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3 Ottobre 2019La lotta della Whirlpool è la lotta di tutti! – Un volantino
4 Ottobre 201975 anni fa sulle colline di Marzabotto, località del bolognese, avviene la più efferata e terribile strage effettuata dai nazisti e dai fascisti nell’Italia occupata. Vengono barbaramente uccise 955 persone in 115 diverse località: tra esse 216 bambini fino a 12 anni, 316 donne, 142 anziani sopra i 60 anni.
Ripubblichiamo per l’occasione un articolo scritto cinque anni fa, in occasione del 70° anniversario.
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La mattina del 29 settembre del 1944, quattro reparti delle truppe naziste, accerchiano e rastrellano il territorio tra le valli del Setta e del Reno. Nelle frazioni di Panico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe e in tutta la periferia di Marzabotto iniziano a uccidere e bruciare tutto quello che si trova sul loro cammino. Questa manovra viene invano contrastata dai partigiani che non dispongono ne di armi ne di uomini sufficienti per reggere il confronto. Saranno 770 le persone massacrate, di cui la maggioranza sono donne e bambini.
Le operazioni dei nazisti continuano per sei giorni e viene colpita la frazione di Casaglia di Monte Sole dove tutte le persone vengono condotte al cimitero locale, allineati al muro della Cappella e colpite da spari molto bassi con le mitragliatrici in modo da colpire anche i bambini; vengono gettate contro gli ostaggi anche delle bombe a mano. Poi tocca agli abitanti di Caprara di Marzabotto, legati a gruppi man mano che vengono trovati. Quando il gruppo è composto da un discreto numero di persone viene mitragliato e colpito con le bombe a mano. Queste rappresaglie continuano in tutte le località della zona. La strage di Monte Sole più comunemente ricordata come l’eccidio di Marzabotto, dal nome del comune più grande oggetto della rappresaglia, è stata, insieme alle Fosse Ardeatine, la più feroce delle atrocità compiuta dai Nazisti in Italia, ed è difficile sapere il numero esatto delle vittime.
Si è trattato di un attacco delle truppe nazi-fasciste, con l’obiettivo di fare una pulizia del territorio, per avere le retrovie libere e sicure dalle incursioni delle brigate partigiane e per recidere il legame tra le brigate partigiane e le popolazioni del territorio. Infatti, la forza dei partigiani non veniva dall’armamento, spesso carente e dotato di una tecnologia molto inferiore ai nazisti, ma proprio dal sostegno e dalla radicalità che si esprimevano tra le popolazioni del territorio.
Su chi siano i partigiani e che ruolo abbiano avuto durante la resistenza, rimane ancora vivo un acceso dibattito. Non mancano tra professori, politici e altri benpensanti, chi ritiene che l’opposizione dei partigiani contro l’esercito dei nazisti e dei repubblichini abbia portato al susseguirsi di stragi e rappresaglie verso i civili; questi ritengono, infatti, che l’opposizione armata da parte degli “uomini delle montagne” abbia causato un numero maggiore di morti fra i civili.
Queste posizioni mirano a dividere la resistenza pacifica da quella armata dei partigiani. I primi, i civili, sarebbero stati semplicemente dei passivi spettatori del conflitto tra esercito anglo-americano e truppe nazi-fasciste. Questo revisionismo nega il legame che c’era tra i lavoratori, le donne e i vecchi rimasti nei paesi, e le brigate partigiane. Ma la realtà è che centinaia di persone, uomini e donne, erano coinvolte in ruoli di collegamento tra le popolazioni civili e i partigiani sulle montagne. La stessa Brigata Stella Rossa di Marzabotto era composta per il 57% di operai dei canapifici della zona. Dunque, la separazione tra resistenza pacifica e armata è totalmente artificiale: la resistenza fu una sola, diversi i metodi di cui si è dotata.
