Piazza Fontana e la giustizia impossibile
12 Dicembre 2022L’imperialismo tedesco tra l’incudine e il martello
13 Dicembre 2022Nel 1925 Trotskij, in qualità di presidente del Dipartimento tecnico e scientifico dell’industria, era a capo di tutte le istituzioni scientifiche e in tale veste pronunciò il discorso, pubblicato di seguito, prima del Congresso Mendeleeviano del 17 settembre 1925. Il 18 aprile 1938, Trotskij scrisse la seguente prefazione alla traduzione inglese del suo discorso: “Questo discorso è stato pronunciato nel 1925, in un momento in cui l’autore sperava ancora fermamente che la democrazia sovietica superasse le tendenze al burocratismo e creasse condizioni eccezionalmente favorevoli allo sviluppo del pensiero scientifico. A causa di una combinazione di cause storiche questa speranza non si è ancora materializzata. Al contrario, lo stato sovietico nei successivi tredici anni è caduto vittima di una completa ossificazione burocratica e ha assunto un carattere totalitario ugualmente dannoso per lo sviluppo della scienza e dell’arte. Attraverso la crudele ironia della storia, il marxismo genuino è ora diventato la più proscritta di tutte le dottrine dell’Unione Sovietica. Nel campo delle scienze sociali, il pensiero sovietico incatenato non solo non è riuscito a pronunciare una sola parola nuova, ma, al contrario, è sprofondato negli abissi della scolastica patetica. Anche il regime totalitario esercita un’influenza disastrosa sullo sviluppo delle scienze naturali. Tuttavia, le opinioni sviluppate in questo intervento conservano la loro validità, anche nella sezione che tratta delle interrelazioni tra il regime sociale e il pensiero scientifico. Comunque, dovrebbero essere considerate non alla luce dello stato sovietico attuale, prodotto della degenerazione e della disintegrazione, ma piuttosto alla luce di quello stato socialista che sorgerà dalla futura lotta vittoriosa della classe operaia internazionale”.
di Lev Trotskij
La continuità del patrimonio culturale
Il vostro congresso si riunisce in occasione delle celebrazioni del 200° anniversario della fondazione dell’Accademia delle Scienze. Il legame tra il vostro Congresso e l’Accademia è reso ancora più saldo dal fatto che la chimica russa non occupa affatto l’ultimo posto nei risultati che hanno reso celebre l’Accademia. Qui è forse opportuno porsi la domanda: qual è l’intimo valore storico delle elaborate celebrazioni accademiche? Hanno un significato che va ben al di là delle semplici visite a musei, teatri e banchetti. Come possiamo valutare questo valore? Non solo per il fatto che scienziati stranieri, così gentili da venire qui come nostri ospiti, hanno avuto modo di constatare che la rivoluzione, lungi dal distruggere le istituzioni scientifiche, al contrario le ha sviluppate. Questa prova acquisita dagli scienziati stranieri possiede un significato proprio. Ma il valore delle celebrazioni accademiche è molto più grande e profondo. Lo formulerei come segue: Il nuovo Stato, una nuova società basata sulle leggi della Rivoluzione d’ottobre si impossessa in modo trionfale – davanti agli occhi del mondo intero – del patrimonio culturale del passato.
Poiché ho inavvertitamente fatto riferimento al patrimonio, devo chiarire il senso in cui uso questo termine per evitare possibili fraintendimenti. Saremmo colpevoli di mancanza di rispetto verso il futuro, più caro a tutti noi del passato, e mancheremmo di rispetto al passato, che in molti dei suoi aspetti merita profondo rispetto – se dovessimo parlare di patrimonio in termini generici. Non tutto nel passato ha valore per il futuro. Inoltre, lo sviluppo della cultura umana non è determinato da un semplice concretarsi. Ci sono stati periodi di crescita organica così come periodi di critica, esame e selezione rigorosi. Sarebbe difficile dire quale di questi periodi si sia rivelato più fecondo per lo sviluppo generale della cultura. In ogni caso, stiamo vivendo in un’epoca di esame e selezione.
La giurisprudenza romana ha, dal tempo di Giustiniano, stabilito la legge dell’eredità inventariale. Contrariamente alla legislazione pre-giustiniana che stabiliva il diritto di un erede ad accettare l’eredità solo a condizione che si assumesse anche la responsabilità di tutti gli obblighi e debiti, l’eredità inventariale dava all’erede un certo grado di scelta. Lo stato rivoluzionario, che rappresenta una nuova classe, è una sorta di erede inventariale in relazione al bagaglio culturale accumulato. Lasciatemi asserire francamente che non tutti i 15.000 volumi pubblicati dall’Accademia durante i suoi due secoli di esistenza entreranno nell’inventario del socialismo!
Ci sono due aspetti di valore nient’affatto uguale per i contributi scientifici del passato che ora sono nostri e di cui andiamo fieri. La scienza nel suo insieme è stata orientata all’acquisizione della conoscenza della realtà, verso la ricerca delle leggi dell’evoluzione, e la scoperta delle proprietà e delle qualità della materia, al fine di ottenere un maggiore dominio di essa. Ma la conoscenza non si è sviluppata tra le quattro mura di un laboratorio o di un’aula magna. No, essa rimane una funzione della società umana e riflette la struttura della società umana. Per le sue necessità, la società richiede la conoscenza della natura. Ma allo stesso tempo, la società esige l’affermazione del suo diritto di essere ciò che è; una giustificazione delle sue istituzioni particolari; anzitutto le istituzioni del dominio di classe, così come in passato esigeva la giustificazione della servitù, dei privilegi di classe, delle prerogative monarchiche, dell’eccezione nazionale, ecc. La società socialista accetta con somma gratitudine l’eredità delle scienze positive, scartando, quale diritto della scelta inventariale, tutto ciò che sia inutile per acquisire la conoscenza della natura ma utile solo a giustificare l’ineguaglianza di classe e ogni altro genere di falsità storica.
Ogni nuovo ordine sociale si appropria del patrimonio culturale del passato, non nella sua totalità, ma solo secondo la propria struttura. Perciò, la società medievale incorporò nel cristianesimo molti elementi della filosofia antica, subordinandoli comunque ai bisogni del regime feudale e trasformandoli nella scolastica, l’«ancella della teologia». Similmente, la società borghese ereditò tra l’altro dal Medioevo il cristianesimo, ma la sottopose o alla Riforma, cioè alla ribellione sotto forma di protestantesimo, o alla pacificazione sotto forma di adattamento del cattolicesimo al nuovo regime. In ogni caso, il cristianesimo dell’epoca borghese è stato messo da parte quel tanto da aprire la strada alla ricerca scientifica, almeno entro quei limiti che erano necessari allo sviluppo delle forze produttive.
