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Offensiva di Kursk – Una “vittoria di Pirro” per Zelensky?

di Francesco Giliani

Messo sotto pressione da una lenta ma costante avanzata russa nel Donbass a seguito della perdita della città “fortificata” di Avdiivka nel febbraio 2024, il presidente dell’Ucraina Zelensky ha cercato di ribaltare le sorti del conflitto militare concentrando circa 10mila soldati delle migliori unità dell’esercito nell’invasione della provincia russa di Kursk.

L’azzardo, risultato di una certa disperazione, sta però fornendo un vantaggio strategico alla Russia nel Donbass e preparando nuove convulsioni sul fronte interno ucraino.

Propaganda e realtà

Nelle prime due settimane dell’offensiva su Kursk la macchina propagandistica del “libero” Occidente aveva ripreso vigore. Noiosa e monolitica, la cosiddetta stampa libera ci raccontava la stessa storia, che curiosamente coincideva coi bollettini ufficiali della NATO, della Casa Bianca e del regime al potere a Kiev. L’offensiva su Kursk veniva presentata come un piano brillante e audace preparato dalle più raffinate menti militari dell’età contemporanea; mentre i vertici politico-militari russi, tanto per cambiare, venivano descritti come completamente impreparati, paralizzati e nel panico.

Se l’effetto iniziale dell’incursione al di là del confine ha rappresentato un successo ucraino, è necessario valutarne la portata. Da questo punto di vista, il sostanziale esaurimento della spinta propulsiva ucraina consente di affermare che, al di là di un temporaneo effetto propagandistico (interno ed esterno), il significato militare dell’avanzata tende allo zero. Oltre a diverse decine di villaggi e località rurali, il centro più importante occupato dall’esercito ucraino è Sudzha, 10mila anime in gran parte evacuate. Nel contempo, l’allungamento del fronte di battaglia ha, naturalmente, favorito l’esercito del paese che dispone di più soldati e munizioni, cioè la Russia.

Ma come spiegare, allora, le scelte di Zelensky? Una spiegazione ragionevole è che l’offensiva di Kursk aveva lo scopo di obbligare i russi a ritirare le forze dal fronte centrale del Donbass, alleggerendo così la pressione sulle difese ucraine. Se così fosse, è chiaro che il piano ha fallito il suo scopo. Putin, infatti, ha ritirato una modesta quantità di truppe dai fronti di Kherson, Kharkov e Zaporižžja ma ha ordinato di intensificare l’offensiva nella regione di Donetsk. Attualmente, l’esercito della Federazione Russa assedia Toretsk ed è alle porte delle città industriali di Mirnohrad e Pokrovsk, hub logistico centrale per l’esercito ucraino in tutto il Donbass. Ivan Sekach, portavoce della 110ª Brigata meccanizzata ucraina, attualmente schierata a Pokrovsk, ha dichiarato a Politico: “Abbiamo ricevuto ancora meno munizioni di prima e i russi stanno spingendo”. La caduta di Pokrovsk avrebbe conseguenze disastrose per l’esercito ucraino, poiché si tratta anche dell’ultima solida linea difensiva prima del fiume Dnepr. Infine, l’area di Pokrovsk è tra le più ricche di risorse minerarie.

Nel panico, nel frattempo, sembra esserci andato il ministro della Difesa Crosetto, il quale non sopporta che i lavoratori vadano in vacanza e ha candidamente dichiarato: “Sto litigando con le aziende italiane perché devo [sic!] consegnare un sistema Samp T di difesa all’Ucraina e l’azienda italiana che deve sistemarlo ad agosto era chiusa per ferie, sabato e domenica non lavora e di sera non lavora. Le aziende russe, cinesi e iraniane lavorano sette giorni alla settimana, 365 giorni l’anno e 24 ore al giorno. Sto esagerando ma noi ci contrapponiamo con questi sistemi.” (Quotidiano Nazionale, 31 agosto).

Un vicolo cieco per Zelensky

Di fronte a questo scenario, è da escludere che Zelensky ammetta lo scacco e trasferisca rapidamente nel Donbass almeno una parte delle truppe d’élite impegnate a Kursk. Il leader ucraino non ha alcuna esperienza militare sul campo o competenza teorica nell’arte della guerra. Come emerso anche durante l’assedio di Bakhmut, sembra conoscere solo un comando: attaccare! La parola “ritirata” non rientra nel suo vocabolario molto limitato. Il “fondo di scambio” con la Russia del quale Zelensky fa vanto avrebbe potuto spingere la Russia a negoziare soltanto se l’offensiva su Kursk fosse riuscita a spingersi fino ad occupare la centrale nucleare di Kurčatov – ipotesi al momento irreale.

Rispetto all’obiettivo di ottenere dai paesi NATO il permesso di usare missili a lungo raggio per colpire la Russia nelle retrovie, il bilancio è al momento magro: malgrado le pressioni dei “falchi” a Londra e Parigi, gli USA e la Germania ancora resistono a compiere un passo ritenuto foriero di un’incontrollabile escalation. Ma, come per altre “linee rosse” già oltrepassate, la dinamica del conflitto potrà spingere la NATO a superare anche questa.

Lungi dall’avviare negoziati con la Russia, l’avventura del Kursk ha eliminato qualsiasi possibilità di negoziazione. L’invasione del territorio russo ha rafforzato il margine di manovra interno di Putin indurendo l’opinione pubblica russa contro il regime di Kiev. Persino alcuni commentatori occidentali, compresi la BBC, la Bild tedesca o il Washington Post, ammettono che la “scommessa” di Zelensky potrebbe finire in un collasso militare.

Questa probabile evoluzione potrebbe innescare effetti politici dirompenti. Già ora la situazione creata dall’offensiva su Kursk ha innescato la più profonda crisi di governo, con le dimissioni di numerosi ministri tra cui il responsabile degli Esteri. Nella società il malcontento si accumula: in Ucraina è necessario usare la forza bruta per trascinare via dalle strade le reclute riluttanti da inviare in quello che è visto come un mattatoio. Due giorni prima dell’inizio dell’avanzata su Kursk, a Kovel, nella regione della Volinia, svariate centinaia di persone s’erano scontrate con le forze di sicurezza e avevano assediato il centro di reclutamento locale fino ad ottenere la liberazione dei coscritti a forza. I fatti di Kovel sono sintomatici. In tutte le nazioni europee dove all’inizio della guerra si sono rifugiati milioni di ucraini, sono pochissimi i maschi in età di leva rientrati in patria per arruolarsi rispondendo all’appello patriottico di Kiev. Sarebbero poi 800mila i renitenti alla leva in Ucraina, secondo le stime del presidente della commissione Affari economici del Parlamento ucraino, Dmytro Natalukha (Financial Times, 4 agosto).

Il popolo ucraino inizia a rendersi conto che i suoi cosiddetti amici e benefattori in Occidente sono pronti a combattere fino all’ultima goccia del “suo” sangue.

12 settembre 2024

 

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