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7 Giugno 2024È arrivata l’Internazionale Comunista Rivoluzionaria!
18 Giugno 2024Il Manifesto che segue è stato approvato all’unanimità dalla Conferenza di fondazione dell’Internazionale Comunista Rivoluzionaria (ICR) nel giugno 2024 e ne costituisce il documento fondativo. È un’applicazione della teoria marxista alle condizioni concrete della nostra epoca, in cui sono esposte in maniera chiara e sintetica le idee, il programma, le prospettive e i metodi con cui l’ICR conduce la sua battaglia politica.
L’internazionale Comunista Rivoluzionaria si batte per diventare la bandiera sotto la quale la generazione di lavoratori e giovani rivoluzionari che si sta risvegliando possa riunirsi per rovesciare il capitalismo.
A questo link puoi acquistare la tua copia carcea del Manifesto dell’ICR.
Manifesto dell’Internazionale Comunista Rivoluzionaria
Nel 1938 il grande rivoluzionario russo Lev Trotskij dichiarò che “la crisi storica dell’umanità si riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria”. Queste parole sono tanto vere e pertinenti oggi quanto quando furono scritte.
Nel terzo decennio del 21° secolo il sistema capitalista si trova in una crisi esistenziale. Queste situazioni non sono in alcun modo insolite nella storia. Sono l’espressione del fatto che un determinato sistema socio-storico ha raggiunto i propri limiti e non è più capace di svolgere alcun ruolo progressivo.
La teoria marxista del materialismo storico ci fornisce una spiegazione scientifica di questo fenomeno. Ogni sistema socioeconomico sorge per determinate ragioni. Si sviluppa, fiorisce, poi raggiunge il suo apice, e da quel punto entra in una fase di declino. Fu questo il caso con la società schiavistica e il declino e la caduta dell’impero romano.
Ai suoi tempi il capitalismo ha conseguito lo sviluppo dell’industria, dell’agricoltura, della scienza e della tecnica a un livello prima inimmaginabile. Nel farlo, ha posto inconsapevolmente le basi di una futura società senza classi.
Ma oggi questo ha raggiunto i suoi limiti e tutto si trasforma nel suo opposto. Il sistema capitalista ha da tempo esaurito il suo potenziale storico. Incapace di far progredire ulteriormente la società, oggi ha raggiunto il suo punto di non ritorno.
La crisi attuale non è una normale crisi ciclica del capitalismo. È una crisi esistenziale, che si esprime non solo nella stagnazione delle forze produttive, ma anche in una crisi generale della cultura, della morale, della politica e della religione.
L’abisso che si spalanca tra ricchi e poveri, tra una ricchezza oscena nelle mani di pochi parassiti, e la povertà, la deprivazione e la disperazione per la grande maggioranza della razza umana, non è mai stato così profondo.
Questi sono i sintomi rivoltanti della malattia di una società che è più che matura per il suo rovesciamento. La sua caduta è ineluttabile e non può essere evitata. Ma questo non significa che la borghesia manchi dei mezzi per ritardare le crisi o per ridurre il loro impatto, almeno in una certa misura e per un periodo temporaneo.
Queste misure tuttavia creano contraddizioni nuove e insolubili. La crisi finanziaria del 2008 è stata un punto di svolta fondamentale. La verità è che il capitalismo mondiale non si è mai ripreso da quella crisi.
Per decenni gli economisti borghesi hanno sostenuto che la “mano invisibile del mercato” avrebbe risolto tutto e che il governo non doveva svolgere assolutamente alcun ruolo nella vita economica della nazione. Ma i mercati sono crollati e sono stati salvati unicamente dal massiccio intervento dei governi.
Durante quella crisi, i governi e le banche centrali sono stati costretti a riversare grandi somme di denaro nel sistema per scongiurare una catastrofe totale.
La borghesia è riuscita a salvare il sistema solo spingendolo molto oltre i suoi limiti naturali. I governi hanno speso grandi somme di denaro che non possedevano. Questo metodo sconsiderato è stato ripetuto durante la pandemia del COVID-19.
Queste misure disperate hanno condotto inevitabilmente a un’esplosione incontrollata dell’inflazione e alla creazione di un enorme debito pubblico, delle aziende e dei privati, che ha costretto i governi a una brusca frenata. Ora tutto il processo deve svolgersi all’indietro.
L’era dei tassi d’interesse eccezionalmente bassi e del credito facile è ormai solo un vago ricordo. Non c’è modo di tornare alla fase precedente in tempi rapidi, ammesso che sia mai possibile.
L’economia globale si trova di fronte alla prospettiva di una tempesta perfetta nella quale un fattore alimenta l’altro producendo una ripida spirale discendente.
Il mondo si dirige verso un futuro incerto, caratterizzato da un ciclo ininterrotto di guerre, crolli economici e miseria crescente. Persino nelle nazioni più ricche i salari sono minati dall’incessante aumento dei prezzi, mentre profondi tagli alla spesa pubblica erodono costantemente i servizi sociali come la sanità e l’istruzione.
Queste misure rappresentano un attacco diretto al tenore di vita dei lavoratori e del ceto medio. Ma non fanno che approfondire la crisi. Ogni tentativo della borghesia di ripristinare l’equilibrio economico non fa altro che distruggere l’equilibrio sociale e politico. La borghesia si trova intrappolata in una crisi per la quale non ha soluzione. Questa è la chiave per comprendere la situazione attuale.
Tuttavia, Lenin spiegò molto tempo fa che non esiste una crisi finale per il capitalismo. A meno che non venga rovesciato, il sistema capitalista si riprenderà sempre anche dalla crisi più profonda, seppure ad un costo terribile per l’umanità.
I limiti della globalizzazione
Le principali cause delle crisi capitaliste sono da un lato la proprietà privata dei mezzi di produzione, e dall’altro la soffocante camicia di forza dello Stato nazionale, che è di gran lunga troppo ristretto per contenere le forze produttive create dal capitalismo.
Per un periodo il fenomeno conosciuto come “globalizzazione” ha permesso alla borghesia di superare parzialmente i limiti dello Stato nazionale attraverso lo sviluppo del commercio mondiale e un’intensificazione della divisione internazionale del lavoro.
Questo ha avuto un’ulteriore accelerazione con l’incorporazione della Cina, dell’India e della Russia nel mercato mondiale capitalista in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. È stato questo il principale strumento con cui il sistema capitalista è sopravvissuto ed è cresciuto nei recenti decenni.
Come i vecchi alchimisti credevano di avere scoperto il segreto per tramutare i vili metalli in oro, così gli economisti borghesi credevano di avere scoperto la cura segreta per tutti i problemi del capitalismo.
