Congresso Cgil – Da Landini nessuna risposta, i lavoratori devono riprendere la parola!
1 Marzo 2023La vittoria di Elly Schlein e il futuro del PD
1 Marzo 2023La lettura di questo articolo scritto dai nostri compagni britannici di Socialist Appeal è di grande interesse. Partendo dalla situazione nel loro paese, sottopone a una critica serrata le cosiddette “politiche identitarie”. Promosse da alcuni attivisti come strumento per combattere l’oppressione, le politiche identitarie vengono utilizzate in maniera crescente dall’establishment per attaccare la sinistra e il movimento operaio. I lavoratori e i giovani devono rispondere per mezzo della lotta di classe rivoluzionaria.
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Con la nomina di Rishi Sunak a primo ministro, politici e commentatori di destra e di regime hanno colto l’opportunità per complimentarsi con se stessi di fare parte di una società così moderna e progressista da avere un membro di una minoranza etnica alla guida del paese.
La carica a Primo ministro di Sunak è accompagnata dalla nomina a ministro dell’Interno di un’altra figura politica di origine indiana, Suella Braverman. Sarebbe corretto dire che il loro governo è non solo molto reazionario in generale, ma anche, nello specifico, contro gli immigrati. Infatti, la Braverman incolpato gli indiani di essere i principali responsabili delle violazioni della frontiera britannica.
Grazie a fatti come questo, sta diventando sempre più ovvio alla maggior parte delle persone di sinistra che le politiche identitarie non sono solo inconsistenti, ma sono di fatto uno strumento cinico della destra per seminare confusione e divisione.
Un cavallo di Troia
Infatti, attraverso un processo di prove ed errori, la classe dominante ha selezionato le politiche identitarie come propria arma principale contro la sinistra. Ha scoperto che il carattere soggettivistico di questa moda del momento e il suo essere apparentemente di sinistra o progressista, non ha prezzo.
I dirigenti delle organizzazioni di sinistra hanno paura di respingere le false accuse di razzismo o di misoginia per paura di apparire reazionari. Come gli abitanti di Troia, la sinistra ha accettato e portato al suo interno le armi del nemico. Di conseguenza, il movimento si trova sempre più sotto attacco proprio dall’interno delle sue mura.
Ciò che caratterizza le politiche identitarie è il loro individualismo soggettivistico. Esse non sono interessate alle cause oggettive dell’oppressione, né a proporre una qualsiasi lotta collettiva per mettere fine all’oppressione stessa. Al contrario, si concentrano soltanto sulle esperienze dei membri dei gruppi oppressi presi come singoli individui.
Esse assumono che solo gli individui del gruppo oppresso in questione hanno la capacità di comprendere – o il diritto di rappresentare – quel gruppo oppresso. Ed insistono sul fatto che ogni accusa di razzismo, sessismo, etc, debba essere automaticamente accettata quando viene sporta da un membro di un gruppo oppresso. Se questa accusa viene respinta da qualcuno, questo fatto in sé, automaticamente, diventa a sua volta un atto di oppressione.
Questo soggettivismo è molto utile alla classe dominante. Non solo mette all’angolo qualsiasi tentativo di comprendere come il capitalismo e la società di classe producano necessariamente l’oppressione, ma permette loro anche di indebolire la sinistra dissolvendone le organizzazioni collettive in favore di una lotta puramente simbolica.
Piuttosto che lottare per un programma politico che può liberare i gruppi oppressi, individui di destra o apolitici che si trovano a essere personalmente parte di un gruppo oppresso possono essere prmossi e persino scelti per posizioni di comando – il tutto come se si stesse facendo un passo in avanti sul cammino della liberazione.
Rappresentanza e oppressione
Si dà il caso che adesso quasi tutti i sindacati, i partiti dei lavoratori e le altre organizzazioni di sinistra dispongano quote o cariche riservate negli organismi dirigenti per i membri delle minoranze e dei gruppi oppressi. Questo viene accettato quasi senza riserve.
Si suppone che ciò assicuri una rappresentanza sufficiente per i gruppi che sono stati storicamente molto sotto-rappresentati e oppressi. Tuttavia, se guardiamo più attentamente, è chiaro che questa politica ha molto poco a che vedere con la liberazione di questi gruppi nella loro interezza ed è invece basata sulla concessione di posizioni simboliche a pochi individui. È come se fosse più importante che alcuni individui giungano a essere “una voce”, un “modello” per le persone oppresse, piuttosto che lottare in maniera effettiva per la liberazione.