La società socialista, in relazione al patrimonio scientifico e culturale in generale, mantiene in un grado molto minore un atteggiamento di indifferenza o di accettazione passiva. Si può dire che più grande è la fiducia del socialismo nelle scienze dedite allo studio diretto della natura, più grande è la sua diffidenza critica nell’accostarsi a quelle scienze e pseudoscienze che sono strettamente legate alla struttura della società umana, alle sue istituzioni economiche, al suo stato, leggi, etica, ecc. Naturalmente queste due sfere non sono separate da un muro impenetrabile. Ma allo stesso tempo, è un fatto indubitabile che il patrimonio incorporato in quelle scienze che non trattano la società umana ma la «materia» – nelle scienze naturali nel senso più ampio del termine, e di conseguenza ovviamente nella chimica – è di peso incomparabilmente maggiore.
La necessità di conoscere la natura è imposta agli uomini dal loro bisogno di subordinare la natura a sé stessi. In questa sfera eventuali digressioni dalle relazioni oggettive, che sono determinate dalle proprietà della materia stessa, sono corrette dall’esperienza pratica. Solo questo garantisce seriamente le scienze naturali, la ricerca chimica, in particolare, dalle deformazioni, dalle interpretazioni errate e dalle falsificazioni intenzionali, non intenzionali, semi-intenzionali. La ricerca sociale ha essenzialmente dedicato i suoi sforzi alla giustificazione della società sorta nel corso della storia, in modo da preservarla dagli attacchi delle «teorie distruttive», ecc. In questo è radicato il ruolo apologetico della società borghese da parte delle scienze sociali ufficiali, e questo è la ragione per cui le loro realizzazioni sono di scarso valore.
Fin tanto che la scienza nel suo insieme rimase un’«ancella della teologia», poté produrre risultati validi solo surrettiziamente. Questo era il caso nel Medioevo. Fu durante il regime della borghesia, come già chiarito, che le scienze naturali acquisirono la possibilità di un ampio sviluppo. Ma le scienze sociali sono rimaste al servizio del capitalismo. Questo è vero, in larga misura, anche per la psicologia che collega le scienze sociali e quelle naturali, e la filosofia, che sistematizza le conclusioni tratte dalle generalizzazioni di tutte le scienze.
Ho detto che la scienza sociale ufficiale ha prodotto poche cose di valore. Ciò è rivelato meglio dall’incapacità della scienza borghese di prevedere il futuro. Lo abbiamo osservato in relazione alla Prima guerra mondiale imperialista e alle sue conseguenze. Lo abbiamo visto di nuovo in relazione alla Rivoluzione d’ottobre. Lo vediamo ora nella completa impotenza delle scienze sociali ufficiali nella valutazione della situazione europea, nelle interrelazioni con l’America e con l’Unione Sovietica; nella sua incapacità di trarre alcuna conclusione sul domani. Eppure, il significato della scienza sta proprio in questo: conoscere per prevedere.
La scienza naturale – e la chimica occupa un posto importantissimo in quel campo – costituisce indiscutibilmente la parte più preziosa della nostra eredità. Il vostro Congresso si tiene sotto la bandiera di Mendeleev che era e rimane l’orgoglio della scienza russa.
Conoscere per prevedere e agire
C’è una differenza nel grado di previsione e precisione raggiunti nelle varie scienze. Ma è attraverso la previsione – passiva, in alcuni casi come nell’astronomia, attiva come nella chimica e nell’ingegneria chimica – che la scienza può verificare sé stessa e giustificare il proprio fine sociale. Un singolo scienziato può non essere affatto interessato all’applicazione pratica della sua ricerca. Quanto più ampio è il suo raggio d’azione, più audace è il suo volo, quanto più grande la sua libertà dalle necessità pratiche quotidiane nelle sue operazioni mentali, tanto meglio. Ma la scienza non è una funzione dei singoli scienziati; è una funzione pubblica. Il valore sociale della scienza, il suo valore storico è determinato dalla sua capacità di incrementare il potere dell’uomo e di dotarlo del potere di prevedere e dominare la natura. La scienza è conoscenza che ci dota di potere. Quando Le Verrier sulla base delle «eccentricità» nell’orbita di Urano concluse che doveva esistere un corpo celeste sconosciuto che «disturbasse» il movimento di Urano; quando Le Verrier, sulla base dei suoi calcoli puramente matematici, chiese all’astronomo tedesco Galle di localizzare al tale indirizzo un corpo errante senza passaporto nei cieli; quando Galle mise a fuoco il suo telescopio in quella direzione e scoprì il pianeta chiamato Nettuno – in quel momento la meccanica celeste di Newton celebrò una grande vittoria.
Ciò avvenne nell’autunno del 1846. Nell’anno 1848 la rivoluzione si diffuse come un turbine attraverso l’Europa, dimostrando la sua influenza «perturbante» sul movimento dei popoli e degli Stati. Nell’intervallo tra la scoperta di Nettuno e la rivoluzione del 1848, due giovani studiosi, Marx ed Engels, scrissero Il Manifesto del Partito comunista, in cui non solo predissero l’inevitabilità degli eventi rivoluzionari nel prossimo futuro, ma analizzavano anche in anticipo le loro forze componenti, la logica del loro movimento, fino all’inevitabile vittoria del proletariato e all’instaurazione della dittatura del proletariato. Non sarebbe affatto superfluo accostare questa prognosi alle profezie della scienza sociale ufficiale degli Hohenzollern, dei Romanov, di Luigi Filippo e di altri nel 1848.
Nel 1869 Mendeleev, sulla base delle sue ricerche e riflessioni sul peso atomico, stabilì la sua legge periodica degli elementi. Al peso atomico, come criterio più stabile, Mendeleev collegò una serie di altre proprietà e tratti, dispose gli elementi in un ordine definito e poi attraverso questo ordine ha rivelato l’esistenza di un certo disordine, cioè l’assenza di certi elementi. Questi elementi o unità chimiche sconosciuti, come una volta li chiamò Mendeleev, dovrebbero secondo la logica di questa “legge” occupare specifici posti vacanti in quell’ordine. Qui, con il gesto autorevole di un ricercatore sicuro di sé, Mendeleev bussò a una delle porte della natura fino ad allora chiuse, e dall’interno una voce rispose: “Presente!” In realtà, tre voci hanno risposto contemporaneamente, poiché nei luoghi indicati da Mendeleev sono stati scoperti tre nuovi elementi, chiamati poi gallio, scandio e germanio.