Ora queste illusioni sono scoppiate come bolle di sapone. È del tutto chiaro che questo processo ha raggiunto i suoi limiti e si sta invertendo. Le tendenze ora dominanti sono il nazionalismo economico e le misure protezioniste: precisamente le stesse tendenze che mutarono la recessione degli anni ’30 nella Grande Depressione.
Questo segna un cambiamento qualitativo in tutta la situazione. Ha portato inevitabilmente a un enorme inasprimento delle contraddizioni fra le nazioni e alla proliferazione dei conflitti militari e del protezionismo.
Questo si esprime con grande chiarezza nella rumorosa campagna condotta dall’imperialismo USA sotto la bandiera di “America First!”. “Prima l’America” significa che il resto del mondo deve essere spinto in seconda, terza o quarta posizione, portando a nuove contraddizioni, guerre e guerre commerciali.
Orrore senza fine
La crisi si esprime nell’instabilità in tutte le sfere: economica, finanziaria, politica, diplomatica e militare. Nei paesi poveri, a milioni affrontano una morte lenta per fame, spremuti nella morsa implacabile degli strozzini imperialisti.
Le Nazioni Unite hanno stimato nel giugno del 2023 che il numero di persone costrette ad emigrare a causa della guerra, della carestia e dell’impatto del cambiamento climatico ammontava a 110 milioni: un brusco aumento rispetto a livelli pre-pandemici. E questo prima della guerra contro Gaza.
Nel disperato tentativo di fuggire da questi orrori, moltissime persone sono spinte a fuggire verso paesi come gli USA e l’Europa. Coloro che intraprendono il viaggio difficile e pericoloso per attraversare il Mediterraneo o il Rio Grande subiscono violenze e abusi indicibili lungo la strada. Ogni anno a decine di migliaia muoiono nel tentativo.
Queste sono le terribili conseguenze del crollo economico e sociale causato dalle devastazioni del cosiddetto libero mercato e delle azioni violente dell’imperialismo, che causano distruzione e morte su una scala inimmaginabile.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica gli Stati Uniti sono diventati per un periodo l’unica superpotenza mondiale. Da un potere colossale deriva una colossale arroganza. L’imperialismo USA ha imposto la propria volontà ovunque, usando una combinazione di potere economico e forza militare per sottomettere qualsiasi nazione che rifiutasse di inginocchiarsi a Washington.
Dopo avere preso controllo dei Balcani e di altre vecchie zone di influenza sovietica, ha lanciato un’invasione feroce e immotivata dell’Iraq che ha causato la morte di oltre un milione di persone. L’invasione dell’Afghanistan è stata un altro episodio sanguinoso. Nessuno sa quante vite siano andate perse in quella terra infelice.
Ma i limiti del potere degli USA sono stati messi a nudo in Siria, dove gli americani hanno subìto una sconfitta come risultato dell’intervento della Russia e dell’Iran. Questo ha segnato un brusco cambiamento nella situazione. Da quel punto in avanti, l’imperialismo USA ha sofferto uno scacco umiliante dopo l’altro.
Questo di per sé è una prova significativa della crisi del capitalismo su scala mondiale. Nel secolo XIX l’imperialismo britannico traeva un’enorme ricchezza dal suo ruolo di potenza mondiale dominante. Ma le cose si sono ora mutate nel loro contrario.
La crisi del capitalismo e le tensioni crescenti fra le nazioni rendono il mondo un posto molto più turbolento e pericoloso. Essere il poliziotto mondiale è un compito sempre più complicato e costoso, i problemi esplodono per ogni dove e gli antichi alleati, sentendo la debolezza, cospirano per sfidare il capo supremo.
L’imperialismo USA è la forza più poderosa e reazionaria sul pianeta. La sua spesa militare eguaglia quella combinata delle successive dieci potenze. Eppure in nessuna regione del mondo riesce ad imporre in modo decisivo il suo volere.
La fredda crudeltà dell’imperialismo USA, e anche la sua ipocrisia rivoltante, è stata chiaramente messa a nudo negli orribili avvenimenti di Gaza. Ha avuto parte attiva nell’atroce massacro perpetrato contro uomini, donne e bambini indifesi da parte del mostruoso regime israeliano.
Questa guerra di aggressione criminale non sarebbe durata un solo giorno senza il sostegno attivo della cricca dirigente degli USA. E tuttavia, mentre sparge lacrime ipocrite sul destino di queste vittime, Washington continua a inviare armi e denaro per sostenere Netanyahu nel suo lavoro da macellaio.
Più impressionante, tuttavia, è stata la totale incapacità di Washington di obbligare gli israeliani a seguire gli interessi americani. Per quanto si sforzassero di tirare i fili, il burattino ha continuato a ballare secondo la propria musica. È stata una indicazione molto istruttiva del declino del potere americano, e non solo nel Medio Oriente.
La capacità di una nazione di dominarne altre non è assoluta, ma relativa. La situazione non è statica, ma dinamica e cambia di continuo. La storia mostra che nazioni in precedenza arretrate ed oppresse posso trasformarsi in Stati aggressivi che si rivolgono contro i propri vicini per dominarli e sfruttarli.
Oggi la Turchia è una delle potenze dominanti nel Medio Oriente. È una potenza imperialista regionale. Russia e Cina, invece, essendo entrate sulla via del capitalismo, si sono manifestate come formidabili potenze imperialiste, di portata globale. Questo le pone in diretto contrasto con l’imperialismo americano.
Cina e Russia non hanno ancora acquisito lo stesso livello di potere economico e militare degli USA, ma sono emerse come potenti rivali, sfidando Washington in una lotta globale per i mercati, le sfere di influenza, le materie prime e gli investimenti fruttuosi. Le guerre in Ucraina e a Gaza hanno offerto una dimostrazione plastica dei limiti del potere dell’imperialismo USA.
In passato le tensioni esistenti avrebbero già portato a una grande guerra fra le potenze principali. Ma le condizioni mutate hanno tolto questa ipotesi dall’ordine del giorno, perlomeno nel momento attuale.
I capitalisti non fanno la guerra per patriottismo, per la democrazia o per qualsiasi altro principio altisonante. La fanno per il profitto, per conquistare mercati stranieri, fonti di materie prime (come il petrolio) e per espandere la propria sfera di influenza.
Non è del tutto chiaro? È non è altrettanto chiaro che una guerra nucleare non porterebbe a nulla di tutto questo, ma solo alla distruzione reciproca di entrambe le parti? È stata persino coniata una frase per descrivere questo scenario: MAD, Mutually Assured Destruction (distruzione reciproca assicurata).