Questo diventa chiaro quando i difensori di queste politiche attaccano persone bianche, o uomini, per aver osato esprimere un’opinione su come lottare il razzismo o la misoginia. L’obiezione non è che le loro idee siano sbagliate, ma semplicemente che questi individui non potranno mai comprendere cosa si prova a subire razzismo o misoginia e che, prendendo la parola, essi stanno sottraendo tempo e spazio alle persone dei gruppi oppressi.
Ma una tale obiezione perde di vista completamente il compito del movimento dei lavoratori, che non è “dare voce” alle esperienze di oppressione, bensì di comprendere la base storica di essa e di proporre soluzioni politiche.
Karl Marx non ha mai lavorato come schiavo salariato, ma questo non è un problema, poiché l’obiettivo del Capitale non è di descrivere l’esperienza di essere un lavoratore sfruttato. È l’analisi teorica, materialista storia delle leggi del capitalismo e, in quanto tale, esso spiega perché il capitalismo deve sfruttare la classe operaia e deve periodicamente incappare in crisi economiche.
Dovremmo forse ignorare le intuizioni teoriche di Marx e basare invece il nostro movimento semplicemente su descrizioni dettagliate di cosa voglia dire essere un lavoratore sfruttato?
L’ipocrisia delle politiche identitarie nel movimento operaio diventa chiara quando constatiamo quanto siano inconsistenti nel momento della loro applicazione.
Nella sinistra del Partito Laburista, ad esempio, il sistema delle quote per i gruppi oppressi trova un appoggio quasi unanime. E tuttavia, quando Corbyn si candidò in contrapposizione a Yvette Cooper e Liz Kendall, nessun attivista di sinistra suggerì di votare per queste candidate donne contro Corbyn, anche se si candidavano a essere le prime donne nella storia a guidare il Partito Laburista.
In quel momento, era chiaro a tutti che le politiche di sinistra di Corbyn avevano un peso assolutamente preponderante sulle questioni di identità personale. Era chiaro ai sostenitori di Corbyn che le sue politiche sarebbero state migliori per le lavoratrici di quelle di Liz Kendall, nonostante il fatto che il primo non avesse mai subito esperienze di abusi sessisti.
C’è stato persino il fenomeno “Grime4Corbyn” [ndt, cioè “La musica Grime a favore di Corbyn], che era una espressione spontanea dei musicisti della scena musicale Grime, un genere diffuso per lo più nella popolazione nera, sebbene Corbyn sia bianco.
Nelle elezioni a leader laburista del 2015 vinte da Corbyn, Chuka Umunna inizialmente era tra i candidati (ritirò la sua candidatura prima della fine delle elezioni). Umunna è di origini nigeriane, ma è anche un ardente blairiano. Se fosse diventato segretario del Partito Laburista, quante possibilità ci sarebbero state di vedere un “Grime4Umunna”? Probabilmente molto poche, poiché Umunna è chiaramente un politico di regime.
Cosa ci dice questo riguardo a ciò che è fonte di ispirazione per tanti giovani neri? Ci dice che essi comprendono che le politiche di qualcuno, i suoi principi, sono molto più importanti della sua identità personale nella lotta contro l’ingiustizia.
Quando Corbyn era segretario, la destra lo attaccava per non avere abbastanza donne nelle posizioni di vertice della sua squadra, chiamandolo “brocialist” [ndt gioco di parole che fonde “brother”, fratello e, per estensione, amico maschio, e “socialist”, socialista]. Questi attacchi si rivelarono per quello che erano, parte del cinico gioco delle politiche identitarie, quando, nelle elezioni del Partito Laburista del 2020, gli stessi elementi della destra appoggiarono Keir Starmer contro Rebecca Long Bailey. Improvvisamente, quello che importava erano le posizioni politiche e non l’identità personale.
La classe dominante razzista
Non viene mai detto apertamente (per paura di apparire insensibili o razzisti), ma in realtà tutti riconoscono che l’identità personale di membro di un gruppo oppresso non garantisce che una persona abbia una comprensione corretta dell’oppressione che subisce il suo stesso gruppo.
