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Il 27 novembre, Pedro Castillo, ex presidente del Perù, è stato condannato a 11 anni, 5 mesi e 15 giorni di reclusione per il reato di cospirazione a fini di ribellione, dopo aver annunciato il 7 dicembre 2022 lo scioglimento del Parlamento, la riorganizzazione del sistema giudiziario e la convocazione di un’Assemblea Costituente.
[Questo articolo è stato scritto dai compagni dell’ICR-Perù, il nostro gruppo nel paese].
La Procura lo ha accusato direttamente di ribellione e ha chiesto una pena di 34 anni, ma la Corte Suprema ha ritenuto che il reato non fosse stato consumato. Quindi, gli avvocati di grido, soliti frequentare i corridoi dei media governativi e dei loro collaboratori, avevano bisogno di accusarlo di qualsiasi cosa, pur di escluderlo dalla corsa elettorale.
Fu allora che è stata formulata l’accusa di “cospirazione”, che comporta una pena molto più lieve. Ricordiamo che, secondo un sondaggio commissionato da un media di destra nel 2023, in un’elezione virtuale con la partecipazione di Castillo, quest’ultimo avrebbe vinto nuovamente.
Secondo il tribunale, con quanto annunciato nel messaggio alla nazione nel dicembre 2022, Castillo “si è arrogato l’esercizio del potere configurando il caso di ribellione vietato dall’articolo 45 della Costituzione”. È stato anche concluso che il messaggio è stato letto “senza che sussistessero i presupposti costituzionali”. Ciò significa che Castillo ha tentato di sciogliere il Congresso senza tenere conto dei presupposti contenuti nella Costituzione, per i quali il parlamento può essere sciolto.
Castillo non era l’unico al banco degli accusati. Allo stesso periodo di reclusione sono stati condannati anche Betssy Chávez, ex presidente del Consiglio dei ministri (attualmente rifugiata nell’ambasciata messicana a Lima), l’ex ministro dell’Interno Willy Huerta e Aníbal Torres, ex capo di gabinetto della presidenza del Consiglio dei ministri, questi ultimi con sospensione della pena.
Castillo incarnava, anche se in modo debole e contraddittorio, le rivendicazioni storiche dei lavoratori, dei contadini e dei popoli dimenticati del Perù. Il suo arrivo al potere, per quanto moderato, apriva una breccia nel controllo che la borghesia creola e gli interessi imperialisti esercitano da secoli. Il semplice fatto che un cholo (meticcio), un sindacalista insegnante di Cajamarca, occupasse la presidenza rappresentava una minaccia al loro potere, perché dava agli operai e ai contadini l’idea che potevano governare il proprio destino, invece di delegarlo come sempre a politici professionisti delle classi agiate.
L’ipocrisia dell’establishment
L’élite economica e politica non ha agito contro Castillo solo per razzismo o rifiuto delle sue umili origini, anche se questi elementi erano presenti, ma perché ha percepito nel suo governo, nonostante i suoi limiti, una minaccia ai propri privilegi di classe. Per questo il suo destino è stato lo stesso di altri leader popolari in America Latina: persecuzione giudiziaria, prigione o esilio.
È evidente il retroscena del processo politico arbitrario contro Castillo e il suo entourage: si è trattato di una ritorsione diretta contro personaggi che potrebbero rappresentare elementi di rottura nel meccanismo corrotto ed elitario che ha controllato il potere sin dagli albori della repubblica.
Mentre predicano le virtù della “democrazia” in ogni frase, i ricchi e i potenti, e i loro rappresentanti di destra, l’hanno violata in ogni modo possibile. Castillo si è aggiudicato il voto popolare, eppure hanno cercato di sabotare il suo regime in ogni occasione possibile, attraverso tentativi di impeachment, campagne diffamatorie sui media, attacchi legali e ogni altro trucco possibile e immaginabile.
La destra non ha mai riconosciuto il voto popolare, non ha mai accettato la voce delle regioni interne (che considera sempre cittadini di seconda classe) e uno dei suoi noti portavoce, il deputato Montoya, ha speso circa 150mila dollari del tesoro pubblico alla ricerca di prove della frode elettorale che ha portato Castillo alla presidenza. Il suo rapporto finale ha indicato che non è stata trovata alcuna prova.
Abbiamo quindi verificato che i poteri dello Stato si allineano sotto un preciso copione che persegue, imprigiona o giustizia i propri oppositori, poiché hanno bisogno di imporre precedenti contro chiunque costituisca una minaccia che impedisca la vittoria dei propri candidati.
La debolezza invita all’aggressione
Tuttavia, è fondamentale criticare apertamente i limiti del governo stesso di Castillo. Il suo programma elettorale “niente più poveri in un paese ricco”, sebbene promettesse trasformazioni strutturali, nella pratica ha fallito e si è limitato a gesti simbolici, senza portare avanti riforme chiave come la nazionalizzazione di settori strategici (banche, miniere, porti) o la convocazione di un’Assemblea Costituente realmente sovrana.
Di fronte agli attacchi dell’oligarchia capitalista, ha esitato, ha fatto concessioni e ha moderato il suo linguaggio. Questa ambiguità non solo ha deluso i suoi elettori, ma lo ha anche lasciato politicamente isolato, senza strumenti reali per affrontare l’offensiva della destra. Invece di mobilitare il popolo per difendere il suo mandato, ha cercato di compiacere settori dell’establishment (offrendo incarichi di prestigio), fatto che in ultima analisi ha facilitato la sua persecuzione e il suo rovesciamento.
Ma non si tratta solo di Castillo (che è chiaramente un prigioniero politico), il processo è un attacco diretto alla classe operaia e ai movimenti sociali in generale, che devono affrontare nuovamente le aggressioni di uno Stato poliziesco controllato dall’estrema destra, a cui manca solo di creare una legge che dica testualmente che è vietato candidarsi se il proprio cognome non sia Fujimori.
Le masse contadine, indigene e operaie che sono scese in piazza per condannare il colpo di Stato contro Castillo nel dicembre 2022 e nei mesi successivi con mobilitazioni di massa che hanno causato decine di morti a causa della repressione, lo avevano capito bene.
La lezione per i movimenti sociali e la sinistra è chiara: non è possibile neutralizzare la destra con concessioni. Ogni gesto di conciliazione viene interpretato come una debolezza e alimenta l’audacia della reazione a colpire con maggiore forza. L’esperienza di Castillo dimostra che, senza un programma di rottura e senza l’organizzazione indipendente del popolo lavoratore, qualsiasi governo che tenti di apportare cambiamenti sarà rapidamente circondato e rovesciato.
L’unica garanzia contro l’offensiva reazionaria è costruire l’organizzazione della classe operaia e dei contadini poveri dal basso, promuovendo un progetto che espropri il potere economico della borghesia (nazionalizzando le banche, le multinazionali, le risorse strategiche e i monopoli) e che si scontri apertamente con il dominio imperialista. Solo così sarà possibile rompere il ciclo storico di esclusione e repressione.
