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6 Aprile 2018Nell’ultimo paio d’anni soprattutto sono stato un lettore abbastanza assiduo di Internazionale, settimanale che traduce in italiano articoli e riporta notizie da tutte le parti del mondo, perché, al di là dei contenuti più strettamente politici con cui sono quasi sempre in disaccordo, si può venire a conoscenza o approfondire fatti generalmente trascurati dai media nazionali.
Che stupore quindi stamattina, acquistando il n°1248, nel trovare a pagina 56 l’articolo intitolato “Senza gerarchie”, tratto dalla rivista francese Ebdo e scritto a più mani, sui modelli di gestione alternativi sperimentati da molte aziende francesi. “Succede sia in colossi come la Michelin sia in piccole imprese di provincia”. Con un certo orgoglio ho pensato “vuoi vedere che lavoro da 30 anni in quella che è diventata la prima multinazionale anarchica della storia e non me ne sono nemmeno accorto?”
L’articolo è incentrato sulla situazione francese ma anche noi italiani, ormai piccola e sicuramente provinciale parte dei 111 mila dipendenti (dice l’articolo) del gruppo, siamo stati messi al corrente, o meglio “formati” come si usa dire nel gergo di noi aziende alternative, sulla nuova filosofia aziendale, ma finora non abbiamo ancora beneficiato delle meraviglie della “felicità al lavoro” o quasi condivisa dai “responsabili delle risorse umane che visitano la Michelin” (e via una serie di grosse aziende francesi) né, più modestamente, potuto assistere, come i nostri fortunati colleghi di Clermont Ferrand, patria dell’omonima famiglia e sede storica del quartier generale aziendale, all’esecuzione delle Quattro Stagioni da parte dell’orchestra Les Dissonances, “l’unica orchestra sinfonica senza un direttore”.
Questa parte dell’articolo si concentra appunto su “uno dei miti del paternalismo alla francese (sì, di questo invece mi sono accorto in tutti questi anni), la Michelin” che “ha preso la storica decisione di orientarsi verso un nuovo modello di organizzazione: la responsabilizzazione” che “permette di migliorare le prestazioni aziendali attraverso il miglioramento delle relazioni sociali” consentendo “di diminuire il ricambio del personale e l’assenteismo, di aumentare la creatività e di conseguenza la salute finanziaria dell’organizzazione”. L’ultimo punto fa già una certa chiarezza e allora mi è venuto un dubbio: non è che con il recente aumento di ben 22 (ventidue) centesimi di euro per il buono pasto concesso ai lavoratori di uno dei siti italiani dopo che si era sostanzialmente rimasti, dall’arrivo dell’euro ad oggi, alla conversione delle 10.000 vecchie lire, rischiamo irresponsabilmente di compromettere invece questa salute? Ah no, mi sono subito detto, a pareggiare i conti ci penserà l’accodamento dell’azienda, malgrado il nuovo modello di gestione alternativo sicuramente ancora non condiviso dalle altre aziende del settore, alle posizioni degli industriali di categoria che si rifiutano, da gennaio di quest’anno, di corrispondere gli aumenti previsti dall’ultimo CCNL.
Viene citato anche il fatto che negli ultimi anni in Francia “la percentuale di dipendenti che si ritiene in sintonia con la strategia dell’impresa” tra gli operai è stata sugli stessi alti livelli dei quadri “un po’ più dell’80%”. E’ vero, anche in Italia ci sono periodici sondaggi, su domande formulate dall’azienda, con alte percentuali favorevoli, ma sono piuttosto articolati e andrebbero analizzati un po’ più da vicino, mentre sarebbe interessante anche sapere quanti sono stati a rispondere a questionari sul cui carattere anonimo ad esempio si nutrono sempre dubbi. E inoltre la novità del modello “senza gerarchie”, è appena partita e non ancora pienamente funzionante nemmeno in Francia, ci rifacciamo quindi ancora a dati del periodo “paternalistico”, che come per magia ci siamo lasciati alle spalle.
Però ciò che ha veramente cambiato la mia attitudine è stata l’opinione di Laurent Sarrazin, “leader di un altro movimento, quello delle imprese agili” secondo cui “Oggi per lavorare meglio bisogna usare tutti i cervelli di un’organizzazione e non solo quelli dei dirigenti, questa è la chiave del successo”.