Cosa ne pensa la sinistra, che si oppone al razzismo, di politicanti come Shaun Bailey? Era il candidato dei Conservatori alle elezioni comunali di Londra nel 2021. Non solo è un conservatore, ma nel 2005 disse che “accogliere gli indù depriva la Gran Bretagna della sua comunità e trasforma il paese in una fogna controllata dal crimine”. Dovremmo accettare acriticamente i suoi consigli sul razzismo, perché in quanto uomo nero verosimilmente lo avrebbe subito?
Lo stesso si può dire di molti altri politici reazionari che provengono da gruppi oppressi: Suella Braverman, Rishi Sunak, Kwasi Kwarteng, Priti Patel, Kemi Badenoch, etc., etc. Sicuramente, le loro opinioni sul razzismo – e su ogni altra cosa- sono del tutto in contrasto con quelle della maggioranza dei lavoratori neri, musulmani e asiatici. Nonostante ciò, esistono politici provenienti dalle minoranze etniche con posizioni reazionarie su razzismo e immigrazione e alcuni di essi occupano posizioni di potere.
Non è insolito che i membri imborghesiti dei gruppi oppressi scarichino ai proletari che appartengono al loro stesso gruppo la colpa della loro oppressione.
Barack Obama ne è un tipico esempio. Nel 2008, parlando del tema del razzismo e delle potenzialità irrealizzate delle persone nere, disse che: “Non possiamo usare l’ingiustizia come una scusa. Non possiamo usare la povertà come una scusa. Ci sono cose sotto il nostro controllo e di cui dobbiamo occuparci”.
In un altro discorso nello stesso anno, disse che:
“Abbiamo bisogno che i padri [neri] si rendano conto che la responsabilità non finisce con il concepimento. Abbiamo bisogno che si rendano conto che quello che ti rende un uomo non è la capacità di avere un figlio – è il coraggio di crescerne uno… Sta a noi – come padri e genitori – instillare questa etica dell’eccellenza nei nostri figli”.
In altre parole, per quelli come Obama, molti dei problemi del razzismo sono in realtà colpa delle persone nere, la cui cultura, a quanto pare, non è abbastanza dinamica. Questo mostra che l’esperienza personale del razzismo, che sicuramente Obama ha, non produce automaticamente una posizione politica corretta nella lotta contro il razzismo oggi.
Quote e carrierismo
L’impiego delle quote per garantire la proporzione desiderata di persone di colore o di donne in posizioni di potere rappresenta un metodo artificiale e burocratico. Non fa nulla per diminuire il razzismo o la misoginia, né per rimuovere le reali barriere materiali che impediscono al grosso dei settori oppressi e sfruttati della società di partecipare alla politica.
Nel movimento operaio, qualsiasi metodo burocratico danneggia la classe lavoratrice nella sua interezza, poiché scoraggia il coinvolgimento della base e la formazione della coscienza di classe.
La classe operaia non viene rafforzata dalle carriere di una piccola minoranza della propria classe alla quale vengono concesse in maniera burocratica come ricompensa. Tanto più i lavoratori vengono scoraggiati dalla partecipazione collettiva, in favore di garanzie burocratiche per un piccolo gruppo, quanto più è facile per la classe dominante ottenere quello che vuole. Ciò che la classe dominante teme più di ogni altra cosa è il movimento di massa della classe operaia.
Unison, il più grande sindacato in Gran Bretagna, ha da decenni una serie di posti nel suo Comitato Esecutivo Nazionale (NEC) riservati a esponenti dei vari gruppi. Per esempio, ci sono quattro posti che possono essere ricoperti solo da iscritti neri del sindacato. Questo significa che nessun membro bianco del sindacato può concorrere nelle elezioni per quei posti.
In pratica, ciò spesso significa che i candidati per questi posti non hanno alcuna opposizione, perché non ci sono abbastanza membri neri che si fanno avanti per competere. Il risultato che la posizione viene assegnata automaticamente a chi si fa avanti.
Ciò significa che essi non ottengono queste posizioni sulla base di una campagna. In realtà, essi sono privi di una base di appoggio tra gli iscritti e sono per questi ultimi degli sconosciuti. Non ricoprono queste posizione perché hanno un programma radicale per lottare negli interessi della classe operaia nera. Al contrario, i loro posti nel NEC non sono nient’altro che questo: il riempimento di una quota in sostituzione della lotta per gli interessi dei lavoratori.