Un altro fattore decisivo che pesa contro una guerra aperta tra le principali potenze imperialiste è l’opposizione di massa alla guerra, particolarmente (ma non esclusivamente) negli USA. Un sondaggio recente indica che solo il 5 per cento della popolazione USA sarebbe a favore di un intervento militare diretto in Ucraina.
Questo non sorprende affatto, date le sconfitte umilianti patite in Iraq e Afghanistan, un fatto che si è inciso a fuoco nella coscienza del popolo degli Stati Uniti. Questo, più la paura che uno scontro militare diretto con la Russia possa finire fuori controllo, creando il rischio di una guerra nucleare, agisce come un serio deterrente.
Anche se una guerra mondiale è esclusa nelle condizioni presenti, ci saranno molte “piccole” guerre come quella in Ucraina. L’impatto globale di queste guerre sarà significativo, aggiungendosi alla volatilità generale e alimentando le fiamme del disordine mondiale. Questo è apparso chiarissimo negli avvenimenti di Gaza.
Il futuro offerto dal sistema per la razza umana può solo essere di miseria senza fine, sofferenze, malattie, guerre. Nelle parole di Lenin: il capitalismo è orrore senza fine.
Crisi della democrazia borghese
Le condizioni economiche del prossimo periodo saranno di gran lunga più simili a quelle degli anni ’30 che non a quelle che seguirono la Seconda guerra mondiale. Si pone quindi la domanda: la democrazia borghese rimarrà intatta in un futuro prevedibile?
La democrazia è, in effetti, un monopolio di poche nazioni ricche e privilegiate, dove la guerra di classe può essere contenuta entro limiti accettabili facendo concessioni alla classe lavoratrice.
È su questa premessa materiale che in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna la cosiddetta democrazia si è potuta mantenere per decenni. Repubblicani e democratici, conservatori e laburisti, si alternavano al potere senza che ci fosse alcuna differenza sostanziale.
In realtà la democrazia borghese è solo una maschera sorridente, una facciata dietro la quale si nasconde la realtà della dittatura delle banche e delle grandi imprese. Nella misura in cui la classe dominante è incapace di mantenere delle concessioni alle masse, la maschera viene messa da parte per mostrare la brutta realtà del dominio attraverso la forza e la coercizione. Ciò sta diventando sempre più evidente.
Il libero mercato, si diceva, è il garante della democrazia. Ma democrazia e capitalismo sono opposti. Gli strateghi del capitale ora esprimono apertamente i loro dubbi sulla praticabilità della democrazia borghese e sul futuro stesso del capitalismo.
Il vecchio mito consolante che ogni cittadino ha pari opportunità viene ora frantumato dall’acuto contrasto tra l’oscena ricchezza e il lusso sfoggiati spudoratamente a fronte di una massa di povertà, disoccupazione, abbandono e disperazione, persino nelle nazioni ricche.
Il declino economico sempre più profondo adesso non riguarda più solo la classe lavoratrice, ma anche un settore significativo di ceto medio. Gli shock economici, la crisi del costo della vita, l’inflazione galoppante e i tassi d’interesse in continua crescita significano il fallimento per le piccole imprese. C’è una generale insicurezza e paura del futuro a tutti i livelli nella società con l’eccezione dei super-ricchi e dei loro tirapiedi.
La legittimità del sistema si supponeva fondata su una prosperità ampiamente diffusa. Ma il capitale si concentra sempre più nelle mani di pochi miliardari, di banche e imprese gigantesche.
Invece della democrazia abbiamo il dominio di una plutocrazia a malapena camuffata. La ricchezza compra il potere, lo sanno tutti. Democrazia significa una testa, un voto. Ma capitalismo significa un dollaro, un voto. Pochi miliardi di dollari comprano un biglietto d’ingresso per la Casa Bianca.
Questa realtà diventa sempre più evidente alla maggioranza delle persone. C’è un’indifferenza crescente verso l’ordine politico esistente, e sfiducia – per non dire odio – verso l’élite dominante e le sue istituzioni.
Lo stesso governo parlamentare è minato alla base. Gli organismi elettivi si trasformano in semplici parlatoi, mentre il potere reale passa dai parlamenti ai governi, e dai governi alle cricche di funzionari non eletti e di “consiglieri”.
La menzogna sfacciata secondo la quale la polizia e la magistratura sarebbero in qualche modo indipendenti è smascherata di fronte a tutti. Con l’intensificarsi della lotta di classe, queste istituzioni saranno sempre più messe a nudo e perderanno qualsiasi rispetto e autorità possano aver avuto in passato.
Alla fine, la borghesia trarrà la conclusione che c’è troppo disordine, troppi scioperi e manifestazioni, troppo caos. “Esigiamo ordine!” Già ora vediamo le limitazioni poste ai diritti democratici, come il diritto a manifestare, a scioperare, alla libertà di parola e di stampa.
Ad un certo punto la borghesia sarà tentata di fare ricorso alla dittatura aperta, in una forma o nell’altra. Ma questa può diventare una prospettiva realistica solo dopo che la classe lavoratrice abbia sofferto una serie di sconfitte profonde, come fu nel caso della Germania dopo la Prima guerra mondiale.
Ma ben prima che ciò accada, la classe lavoratrice avrà molte opportunità di misurare la propria forza contro quella dello Stato borghese, e di muoversi per prendere il potere nelle proprie mani.
C’è un pericolo di fascismo?
Gli impressionisti superficiali della cosiddetta sinistra a livello internazionale vedono scioccamente il trumpismo come fascismo. Questa confusione non ci aiuta a comprendere il vero significato di questo importante fenomeno.
Questa stupidaggine li porta direttamente nella palude della politica di collaborazione di classe. Promuovendo l’idea sbagliata del “male minore”, invitano la classe lavoratrice e le sue organizzazioni a unirsi ad un’ala reazionaria della borghesia contro l’altra.
È stata questa politica errata che ha permesso loro di spingere i votanti a sostenere Joe Biden e i democratici, un voto che molti hanno successivamente rimpianto amaramente.
Insistendo costantemente sul presunto pericolo di “fascismo”, non faranno che disarmare la classe lavoratrice quando dovrà affrontare formazioni autenticamente fasciste in futuro. Per quanto riguarda l’oggi, mancano completamente il bersaglio.
C’è grande abbondanza di demagoghi di destra in giro, e alcuni vengono anche eletti. Tuttavia questo non è lo stesso di un regime fascista, che si basa sulla mobilitazione di massa di una piccola borghesia infuriata, usata come un ariete per demolire le organizzazioni dei lavoratori.
Negli anni ’30 le contraddizioni nella società vennero risolte in un arco di tempo relativamente breve e potevano sfociare solo o nella vittoria della rivoluzione proletaria o nella reazione sotto la forma del fascismo o del bonapartismo.
