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30 Agosto 2023Il Ponte di Messina è tornato alla ribalta delle cronache: il governo presenta questa “grande opera”, di cui ci si è riempiti la bocca per anni a destra e a sinistra, come un’occasione per risollevare l’economia del Meridione. Al di là dei numerosi argomenti dei pro-ponte, più o meno fantasiosi, è chiaro a tutti che dietro cantieri infiniti e appalti milionari si celano i soliti interessi di speculatori e baroni dell’edilizia e che un’opera simile rappresenti un ambiente perfetto per la proliferazione del capitale mafioso. Inoltre, la costruzione di un’opera simile nello Stretto di Messina porterebbe a danni ecologici incalcolabili in un’area di grande importanza naturalistica. Ma i giovani e i lavoratori di Sicilia e Calabria non si lasciano ingannare e , di fronte a questa ennesima speculazione, il 12 agosto 5mila persone sono scesi in piazza a Messina per dire ancora una volta “No al Ponte!”.
Il Sud Italia rappresenta la metà più povera del paese e il Ponte è uno specchietto per le allodole. I sostenitori del progetto sbandierano “crescita economica” e “aumento dell’occupazione”, ma è chiaro che questa opera serve solo a soddisfare gli interessi di speculatori e imprenditori edili. I lavoratori e i giovani siciliani sono stanchi della speculazione costante sul loro territorio mentre la sanità versa in condizioni disastrose e lo Stato non riesce a garantire nemmeno una rete idrica efficiente. Sono 372 le opere incompiute in Italia, di cui 138 solo in Sicilia, e oltre un miliardo l’ammontare di fondi già spesi.
Per molti anni si è accumulata rabbia e frustrazione e la manifestazione che si è svolta a Messina ne è il riflesso. Da decenni le condizioni di lavoratori e giovani del Meridione peggiorano a vista d’occhio. Il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è quasi il triplo rispetto al Nord Italia, il lavoro nero prolifera provocando una mancanza totale di diritti per i lavoratori e salari più bassi rispetto al resto d’Italia.
Di fronte a tanta miseria, il 12 agosto le strade della città dello Stretto si sono riempite di manifestanti. Sono scesi in 5mila a dire no al ponte e no a questo governo, dimostrando la diffusa insoddisfazione della classe lavoratrice meridionale, già manifestatasi durante le proteste in Campania contro l’abolizione del Rdc. Questa lotta riguarda l’enorme carico di problemi che attraversano il Sud Italia, dove innumerevoli famiglie si trovano sulla soglia della povertà assoluta. I manifestanti si sono schierati anche contro l’autonomia differenziata, un becero tentativo di scaricare le responsabilità di decenni di tagli ai servizi sulle spalle di lavoratori e lavoratrici meridionali.
Dal punto di vista logistico, l’idea di costruire un Ponte per migliorare il collegamento tra la Sicilia e il resto d’Italia è quantomeno assurda se consideriamo che le ferrovie dell’isola e della Calabria si trovano in uno stato decrepito. Per coprire la distanza di poco più di 300 Km tra Messina e Trapani si impiegano fino a 9 ore di treno con ben due cambi di mezzo. Infatti, buona parte delle ferrovie del sud è rimasta distante anni luce dalle più moderne presenti anche nel Nord Italia. Per esempio, nel Meridione il binario unico resta predominante, attestandosi al 70% sul totale. Non è così distante nel tempo la strage dei treni in Puglia, quando due treni si scontrarono frontalmente proprio su un binario unico, con un sistema di sicurezza obsoleto, causando 23 morti e 51 feriti. L’ennesima strage di Stato per cui nessuno ha pagato.
A tutto ciò si aggiunge la questione ecologica e i danni che un progetto di questo tipo rischia di provocare in un’area naturalistica come lo Stretto di Messina. Ma non la vedono così i sostenitori della costruzione, che tutto d’un tratto si interessano dell’ambiente. Il Ponte viene presentato come l’opera che permetterà una riduzione delle emissioni di Co2 causate dal passaggio costante dei traghetti della Caronte e degli aliscafi Bluferries attraverso lo stretto. Sembra impossibile immaginare altre soluzioni se non un ponte lungo tre km in una zona ad elevato rischio sismico e attraversata da forti venti per la maggior parte dell’anno. Opera che richiederà, se dovesse essere realmente conclusa, 10 anni di lavori volendo essere ottimisti. Senza contare l’impatto che avrebbe a livello ambientale se dovesse essere portato a compimento, provocando il passaggio di migliaia di automobili al giorno. Il rapporto costi/benefici non sembra essere molto conveniente, se non per quei pochi che ci lucreranno sopra.
La costruzione del Ponte è trasversale a tutti i problemi che ritroviamo costantemente nell’attuale sistema economico. Proprio per questo motivo, queste manifestazioni devono essere solo l’inizio, l’origine di una serie di lotte in Sicilia e in Calabria contro questo sistema. Già ai tempi dei governi Berlusconi le lotte contro il Ponte ottennero grandi risultati, bloccandone la costruzione. Adesso più che mai è fondamentale riconoscere che il capitalismo e la logica del profitto sono alla base delle politiche di austerità, dei tagli ai servizi pubblici e della crisi climatica. Solo avendo presente questo si può pensare di ottenere di più di una semplice sospensione del progetto.
La lotta contro il Ponte deve rappresentare il primo passo per una presa di posizione dei lavoratori e dei giovani meridionali riguardo a tutte le questioni drammatiche che attanagliano il Sud Italia e impediscono il raggiungimento di condizioni di vita accettabili a chi lo abita. Ma per fare questo è fondamentale riconoscere la necessità di coinvolgere i lavoratori nella lotta, poiché solo loro rappresentano il reale potenziale rivoluzionario intrinseco al sistema capitalistico. In questo modo si potrà condurre una lotta realmente efficace che scalfisca i meccanismi del sistema attraverso scioperi e proteste, bloccando la costruzione del ponte e la speculazione sui territori del Meridione.