Nel 2016, la direzione di Unison propose di ridurre il numero di posti riservati ai membri neri in favore di un posto extra per un iscritto con disabilità. Questo portò allo spettacolo poco edificante di iscritti neri del sindacato che impiegavano le proprie energie al congresso per fare una campagna contro questa decisione – essenzialmente litigando con i disabili su quale gruppo oppresso abbia più bisogno di posizioni garantite.
Al contrario, questi iscritti avrebbero potuto impiegare quella settimana in una campagna per un programma di lotta affinché il sindacato potesse condurre una lotta contro l’austerità. Dato che Unison organizza un numero estremamente grande di lavoratori neri sottopagati nel settore pubblico, un tale programma sarebbe stato di enorme beneficio per i lavoratori neri. Invece, tutte le loro energie sono andate in una lotta per una poltrona garantita in maniera burocratica.
Queste politiche trovano spazio nel movimento operaio ormai da decenni. Abbiamo il diritto di chiedere: quali risultati hanno ottenuto per i lavoratori neri o per le lavoratrici?
Dopo decenni di queste politiche, la disuguaglianza tra le etnie e i sessi o non è cambiata o è peggiorata. Abbiamo visto l’ascesa di politiche feroci contro i migranti; abbiamo visto attacchi nei confronti delle lavoratrici; ci sono stati anni di forte austerità, che hanno danneggiato in modo sproporzionato soprattutto le lavoratrici e i lavoratori neri.
Non c’è alcuna prova che queste politiche solo simboliche abbiano fatto qualcosa per risolvere o mitigare questi peggioramenti disastrosi. In effetti, esse fanno ancora più danni, offrendo l’illusione che qualcosa sia stato fatto e scoraggiando la partecipazione cosciente di massa dei lavoratori neri e delle lavoratrici, in favore di quote fisse.
Denunce e scuse
La stessa posizione idealistica e soggettivistica risiede alla base dell’idea che un accusa di razzismo, di abuso sessuale, o di misoginia debba essere automaticamente accettata nel movimento operaio.
L’argomento addotto è duplice. In primo luogo, nella società ci sono pochissime false accuse di abusi sessuali e razzisti, ma ci sono moltissime aggressioni a sfondo sessuale e razziale che restano impunite. Pertanto, dovremmo sempre accettare qualsiasi accusa di questo tipo, perché molto probabilmente sarà vera, e in questo modo si potrà anche leggermente riequilibrare la situazione.
Secondo, il caso di abuso può essere compreso solo dalla vittima; e le terze parti – specialmente se non sono della stessa l’identità etnica o sessuale della vittima – non sono nella posizione di poter giudicare.
Non abbiamo bisogno di cercare lontano per capire quali siano le ripercussioni di tutto ciò per il movimento operaio. Abbiamo assistito al cosiddetto scandalo dell’antisemitismo nel Partito Laburista, per esempio; e più di recente, alla sconfitta all’interno di Unison riguardo al presunto razzismo del suo Esecutivo diretto dalla sinistra.
In entrambi i casi, la burocrazia di destra, agguerrita, ha lanciato campagne di accuse riguardo al razzismo. In entrambi i casi questo ha funzionato, poiché i dirigenti della sinistra hanno capitolato di fronte al panico morale che le accuse generavano.
In entrambi i casi, nonostante le accuse fossero chiaramente false, i dirigenti della sinistra si sono scusati per il loro “razzismo” e così hanno dato credibilità a queste calunnie.
Il rapporto Forde ha confermato (con il senno di poi) che la destra stava utilizzando cinicamente le accuse di antisemitismo per interessi di fazione. Tuttavia, John McDonnel e altri dirigenti di sinistra dicevano regolarmente che il partito doveva scusarsi con la “comunità ebraica” per il suo “problema” con l’antisemitismo. E durante la leadership di Corbyn, il parlamentare di sinistra Chris Williamson è stato sospeso per aver detto che ci si era scusati troppo a tale riguardo.
Nelle elezioni della segreteria a seguito delle dimissioni di Corbyn, la candidata di sinistra Rebecca Long Bailey ha detto che il Partito Laburista “doveva delle scuse al popolo ebraico”. E nella campagna elettorale, ha convenuto che era “antisemita descrivere Israele, le sue politiche o le circostanze della sua fondazione come razziste”.
Grazie alla tendenza della sinistra a accettare queste accuse contraffatte e a fare pubblica ammenda, lanciare simili accuse infondate è adesso il metodo preferito della destra per distruggere la minaccia proveniente dalla sinistra.
