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La crisi è ormai alle spalle, il Pil cresce più delle attese: così martella la propaganda governativa e padronale. Deve pensarla così anche la cordata di avvoltoi in pista per rilevare l’Ilva per quattro soldi – il consorzio Am Investco formato dalla multinazionale ArcelorMittal e dall’italianissimo gruppo Marcegaglia (guarda un po’ chi si vede). Per questi signori che non hanno mai conosciuto la crisi, la più grande acciaieria d’Europa può ripartire a patto di licenziare 4200 lavoratori su un totale di 14mila addetti e di riassumere gli altri senza articolo 18 e azzerando tutti i diritti contrattuali e salariali acquisiti con l’anzianità in Ilva. Meno salario e meno diritti: la ricetta dei padroni è quella.
Ma questo non garantirebbe nemmeno una riconversione industriale che tuteli la salute dei tarantini: l’investimento della multinazionale resta debole e la fabbrica non modificherebbe di tanto il suo processo produttivo. La sorte dei 4.200 licenziati che rimarrebbero sotto la gestione commissariale rimane fumosa. E i 600 da licenziare a Genova dovrebbero andare a lavorare a Taranto? o dove altro? Un buco nero. Per non parlare dell’indotto, il cui futuro è appeso ad un filo.
La reazione dei lavoratori c’è stata, decisa. L’adesione allo sciopero del 9 ottobre è stata quasi totale in tutti gli stabilimenti (Taranto, Genova e Novi Ligure). Il governo, che aveva già accettato il piano di licenziamenti, è andato in difficoltà e ha sospeso il tavolo per guadagnare tempo. Si preparano, senza dubbio, a smussare qualche punto secondario del piano ArcelorMittal – non è detto che ci riescano – per poi presentarsi come mediatori, far ingoiare ai lavoratori questa pillola amarissima e pretendere pure di essere ringraziati e magari votati alle elezioni politiche della primavera 2018.
La reazione del padronato è stata sorniona ma non per questo meno pericolosa. Il presidente di Confindustria Boccia ha giocato al pacificatore affermando che “occorre non fermarsi al conflitto sulle aspettative”, e immaginiamo che intendesse le aspettative degli operai. Su Il Sole 24 Ore Matteo Meneghello ha poi auspicato una ripresa del confronto e ha ricordato che i diritti salariali acquisiti erano stati azzerati anche nell’ultimo grande accordo (a perdere) del settore siderurgico, quello siglato un paio di anni fa dal gruppo algerino Cevital, ora inadempiente, che rilevò la ex Lucchini. Come ad avvertire i sindacati di non alzare troppo la testa e ricordargli che di cedimenti ne hanno già patrocinati.
La reazione dei dirigenti sindacali non è stata all’altezza dello scontro. Convocare lo sciopero è sacrosanto ma non basta. Francesca Re David, segretaria generale della Fiom-Cgil, ha affermato che i sindacati sono “in attesa di capire. Credo che Mittal farà una proposta al governo che rispetti gli accordi con il Governo, che non sono quelli con il sindacato” (Il Sole 24Ore, 11 ottobre 2017). Manca completamente una strategia alternativa che non sia trascinarsi a rimorchio del Governo. Landini, ora membro della segreteria nazionale della Cgil, ha invocato l’intervento del governo e l’ingresso della Cassa depositi e prestiti (Cdp) nell’Ilva ma ha subito aggiunto, in un’intervista a La Stampa, che il ruolo dello stato deve essere quello di “garanzia degli investimenti” ed il suo ingresso può anche avere una durata “a tempo”. Tradotto: lo Stato entra per socializzare eventuali perdite iniziali e poi se ne può uscire e lasciare ai capitalisti tutta la torta del profitto.
La crisi dell’industria dell’acciaio in Italia è verticale. Questo è il risultato delle privatizzazioni degli anni ’90, guidate da un certo Romano Prodi, e di una più generale crisi del sistema. Non c’è alternativa alla lotta. I lavoratori dell’Ilva possono contare soltanto sulle loro forze, nessun governo li salverà. Ma alla lotta è necessario unire una strategia ed un programma che non si deve fermare davanti a nessun tabù.
Solo con un’Ilva nazionalizzata è possibile elaborare un vero piano di risanamento e rilancio, sotto il controllo dei lavoratori e dei comitati di cittadini in difesa della salute e dell’ambiente. Su questa strada la lotta dell’Ilva può essere la scintilla di una svolta che scuoterebbe la classe lavoratrice di tutto il paese.
16 ottobre 2017