Brasile – Bolsonaro acuisce la crisi delle istituzioni borghesi
4 Maggio 2020Seminario nazionale dei Gruppi di studio marxista
6 Maggio 2020In questa celebre lettera del 1852, citata anche da Lenin in Stato e Rivoluzione, Karl Marx delinea in maniera brillante i tratti fondamentali della teoria marxista dello stato e della sua estinzione, dopo il passaggio necessario della dittatura del proletariato.
Buona lettura, nel 202° anniversario della nascita di Karl Marx
K. Marx, Lettera a J. Weydemeyer – 5 marzo 1852
Karl Marx – Londra, 28, Dean Street, Soho
a Joseph Weydemeyer – New York
Caro Weywy,
temo che sia successa un po’ di confusione perché io, avendo frainteso la tua ultima lettera, ho apposto ai due ultimi invii questo indirizzo: Office of the “Revolution”, 7 Chambers’ Street, Box 1817. Il dannato Box 1817 ha provocato la confusione, perché tu mi scrivesti di fare questa appendice al “vecchio indirizzo”, senza distinguere il primo indirizzo dal secondo. Spero tuttavia che la cosa sia chiarita prima che arrivi questa lettera, tanto più che la lettera di venerdì scorso [Jenny Marx a Weydemeyer, 27 febbraio 1852] contiene il numero V, molto ampio, del mio articolo [Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, capitolo V]. Questa settimana mi è stato impossibile finire il numero VI, che forma la conclusione.[1] Se il tuo giornale [Die Revolution] è uscito di nuovo, questo ritardo non provocherà inconvenienti, giacché hai materiale in abbondanza.
Il tuo articolo contro Heinzen, che Engels purtroppo mi ha mandato troppo tardi, è molto buono, in pari tempo rude e acuto e questa combinazione si conviene a una polemica degna di tal nome. Ho comunicato questo articolo a Ernest Jones e tu ricevi qui accluso un suo scritto a te diretto, da stampare.[2] Poiché Jones scrive assai poco chiaro e fa abbreviazioni e poiché mi permetto di supporre che tu non sei ancora un “inglese rifinito”, ti mando insieme all’originale la copia fatta da mia moglie e altresì la traduzione tedesca, restando inteso che tu devi stampare ambedue, l’uno di fronte all’altra, originale e traduzione. Sotto la lettera di Jones puoi fare anche questa aggiunta: Per quanto riguarda George Julian Harney, anche lui un’autorità a fronte del signor Heinzen, egli ha pubblicato il nostro Manifesto del partito comunista in inglese nel suo Red Republican con il commento che esso era “the most revolutionary document ever given to the world”, “il documento più rivoluzionario che mai è stato dato al mondo” e nella sua Democratic Review ha tradotto quella sapienza che Heinzen spaccia per “liquidata”, cioè i miei articoli sulla rivoluzione francese (Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850) dalla Revue der Neuen Rheinischen Zeitung, mentre, in un articolo su Louis Blanc, egli rinvia i suoi lettori ai suddetti articoli come alla “vera critica” della faccenda francese.[3] Del resto non c’è bisogno per l’Inghilterra di richiamarsi solo agli “estremisti”. In Inghilterra, quando un membro del parlamento diventa ministro deve farsi eleggere di nuovo. Disraeli dunque, il nuovo cancelliere dello scacchiere, Lord of the Exchequer, scrive ai suoi elettori in data 1° marzo:
“We shall endeavour to terminate that strife of classes which, of late years, has exercised so pernicious an influence over the welfare of this kingdom”. “Noi ci adopereremo per porre fine a quella lotta tra classi che negli ultimi anni ha avuto un’influenza così nociva sul benessere di questo regno.”
In proposito il Times del 2 marzo osserva:
“If anything would ever divide classes in this country beyond reconciliation, and leave no chance of a just and honourable peace, it would be a tax on foreign corn”. “Se qualcosa in questo paese può dividere le classi su di un punto nel quale non è possibile alcuna conciliazione, ciò sarebbe un’imposta sul grano straniero.”
