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26 Aprile 2021Il 1943 è l’anno in cui migliaia di giovani rompono le catene del fascismo, diventano partigiani e iniziano la loro battaglia per la Liberazione. Molti di questi erano nati negli anni ’20, allevati a suon di “Credere Obbedire Combattere” nella gioventù fascista, che li costringeva alla disciplina al regime. Questa propaganda, smentita dal disastro bellico, viene sfidata dai grandi scioperi di massa del marzo ’43, che preparano la caduta del regime il 25 luglio. Ma è con l’8 settembre che si compie un vero e proprio salto di qualità nelle loro coscienze. Quando da Salò parte l’obbligo di arruolamento nell’esercito fascista al fianco dei nazisti, l’esasperazione si trasforma in azione. Anche i giovani imbracciano il fucile e salgono in montagna.
Non è una scelta dettata dal contingente, ma l’approdo di una lunga catena di eventi: l’appoggio del duce al franchismo nel 1936-37, l’approvazione delle leggi razziali del ’38, l’entrata in guerra dell’Italia nel ’40. Matura in loro un chiaro bilancio sull’insieme della società nella quale sono nati e cresciuti, che li voleva ligi balilla, fedeli soldati o mansuete donne di casa. La risultante di questo processo non poteva che essere una lotta rivoluzionaria. Nella Resistenza le aspirazioni dei giovani si uniscono a quelle di quanti negli anni precedenti, specialmente tra le fila del Partito comunista d’Italia, avevano combattuto contro l’avanzata di Mussolini.
Le lotte della Resistenza
Non è possibile ridurre al semplice ripristino della democrazia le aspirazioni di chi si unì alla Resistenza. Farlo significherebbe non tenere conto del suo carattere profondamente insurrezionale. Chiunque ancora oggi in occasione del 25 Aprile si cimenti nell’arduo compito di riscrivere la storia lo fa chiudendo gli occhi di fronte alle sollevazioni proletarie di quei venti mesi.
Il protagonismo operaio è una sua costante, come gli scioperi, che vedono la partecipazione di centinaia di migliaia di lavoratori delle più importanti fabbriche del nord, mentre altre città del sud, come Napoli, già alla fine del settembre ’43 si liberano dall’occupazione fascista.
Una nuova opportunità si presenta nel marzo del ’44 con uno sciopero generale che coinvolge più di un milione di lavoratori, il più grande di tutta l’Europa occupata dai nazisti. Nell’aprile del ’45 la lotta fa un ulteriore passo in avanti, muovendosi dal terreno economico a quello politico. Si esprime con l’occupazione delle fabbriche, primo atto della loro espropriazione, e rivendicazioni che, da sole, rispondono alle campagne dal sapore patriottico di questi anni che, a furia di svuotare di senso la Resistenza e il giorno della liberazione dal fascismo, la stanno cancellando dalla memoria. Tra queste c’erano: “epurazione dei dirigenti e dei capi (fascisti per definizione), consigli di gestione, collettivizzazione”.
Perché si è mancato l’appuntamento con la rivoluzione?
La principale conseguenza sul piano politico degli avvenimenti tra il ’43 e il ’45 è la crescita impetuosa del Partito comunista italiano, che supera i due milioni di iscritti. Le Brigate Garibaldi, controllate dal Pci, sono riempite dai giovani, che frequentemente disertano la leva della Repubblica di Salò per diventare partigiani. Con questa forza militante il partito avrebbe potuto porsi alla testa dei processi insurrezionali di quegli anni, conducendoli alla vittoria. Quello che invece avviene è il tradimento della classe operaia.
Il Pci di Togliatti è un partito molto diverso dal Partito comunista d’Italia fondato da Gramsci e Bordiga nel 1921 e di cui quest’anno ricorre il centenario, un partito rivoluzionario nato nel segno della Terza Internazionale di Lenin e Trotskij.
Togliatti con l’idea del “partito nuovo” liquida la concezione del partito d’avanguardia, la sua azione diviene il compromesso di classe, la sua stella polare è la democrazia borghese, ribattezzata “democrazia progressiva”, e già nel 1944 entra nel governo Badoglio.
Togliatti, con alle spalle l’Urss di Stalin, si muove nella direzione dell’ostinata ricerca dell’unità con le forze borghesi e gli alleati angloamericani il cui unico fine è quello di ripristinare il potere della classe dominante nell’Italia sconvolta dall’insurrezione. La natura del Pci si svela nuovamente nell’Italia ormai liberata dal fascismo quando Togliatti decide di disarmare il proletariato che, nonostante tutto sarà in lotta fino al ’48. La storia della Resistenza è la storia della promessa della rivoluzione che il Pci rimanderà all’infinito.
Quello che resta è il coraggio di giovani e proletari che videro il loro unico futuro possibile nella lotta. Una lotta contro il fascismo e contro il capitale, che resta a noi di portare a termine.