Ma la classe dominante si è scottata malamente le dita quando in passato ha gettato il suo peso dietro i fascisti. Non si metterà facilmente su quella strada.
Più importante, oggi una soluzione rapida di quel genere è esclusa dal diverso rapporto di forze. Le riserve sociali della reazione sono di gran lunga più deboli che negli anni ’30, e il peso specifico della classe lavoratrice è di molto maggiore.
I contadini sono in larga misura spariti dai paesi capitalisti avanzati, mentre ampi settori di quelli che in passato si consideravano classe media (professionisti, colletti bianchi, insegnanti, professori universitari, funzionari pubblici, medici e infermiere) sono stati attratti verso il proletariato e si sono sindacalizzati.
Gli studenti, che negli anni ’20 e ’30 fornivano al fascismo le truppe d’assalto, si sono spostati bruscamente a sinistra e sono aperti alle idee rivoluzionarie. La classe lavoratrice, nella maggior parte dei paesi, non soffre sconfitte serie da decenni. Le sue forze sono largamente intatte.
La borghesia si trova di fronte alla crisi più seria nella sua storia, ma a causa dell’enorme rafforzamento della classe lavoratrice è incapace di muoversi rapidamente verso la reazione aperta.
Questo significa che la classe dominante si troverà di fronte a serie difficoltà quando cercherà di riprendersi le conquiste del passato. La profondità della crisi implica che dovranno cercare di tagliare, e tagliare fino all’osso. Ma questo provocherà esplosioni in un paese dopo l’altro.
Il disastro ambientale
Oltre alle continue guerre e crisi economiche, l’umanità è minacciata dallo stupro del pianeta. Nella sua costante ricerca di profitti, il sistema capitalista ha avvelenato l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo e l’acqua che beviamo.
Sta distruggendo la foresta amazzonica e le calotte polari. Gli oceani sono soffocati dalla plastica e inquinati dai residui chimici. Le specie animali si estinguono a un ritmo allarmante. E il futuro di intere nazioni viene posto a rischio.
I settori più poveri della società e la classe lavoratrice sono quelli colpiti più duramente dall’inquinamento e dal cambiamento climatico. E per giunta, la classe dominante chiede loro di pagare il contro della crisi creata dal capitalismo.
Marx spiegò che la scelta per l’umanità era tra socialismo o barbarie. Gli elementi della barbarie esistono già anche nei paesi capitalisti più avanzati, e minacciano l’esistenza stessa della civiltà. Ma oggi possiamo dire che il capitalismo pone una minaccia all’esistenza stessa della specie umana.
Tutto questo risveglia la coscienza di milioni di persone, particolarmente fra i giovani. Ma l’indignazione morale e le manifestazioni rabbiose sono del tutto insufficienti. Se il movimento ambientalista si rinchiude nella politica dei gesti vuoti, si condannerà all’impotenza.
Gli ambientalisti sono in grado di segnalare i sintomi più evidenti del problema. Ma non hanno una diagnosi corretta, e senza di questa, è impossibile offrire una cura. Il movimento ambientalista può ottenere i suoi scopi solo se assume una chiara e inequivocabile posizione anticapitalista rivoluzionaria.
Dobbiamo sforzarci di raggiungere gli elementi migliori e convincerli che il problema è il capitalismo stesso. La catastrofe ambientale è il risultato della follia dell’economia di mercato e della ricerca del profitto.
La cosiddetta economia di libero mercato non è in grado di risolvere nemmeno uno dei problemi che fronteggia l’umanità. È inefficiente, dissipativa, distruttiva e inumana su scala colossale. Su questa base nessun progresso è possibile. Gli argomenti in favore dell’economia pianificata sono irrefutabili.
È necessario espropriare i banchieri e i capitalisti e rimpiazzare l’anarchia del mercato con un sistema armonioso e razionale di pianificazione.
Il sistema capitalista mostra ora tutti i tratti orrendi di una creatura che ha perso ogni ragione di esistere. Ma questo non significa che prenda atto che si trova di fronte alla propria estinzione. Tutto il contrario.
Questo sistema degenerato e malato ricorda un uomo vecchio e infermo che si aggrappa tenacemente alla vita. Continuerà a trascinarsi fino a quando verrà rovesciato dal cosciente movimento rivoluzionario della classe lavoratrice.
È compito della classe lavoratrice porre fine a questo lungo processo di agonia mortale del capitalismo attraverso il suo rovesciamento rivoluzionario e la ricostruzione della società da cima a fondo.
L’esistenza del capitalismo rappresenta ora una minaccia chiara e presente al futuro del pianeta Terra. Affinché l’umanità possa vivere, il sistema capitalista deve morire.
Il fattore soggettivo
Dalla crisi generale del capitalismo è possibile concludere che il suo crollo finale è alla fine inevitabile. Nello stesso senso, la vittoria del socialismo è una inevitabilità storica.
Questo è vero in senso generale. Ma è impossibile trarre da affermazioni generali una spiegazione concreta degli eventi effettivi.
Se il tutto è completamente inevitabile, non c’è alcun bisogno di un partito rivoluzionario, di sindacati, di scioperi, di manifestazioni, dello studio della teoria o di qualsiasi altra cosa. Ma tutta la storia dimostra precisamente l’opposto. Il fattore soggettivo, la direzione, svolge un ruolo assolutamente fondamentale nei momenti decisivi della storia.
Karl Marx segnalò che senza organizzazione, la classe operaia non era altro che materia prima per lo sfruttamento. Senza organizzazione, non siamo niente. Con l’organizzazione, siamo tutto.
Ma qui arriviamo al nocciolo del problema. La vera questione è la completa mancanza di direzione, la completa putredine dei dirigenti dei lavoratori.
Le organizzazioni di massa della classe lavoratrice che si sono sviluppate storicamente sono state soggette alla pressione della classe dominante e della piccola borghesia nel corso di decenni di relativa prosperità. Questo ha rafforzato la presa della burocrazia del movimento operaio su queste organizzazioni.
La crisi del capitalismo necessariamente significa la crisi del riformismo. I dirigenti riformisti di destra hanno abbandonato le idee sulle quali venne fondato il movimento e si sono separati dalla classe che si suppone rappresentino.
Più che in ogni altra epoca storica, i dirigenti delle organizzazioni dei lavoratori sono caduti sotto la pressione della borghesia. Per usare un’espressione coniata dal pioniere del socialismo americano Daniel DeLeon e spesso citata da Lenin, non sono altro che “sorveglianti dei lavoratori per conto del capitale”. Rappresentano il passato, non il presente o il futuro. Verranno spazzati via nel periodo tempestoso che ora si apre.