Un meraviglioso trionfo del pensiero, analitico e sintetico! Nel suo Principi di chimica Mendeleev descrive in modo vivace lo sforzo creativo scientifico, paragonandolo al progetto di un ponte attraverso un burrone. Per questo non è necessario scendere nel burrone e fissare i supporti al fondo; è sufficiente erigere le fondamenta su un lato e quindi progettare un arco accuratamente studiato che troverà un sostegno sul lato opposto. Avviene qualcosa di simile con il pensiero scientifico. Ci si può basare solo sul fondamento granitico dell’esperienza, ma le sue generalizzazioni come l’arco di un ponte possono elevarsi al di sopra del mondo dei fatti al fine di incontrarsi successivamente, in un altro punto calcolato in anticipo, con quest’ultimo. In quel momento del pensiero scientifico in cui una generalizzazione diventa predizione – e la predizione è verificata in modo trionfale attraverso l’esperienza – in quel momento, il pensiero umano si colma invariabilmente della soddisfazione più orgogliosa e giustificata! Così fu in chimica con la scoperta di nuovi elementi sulla base della tavola periodica.
La predizione di Mendeleev, che in seguito produsse una profonda impressione su Friedrich Engels, fu fatta nell’anno 1871, l’anno cioè della grande tragedia della Comune di Parigi in Francia. L’atteggiamento del nostro grande chimico nei confronti di questo evento può essere dedotto dalla sua ostilità generale verso il «Latinismo», le sue violenze e rivoluzioni. Come tutti i pensatori ufficiali delle classi dominanti non solo in Russia e in Europa ma in tutto il mondo, Mendeleev non si chiese: qual è la vera forza motrice della Comune di Parigi? Non vide che la nuova classe che nasceva dal grembo della vecchia società con i suoi movimenti di «disturbo» stava esercitando un’influenza sull’orbita della vecchia società come il pianeta sconosciuto fece con l’orbita di Urano. Ma un esule tedesco, Karl Marx, analizzò allora le cause e la meccanica interna della Comune di Parigi e il suo raggio di luce scientifica illuminò gli eventi del nostro stesso Ottobre e fece luce su di loro.
Da lungo tempo abbiamo ritenuto non necessario fare ricorso a una sostanza più misteriosa, chiamata flogisto, per spiegare le reazioni chimiche. In effetti, il flogisto serviva semplicemente come generalizzazione a causa dell’ignoranza degli alchimisti. Nell’ambito della fisiologia, è passato molto tempo da quando si sentiva il bisogno di una speciale sostanza mistica, chiamata forza vitale, il flogisto della materia vivente. In linea di principio ora possediamo una conoscenza sufficiente della fisica e della chimica per spiegare i fenomeni fisiologici. Nell’ambito dei fenomeni della coscienza non abbiamo più bisogno di una sostanza denominata “anima” che nella filosofia reazionaria svolge il ruolo del flogisto dei fenomeni psico-fisici. La psicologia è per noi in ultima analisi riducibile alla fisiologia, e quest’ultima alla chimica, alla meccanica e alla fisica. Ciò è molto più praticabile della «teoria del flogisto» nella sfera delle scienze sociali, dove questo flogisto appare in costumi diversi, ora travestito da «missione storica», ora camuffato da immutabile «carattere nazionale», ora come la incorporea idea di «progresso», ora come cosiddetto «pensiero critico», e così via ad infinitum. In tutti questi casi si è cercato di scoprire qualche sostanza al di sopra del sociale per spiegare i fenomeni sociali. È appena il caso di ripetere che queste sostanze ideali sono solo ingegnosi travestimenti dell’ignoranza sociologica. Il marxismo rifiuta le essenze sovrastoriche, così come la fisiologia ha rinunciato alla forza vitale, o la chimica al flogisto.
L’essenza del marxismo consiste in questo, che approccia concretamente la società, come soggetto della ricerca oggettiva, e analizza la storia umana come si farebbe con un un’immensa documentazione di laboratorio. Il marxismo valuta l’ideologia come un elemento integrale subordinato della struttura sociale materiale. Il marxismo esamina la struttura di classe della società come una forma storicamente condizionata dello sviluppo delle forze produttive; il marxismo deduce dalle forze produttive della società le relazioni reciproche tra la società umana e la natura circostante, e queste, a loro volta, sono determinate in ogni stadio storico dalla tecnologia dell’uomo, dai suoi strumenti e armi, dalle sue capacità e metodi di lotta con la natura. Proprio questo approccio oggettivo arma il marxismo dell’insuperabile forza della previsione storica.
Consideriamo la storia del marxismo, anche solo su scala nazionale, in Russia, e seguiamola non dal punto di vista delle simpatie o antipatie politiche, ma dal punto di vista della definizione di scienza di Mendeleev: conoscere per prevedere e agire.
Il periodo iniziale della storia del marxismo sul suolo russo è la storia di una lotta per una corretta prognosi (previsione) storico-sociale contro i punti di vista del governo ufficiale e dell’opposizione ufficiale. Nei primi anni del 1880, cioè in un’epoca in cui l’ideologia ufficiale esisteva come trinità di assolutismo, ortodossia e nazionalismo; il liberalismo sognava ad occhi aperti un’assemblea di zemstvo, vale a dire monarchia semi-costituzionale, mentre i narodniki combinavano vaghe fantasie socialiste con idee economiche reazionarie. A quel tempo il pensiero marxista pronosticava non solo l’attività inevitabile e progressiva del capitalismo, ma anche l’apparizione del proletariato in un ruolo storico indipendente – il proletariato che prendeva l’egemonia nella lotta delle masse popolari; la dittatura del proletariato che conduce dietro di sé i contadini.
La differenza tra il metodo marxista di analisi sociale e le teorie contro le quali ha combattuto non è minore della differenza che esiste che tra la tavola periodica di Mendeleev con tutte le sue ultime modifiche da una parte e il gergo incomprensibile degli alchimisti dall’altra.
Scienze naturali e marxismo
“La causa delle reazioni chimiche risiede nelle proprietà fisiche e meccaniche dei composti”. Questa formula di Mendeleev ha un carattere completamente materialista. La chimica invece di ricorrere a qualche nuova forza sovra-meccanica e sovra-fisica per spiegare i suoi fenomeni, riduce i processi chimici alle proprietà meccaniche e fisiche dei suoi composti.
La biologia e la fisiologia hanno una relazione simile con la chimica. La fisiologia scientifica, cioè materialista, non richiede una speciale forza vitale sovra-chimica (come sostengono i vitalisti e i neo-vitalisti) per spiegare i fenomeni nel loro campo. I processi fisiologici in ultima analisi si possono ridurre a quelli chimici, proprio come questi ultimi alla meccanica e alla fisica.
