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3 Febbraio 2020Pubblichiamo questo breve articolo di Lenin, che nel 1913 si scontrava con le tendenze riformiste nel movimento operaio russo. Il dibattito presentava diverse somiglianze con quello di oggi.
di Lenin
I marxisti, a differenza degli anarchici, ammettono la lotta per le riforme, cioè per quei miglioramenti nella situazione dei lavoratori che lasciano il potere, come nel passato, nelle mani della classe dominante. Ma nello stesso tempo essi conducono la più energica lotta contro i riformisti, i quali, direttamente o indirettamente, limitano alle riforme le aspirazioni e l’attività della classe operaia. Il riformismo è l’inganno borghese degli operai che, nonostante i parziali miglioramenti, restano sempre schiavi salariati finché esiste il dominio del capitale.
La borghesia liberale, porgendo con una mano le riforme, con l’altra mano le ritira sempre, le riduce a nulla, se ne serve per asservire gli operai, per dividerli in gruppi isolati, per perpetuare la schiavitù salariata dei lavoratori. Il riformismo, perfino quando è del tutto sincero, si trasforma quindi di fatto in uno strumento di corruzione borghese e di indebolimento degli operai. L’esperienza di tutti i paesi dimostra che prestando fede ai riformisti gli operai hanno sempre finito con l’essere gabbati.
Al contrario, se gli operai hanno assimilato l’insegnamento di Marx, cioè hanno riconosciuto l’inevitabilità della schiavitù salariata finché si mantiene il dominio del capitale, non si lasceranno ingannare da nessuna riforma borghese. Gli operai, comprendendo che se il capitalismo rimane, le riforme non possono essere né durature né serie, lottano per i miglioramenti e li utilizzano per continuare una lotta più tenace contro la schiavitù salariata. I riformisti cercano, mediante elemosine, di dividere e ingannare gli operai, di distoglierli dalla lotta di classe. Gli operai, resisi conto della falsità del riformismo, si servono delle riforme per sviluppare e allargare la loro lotta di classe.
Quanto più forte è l’influenza dei riformisti sugli operai, tanto più impotenti questi sono, tanto più dipendono dalla borghesia, tanto più per questa è facile ridurre a nulla, con diversi sotterfugi, le riforme. Quanto più il movimento operaio è autonomo, profondo, largo di prospettive., quanto più esso è libero dalla grettezza del riformismo, tanto meglio gli operai riusciranno a consolidare e a utilizzare singoli miglioramenti.
Ci sono riformisti in tutti i paesi, poiché dappertutto la borghesia si sforza in questo o quel modo di corrompere gli operai e di trasformarli in schiavi soddisfatti, che rinunciano all’idea di eliminare la schiavitù. In Russia i riformisti sono i liquidatori, i quali rinnegano il nostro passato per addormentare gli operai facendoli sognare un partito nuovo, legale, aperto. Costrettivi dalla Severnaia Pravda (82), i liquidatori di Pietroburgo hanno recentemente cominciato a difendersi dall’accusa di riformismo. Bisogna soffermarsi attentamente sui loro ragionamenti per spiegare chiaramente una questione straordinariamente importante.
Noi non siamo riformisti, – hanno scritto i liquidatori di Pietroburgo, – poiché non abbiamo detto che le riforme sono tutto e che il fine ultimo è nulla; noi abbiamo detto: movimento verso uno scopo finale; abbiamo detto: attraverso la lotta per le riforme, verso la pienezza degli obiettivi posti.
Vediamo se questa difesa corrisponde a verità.
Primo fatto. Il liquidatore Sedov ha dedotto, da tutte le dichiarazioni dei liquidatori, che delle «tre rivendicazioni»avanzate dai marxisti, due non sono oggi adatte per l’agitazione. Egli ha lasciato la giornata lavorativa di otto ore, che teoricamente è realizzabile come riforma. Ha eliminato o dilazionato proprio ciò che esce dai limiti della riforma. E’ quindi caduto nell’opportunismo più evidente, conducendo proprio la politica che si esprime con la formula: il fine ultimo è nulla. Questo appunto è riformismo: il «fine ultimo» (almeno nei confronti della democrazia) viene sospinto il più lontano possibile dall’agitazione.