Ma il problema non comincia e non finisce con i riformisti di destra.
Il fallimento della “sinistra”
Un ruolo particolarmente pernicioso è stato svolto dalla cosiddetta sinistra, che ha ovunque capitolato sotto la pressione dei riformisti di destra e dell’establishment. Lo abbiamo visto con Tsipras e gli altri dirigenti di Syriza in Grecia. Lo stesso processo si può vedere con Podemos in Spagna, negli USA con Bernie Sanders e in Gran Bretagna con Jeremy Corbyn.
In tutti questi casi, i dirigenti di sinistra hanno inizialmente sollevato molte speranze, ma queste speranze sono andate in frantumi quando hanno capitolato alle pressioni della destra.
Sarebbe facile accusare questi dirigenti di codardia e debolezza. Ma qui il problema non è la morale individuale o del coraggio personale, bensì una estrema debolezza politica.
Il problema essenziale dei riformisti di sinistra è che credono che sia possibile ottenere le rivendicazioni delle masse senza rompere con lo stesso sistema capitalista. Sotto questo aspetto non sono diversi dai riformisti di destra, salvo che questi ultimi non si preoccupano neppure di nascondere la loro completa capitolazione davanti ai banchieri e ai capitalisti.
Oggi per lo più i “sinistri” non parlano neppure più di socialismo. Non sono neppure l’ombra dei vecchi dirigenti della sinistra degli anni ’30. Si limitano invece a flebili richieste di livelli di vita migliori, di maggiori diritti democratici, eccetera.
Non parlano neppure più di capitalismo, ma piuttosto di “neoliberismo”, vale a dire di un capitalismo “cattivo” contrapposto a uno “buono”, anche se non dicono mai come dovrebbe essere questo presunto capitalismo buono.
Poiché rifiutano la rottura col sistema, i riformisti di sinistra inevitabilmente ritengono necessario trovare degli accordi con la classe dominante. Cercano di dimostrare di non essere una minaccia e di essere affidabili per governare nell’interesse dei capitalisti.
Questo spiega il loro ostinato rifiuto di rompere con l’ala destra – questi agenti diretti della classe dominante all’interno del movimento operaio – rifiuto che motivano con la necessità di mantenere l’unità.
Alla fine, questo li porta sempre a capitolare di fronte alla destra. Ma quando quest’ultima ottiene il controllo non dimostra la stessa timidezza, ma lancia immediatamente una feroce caccia alle streghe contro la sinistra.
La codardia qui non è una questione di carattere personale di questo o quell’individuo. È una parte inseparabile del DNA politico del riformismo di sinistra.
La lotta contro l’oppressione
La crisi del capitalismo ha trovato espressione in molte delle correnti di opposizione alla società attuale, ai suoi valori, alla sua morale, alle sue intollerabili ingiustizie e oppressioni.
La contraddizione centrale nella società rimane l’antagonismo tra lavoro salariato e capitale. Tuttavia l’oppressione assume molte forme differenti, alcune delle quali sono considerevolmente più antiche e hanno radici più profonde della schiavitù salariata.
Tra le forme di oppressione più universali e dolorose c’è quella sulle donne in un mondo dominato dai maschi. La crisi aumenta la dipendenza economica delle donne. I tagli alla spesa sociale aggravano in modo sproporzionato il carico delle donne nella cura dei figli e degli anziani.
C’è nel mondo un’epidemia di violenza contro le donne. E sono sotto attacco diritti come l’accesso all’aborto. Questo sta provocando una forte reazione e cresce uno stato d’animo combattivo, specialmente fra le giovani.
La ribellione delle donne contro questa oppressione mostruosa è di importanza fondamentale nella lotta contro il capitalismo. Senza la piena partecipazione delle donne non può essevi una rivoluzione socialista vittoriosa.
La lotta contro ogni forma di oppressione e discriminazione è una parte necessaria della lotta contro il capitalismo.
La nostra posizione è molto semplice: in ogni lotta, prenderemo sempre le parti dell’oppresso contro l’oppressore. Ma questa dichiarazione generale è di per sé insufficiente a definire la nostra posizione. Dobbiamo aggiungere che il nostro atteggiamento è essenzialmente negativo. Vale a dire: ci opponiamo a qualsiasi tipo di oppressione e discriminazione, sia essa rivolta contro le donne, le persone di colore, gli omosessuali, le persone transgender, o qualsiasi altro gruppo o minoranza oppressa.
Tuttavia respingiamo radicalmente le politiche identitarie che, sotto la veste della difesa di un determinato gruppo, giocano un ruolo reazionario e divisivo che in ultima istanza indebolisce l’unità della classe lavoratrice dando un aiuto incalcolabile alla classe dominante.
Il movimento operaio è stato contagiato da ogni sorta di idee aliene: postmodernismo, politiche identitarie, “politicamente corretto” e tutte le altre sciocchezze che sono state contrabbandate dalle università dalla piccola borghesia “di sinistra”, che agisce come una cinghia di trasmissione per una ideologia aliena e reazionaria.
Sottoprodotto del cosiddetto postmodernismo, le politiche identitarie hanno avuto il ruolo di confondere la mente degli studenti. Queste idee aliene sono state introdotte nel movimento operaio dove agiscono come un’arma quantomai efficace in mano alla burocrazia nella sua lotta contro i militanti di classe più combattivi.
Lenin insisteva sulla necessità che i comunisti combattano su tutti i fronti: non solo sul fronte economico e politico, ma anche su quello ideologico. Noi ci basiamo fermamente sulle solide fondamenta della teoria marxista e della filosofia del materialismo dialettico.
Questo si pone in assoluta contraddizione con l’idealismo filosofico in tutte le sue forme: che si tratti del misticismo aperto e dichiarato della religione, o di quello cinico e camuffato – ma non per questo meno pericoloso – del postmodernismo.
La lotta contro questa ideologia di classi aliene e i suoi propugnatori piccolo borghesi costituisce quindi un compito molto importante. Non si deve fare alcuna concessione alle idee divisive e controrivoluzionarie che fanno il gioco dei padroni e della loro tattica millenaria: divide et impera.
In realtà è già cominciata una sana reazione contro queste idee perniciose, fra un settore della gioventù che si muove verso il comunismo.
I comunisti si pongono fermamente sul terreno della politica di classe e difendono l’unità della classe lavoratrice al di sopra di qualsiasi divisione di colore, genere, lingua o religione. Non ci interessa se siete bianchi o neri, maschi o femmine, né abbiamo il minimo interesse al vostro modo di vivere, a chi è o non è il vostro partner. Queste sono questioni puramente personali che non devono riguardare nessun altro – burocrati, preti o politici.