In modo simile la psicologia è correlata alla fisiologia. Non per niente la fisiologia è chiamata la chimica applicata agli organismi viventi. Come non esiste una forza fisiologica speciale, così è altrettanto vero che la psicologia scientifica, cioè materialista, non ha bisogno di una forza mistica – l’anima – per spiegare i fenomeni nel suo campo, ma può ridurli in ultima analisi a fenomeni fisiologici. Questa è la scuola dell’accademico Pavlov che vede la cosiddetta anima come un complesso sistema di riflessi condizionati, completamente radicati nei riflessi fisiologici elementari che a loro volta trovano, attraverso lo strato potente della chimica, la loro radice nel sottosuolo della meccanica e della fisica.
Lo stesso si può dire anche della sociologia. Per spiegare i fenomeni sociali non è necessario addurre alcun tipo di fonte eterna, o cercare l’origine in un altro mondo. La società è un prodotto dello sviluppo della materia primaria, come la crosta terrestre o l’ameba. In questo modo il pensiero scientifico con il suo metodo taglia come una punta di diamante da parte a parte i complessi fenomeni dell’ideologia sociale fino alle fondamenta della materia, i suoi elementi componenti, i suoi atomi con le loro proprietà fisiche e meccaniche.
Naturalmente ciò non significa che ogni fenomeno della chimica possa essere immediatamente ridotto alla meccanica; e tantomeno, che ogni fenomeno sociale è direttamente riducibile alla fisiologia e poi – alle leggi della chimica e della meccanica. Si può dire che questo è lo scopo supremo della scienza. Ma il metodo di approccio graduale e continuo a questo scopo è del tutto diverso. La chimica ha un suo speciale approccio alla materia, un suo proprio metodo di ricerca, le proprie leggi. Senza il sapere che le reazioni chimiche sono riducibili in ultima analisi alle proprietà meccaniche delle particelle elementari della materia, non c’è e non può esserci una filosofia finita che colleghi tutti i fenomeni in un singolo sistema, così, d’altra parte, il solo sapere che i fenomeni chimici sono essi stessi radicati nella meccanica e nella fisica non fornisce in sé la chiave nemmeno di una reazione chimica. La chimica ha le sue proprie chiavi. Si può scegliere tra di esse solo grazie all’esperienza e alla generalizzazione, attraverso i laboratori chimici, ipotesi chimiche e teorie chimiche.
Questo vale per tutte le scienze. La chimica è un potente pilastro della fisiologia con cui è direttamente collegata attraverso i canali della chimica organica e fisiologica. Ma la chimica non sostituisce la fisiologia. Ogni scienza si basa sulle leggi di altre scienze solo nella cosiddetta ultima istanza. Ma allo stesso tempo, la separazione delle scienze l’una dall’altra è determinata proprio dal fatto che ciascuna scienza copre un particolare campo di fenomeni, cioè un campo di complesse combinazioni di fenomeni e leggi elementari che richiedono un approccio speciale, una ricerca speciale tecnica, ipotesi e metodi speciali.
Questa idea sembra così indiscutibile in relazione alle scienze della matematica e della storia naturale che insistere su di essa sarebbe come sfondare una porta aperta. È diverso per le scienze sociali. Naturalisti eccezionali che nel campo, ad esempio, della fisiologia non farebbero un passo senza tenere conto rigidamente di esperimenti, verifiche, generalizzazioni ipotetiche, ultime verifiche e così via, affrontano i fenomeni sociali con molta più audacia, con l’audacia dell’ignoranza, come se ammettessero tacitamente che in questa sfera di fenomeni estremamente complessa sia solo sufficiente disporre di vaghe propensioni, osservazioni quotidiane, tradizioni familiari, e anche una serie di pregiudizi sociali correnti.
La società umana non si è sviluppata secondo un piano o un sistema predefinito, ma empiricamente, nel corso di una lotta lunga, complicata e contraddittoria della specie umana per l’esistenza e, in seguito, per un dominio sempre maggiore sulla natura stessa. L’ideologia della società umana prese forma come un riflesso e uno strumento di questo processo – tardivo, irregolare, frammentario, nella forma, per così dire, di riflessi sociali condizionati che sono in ultima analisi riducibili alle necessità della lotta dell’uomo collettivo contro la natura. Pervenire a giudizi sulle leggi che regolano lo sviluppo della società umana sulla base della loro riflesso ideologico, sulla base della cosiddetta opinione pubblica ecc. equivale quasi a formulare un giudizio sulla struttura anatomica e fisiologica di una lucertola sulla base delle sue sensazioni mentre giace a scaldarsi al sole o striscia fuori da una fessura umida. È vero, c’è un legame diretto tra le sensazioni di una lucertola e la sua struttura organica. Ma questo legame è un soggetto di ricerca per mezzo di un metodo obiettivo.
C’è, tuttavia, una tendenza a diventare più soggettivi nel giudicare la struttura e le leggi che governano lo sviluppo della società umana nei termini della cosiddetta coscienza della società, cioè la sua ideologia contraddittoria, incoerente, conservatrice, non verificata. Naturalmente, si può essere insultati e sollevare l’obiezione che l’ideologia sociale è, dopo tutto, a un livello più elevato della sensazione di una lucertola. Tutto dipende da come si affronta la questione. A mio avviso non c’è niente di paradossale nell’affermazione che dalle sensazioni di una lucertola si potrebbe, se fosse possibile metterle a fuoco in modo appropriato, trarre conclusioni molto più dirette sulla struttura e sulla funzione dei suoi organi di quante se ne possono trarre sulla struttura della società e sulle sue dinamiche da riflessi ideologici come, ad esempio, i credi religiosi che un tempo occupavano e continuano ad occupare un posto così importante nella vita della società umana; o dai codici contraddittori e ipocriti della morale ufficiale; o, infine, dai concetti filosofici idealisti che, per spiegare i complessi processi organici che avvengono nell’uomo, cercano di porre la responsabilità in un’essenza vaga e indefinibile, chiamata anima e dotata delle qualità di impenetrabilità e di eternità.
La reazione di Mendeleev ai problemi della riorganizzazione sociale fu di ostilità e persino di disprezzo. Sosteneva che da tempo immemorabile niente era risultato dai tentativi fatti. Mendeleev pensava invece che un futuro più felice sarebbe sorto grazie alle scienze positive e tra tutte la chimica che avrebbero rivelato tutti i segreti della natura.
È interessante confrontare questo punto di vista a quello del nostro straordinario fisiologo Pavlov, il quale è dell’opinione che le guerre e le rivoluzioni siano qualcosa di casuale, derivante dall’ignoranza della gente; e che suppone che solo una profonda conoscenza della «natura umana» eliminerà sia le guerre che le rivoluzioni.