E affinché un ignorante “uomo di carattere” come Heinzen non si immagini magari che gli aristocratici sono per e i borghesi contro le leggi sul grano, perché quelli vogliono il “monopolio” questi invece la “libertà”, – un galantuomo così conosce gli antagonismi solo in una siffatta forma ideologica, resta solo da osservare che nel diciottesimo secolo in Inghilterra gli aristocratici erano per la “libertà” (nel commercio) e i borghesi per il “monopolio”, la stessa posizione che noi troviamo riguardo alle leggi del grano in questo momento in Prussia, tra le due classi. La Neue Preussische Zeitung è liberoscambista per la pelle.
Al tuo posto infine osserverei, a proposito dei signori democratici in via di principio, che costoro farebbero meglio a prendere conoscenza della letteratura borghese, prima di pretendere di abbaiare contro chi ne è l’antagonista (Marx stesso, ndr). Questi signori per esempio dovrebbero studiare le opere storiche di Thierry, Guizot, John Wade, ecc., per informarsi sulla passata “storia delle classi”. Dovrebbero prendere conoscenza degli elementi primi dell’economia politica, prima di mettersi a criticare la critica dell’economia politica. Per esempio basta aprire la grande opera di Ricardo per trovare in prima pagina le parole con cui egli apre la prefazione.
“The produce of the earth – all that is derived from its surface by the united application of labour, machinery, and capital, is divided among three classes of the community; namely the proprietor of the land, the owner of the stock or capital necessary for its cultivation, and the labourers by whose industry it is cultivated”. “Il prodotto della terra, tutto quanto viene ottenuto dalla sua superficie con l’applicazione unita di lavoro, macchine e capitale, si distribuisce tra tre classi della comunità: cioè il proprietario della terra, il proprietario del capitale necessario a coltivarla e gli operai con il cui lavoro la terra viene coltivata.”[4]
Ora, negli Stati Uniti la società borghese è ancora troppo poco sviluppata per rendere evidente e comprensibile la lotta delle classi: di ciò fornisce la dimostrazione più brillante C.H. Carey (di Philadelphia),[5] l’unico importante economista nordamericano. Egli attacca Ricardo, l’esponente [sopra la parola esponente, Marx ha scritto interprete] più classico della borghesia e l’avversario più stoico del proletariato, come un uomo la cui opera sarebbe l’arsenale per gli anarchici, i socialisti, insomma per tutti i nemici dell’ordinamento borghese. Egli rimprovera non solo a lui ma anche a Malthus, Mill, Say, Torrens, Wakefield, MacCulloch, Senior, Whately, R. Jones, ecc., a questi capifila dell’economia in Europa, di dilaniare la società e di preparare la guerra civile, quando dimostrano che i fondamenti economici delle varie classi debbono provocare tra di esse un antagonismo necessario e sempre crescente. Egli cerca di confutarli, non certo come lo sciocco Heinzen collegando l’esistenza delle classi all’esistenza di privilegi e monopoli politici, bensì cercando di dimostrare che le condizioni economiche (rendita (proprietà fondiaria), profitto (capitale) e salario (lavoro salariato)), invece di essere condizioni della lotta e dell’antagonismo, sono piuttosto condizioni di associazione ed armonia. Naturalmente egli non fa che dimostrare che le condizioni “non sviluppate” degli Stati Uniti sono per lui le “condizioni normali”.
Per quanto mi riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, storiografi borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi ed economisti borghesi la loro anatomia economica. Ciò che io ho fatto di nuovo è stato:
1. dimostrare che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione;
2. che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato;
3. che questa dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi.
