Almaviva: la resa dei conti tra azienda e lavoratori è solo rimandata
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“La Cgt non detta legge”, questo è l’avvertimento ai sindacati del primo ministro socialista francese Manuel Valls. Gli ha fatto eco la Confindustria, chiedendo al governo di “ristabilire urgentemente lo Stato di diritto e di garantire ai salariati ed agli imprenditori la possibilità di lavorare”. Ha chiuso il coro reazionario la leader dell’estrema destra, Marine Le Pen, invocando il divieto per tutti i cortei con l’alibi dello stato d’emergenza proclamato dopo gli attentati di novembre a Parigi. La lotta di classe fa chiarezza sulle posizioni politiche reali e relega in secondo piano quella destra che fino a pochi mesi fa sembrava inarrestabile.
In Francia, la lotta dura e lunga dei lavoratori e dei giovani contro la legge sul lavoro sta provocando sudori freddi nella classe dominante e tra i suoi servitori. La paura sta cambiando di campo.
Niente di ciò che sta accadendo dipende da un qualche imprecisato Dna francese. La direzione nazionale della Cgt non è qualitativamente differente da quella della Cgil. È stata, infatti, la pressione della base ad imporre alla confederazione di rivendicare il ritiro puro e semplice della legge senza impantanarsi in sterili battaglie emendative. Allo stesso modo, è stata l’iniziativa di alcuni settori d’avanguardia – dai lavoratori delle raffinerie a quelli del porto di Le Havre – ad aprire la breccia per un possibile sciopero generale ad oltranza che metta in ginocchio governo e padroni.
I grandi mezzi di comunicazione si abbassano a qualunque cialtroneria per screditare la lotta: prima hanno fatto campagna contro i “casseurs” (sfasciavetrine), poi si sono scandalizzati per gli scioperi nelle raffinerie ed i blocchi dei depositi di carburante, gridando che la Cgt stava prendendo in ostaggio il paese. Ora hanno iniziato a paventare un boicottaggio degli Europei di calcio. Malgrado fiumi di inchiostro, però, più del 70 per cento dei francesi è contro la legge El Khomri e più del 60 per cento considera necessari e legittimi scioperi con blocchi. Ne prenda nota la Camusso, che su Radio1 si differenzia dal movimento francese suggerendo che le azioni radicali riducono il consenso. Perché, invece, questi dati? E’ presto detto: la maggioranza dei lavoratori – ed anche degli studenti – capisce non solo che quella legge darebbe mano libera al padrone sul luogo di lavoro ma anche che, per piegare l’avversario, è necessario organizzare uno scontro sociale all’altezza della profondità dell’attacco ricevuto.
La Francia ci ricorda che lo sciopero deve “fare male”. Il solo sciopero ad oltranza nelle cinque raffinerie della Total provoca perdite per 5-6 milioni di euro al giorno alla multinazionale simbolo del capitalismo francese. L’acutezza della lotta di classe polarizza la società in due campi contrapposti. Le istituzioni mostrano quello che sono, ovvero strumenti del dominio di classe. Ed il governo Valls non esita ad usare polizia e tribunali. Così, per un picchetto alla Psa (ex-Peugeot) di Valenciennes ci sono ben 19 operai a processo per direttissima e la raffineria in sciopero di Fos-sur-Mer è stata sgomberata da 150 celerini armati di tutto punto che hanno inseguito i lavoratori fino alla sezione sindacale della Cgt: “scene di guerra”, ha commentato indignata la direzione sindacale. La forza della mobilitazione risiede, non secondariamente, nella capacità di resistenza e di solidarietà portata avanti da migliaia di quadri del movimento operaio. 2mila persone hanno accompagnato al tribunale di Bobigny gli incriminati di Air France per il notissimo “strappo” della camicia di un paio di dirigenti dopo l‘annuncio di un piano massiccio di licenziamenti. Mentre scriviamo, il più importante giornale della borghesia francese, Le Monde, inizia a dubitare che il governo abbia l’autorità sufficiente per poter continuare a lungo ad usare la violenza contro gli scioperi ed i cortei. Dalla Francia ci viene un messaggio: per vincere bisogna lottare con determinazione e andare fino in fondo. Chi continua a sognare “tavoli di concertazione” con la controparte è fuori dalla realtà. Altrettanto sconnesso dalle dinamiche effettive è chi pensa che il governo socialista francese possa “rinunciare a imporre questa riforma recuperando un qualche rapporto col mondo del lavoro” (M. Bascetta, il manifesto, 29 maggio).
Mentre già vediamo un primo effetto “contagio” in Belgio, sentiamo il ronzio monotono di chi assicura dogmaticamente che in Italia tutto questo non succederà mai – aggiungendo la solita banalità dal tono sociologico sulla “natura” degli italiani. Sono gli stessi che qualche mese fa, dopo le regionali, proclamavano l’inarrestabile avanzata dell’estrema destra in Francia. La verità è molto diversa. Anche nel nostro paese sono presenti le condizioni oggettive per lo scoppio di un movimento di massa. La rabbia gronda. Il freno principale della situazione è quello esercitato dai gruppi dirigenti della Cgil. I vertici del maggior sindacato italiano sono infatti ostinatamente immersi in una strategia basata sulla raccolta di firme per convocare un referendum quale strumento supremo per mettere una pezza agli attacchi governativi. Dove però la rabbia riesce ad esprimersi, come ad Almaviva, il carattere esplosivo e radicale della lotta non è dissimile dai livelli francesi. In altre parole, i lavoratori non hanno la direzione “che si meritano”. Milioni di lavoratori aspettano da anni il rinnovo del contratto: i metalmeccanici hanno rotto le trattative con Federmeccanica, che vuole una capitolazione totale alle sue esigenze di profitto, quelli del pubblico impiego non ottengono un rinnovo dall’ormai remoto 2009. In questi mesi, se chiamati alla lotta, i lavoratori di queste categorie hanno risposto con importanti adesioni alle date di sciopero.
È urgente la costruzione di una direzione alternativa per il movimento operaio italiano. Questa prospettiva passa per una battaglia decisiva nel principale sindacato del nostro paese, la Cgil. Il compito che ci proponiamo è di aiutare e sostenere il movimento nello scegliere il cammino più adeguato, combattendo il padrone ma anche la burocrazia sindacale ed il suo opportunismo.