Darwin può essere collocato nella stessa categoria. Questo biologo di grande talento ha dimostrato come un accumulo di piccole variazioni quantitative produce una «qualità» biologica completamente nuova e con questo ha spiegato l’origine delle specie. Senza saperlo, applicò così il metodo del materialismo dialettico alla sfera della vita organica. Darwin, sebbene non privo di formazione filosofica, applicò brillantemente la legge di Hegel di transizione dalla quantità alla qualità. Allo stesso tempo, scopriamo molto spesso nello stesso Darwin, per non parlare dei darwiniani, tentativi del tutto ingenui e non scientifici di applicare le conclusioni della biologia alla società. Interpretare la competizione come una «varietà» della lotta biologica per l’esistenza è come vedere solo la meccanica nella fisiologia dell’accoppiamento.
In ognuno di questi casi osserviamo uno stesso errore fondamentale: i metodi e i risultati della chimica o della fisiologia, violando tutte le frontiere scientifiche, sono trapiantati nella società umana. Un naturalista difficilmente riporterebbe senza modifiche le leggi che governano il movimento degli atomi nel movimento delle molecole che sono governate da altre leggi. Ma molti naturalisti hanno un atteggiamento completamente diverso sulla questione della sociologia. La struttura storicamente condizionata della società è molto spesso trascurata da loro a favore della struttura anatomica delle cose, la struttura fisiologica dei riflessi, la lotta biologica per l’esistenza. Naturalmente, la vita della società umana stessa, intrecciata con le condizioni materiali, circondata da tutte le parti dai processi chimici, rappresenta essa stessa in ultima analisi una combinazione di processi chimici. D’altra parte, la società è costituita da esseri umani il cui meccanismo psicologico si può risolvere in un sistema di riflessi. Ma la vita pubblica non è né un processo chimico né fisiologico, ma un processo sociale che si configura secondo sue proprie leggi, e queste a loro volta sono soggette a un’analisi sociologica obiettiva i cui scopi dovrebbero essere l’acquisizione della capacità di prevedere e controllare il destino della società.
La filosofia di Mendeleev
Nei suoi commenti ai Principi di Chimica, Mendeleev afferma:
“Ci sono due scopi fondamentali o positivi dello studio scientifico degli oggetti: quello della previsione e quello dell’utilità… Il trionfo delle previsioni scientifiche sarebbe di valore veramente scarso se queste non portassero alla fine a un vantaggio diretto e generale. La preveggenza scientifica, fondata sulla conoscenza, dota la padronanza umana di concetti per mezzo dei quali è possibile dirigere la sostanza delle cose in un canale desiderato”.
Inoltre Mendeleev aggiunge prudentemente:
“Le idee religiose e filosofiche hanno prosperato e si sono sviluppate per molte migliaia di anni, ma quelle idee che regolano le scienze esatte capaci di prevedere sono state rivitalizzate solamente da pochi secoli e perciò hanno riguardato solo poche sfere. Non son passati nemmeno due secoli da quando la chimica è divenuta parte di queste scienze. In verità, ci attendiamo molto in quanto riguarda a previsione e utilità che possiamo trarre da queste scienze”.
Queste caute, parole «insinuanti» sono veramente degne di nota sulle labbra di Mendeleev. Il loro significato semi-nascosto è chiaramente diretto contro la religione e la filosofia speculativa. Mendeleev le mette in contraddizione con la scienza. Le idee religiose – dice in effetti – hanno regnato per migliaia di anni e i benefici che ne derivano non sono stati molti; ma ci si può rendere conto da soli di quanto la scienza abbia conquistato in poco tempo e da ciò si può giudicare quali saranno i suoi benefici futuri. Questo è il significato incontestabile del brano precedente incluso da Mendeleev in uno dei suoi commenti e stampato in caratteri molto eleganti a pagina 405 dei suoi Principi di Chimica. Dmitrij Ivanovič era un uomo molto cauto e non aveva intenzione di mettere in discussione l’opinione pubblica ufficiale!
La chimica è una scuola di pensiero rivoluzionario non a causa dell’esistenza di una chimica degli esplosivi. Gli esplosivi sono lungi dall’essere sempre rivoluzionari. Ma perché la chimica è, soprattutto, la scienza della trasmutazione degli elementi è ostile a ogni tipo di pensiero assoluto o conservatore assegnato a categorie immobili.
È molto istruttivo che Mendeleev, ovviamente sotto la pressione dell’opinione pubblica conservatrice, abbia difeso il principio di stabilità e immutabilità nei grandi processi di trasformazione chimica. Questo grande scienziato insisteva con notevole caparbietà sull’immutabilità degli elementi chimici e sull’impossibilità che si tramutassero l’uno nell’altro. Sentiva il bisogno di pilastri di sostegno più solidi. Egli disse:
“Io sono Dmitrij Ivanovič e tu sei Ivan Petrovič. Ognuno di noi possiede una sua propria individualità come gli elementi”.
Mendeleev più di una volta denunciò con disprezzo la dialettica. Con ciò egli intendeva non la dialettica di Hegel o di Marx, ma l’arte superficiale di giocherellare con le idee, per metà sofisma, per metà scolastica. La dialettica scientifica abbraccia metodi generali di pensiero che riflettono le leggi dello sviluppo. Una di queste leggi è il cambiamento della quantità in qualità. La chimica è interamente permeata da questa legge. Tutta la tavola periodica di Mendeleev è costruita interamente su questo, deducendo le differenze qualitative negli elementi dalle differenze quantitative nei pesi atomici. Engels valutò proprio da questo punto di vista la scoperta dei nuovi elementi da parte di Mendeleev. Nel suo testo, Natura generale della dialettica della scienza, Engels scrisse:
“Mendeleev dimostrò che nelle serie di elementi ordinate secondo il loro peso atomico si trovavano diverse lacune che stavano a indicare che in quei posti c’erano dei nuovi elementi che dovevano ancora essere scoperti. Descrisse anticipatamente le proprietà chimiche generali di uno di questi elementi (…) e ne predisse con buona approssimazione il peso specifico, quello atomico e anche il volume atomico. (…) Grazie all’applicazione – inconsapevole – della legge di Hegel della conversione della qualità in quantità, Mendeleev aveva portato a termine un’impresa scientifica che può porsi arditamente sullo stesso piano di quella compiuta da Le Verrier con la determinazione dell’orbita del pianeta Nettuno, ancora sconosciuto.” (Dialettica della natura, pag 37-38, edizioni Rinascita, 1950)
La logica della tavola periodica, sebbene più tardi modificata, si è dimostrata più forte dei limiti conservatori che il suo creatore ha cercato di porre su di essa. L’affinità degli elementi e la loro mutua metamorfosi possono considerarsi provate empiricamente da quando, con l’aiuto degli elementi radioattivi è diventato possibile scomporre l’atomo nei suoi componenti. Nella tavola periodica di Mendeleev, nella chimica degli elementi radioattivi, la dialettica celebra la propria vittoria più clamorosa!