È adesso una pratica regolare della destra, qualora un elemento di sinistra ottenga una carica andare a frugare sui suoi profili social e riesumare qualche post che possa essere interpretato in qualche modo come razzista, anche se data a quando era un bambino.
Non c’è neanche bisogno di trovare un’accusa da parte di una presunta vittima, basta semplicemente mostrare una qualche apparente insensibilità al razzismo o alla misoginia da parte della persona di sinistra.
L’Esecutivo di sinistra di Unison, per esempio, è stato accusato di razzismo semplicemente perché la proporzione dei propri attivisti di pelle scura non era elevata come sarebbe dovute essere. Il NEC ha fatto un grave errore a ammettere questo “razzismo” e a scusarsi per questo, ovviamente perché temeva che, se avesse osato negare di essere razzista, questa sarebbe stata l’inevitabile “conferma” del proprio razzismo.
Ormai è chiaro che assecondare questa pressione morale e accettare qualsiasi accusa, indipendentemente dalla sua credibilità, significa accettare di liquidare qualsiasi organizzazione di sinistra.
Con queste idee, basta che un nemico della sinistra lanci un’accusa, per quanto assurda, e la sinistra crollerà immediatamente per espiare il peccato di cui è accusata.
Morale e ipocrisia
Nella società di classe, la morale ufficiale è sempre ipocrita. La morale è funzionale agli interessi di classe, ma viene presentata come se fosse al di sopra di questi interessi; come se ci fossero delle leggi morali atemporali che debbano essere imposte al di sopra e al di là degli interessi della classe operaia.
In pubblico, bisogna dire la “cosa giusta” – il che è abbastanza facile da fare, dal momento che le parole non costano nulla. Ma ciò che si fa davvero, ovviamente, è tutta un’altra questione!
Naturalmente, ogni movimento di massa avrà al suo interno individui con pregiudizi; e gli abusi possono e avranno luogo in tali movimenti. Sfortunatamente, non c’è alcun modo per cui la sinistra possa isolarsi dalla società capitalista e dai suoi orrori.
Qualsiasi caso simile di abuso deve essere affrontato dal movimento in maniera seria e ferma, per rendere chiaro che non c’è tolleranza per la discriminazione e l’abuso all’interno del movimento, che essi servono solo a indebolire e a dividere la classe operaia.
Tuttavia, piegarsi a queste pressioni moralistiche da parte del nemico di classe, e accettare automaticamente qualsiasi accusa mossa da quest’ultimo, ha il solo effetto di liquidare ogni conquista fatta dalla sinistra.
Ovviamente, una organizzazione combattiva autentica della classe operaia deve anche essere il più libera possibile dal pregiudizio e dagli abusi. Ma è assolutamente inammissibile minacciare la sopravvivenza di un’organizzazione rivoluzionaria, o di un più ampio movimento di sinistra della classe, accettando automaticamente ogni accusa, a dispetto di chi le faccia e con quale fine.
Deve anche essere compreso che accuse che vengono usate cinicamente per scopi politici, come nel caso del presunto antisemitismo del Partito Laburista, non aiutano a apportare un grammo di giustizia; né aiutano a rendere meno accettabile la discriminazione.
Di fatto, il cinismo e la disonestà evidenti dietro queste accuse serve solo a creare più cinismo nella società e con tutta probabilità aumenta nei fatti il razzismo.
Ci saranno persone confuse, che hanno appoggiato Corbyn e poi l’hanno visto subire un attacco implacabile e infondato rispetto all’antisemitismo, che, come risultato, arrivano alla conclusione che c’è una campagna degli ebrei contro la sinistra. In realtà, si trattava di una campagna della destra, che stava usando l’esistenza di un’oppressione nei confronti degli ebrei per raggiungere i suoi scopi.
Come tutte le crociate morali della classe dominante, anche questa era caratterizzata dall’ipocrisia. Il codice morale non si applica mai alla destra. Così, la laburista di destra Margaret Hodge si è di recente sentita abbastanza sicura di sé da attaccare la “Campagna contro l’Antisemitismo” [ndt, Campaign Against Antisemitism, abbreviato CAA], dopo che questa aveva criticato Keir Starmer [ndt, attuale segretario laburista ed esponente della destra del partito], con un tweet nel quale diceva di essere:
“Stufa che la CAA utilizzi l’antisemitismo come una scusa per attaccare il Partito Laburista. È ora di denunciarli per quello che sono veramente. Sono più preoccupati di indebolire il Partito Laburista che di sradicare l’antisemitismo”.