Marzabotto ha sempre dimostrato una tradizione rivoluzionaria e antifascista. Prima della vittoria del fascismo era un paese ad amministrazione comunista, il cui ex-sindaco diventò nel ’43 uno dei fondatori della Brigata Stella Rossa. Fu proprio questa tradizione, rimasta viva nella popolazione, ad animare la resistenza alle truppe nazi-fasciste nel momento in cui il fascismo entrava in declino e le aspirazioni di libertà tornarono tra i giovani e i lavoratori di quelle zone. Proprio per questo motivo le truppe naziste si accanirono sulla popolazione di Marzabotto: dovevano stroncare lo spirito antifascista e anticapitalista che stava dilagando e per questo dovevano scatenare un eccidio esemplare.
La resistenza: una rivoluzione mancata
L’obiettivo della rivoluzione sembra poter diventare realtà nel momento in cui l’esercito dell’URSS consegue importanti vittorie contro le truppe nazi-fasciste. Le vittorie militari dell’Urss alimentarono la speranza che la guerra contro il nazifascismo assumesse il carattere di una rivoluzione sociale. Tale era l’attesa di migliaia fra i combattenti della lotta partigiana, e di centinaia di migliaia di lavoratori che negli scioperi di massa del 1943-44 manifestarono chiaramente la loro volontà di farla finita, non solo col fascismo, ma anche col capitalismo che lo aveva generato. Tale attesa si concretizzava anche nell’adesione di massa ai partiti operai e in particolare al Pci.
Ma proprio qui sta la più grande contraddizione e la maggiore tragedia della resistenza: né Stalin, né Togliatti erano in alcun modo disposti a permettere un simile sviluppo. Gli accordi di Yalta tra Stalin, Churchill e Roosevelt sancivano una divisione post-bellica sulla base di zone di influenza: l’Italia doveva finire nel quadro delle potenze occidentali. Fu proprio la svolta di Salerno di Togliatti a sancire uno sviluppo della politica del Pci in Italia come una lotta per la cacciata del fascismo solamente come processo per la ricostruzione della democrazia borghese. In questo senso il CLN divenne lo strumento per “normalizzare” proprio quelle truppe partigiane che invece volevano cacciare insieme ai fascisti anche la borghesia. Quest’ultima, infatti, era chiaramente vista dai lavoratori come il sostegno finanziario al fascismo che era passata dalla parte delle democrazia borghese proprio per continuare a fare i profitti.
Conseguenza degli accordi di Yalta era l’obiettivo di contenere il più possibile il pericolo comunista. Churchill e Roosevelt erano consapevoli che se la resistenza avesse vinto senza troppe perdite avrebbe subito messo in discussione Badoglio e il Re e arrestare un processo rivoluzionario di tale portata sarebbe stato molto difficile. Il proclama del generale Alexander del 9 ottobre del ’44 andava proprio in questa direzione. L’annuncio di un arresto dell’avanzata anglo-americana, non oltre la linea gotica, per tutto l’inverno e le richieste fatte ai partigiani di tornarsene a casa diedero la spinta all’esercito nazista di avanzare ancora pesanti offensive. Fu proprio durante tutto l’autunno e l’inverno del ’44 che i nazisti perpetrarono i più feroci attacchi contro la popolazione civile e le formazioni partigiane vennero fortemente indebolite.
Proprio per questo riteniamo che la resistenza sia stata una vera e propria rivoluzione, sebbene una rivoluzione tradita. Molti hanno lottato per prendere il potere e cercare di costruire il socialismo, dando “tutto il potere ai soviet” e “la terra ai contadini e le industrie agli operai”, proprio come fecero i bolscevichi nel ’17 e come già avevano tentato di fare durante il biennio rosso del 1919-‘20. Allora furono i socialisti e la Cgl guidati dai riformisti a tradire, durante la resistenza fu la linea togliattiana del Pci ad impedire la presa del potere.
Montesole il 25 aprile, giornata della liberazione, è il luogo più frequentato nei dintorni di Bologna. Migliaia di giovani e lavoratori continuano a tenere accesa la fiamma della resistenza nel ricordo di quel tragico evento. Non si tratta solo di una giornata per ricordare ma è la dimostrazione che la volontà di liberarsi dallo sfruttamento è ancora vivo. Il nostro compito è portare fino in fondo quella lotta!
1 ottobre 2014