrette . La principale critica del PCP è stata quella sulla confusione politica, insieme a quella di dividere e indebolire l’intero movimento sindacale. Tuttavia a questi lavoratori non è stata offerta una reale alternativa e sono stati denigrati insieme alle loro organizzazioni.
In maniera parallela alla nascita dei nuovi sindacati i movimenti che hanno visto maggiore partecipazione di piazza sono stati quelli che non sono tradizionalmente considerati dalla CGTP e dal PCP. Alcuni esempi di questi movimenti sono stati (oltre al già citato tema dei cambiamenti climatici), quello per il diritto alla casa e per i diritti delle donne. L’8 marzo di quest’anno ha visto per la prima volta nella storia del Portogallo, cinque sindacati (esterni alla CGTP) proclamare lo sciopero delle proprie categorie. La CGTP è stata contestata pubblicamente da molti per non aver fatto lo stesso e per aver indetto invece una manifestazione per il giorno successivo.
Un altro effetto di questo processo, visibile a livello elettorale, è stata la crescita dei due piccoli partiti PAN e LIVRE. Il primo, partito ecologista e dei diritti degli animali, fondato dieci anni fa, è un partito di cause che non si definisce né di destra né di sinistra. Raddoppia i suoi voti in soli quattro anni per effetto del rinnovato interesse per le questioni climatiche. Non succede lo stesso ai Verdi, in coalizione con il PCP poiché considerati subalterni o indistinguibili dallo stesso. Il secondo partito, rappresentante in Portogallo del DiEM25 di Varoufakis, elegge per la prima volta una deputata che è originaria della Guinea Bissau ed è attivista antirazzista. La stessa è stata identificata come baluardo di difesa dei diritti delle minoranze in virtù di proposte come quella dell’attribuzione della nazionalità immediata ai figli degli immigrati o la creazione di quote etniche in Parlamento.
La sconfitta delle destre storiche e le nuove destre
I due storici partiti di centro-destra, PSD e CDS, si sono trovati, all’indomani delle elezioni, di fronte alla peggiore sconfitta di sempre a partire dal 1975 e sono entrati in un processo di ristrutturazione interna che li ha portati ad interrogarsi se i loro risultati non dipendessero dall’essere una forza di centro-destra piuttosto che chiaramente di destra. I due partiti sono stati identificati come simboli dell’austerità del periodo precedente e al tempo stesso non sono stati in grado di delinearsi come un’alternativa affidabile per la borghesia.
In fin dei conti, nei quattro anni di governo dei Socialisti, l’economia ha consolidato quella stabilità necessaria per permettere alle imprese di ricominciare a moltiplicare gli utili, il costo del lavoro è rimasto basso e i diritti dei lavoratori ampliamente ridotti durante la crisi, non sono stati ripristinati. Quali ragioni avrebbe la borghesia per lamentarsi del suo operato e per scegliere di affidarsi di nuovo alla destra? Per ora nessuna. Da qui il pessimo risultato dei due partiti di destra che comunque non sono morti ma sono ancora lì presenti, caso voglia che l’ombra della recessione, diventando reale, imponga la necessità dell’applicare misure più dure nei confronti dei lavoratori o nel caso Antonio Costa, influenzato dalle sinistre, non si dimostri più così disponibile, come adesso, nei loro confronti.
Al tempo stesso, due nuovi partiti di destra sono entrati in Parlamento, Iniziativa Liberal e Chega, erodendo qualche consenso alla vecchia destra. Il secondo partito, il cui nome significa “Basta”, si definisce come anti-sistema e anti-corruzione e ha nel suo programma proposte xenofobe e populiste (tra le quali la riduzione del numero dei deputati). Il suo approccio è molto simile a quello della Lega in Italia o del Vox in Spagna. Fa appello demagogicamente sia alla classe media che agli strati più arretrati della classe lavoratrice. Ciò attraverso un’aperta politica razzista e la solita retorica contro le minoranze o gli immigrati. Si afferma fortemente non solo nelle aree rurali di Santarem, Portalegre e Évora ma anche a Lisbona, nei distretti operai di Setúbal e Beja e in Algarve, e riceve circa il 2% in ciascuno di questi territori.
Quanto detto da Chega e dal BE subito dopo le elezioni, esemplifica perfettamente in che modo l’estrema destra abbia potuto guadagnare voti nelle frange più povere della classe operaia e nei territori tradizionalmente considerati di sinistra. Le rispettive dichiarazioni dei leader dei due partiti si sono differenziate infatti in questo modo: mentre la leader del BE ha rinnovato il suo sostegno al governo del PS, André Ventura di Chega ha definito esplicitamente il suo partito come “contrario al sistema”.