Il solo requisito per unirsi a noi è che siate preparati e decisi a lottare per la sola causa che può offrire la vera libertà, eguaglianza e rapporti autenticamente umani tra uomini e donne: la sacra causa della lotta per l’emancipazione della classe lavoratrice.
Ma la precondizione per unirsi ai comunisti è che le assurdità reazionarie delle politiche identitarie restino fuori dalla porta.
I sindacati
Il periodo attuale è il più convulso e tempestoso nella storia. Il terreno è pronto per una ripresa generale della lotta di classe. Ma non sarà semplice. La classe lavoratrice sta cominciando a risvegliarsi dopo un periodo di sostanziale inattività. Dovrà reimparare molte lezioni, persino lezioni elementari come la necessità di organizzarsi in sindacati.
Ma ovunque la direzione delle organizzazioni di massa, a cominciare dai sindacati, è in uno stato deplorevole. Si sono dimostrati completamente inadeguati a rispondere ai bisogni più urgenti della classe lavoratrice. Non sono neppure stati capaci di costruire o rafforzare i sindacati stessi.
Come risultato, interi strati della nuova generazione di giovani lavoratori impegnati in lavori precari quali fattorini, call center e simili, si trovano ad essere poco più che materia grezza per lo sfruttamento.
Lavorano in condizioni orribili in moderne “fabbriche del sudore” come i magazzini Amazon, nello sfruttamento più brutale, con lunghi orari e paghe cattive. Sono passati da tempo i giorni in cui i lavoratori potevano ottenere seri aumenti salariali con la semplice minaccia di scioperare. I padroni diranno che non possono permettersi neppure gli attuali livelli salariali, figuriamoci fare concessioni.
Quelli che sognano ancora la pace sociale e l’accordo fra le classi vivono nel passato, in una fase del capitalismo che non esiste più. Gli utopisti sono i dirigenti sindacali, non i marxisti! Si apre un panorama di grandi battaglie, ma anche di sconfitte per la classe lavoratrice, come risultato di una cattiva direzione. È necessaria una combattività autentica e una rinascita della lotta di classe.
Il processo di radicalizzazione continuerà e si approfondirà. Questo aprirà grandi possibilità per il lavoro dei comunisti nei sindacati e nei luoghi di lavoro.
Avanzare esige una seria lotta contro il riformismo, una lotta per rigenerare le organizzazioni di massa della classe lavoratrice, a partire dai sindacati. Questi devono essere trasformati in organizzazioni di lotta della classe lavoratrice.
Ma a ciò si può arrivare solo attraverso una lotta implacabile contro la burocrazia riformista. I sindacati devono essere epurati da cima a fondo e le politiche di collaborazione di classe eliminate completamente.
Non basta la combattività
La lotta contro il riformismo non significa che siamo contrari alle riforme. Non critichiamo i dirigenti sindacali perché lottano per le riforme, ma al contrario, li critichiamo perché non lottano affatto.
Cercano di accordarsi con i padroni, di evitare le azioni di lotta, e, quando vi sono costretti sotto la pressione della base, fanno tutto quello che possono per limitare le azioni di sciopero e raggiungere un compromesso marcio in modo da fermare il movimento il più presto possibile.
I comunisti lotteranno anche per la più piccola riforma che rappresenti un miglioramento nelle condizioni di vita e nei diritti dei lavoratori. Ma nelle condizioni attuali, la lotta per riforme significative può avere successo solo se assume una dimensione più ampia e rivoluzionaria.
I limiti della democrazia borghese saranno rivelati nella misura in cui essa sarà messa alla prova nella pratica. Noi lotteremo per difendere qualsiasi rivendicazione democratica significativa, in modo da portare alle condizioni più favorevoli per lo sviluppo più pieno della lotta di classe.
Nel suo insieme, la classe lavoratrice può apprendere solo dalla propria esperienza. Senza la lotta quotidiana per ottenere degli avanzamenti anche sotto il capitalismo, la rivoluzione socialista sarebbe impensabile.
Ma in ultima analisi la lotta sindacale non è sufficiente. In condizioni di crisi del capitalismo anche le conquiste ottenute dalla classe lavoratrice non possono durare a lungo.
I padroni si riprendono con la mano sinistra quello che hanno concesso con la destra. Gli aumenti salariali vengono annullati dall’inflazione o dagli aumenti delle tasse. Le fabbriche chiudono e la disoccupazione cresce.
L’unico modo per assicurarsi che le riforme non vengano cancellate è lottare per un cambiamento radicale nella società. Ad un certo punto, le lotte possono trasformarsi da difensive a offensive. È precisamente attraverso l’esperienza delle piccole lotte per rivendicazioni parziali che si prepara il terreno della lotta finale per il potere.
La necessità del partito
La classe lavoratrice è la sola classe autenticamente rivoluzionaria nella società. Solo essa non ha alcun motivo di desiderare la continuazione di un sistema basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e lo sfruttamento della forza lavoro umana per soddisfare la rapace avidità di pochi ricchi parassiti.
È dovere dei comunisti rendere consapevole la lotta incosciente o semicosciente della classe lavoratrice per cambiare la società. Solo la classe lavoratrice ha la forza necessaria per rovesciare la dittatura dei banchieri e dei capitalisti.
Non dimentichiamo che non si accende una lampadina, non gira una ruota, non squilla un telefono se non per gentile concessione della classe lavoratrice.
È un potere colossale. E tuttavia è un potere solo potenziale. Affinché questa forza potenziale diventi reale, è necessario qualcos’altro. Questo qualcosa è l’organizzazione.
C’è una precisa analogia con la forza della natura. Il vapore è una forza simile. Esso fornì la forza motrice per la rivoluzione industriale. È la forza che muove i motori e fornisce luce, calore ed energia per portare vita e movimento alle grandi città.
Ma il vapore diventa una forza solo quando viene concentrato in un meccanismo chiamato cilindro a pistone. Senza questo meccanismo, si disperde inutilmente nell’atmosfera. Rimane solo un potenziale e nulla più.
Anche al livello più elementare, qualsiasi lavoratore con una coscienza di classe comprende la necessità dell’organizzazione sindacale. Ma la massima espressione dell’organizzazione proletaria è il partito rivoluzionario che unisce il settore più cosciente, più devoto e più combattivo della classe nella lotta per rovesciare il capitalismo. La creazione di tale partito è il compito più urgente di fronte a noi.
La coscienza
La crescente instabilità economica e sociale minaccia di minare le fondamenta dell’ordine esistente. Come spiegare le violente oscillazioni elettorali che vediamo dappertutto, a destra, a sinistra e poi di nuovo a destra?