Mascalzoni ignoranti come Heinzen, i quali non solo negano la lotta, ma persino l’esistenza delle classi, dimostrano soltanto, nonostante i loro latrati sanguinari e le loro pose umanitarie, di ritenere le condizioni sociali nelle quali domina la borghesia come il prodotto ultimo della storia, come il non plus ultra della storia, di non essere che servi della borghesia, una servitù che è tanto più ripugnante, quanto meno questi cialtroni riescono a capire anche solo la grandezza e la necessità transitoria del regime borghese stesso.
Dalle glosse precedenti prenditi quel che ti sembra buono.[6] Del resto Heinzen ha preso da noi la “centralizzazione” al posto della sua “repubblica federativa”,[7] ecc. Quando le opinioni che noi oggi diffondiamo a proposito delle classi saranno diventate luoghi comuni e faranno parte dell’inventario del “buon senso”, quel villano le proclamerà con grande fracasso, come prodotto novissimo del suo “proprio acume” e abbaierà contro il successivo sviluppo che avremo dato alla nostra concezione. Così egli abbaiava col suo “proprio acume” contro la filosofia hegeliana, finché questa fu progressiva. Adesso si nutre delle briciole insipide di essa che Ruge ha risputato senza digerirle.
Ricevi qui anche la conclusione della corrispondenza dall’Ungheria [cfr. Marx a Engels, 4 febbraio 1852]. Devi tentare di prenderne qualcosa – se il tuo giornale esiste – tanto più in quanto Szemere, l’ex primo ministro ungherese, mi ha promesso da Parigi di scrivere per te un ampio articolo firmato col suo nome.
Quando il tuo giornale sarà pronto, mandane più esemplari, affinché possa essere meglio diffuso.
Tuo K. Marx
(tratto da Marx-Engels, Opere complete, Editori Riuniti, 1972. Vol. 39 , pagg. 534-538)
Note
[1] Durante il lavoro alla parte conclusiva del 18 Brumaio evidentemente Marx deve aver cambiato il suo piano originario. Quest’opera infatti non comprende sei, bensì sette capitoli. Marx inviò il settimo ed ultimo capitolo a New York il 25 marzo 1852 (cfr. la sua lettera a Weydemeyer in questa data).
[2] L’articolo di Weydemeyer contro Heinzen era uscito il 29 gennaio 1852 sul New-Yorker Demokrat. Nella lettera menzionata da Marx, che Ernest Jones scrisse a Weydemeyer il 3 marzo 1852 perché fosse pubblicata sulla Revolution, veniva illustrata la situazione delle classi in Inghilterra e lo sviluppo delle lotte di classe. Come risulta da una lettera di Weydemeyer a Marx del 24 maggio 1853, la lettera di Jones fu pubblicata alla fine del 1852 o agli inizi del 1853 sulla stampa democratica americana.
[3] The Red Republican, organo dei cartisti, pubblicò nel novembre 1850 la prima traduzione inglese del Manifesto del partito comunista. Nella nota redazionale di Harney, che era il direttore di quel periodico, Marx ed Engels vengono indicati per la prima volta come gli autori del Manifesto. Nel settimanale The Democratic Review di Harney furono pubblicati, tra l’aprile e il giugno 1850, estratti dall’opera di Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Harney aveva recensito nella Democratic Review il libro di Louis Blanc Historic pages from the French Revolution of february 1848.
[4] David Ricardo, On the principles of political economy and taxation, terza edizione, Londra, 1821, p. V.
[5] C.H. Carey, Essay on the rate of wages, Philadelphia, Londra 1835.
[6] Cluss utilizzò le osservazioni di Marx su Carey nel suo articolo Il “miglior foglio dell’Unione” e i suoi “migliori uomini” e economisti, contro Heinzen.
[7] Cenno alla polemica di Marx ed Engels contro Karl Heinzen, quando costui nel 1847 si dichiarò, sulla Deutsche-Brüsseler-Zeitung, contro la lotta dei comunisti per l’unificazione democratica della Germania: cfr. Engels I comunisti e Karl Heinzen e Marx La critica moraleggiante e la morale criticheggiante.