Mendeleev non aveva un sistema filosofico finito. Forse nemmeno lo desiderava, perché lo avrebbe portato a un inevitabile conflitto con le proprie abitudini e simpatie conservatrici.
In Mendeleev si riscontra un dualismo sulle questioni fondamentali della conoscenza. Sembrerebbe quindi che tenda all’agnosticismo, dichiarando che l’ «essenza» della materia deve rimanere per sempre al di là della nostra cognizione perché è “estranea alla nostra conoscenza e al nostro spirito” (!). Ma quasi immediatamente ci offre una formula straordinaria per la conoscenza che con un sol colpo spazza via l’agnosticismo. Proprio nella stessa annotazione, Mendeleev dice:
“Accumulando gradualmente la loro conoscenza della materia, gli uomini ottengono il dominio su di essa, e man mano che fanno ciò, precisano sempre più le loro previsioni, verificabili nei fatti e non si vede come ci possa essere un limite alla conoscenza e al dominio della materia”.
È evidente che se non ci sono limiti alla conoscenza e alla dominio della materia, allora non c’è «essenza» inconoscibile.
La conoscenza che ci arma della capacità di prevedere tutti i possibili cambiamenti nella materia e ci conferisce la forza necessaria per realizzare questi cambiamenti: tale conoscenza di fatto esaurisce l’essenza della materia. La cosiddetta «essenza» inconoscibile è solo una generalizzazione della nostra conoscenza insufficiente della materia. È uno pseudonimo per la nostra ignoranza. La demarcazione dualistica della materia sconosciuta dalle sue proprietà note mi ricorda la definizione scherzosa di un anello d’oro come un foro circondato da metallo prezioso. È ovvio che se raggiungiamo la conoscenza del metallo prezioso dei fenomeni e riusciamo a modellarlo, allora possiamo rimanere del tutto indifferenti rispetto al «foro» della sostanza; e ne facciamo dono con piacere ai filosofi e ai teologi antichi.
Gli errori maggiori
Nonostante le sue concessioni verbali all’agnosticismo («essenza inconoscibile») Mendeleev è inconsciamente un materialista dialettico nei suoi metodi e nei risultati più importanti nella sfera delle scienze naturali, in particolare della chimica. Ma il suo materialismo appare come rinchiuso in un guscio conservatore, che difende il suo pensiero scientifico da conflitti troppo aspri con l’ideologia ufficiale. Ciò non implica che Mendeleev abbia creato artificialmente un rivestimento conservatore per i suoi metodi; egli stesso era sufficientemente legato all’ideologia ufficiale, e quindi senza dubbio ha provato un intimo obbligo di smussare il filo del rasoio del materialismo dialettico.
La cosa è diversa nella sfera delle relazioni sociologiche: l’ordito della filosofia sociale di Mendeleev era conservatore, ma di tanto in tanto in questo ordito si inseriscono sorprendenti supposizioni, materialiste nella loro essenza e rivoluzionarie nella loro tendenza. Ma accanto a queste supposizioni ci sono errori, e che errori!
Mi limiterò solo a due. Rifiutando tutti i piani di riorganizzazione sociale per il loro carattere utopico e «latino», Mendeleev immagina un futuro migliore solo in connessione con lo sviluppo della tecnologia scientifica. Ma egli ha la sua utopia. Secondo Mendeleev, sarebbero arrivati giorni migliori quando i governi delle maggiori potenze mondiali si sarebbero resi conto dell’esigenza di essere solidi e fossero arrivati a una sufficiente unanimità tra loro circa la necessità di eliminare tutte le guerre, le rivoluzioni e i principi utopistici di tutti gli anarchici, comunisti, e altri dal «pugno di ferro», incapaci di comprendere la progressiva evoluzione in corso in tutto il genere umano. L’alba di questa concordia universale si poteva già percepire nelle Conferenze dell’Aia, di Portsmouth e del Marocco.
Questi esempi rappresentano i più importanti errori da parte di un grande uomo. La storia ha sottoposto l’utopia sociale di Mendeleev a una prova rigorosa. Dalle Conferenze dell’Aia e di Portsmouth derivarono la guerra russo-giapponese, la guerra nei Balcani, il grande massacro imperialista delle nazioni e un forte declino dell’economia europea; mentre dalla Conferenza del Marocco, in particolare, è scaturita la disgustosa carneficina in Marocco che si sta completando ora sotto la bandiera della difesa della civiltà europea.
Mendeleev non considerò la logica interna dei fenomeni sociali, o, più precisamente, la dialettica interna dei processi sociali e fu perciò incapace di prevedere le conseguenze della Conferenza dell’Aia.
Ma, come sappiamo, il significato della scienza risiede, prima di tutto, nella previsione. Se fate riferimento a ciò che i marxisti scrivevano sulla Conferenza dell’Aia nei giorni in cui è stata organizzata e convocata, vi convincerete facilmente che i marxisti ne previdero correttamente le conseguenze. Ecco perché nel momento più critico della storia dimostrarono di essere armati di un «pugno di ferro». E non c’è proprio nulla di deplorevole nel fatto che la classe storicamente in ascesa, armata di una corretta teoria della conoscenza e della capacità di previsione sociale, alla fine dimostri parimenti di essere armata di un pugno sufficientemente ferrato da aprire una nuova epoca di sviluppo umano.
Permettetemi di citare un altro errore. Non molto prima della sua morte, Mendeleev scrisse: “Temo soprattutto per la qualità della scienza e di tutto il sapere, e per l’etica generale sotto il «socialismo di stato».”
I suoi timori erano fondati? Anche oggi, gli studenti più lungimiranti di Mendeleev hanno cominciato a intravedere con chiarezza le vaste possibilità di sviluppo del pensiero scientifico e tecnico-scientifico grazie al fatto che questo pensiero è, per così dire, nazionalizzato, liberato dalle guerre interne della proprietà privata, non più obbligato a prestarsi alla corruzione dei singoli proprietari ma volto al servizio dello sviluppo economico della nazione nel suo insieme. La rete di istituti tecnico-scientifici che lo Stato sta ora realizzando è solo un sintomo minuscolo e, per così dire, materiale delle possibilità illimitate che si sono dischiuse.
Non cito questi errori per gettare un’ombra sulla grande fama di Dmitrij Ivanoviči Ivanovich. La storia ha emesso il suo verdetto sulle principali questioni controverse, e non ci sono basi per riprendere la disputa. Ma permettetemi di affermare che i principali errori di questo grande uomo contengono una lezione importante per gli studenti. Dal campo stesso della chimica non ci sono vie dirette e immediate che conducano alle prospettive sociali. Il metodo oggettivo delle scienze sociali è necessario. Il marxismo è un tale metodo.