I miopi riformisti di sinistra incolpano i lavoratori per la loro presunta arretratezza. È il modo con cui cercano di giustificarsi e coprire il loro ruolo pernicioso. Ma ciò che qui si riflette è la disperazione e la mancanza di una seria alternativa. Le masse cercano disperatamente una via d’uscita e mettono alla prova un’opzione dopo l’altra. Governi, partiti e leaders, uno dopo l’altro vengono messi alla prova, si dimostrano inadeguati e vengono scartati.
In questo processo i riformisti giocano il ruolo più deplorevole, e peggio ancora i riformisti di sinistra, se mai fosse possibile. Da questo processo vediamo sorgere un cambiamento nella coscienza. Non è quel tipo di cambiamento lento, graduale che ci si potrebbe aspettare.
Ha bisogno di tempo, naturalmente, per maturare, ma il cambiamento quantitativo raggiunge infine un punto critico nel quale improvvisamente diventa qualitativo. Bruschi cambiamenti nella coscienza sono impliciti in tutta la situazione.
Questo è precisamente il tipo di cambiamento che vediamo ora, particolarmente fra i giovani. In un sondaggio è stato chiesto a oltre mille adulti in Gran Bretagna di fare una classifica delle parole e frasi che associano più strettamente a “capitalismo”.
I risultati più alti sono stati “avidità” (73 per cento), “pressione costante per il risultato” (70 per cento) e “corruzione” (69 per cento). Il 42 per cento degli intervistati concordava con la frase “il capitalismo è dominato dai ricchi, che determinano le priorità politiche”.
Il cambiamento si esprime con la massima chiarezza nella tendenza verso le idee comuniste fra la gioventù. Questi giovani si definiscono comunisti, anche se molti non hanno mai letto il Manifesto comunista, né hanno alcuna conoscenza del socialismo scientifico.
Ma i tradimenti della sinistra hanno reso la stessa parola “socialismo” maleodorante per il loro olfatto. Non suscita più un’eco fra le persone migliori. Dicono “vogliamo il comunismo. Solo quello, e niente di meno”.
Cos’è un comunista?
Nel capitolo del Manifesto del Partito comunista intitolato Proletari e comunisti, leggiamo quanto segue:
“In che rapporto sono i comunisti con i proletari in genere?
I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.
I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.
I comunisti non pongono princìpi speciali sui quali vogliano modellare il movimento proletario.
I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell’intero proletariato (…)
Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato di comprendere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario.”
Queste righe esprimono ottimamente l’essenza della questione.
È il momento giusto per un’Internazionale Comunista Rivoluzionaria?
La reazione crescente contro la cosiddetta economia di libero mercato ha terrorizzato gli apologeti del capitalismo. Guardano con terrore a un futuro incerto e turbolento.
Insieme a questo stato d’animo pervasivo di pessimismo, i rappresentanti più riflessivi della borghesia cominciano a scoprire paralleli inquietanti con il mondo del 1917. È in questo contesto che si pone la necessità di un partito rivoluzionario, con una bandiera pulita e una chiara politica rivoluzionaria.
Il carattere internazionale del nostro movimento deriva dal fatto che il capitalismo è un sistema mondiale. Fin dal principio Marx lottò per costruire un’organizzazione internazionale della classe operaia.
Tuttavia dopo la degenerazione stalinista dell’Internazionale Comunista non è mai più esistita un’organizzazione del genere. Ora è il momento di lanciare una Internazionale Comunista Rivoluzionaria!
Alcuni lo vedranno come settarismo, ma non lo è affatto. Non abbiamo assolutamente niente in comune con i gruppetti settari ed estremisti che si pavoneggiano come ridicoli galletti ai margini del movimento operaio.
Dobbiamo voltare le spalle ai settari e rivolgerci ai nuovi settori freschi che si muovono verso il comunismo. Il bisogno di questo passo non esprime né impazienza, né un volontarismo soggettivista. È radicato in una chiara comprensione della situazione oggettiva. È questa, e nient’altro, a rendere questo passo assolutamente necessario e inevitabile.
Esaminiamo i fatti: i sondaggi più recenti dalla Gran Bretagna, dagli USA, dall’Australia e da altri paesi ci danno un’indicazione chiarissima che l’idea del comunismo si sta rapidamente diffondendo. Il potenziale per il comunismo è enorme. È nostro compito rendere reale questo potenziale dandogli un’espressione organizzativa.
Organizzando l’avanguardia in un vero Partito Comunista Rivoluzionario, fondendola in un’organizzazione bolscevica disciplinata, formandola nelle idee marxiste e nei metodi di Lenin, costruiremo una forza che potrà svolgere un ruolo chiave nello sviluppo della rivoluzione socialista nel prossimo periodo.
Il nostro compito è questo. Dobbiamo superare tutti gli ostacoli per assolverlo.
Stalinismo contro bolscevismo
Per molto tempo i nemici del comunismo credevano di essere riusciti a esorcizzare gli spettri della Rivoluzione d’ottobre. Il crollo dell’Unione Sovietica sembrava confermare la loro convinzione che il comunismo fosse morto e sepolto. “La Guerra Fredda è finita”, si compiacevano, “e noi l’abbiamo vinta”.
Tuttavia, contrariamente alla leggenda ripetuta con tanta insistenza dai nostri nemici di classe, a crollare negli anni ’80 non fu il comunismo, bensì lo stalinismo: una orribile caricatura burocratica e totalitaria che non aveva alcun rapporto con il regime di democrazia operaia instaurato da Lenin e dai bolscevichi nel 1917.
Stalin condusse una controrivoluzione politica contro il bolscevismo, basandosi su una casta privilegiata di funzionari che salì al potere in un periodo di riflusso della rivoluzione seguito alla morte di Lenin. Per poter consolidare la sua dittatura controrivoluzionaria, Stalin dovette assassinare tutti i compagni di Lenin e un gran numero di altri autentici comunisti.
Stalinismo e bolscevismo, lungi dall’essere identici, sono non solo diversi: si escludono a vicenda, sono nemici mortali, separati da un fiume di sangue.
La degenerazione dei partiti “comunisti”
Il comunismo è indissolubilmente associato al nome di Lenin e alle gloriose tradizioni della rivoluzione russa, ma i partiti comunisti odierni sono “comunisti” solo di nome. I dirigenti di questi partiti hanno abbandonato da tempo le idee di Lenin e del bolscevismo.
Una rottura decisiva con il leninismo fu l’accettazione della teoria antimarxista del socialismo in un paese solo. Nel 1928 Trotskij previde che questa avrebbe inevitabilmente condotto alla degenerazione nazional-riformista di ogni partito comunista nel mondo. Questa previsione si dimostrò corretta.