Ci si può solo immaginare le grida di protesta se fosse stato un sostenitore di Corbyn a accusare un’organizzazione ebraica di usare in maniera disonesta l’antisemitismo per attaccare il Partito Laburista, affermando una cosa del tipo che bisogna denunciarli “per quello che sono veramente”. Stranamente, il tweet della Hodge non ha dato vita a alcuna controversia sulla stampa.
L’ipocrisia di questa campagna morale contro l’“antisemitismo” era chiara già all’epoca – soprattutto per il fatto che i Conservatori non hanno dovuto subire nessuna campagna simile, anche se è risaputo che il partito ha molti più razzisti – anche antisemiti – nelle sue fila; per non menzionare il fatto che i suoi dirigenti promuovono attivamente politiche razziste.
Ma ogni volta che questo veniva sottolineato, i crociati della morale di regime rispondevano con autocompiacimento: “Quindi, state dicendo che il razzismo dentro il Partito Laburista va bene e che dovremmo ignorarlo, poiché i Conservatori hanno problemi simili”.
È anche importante notare che in questa campagna, il presunto giornale di “sinistra” The Guardian ha pubblicato molti più articoli che accusavano i sostenitori di Corbyn di antisemitismo di qualsiasi altro giornale. Secondo Declassified UK:
“Da gennaio 2016, il Guardian ha pubblicato 1,215 articoli che menzionavano il Partito Laburista e l’antisemitismo, una media di circa uno al giorno, secondo una ricerca su Factiva, il database degli articoli di giornale. Nello stesso periodo, il Guardian ha pubblicato solo 194 articoli che menzionavano i problemi molto più seri del Partito Conservatore con l’islamofobia. Un sondaggio di YouGov del 2019, ad esempio, ha riportato che circa metà dei membri del Partito Conservatore preferirebbero non avere un primo ministro musulmano”.
Questo sottolinea il fatto che le politiche di identità tornano così utili alla classe dominante proprio a causa dell’estrema sensibilità della sinistra alle accuse di razzismo e di discriminazione di ogni tipo.
Chi meglio di un giornale con la reputazione di essere di “sinistra” può brandire l’arma delle accuse di antisemitismo? Questo ha causato un danno di gran lunga maggiore che se le accuse fossero state pubblicate principalmente dal Daily Mail [ndt, quotidiano britannico di destra].
La lotta rivoluzionaria
La forza di questa linea di attacco risiede nella debolezza politica della sinistra e in nient’altro. Se la sinistra avesse respinto serenamente queste accuse chiaramente false – e avesse organizzato i suoi sostenitori per passare all’attacco, mettendo in luce l’ipocrisia della classe dominante razzista – questo metodo sarebbe stato rapidamente abbandonato.
Ugualmente, se il movimento operaio combattesse il razzismo e le disuguaglianze mobilitando i lavoratori attorno a un programma socialista, dando la colpa del razzismo, della misoginia e delle altre forme di oppressione ai capitalisti, questo ispirerebbe molte più attiviste donne e molti più attivisti neri a partecipare attivamente piuttosto che la promessa di un pugno di posti garantiti.
Il movimento operaio deve comprendere questa cosa. Capirlo è anche parte integrante della comprensione del fatto che il capitalismo non può essere riformato negli interessi della classe operaia e che gli interessi della classe dominante sono inconciliabili con quelli dei lavoratori. Questo è il motivo per cui le accuse che vengono lanciate contro le organizzazioni dei lavoratori non possono essere prese per oro colato.
Nelle parole di Lev Trotskij:
“Formare il partito rivoluzionario del proletariato [è un] compito che non può essere eseguito se non grazie ad una completa indipendenza rispetto alla borghesia e la sua morale. Ora, l’opinione pubblica borghese domina in realtà e pienamente il movimento operaio ufficiale […].Il marxista rivoluzionario non saprebbe accingersi alla sua storica missione senza prima aver rotto moralmente con l’opinione pubblica della borghesia e dei suoi agenti in seno al proletariato. Questa rottura esige un coraggio morale di tutt’altro calibro”. (La loro morale e la nostra, 1938)
9 dicembre 2022