Perché allora mi sono detto che forse anche una redazione, come quelle di Ebdo e di Internazionale che gli dà voce, dovrebbero usare meglio i cervelli che senza dubbio hanno a disposizione, ad esempio non accontentandosi delle veline aziendali, sentendo anche l’opinione dei lavoratori, e soprattutto evidenziando anche l’altra gamba su cui si sviluppa la trasformazione in corso alla Michelin, cioè la digitalizzazione, citata solo marginalmente per dire che “Le nuove tecnologie, le nuove generazioni” (quali, quelle senza più diritti? Ah già, ma loro non ne hanno bisogno, in queste nuove aziende, alternative o agili non importa, vivranno di felicità al lavoro), “la disoccupazione elevata” (tra i cui antidoti oggi più diffusi c’è senza dubbio anche la digitalizzazione no?) “ e la popolarità delle start up sono gli elementi che hanno reso necessario queste evoluzioni”. Si potrebbe aggiungere però che le nuove tecnologie sono anche funzionali non solo alla diminuzione assoluta della mano d’opera (ricordo di aver letto nel febbraio 2017 sul Financial Times, quando il mio cervello in azienda era ancora sottoutilizzato e potevo dedicarmi anche ad altro, un articolo intitolato Most US manufacturing jobs lost to technolgy, not trade (La maggior parte dei posti di lavoro persi nel settore manufatturiero sono a causa della tecnologia, non del commercio, ndr), e anche Trump è servito )ma anche alla veloce sostituzione dei lavoratori anziani con forze più giovani, indispensabili e soprattutto precarie.
Comunque tutti tranquilli: “Non si tratta di autogestione: i manager continueranno a esistere, ma saranno delle figure che aiutano il personale, non i rappresentanti dei vertici”. Lecito dedurne che finora i manager invece siano stati un ostacolo per i lavoratori ?
Ma se non si tratta di autogestione cosa c’entra tutto il resto dell’articolo che racconta, mettendo tutto sullo stesso piano come annunciato nel sottotitolo, della falegnameria che “funziona in autogestione” e dove tutti ricevono lo stesso stipendio, tutti sono azionisti, tutti sono intercambiabili, tutti possono scegliere il part-time ecc…? Della direzione dei servizi sociali di Carcassonne,“organizzazione privata che svolge un servizio pubblico”, che applica la procedura “dell’impresa liberata” in cui “le decisioni strategiche sono prese dall’assemblea dei dipendenti” che possono anche stabilire “i giorni di riposo e le ferie” e i “criteri di avanzamento della carriera”? Del panificio di Grenoble in cui i forni, invece che di notte, vengono accesi alle 7 del mattino, dove “si lavora senza un capo” (come, non dovrebbe aiutare il personale?) e “s’impasta ascoltando musica reggae”, traendo ispirazione dai dettami della “governance condivisa”?
Non ho la minima idea di come funzionino queste esperienze, che hanno tutta l’aria comunque di rimanere nel recinto ben marcato di una logica capitalistica, perché ad esempio dove ci sono azionisti gatta ci cova, ma su cui magari varrebbe sì la pena di leggere qualcosa di più analitico e meno celebrativo, ma so per certo, esattamente come i giornalisti di Ebdo e spero anche la redazione di Internazionale, che non hanno nulla a che vedere con il funzionamento e il clima che si respira soprattutto nelle fabbriche, ma anche negli uffici, di una multinazionale dove, malgrado la “responsabilizzazione”, non sono previste assemblee democratiche, decisioni condivise, uguaglianza salariale, accompagnamenti musicali esotici e quant’altro, e non lo saranno fino al giorno in cui i rapporti di forza non cambieranno realmente, arrivando alla vera “responsabilizzazione” dei lavoratori fuori dalla logica del profitto a vantaggio di pochi.
Da oggi e fino ad allora potremo fare sicuramente a meno della lettura di Internazionale, ci basterà l’house organ aziendale che riceviamo tutti regolarmente a casa, e potremo anche sorridere di articoli come questo, consapevoli però che alla fine non sarà una risata che li seppellirà, né i “colossi come la Michelin” né i loro portavoce come Ebdo e Internazionale.