Secondo fatto. La famigerata conferenza di agosto dei liquidatori (tenuta lo scorso anno) allontana il più possibile – per un caso particolare – le rivendicazioni non riformiste, invece di avvicinarle di più, di porle al centro stesso della propaganda.
Terzo fatto. Negando e svilendo il «passato», respingendolo, i liquidatori si limitano al riformismo. Nella situazione attuale il legame del riformismo con il ripudio del «passato» è evidente.
Quarto fatto. Il movimento economico degli operai provoca l’ira e gli attacchi dei liquidatori («mania», «inutile agitarsi» ecc. ecc.) non appena esso si collega con parole d’ordine che escono dai limiti del riformismo.
Che cosa otteniamo in conclusione? A parole i liquidatori respingono il riformismo teorico, di fatto lo mettono in pratica su tutta la linea. Da un lato, ci assicurano che le riforme non sono affatto tutto per essi, dall’altro lato, ogniqualvolta i marxisti escono in pratica dai limiti del riformismo ciò provoca loro attacchi o un loro atteggiamento sprezzante.
Gli avvenimenti in tutti i campi del movimento operaio ci mostrano invece che i marxisti non solo non restano indietro, ma al contrario sono decisamente avanti a tutti nell’utilizzazione pratica delle riforme e nella lotta per le riforme. Prendete le elezioni alla Duma nella curia operaia, gli interventi dei deputati alla Duma e fuori della Duma, l’impostazione dei giornali operai, l’utilizzazione della riforma dell’assicurazione, il sindacato dei metallurgici, che è il più grande sindacato, ecc., e dappertutto vedrete la superiorità degli operai marxisti sui liquidatori nel campo del lavoro diretto, immediato, «quotidiano» di propaganda, di organizzazione, di lotta per le riforme e per la loro utilizzazione.
I marxisti conducono instancabilmente il lavoro non tralasciando nessuna «possibilità» di riforme e di una loro utilizzazione, non disapprovando ma appoggiando, sviluppando con cura ogni possibilità di uscire dai limiti del riformismo sia nella propaganda, sia nell’agitazione, sia nell’azione economica di massa, ecc. Mentre i liquidatori, che si sono allontanati dal marxismo, con i loro attacchi contro la stessa esistenza del movimento marxista nel suo insieme, con la loro demolizione della disciplina marxista, con la loro propaganda del riformismo e della politica operaia liberale non fanno che disorganizzare il movimento operaio.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che in Russia il riformismo si manifesta anche in una forma particolare, e precisamente come se le condizioni fondamentali che caratterizzano la situazione politica del nostro paese fossero oggi eguali a quelle dell’Europa contemporanea. Dal punto di vista liberale questa identificazione è legittima, poiché il liberale crede e predica che «da noi, grazie a Dio, c’è la Costituzione». Il liberale esprime gli interessi della borghesia quando sostiene l’idea che dopo il 17 ottobre ogniqualvolta la democrazia esce dai limiti del riformismo commette una pazzia, un delitto, un peccato, ecc.
Ma proprio queste idee borghesi vengono di fatto messe in pratica dai nostri liquidatori, i quali continuamente e sistematicamente «importano» in Russia (sulla carta) sia il «partito legale», sia la «lotta per la legalità» ecc. In altre parole, essi, come i liberali, predicano il trasferimento in Russia della Costituzione europea senza quella via originale che, in Occidente, ha portato alle Costituzioni e al rafforzamento di queste nel corso di generazioni, e talvolta perfino di secoli. I liquidatori e i liberali vogliono, come si dice, lavare la pelle senza bagnarla.
In Europa il riformismo significa di fatto rinuncia al marxismo e sua sostituzione con la «politica sociale»borghese. Da noi il riformismo dei liquidatori significa non solo questo, ma anche la distruzione dell’organizzazione marxista e la rinuncia agli obiettivi democratici della classe operaia che vengono sostituiti con una politica operaia liberale.
Pravda Trudà, n. 2, 12 settembre 1913.
da Lenin, Opere Complete, vol. 19, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 343-346