Tra le tante eccezioni della politica portoghese acclamate in maniera entusiasta dalla stampa borghese straniera ad esempio del carattere di sinistra della stessa, una non è più tale. Per la prima volta dopo la dittatura, nel parlamento portoghese è presente un deputato di estrema destra. Il Portogallo cessa in questo modo di essere una delle quattro nazioni europee senza la presenza dell’estrema destra in parlamento.
É chiaro che i numeri della nuova destra sono ancora bassi e sono inoltre da porre in relazione con la sconfitta della destra storica. Resta però il monito da rivolgere ai partiti di sinistra: se si comprometteranno troppo con il “sistema” si aprirà lo spazio alla proliferazione dei “mostri populisti” dell’anti-sistema anche in Portogallo come altrove in Europa. Altrimenti è inutile poi piangere sul latte versato e accusare i lavoratori di spostarsi a destra.
Prospettive economiche e politiche per il prossimo periodo
Così come le elezioni di quattro anni fa ci consegnavano di fronte uno scenario diverso, anche le attuali prospettive economiche sono completamente differenti. Le prospettive più ottimistiche di crescita portoghesi per il 2020 sono di un 1.9/2%. La FMI parla di un 1,6%. Si tratta di una crescita superiore a quella prevista per la zona euro ma comunque inferiore agli incoraggianti dati degli anni precedenti (3,51-2017, 2,44-2018, 2-ottobre 2019). Il debito pubblico continua al tempo stesso ad essere uno dei più alti d’Europa, dietro Grecia e Italia (123% del PIL), mentre gli investimenti pubblici, in diminuzione costante a partire dal 2015, si prevede possano essere pari al 2,1% del PIL.
L’economia portoghese (cresciuta negli ultimi anni a causa dello sviluppo del turismo, della speculazione immobiliare e del basso costo della manodopera) vede la maggior parte delle sue esportazioni verso Paesi europei che sicuramente subiranno gli effetti di un’annunciata recessione. Le condizioni di mantenimento dell’economia portoghese sono a livello complessivo del tutto instabili e altamente dipendenti dal quadro europeo.
In questo contesto è altamente difficile che a livello politico BE e PCP riescano a strappare al PS qualche misura reale a sostegno dei lavoratori se ciò non è accaduto negli anni migliori dell’economia. Oltretutto escono fuori dalle elezioni indeboliti. O meglio, BE e PCP potrebbero farlo solo se si delineassero chiaramente come opposizione alle politiche del PS e se decidessero di mobilitare seriamente i lavoratori. In uno scenario economico negativo questa scelta da quale parte stare, tra il PS o a difesa dai lavoratori, avrebbe un contorno ancora più netto di quello attuale.
Il PS ha invitato anche i nuovi partiti, PAN e LIVRE, ad appoggiare il nuovo governo, ciò per avere più libertà di manovra con i suoi possibili alleati politici. Non esiste nessuno accordo scritto tra loro e nemmeno con il PCP e il BE. Ogni proposta di legge sarà discussa e negoziata singolarmente. Per approvare il bilancio dello stato così come altre leggi, il PS che ha eletto 108 deputati, ne ha bisogno di altri 8. Ha di conseguenza necessità che o il PCP (12 deputati) o il BE (19 deputati) votino a favore, perché i deputati del PAN e del LIVRE (5 in totale) da soli non bastano.
L’alleato più probabile del PS è il BE. Seppur il PS ha rifiutato un accordo scritto con il BE, dove il BE avrebbe dovuto inserire le sue proposte, le ambizioni del BE del diventare il principale ago della bilancia del futuro governo, sono ancora intatte. Il PCP ha invece rifiutato fin dal principio qualsiasi tipo di accordo scritto e di nuova geringonça e si dice anch’esso pronto a negoziare legge su legge. L’obiettivo è quello di fermare l’emorragia di voti che interessa le sue file e che ha avuto origine proprio dalla passata compromissione con il governo.
La situazione che appare non è quella di una piena stabilità nemmeno politica. Ferma restando la dichiarata fedeltà del BE al PS, gli equilibri tra i vari partiti potrebbero modificarsi rapidamente. Il PS che non ha mai nascosto di voler arrivare ad essere maggioranza assoluta, stufo di dover sempre contrattare il suo potere, potrebbe avere l’intenzione di far durare di meno la legislatura e con un pretesto convocare nuove elezioni.
Nell’incertezza generale, politica e economica, rimangono evidenti le problematiche di vita di studenti e lavoratori, con i gravi problemi abitativi, di accesso allo studio e alla salute, di salari che sono tra i più bassi d’Europa e precarietà dilagante. Contraddizioni forti che non rimarranno inespresse per molto tempo, al di là di qualsiasi scenario parlamentare che si possa delineare nel prossimo periodo.