Se mai qualche marxista tentasse di trasformare la teoria di Marx in un passe-partout universale e di ignorare tutte le altre sfere del sapere, Vladimir Ilic lo rimprovererebbe con l’espressione significativa: «Komchvanstvo» («spaccone comunista»). Ciò significherebbe in questo caso particolare: il comunismo non è il sostituto della chimica. Ma vale anche il teorema inverso. Un tentativo di mettere da parte il marxismo con la supposizione che la chimica (o le scienze naturali in generale) sia in grado di decidere tutte le questioni è una peculiare «spacconeria chimica» (Khimchvanstvo) che relativamente alla teoria non è meno errata, e relativamente ai fatti non meno pretenziosa della spacconeria comunista.
Grandi supposizioni
Mendeleev non applicò un metodo scientifico allo studio della società e al suo sviluppo. Investigatore molto attento che si è più volte sottoposto a verifica prima di permettere alla sua immaginazione creativa di spiccare un balzo in avanti nella sfera della generalizzazione, Mendeleev è rimasto un empirista rispetto ai problemi socio-politici, combinando congetture con una visione ereditata dal passato. Devo solo dire che la sua supposizione era veramente mendeleeviana, specialmente dove riguardò direttamente gli interessi scientifici industriali del grande scienziato.
La sostanza stessa della filosofia di Mendeleev potrebbe essere definita come ottimismo tecnico-scientifico. Mendeleev indirizzò questo ottimismo, che coincide con la linea di sviluppo del capitalismo, contro i narodniki, liberali e radicali, contro i seguaci di Tolstoj e, in generale, contro ogni tipo di regresso economico. Mendeleev credeva nella vittoria dell’uomo su tutte le forze della natura. Da ciò nasce il suo odio per il malthusianesimo. Questo è una caratteristica notevole in Mendeleev. Attraversa tutti i suoi scritti, quelli puramente scientifici, la pubblicistica sociale, come anche i suoi scritti su questioni di chimica applicata. Mendeleev accolse con piacere il fatto che l’incremento annuale della popolazione della Russia (1,5%) fosse superiore alla crescita media in tutto il mondo. Calcolando che la popolazione mondiale avrebbe raggiunto i 10 miliardi in 150-200 anni, Mendeleev non vide alcuna ragione di allarme. Scrisse:
“Non solo 10 miliardi, ma anche una popolazione molte volte più grande troverà nutrimento in questo mondo non solo attraverso l’applicazione del lavoro, ma anche attraverso l’inventiva persistente che regola la conoscenza. A mio avviso è una pura sciocchezza temere la mancanza di nutrimento, purché sia garantita la comunione pacifica e attiva della massa della popolazione”.
Il nostro grande ottimista della chimica e dell’industria difficilmente avrebbe ascoltato con simpatia il recente monito del professore inglese Keynes che ci ha detto durante le celebrazioni accademiche che dobbiamo occuparci della limitazione dell’incremento della popolazione. Dmitrij Ivanovič avrebbe solo ripetuto la sua vecchia osservazione: “Forse i nuovi Malthus desiderano arrestare questa crescita? Secondo me, più siamo, meglio è”. La sagacia sentenziosa di Mendeleev si esprimeva molto spesso in tali formule intenzionalmente semplicistiche.
Dallo stesso punto di vista – l’ottimismo industriale – Mendeleev affronta il grande feticcio dell’idealismo conservatore, il cosiddetto carattere nazionale. Scrisse:
“Ovunque predomini l’agricoltura nelle sue forme primitive, una nazione non è in grado di avere un lavoro permanente, regolare e continuo, ma è in grado di lavorare solo irregolarmente e in maniera dipendente dal momento della raccolta. Ciò si riflette chiaramente nelle abitudini, nel senso che mancano la serenità, la tranquillità e la parsimonia; l’irrequietezza si osserva in tutti, prevale un atteggiamento spensierato insieme al dispendio esagerato: o c’è avarizia o sperpero… Ovunque, accanto all’agricoltura, si sia sviluppata su larga scala l’industria di fabbrica, dove si può vedere insieme all’agricoltura discontinua, il lavoro regolamentato, continuo, ininterrotto nelle fabbriche, si ottiene un giusto apprezzamento del lavoro, e così via».
Di particolare valore in queste righe è la visione del carattere nazionale non come un elemento primordiale immutabile creato per sempre, ma come un prodotto delle condizioni storiche e, più precisamente, delle forme sociali di produzione. Questo è un indubbio, anche se solo parziale, avvicinamento alla filosofia storica del marxismo.
Nello sviluppo dell’industria Mendeleev vede gli strumenti per la rieducazione nazionale, l’elaborazione di un carattere nazionale nuovo, più equilibrato, più disciplinato e controllato. Se mettiamo effettivamente a confronto il carattere dei movimenti rivoluzionari contadini con il movimento del proletariato e soprattutto il ruolo del proletariato nell’Ottobre e oggi, allora la previsione materialista di Mendeleev sarà illuminata con sufficiente chiarezza.
Il nostro ottimista dell’industria si espresse con notevole lucidità sull’eliminazione delle contraddizioni tra città e campagna, e ogni comunista accetterà la sua formulazione su questo argomento. Mendeleev scrisse:
“I russi hanno iniziato a migrare in gran numero nelle città… La mia opinione a riguardo è che non ha assolutamente senso lottare contro questo sviluppo; questo processo terminerà solo quando le città, da un lato, si allargheranno fino a includere più parchi, giardini, ecc., ovvero l’obiettivo nelle città sarà non solo quello di rendere la vita più sana possibile per tutti ma anche di fornire spazi aperti sufficienti non solo per i giochi dei bambini e per lo sport ma per ogni forma ricreativa; e, d’altra parte, nei villaggi e fattorie, ecc., la popolazione non urbana si moltiplicherà a tal punto da richiedere la costruzione di case a più piani; e sorgerà la necessità di acquedotti, illuminazione stradale e altri comfort cittadini. Tutto ciò porterà con il tempo l’intera campagna (sufficientemente popolata) ad essere abitata, con le abitazioni separate, per così dire, da orti e frutteti necessari per la produzione di derrate alimentari e con fabbriche e impianti per lavorare e trasformare questi prodotti”. (D.I. Mendeleev, Verso una comprensione della Russia, 1906).
