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6 Aprile 2016Ci sono proprio tutti, o quasi. 72 capi di stato, attualmente in carica o meno, grandi aziende, uomini di spettacolo, calciatori. I potenti del mondo si servivano di 200mila società create ad hoc dallo studio Mossack Fonseca di Panama per mettere al sicuro i propri capitali nei paradisi offshore e sottrarli al fisco.
L’inchiesta è stata condotta dall’International consortium of investigative journalism una rete di giornalisti investigativi. Si tratta della più grande fuga di notizie della storia della finanza.
Non si pensi a operazioni condotte in modo dilettantesco, alla maniera degli spalloni che trasportavano valigie piene di soldi in svizzera. Tra chi ha creato le 15.300 sigle di comodo ci sono i più grandi istituti bancari, come la Ubs svizzera o l’Hsbc britannica. In Italia, le banche Unicredit e Ubi. La fuga di notizie chiama in causa il sistema, e non solo qualche mela marcia. Almeno 29 delle 500 più grandi aziende del pianeta, secondo Fortune, figurano nelle carte dell’inchiesta.
Leggendo i nomi coinvolti, notiamo come la politica a volte divide e gli interessi temporanei possono confliggere, ma la tutela delle proprie ricchezze sicuramente unisce. Così vediamo che tra i clienti dello studio di Panama c’era il Primo ministro ucraino Poroshenko ma anche uomini legati strettamente a Putin. Conti offshore erano intestati al padre del primo ministro britannico, David Cameron, al presente argentino Macri, al Re saudita Salman, all’emiro degli Emirati arabi, Khalifa. Non mancano alti funzionari del Partito comunista cinese, o la figlia del Primo ministro di Pechino. Anche il figlio dell’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan aveva intestato un conto alle Isole Cayman.
L’entità complessiva dei capitali gestiti da Mossack Fonseca non è ancora stata rivelata, e forse non lo sarà mai. Secondo i Panama papers un uomo di Putin, Sergej Rodulgin, avrebbe tessuto uno schema di riciclaggio clandestino di circa due miliardi di dollari. A leggere “the Guardian” la cifra dei capitali che fuoriescono illegalmente, solo dai paesi in via di sviluppo, è pari a un migliaio di miliardi di dollari all’anno ed è in crescita.
Dai Panama papers, comprendiamo come questo sistema non si possa correggere o riformare. Vi ricordate il crollo del sistema bancario in Islanda, avvenuto nel 2008? Le banche islandesi furono nazionalizzate, ma senza mettere in discussione il sistema di mercato nel quale continuano ad operare. Ma chi possiede Wintris, una società offshore con sede nelle Isole vergini britanniche, che vanta un credito di 3,5 milioni di euro nei confronti delle banche islandesi nazionalizzate (e quindi dello stato)? Il primo ministro isladese Gunnlauggson, o più precisamente la moglie.
Nel giro di 24 ore, già 21mila islandesi (su una popolazione di 320mila) hanno firmato una petizione on line che ne chiede le dimissioni.
Naturalmente Mossack Fonseca si difende spiegando che non è mai stata coinvolta in attività criminale e detenere un conto all’estero o in un paradiso fiscale non è un reato. La difesa più cruda ma sicuramente sincera, dal punto di vista capitalista, invece ce la fornisce il ministro dell’informazione del Pakistan, intervenuto a difesa di Nawaz Sharif, primo ministro di Islamabad: “Ognuno ha il diritto di fare ciò che vuole con il suo patrimonio: gettarlo nel mare, venderlo, o metterlo in un trust. Non costituisce reato né per la legge pakistana né per la legislazione internazionale”. (the Guardian)
È vero, e molto probabilmente nessuno sarà perseguito per la detenzione di questi conti nei paradisi fiscali. Per il capitalismo infatti detenere immense ricchezze non solo è normale, anzi è un opera lodevole. Dal punto di vista della maggioranza della popolazione, invece, è assolutamente deprecabile. Mentre Nawaz Sharif mette al sicuro milioni di dollari a Panama, il 60% della popolazione del suo paese vive sotto la soglia della povertà, con meno di due dollari al giorno.
I governi di tutto il mondo non solo tutelano, ma sono i protagonisti delle speculazioni finanziarie globali mentre tagliano lo stato sociale, le pensioni, la sanità, l’istruzione. Ad ogni scandalo si parla di “regolamentare i mercati finanziari”, ma poi, concretamente, lo Stato italiano si accontenta di qualche condono.
I Panama Papers rivelano ancora una volta che i potenti del mondo sono tutti uniti nel tutelare i propri capitali e a farli crescere. L’unico modo per invertire la rotta e costruire un paradiso per tutti, qui sulla terra, è espropriare queste ricchezze e porle sotto il controllo dei lavoratori, la maggioranza della popolazione. In poche parole, lottare per una società socialista.