Qui Mendeleev testimonia in modo convincente a favore della vecchia tesi del socialismo: l’eliminazione della contraddizione tra città e campagna. Mendeleev, però, non pone qui la questione dei mutamenti nelle forme sociali dell’economia. Crede che il capitalismo porterà automaticamente al livellamento delle condizioni urbane e rurali attraverso l’introduzione di forme di abitazione umana più elevate, più igieniche e culturali. Qui sta l’errore di Mendeleev. Appare più chiaramente nel caso dell’Inghilterra a cui Mendeleev si riferiva con tale speranza. Molto prima che l’Inghilterra potesse eliminare le contraddizioni tra città e campagna, il suo sviluppo economico era già finito in un vicolo cieco. La disoccupazione erode la sua economia. I dirigenti dell’industria inglese vedono la salvezza della società nell’emigrazione, e costringono la popolazione in eccesso a partire. Anche l’economista più «progressista», il signor Keynes, ci ha detto solo l’altro giorno che il recupero dell’economia inglese sta nel malthusianesimo! Anche per l’Inghilterra la strada del superamento delle contraddizioni tra città e campagna passa attraverso il socialismo.
C’è un’altra ipotesi fatta dal nostro ottimista dell’industria. Nel suo ultimo libro, Mendeleev scrisse:
“Dopo l’epoca industriale, seguirà probabilmente in futuro un’epoca più complessa, che, a mio avviso, significherà una facilitazione o un’estrema semplificazione, delle modalità di procurarsi cibo, abiti e ripari. La scienza dovrebbe avere come scopo questa estrema semplificazione verso la quale è già stata in parte orientata negli ultimi decenni”.
Sono parole notevoli. Sebbene Dmitrij Ivanovič avesse delle riserve – contro la realizzazione, Dio ce ne scampi, dell’utopia dei socialisti e dei comunisti – in queste parole abbozza tuttavia le prospettive tecnico-scientifiche del comunismo. Uno sviluppo delle forze produttive che ci porterebbe a raggiungere un’estrema semplificazione delle modalità per procurarci cibo, vestiario e riparo ci porterebbe chiaramente anche a ridurre al minimo l’elemento di coercizione nella struttura sociale. Con l’eliminazione di un’avidità del tutto inutile dai rapporti sociali, le forme del lavoro e della distribuzione assumeranno un carattere comunista. Nella transizione dal socialismo al comunismo non sarà necessaria alcuna rivoluzione poiché la transizione dipende interamente dal progresso tecnico della società.
Scienza utilitaristica e scienza «pura»
L’ottimismo industriale di Mendeleev diresse costantemente il suo pensiero verso questioni e problemi industriali pratici. Nel suo lavoro puramente teorico, troviamo il suo pensiero volto ai problemi dell’economia attraverso gli stessi canali. C’è una dissertazione di Mendeleev dedicata alla questione della diluizione dell’alcol con l’acqua, una questione che ha un significato economico anche oggi. (Un riferimento ironico al ripristino della vendita di vodka da parte dello Stato. – Ndr.) Mendeleev ha inventato una polvere che non fa fumo per le esigenze della difesa dello Stato. Si è occupato di uno studio attento del petrolio, in due direzioni: una, puramente teorica, l’origine del petrolio; e l’altra, l’uso tecnico-industriale. Dovremmo sempre ricordare la protesta di Mendeleev contro l’uso del petrolio semplicemente come combustibile: “Il riscaldamento si può fare con le banconote!” esclamava il nostro chimico. Protezionista convinto, Mendeleev ebbe un ruolo di primo piano nell’elaborazione delle politiche tariffarie e scrisse il suo La saggia politica delle tariffe da cui si possono citare non poche valide direttive anche dal punto di vista del protezionismo socialista.
I problemi delle rotte del Mare del nord suscitarono il suo interesse poco prima della sua morte. Raccomandava ai giovani ricercatori e navigatori di risolvere il problema di rendere accessibile il Polo Nord. Riteneva che le rotte commerciali dovessero necessariamente proseguire.
“Vicino a quel ghiaccio c’è non poco oro e altri minerali, la nostra America. Sarei felice di morire al Polo, perché lì almeno nessuno va in «decomposizione»”.
Queste parole hanno un suono molto moderno. Quando il vecchio chimico riflette sulla morte, ci pensa dal punto di vista della putrefazione e sogna casualmente di morire in un’atmosfera di freddo eterno.
Mendeleev non si stancava mai di ripetere che lo scopo della conoscenza era “l’utilità”. In altre parole, egli affronta la scienza dal punto di vista dell’utilitarismo. Allo stesso tempo, come sappiamo, insiste sul ruolo creativo della ricerca disinteressata della conoscenza. Perché qualcuno in particolare dovrebbe cercare rotte commerciali attraverso strade tortuose per raggiungere il Polo Nord? Perché raggiungere il Polo è un problema di ricerca disinteressata capace di suscitare la passione della ricerca scientifica. C’è contraddizione tra questo e l’affermazione che lo scopo della scienza è l’utilità? Assolutamente no. La scienza è una funzione della società e non di un individuo. Dal punto di vista storico-sociale, la scienza è utilitaristica. Ma questo non significa affatto che ogni scienziato affronti i problemi della ricerca da un punto di vista utilitaristico. No! Molto più spesso gli studiosi sono motivati dalla loro passione per la conoscenza e maggiore è il valore di una scoperta umana, minore è la sua capacità, come regola generale, di prevederne in anticipo le possibili applicazioni pratiche. Così la passione disinteressata di un ricercatore non contraddice il significato utilitaristico di ogni scienza più di quanto il sacrificio personale di un combattente rivoluzionario contraddica lo scopo utilitaristico delle necessità della classe che al cui servizio si pone.
Mendeleev fu capace di combinare perfettamente la sua passione per la conoscenza in quanto tale con l’incessante preoccupazione per la crescita della forza tecnica del genere umano. Ecco perché le due ali di questo Congresso – i rappresentanti delle branche teoriche e applicate della chimica – si trovano con eguale diritto sotto il vessillo di Mendeleev. Dobbiamo educare la nuova generazione di scienziati allo spirito di questa coordinazione armoniosa della ricerca scientifica pura con i compiti industriali. La fiducia di Mendeleev nelle illimitate possibilità di conoscenza, previsione e dominio della materia deve diventare il credo scientifico per i chimici della patria socialista. Il fisiologo tedesco Du Bois-Reymond una volta ha rappresentato il pensiero filosofico come qualcosa che si allontana dalla scena della lotta di classe gridando: “Ignorabimus!” Cioè, non conosceremo mai, non capiremo mai! E il pensiero scientifico, legando il proprio destino a quello della classe in ascesa, risponde:
“Tu MENTI! L’impenetrabile non esiste per il pensiero cosciente! Noi raggiungeremo tutto! Noi padroneggeremo tutto! Noi ricostruiremo tutto!”