Da principio i dirigenti dei partiti comunisti applicarono con ubbidienza gli ordini di Stalin e della burocrazia, seguendo pedissequamente ogni svolta e giravolta indicata da Mosca. Successivamente ripudiarono Stalin, ma invece di ritornare a Lenin fecero una brusca svolta a destra. Nella maggior parte dei paesi, quando questi partiti ruppero con Mosca adottarono una politica e una prospettiva riformista.
Seguendo la logica fatale del “socialismo in un paese solo”, la direzione di ogni partito nazionale si adattò agli interessi della borghesia del proprio paese. Questo portò alla completa degenerazione e persino alla liquidazione totale dei partiti comunisti.
L’esempio più estremo fu il Partito comunista italiano (PCI), che era stato il più grande e potente d’Europa. La politica della degenerazione nazional-riformista ha condotto alla fine alla dissoluzione del PCI e alla sua trasformazione in un partito riformista borghese.
Il Partito comunista britannico oggi ha influenza solo attraverso un quotidiano, il Morning Star, la cui linea non va oltre una tiepida versione del riformismo di sinistra. È a tutti gli effetti solo una copertura di sinistra per la burocrazia sindacale.
Il Partito comunista spagnolo (PCE) partecipa a un governo di coalizione che invia armi in Ucraina come parte della guerra della NATO contro la Russia. Come risultato, il PCE è entrato in un brusco declino. La sua ala giovanile (UCJE) ha rifiutato la linea ufficiale ed è stata espulsa.
Il Partito comunista degli USA (CPUSA) è poco più di una macchina elettorale per il Partito democratico e fa appello a votare Biden “contro il fascismo”.
Il Partito comunista sudafricano ha fatto parte per 30 anni del governo pro-capitalista dell’ANC, arrivando persino a giustificare il massacro di 34 minatori in sciopero a Marikana nel 2012. La lista è infinita.
La crisi nei partiti comunisti
In questo momento critico nella storia mondiale, il movimento comunista internazionale si trova nel più completo scompiglio.
In tutto il mondo i partiti comunisti hanno risposto al massacro di Gaza con appelli al “rispetto del diritto internazionale” e alle risoluzioni delle Nazioni Unite, vale a dire delle principali potenze imperialiste.
Ma è stata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022 a provocare la divisione più profonda, con la maggior parte dei partiti comunisti che si è scandalosamente piegata alla posizione delle rispettive classi dominanti. Molti partiti comunisti, particolarmente in Occidente, hanno coperto il loro tacito appoggio alla NATO con appelli pacifisti alla pace, alle “trattative”, ecc. L’assalto di Israele a Gaza ha peggiorato ulteriormente le cose.
Il Partito comunista francese (PCF), per esempio, si è ritirato dalla coalizione elettorale di sinistra (la NUPES) perché il suo leader Mélenchon ha rifiutato di definire Hamas un’organizzazione terrorista.
All’altro estremo, alcuni partiti sono diventati poco più che strumenti della politica estera russa e cinese, presentandole come alleate progressiste della lotta delle nazioni deboli e dipendenti per “ liberarsi dalla colonizzazione imperialista e dalla schiavitù del debito”.
Il Partito comunista della federazione russa (KPRF) è un caso estremo. Ha perso qualsiasi pretesa di una esistenza indipendente, men che meno comunista. Il partito di Zjuganov da molto tempo non è altro che un aggregato del regime reazionario di Putin.
Queste contraddizioni hanno portato a una serie di scissioni. L’Incontro internazionale dei Partiti comunisti e operai dell’Avana nel 2023 non è neppure riuscito a produrre una dichiarazione sulla guerra in Ucraina in quanto era impossibile raggiungere un “consenso”.
La crisi nel movimento comunista e il ruolo del KKE
Molti lavoratori comunisti di base hanno reagito contro questo revisionismo sfacciato.
Il Partito comunista greco (KKE) ha indubbiamente fatto dei passi importanti nel respingere la vecchia e screditata idea menscevico-stalinista delle “due fasi”. Ha assunto una posizione internazionalista corretta sulla guerra in Ucraina, che caratterizza come un conflitto inter-imperialista.
Il KKE ha condotto un movimento operaio di boicottaggio dell’imbarco di armi dirette in Ucraina dai porti greci. Ogni comunista autentico saluta con favore queste azioni. Tuttavia, per quanto sia chiaramente di grande importanza, è troppo presto per considerare definitivamente acquisito questo passo avanti compiuto dai comunisti greci.
In particolare è necessario rompere completamente con la teoria antimarxista del socialismo in un solo paese e adottare l’approccio leninista del fronte unico.
Il KKE sta cercando di costruire legami con altri partiti comunisti che condividano la sua posizione sulla guerra in Ucraina come conflitto inter-imperialista. È un passo nella direzione giusta. Tuttavia la precondizione perché abbia successo è un dibattito aperto e democratico che coinvolga tutte le tendenze autenticamente comuniste nel mondo.
Basandosi sulla diplomazia e sul “consenso”, in opposizione al dibattito e al centralismo democratico, è impossibile ricostruire una vera Internazionale Comunista basata sulle idee e i metodi di Lenin.
È nostro compito ricondurre il movimento alle sue vere origini, rompere con la codardia del revisionismo e abbracciare la bandiera di Lenin. A questo fine, offriamo una mano amichevole a qualsiasi partito ed organizzazione che condivida questo obiettivo.
Quando Trotskij lanciò l’Opposizione Internazionale di sinistra, la prefigurava come l’opposizione di sinistra del movimento comunista internazionale: siamo comunisti autentici – bolscevico-leninisti – che sono stati esclusi burocraticamente dalle fila del movimento comunista da Stalin.
Abbiamo sempre combattuto per mantenere la bandiera rossa dell’Ottobre e dell’autentico leninismo, e oggi dobbiamo rivendicare il nostro posto di diritto come parte integrante del movimento comunista mondiale.
È giunto il tempo di una discussione aperta e onesta nel movimento, che rompa infine con gli ultimi residui dello stalinismo e prepari il terreno per una unità comunista durevole sulle solida fondamenta del leninismo.
Abbasso il revisionismo!
Per l’unità di lotta di tutti i comunisti!
Torniamo a Lenin!
La politica di Lenin
Il nostro compito immediato non è conquistare le masse. Questo è qualcosa di completamente al di là delle nostre attuali possibilità. Il nostro compito è conquistare gli elementi più avanzati e con coscienza di classe. Solo così possiamo trovare la via verso le masse. Ma non possiamo trattare con leggerezza il nostro approccio alle masse.
La nuova generazione di lavoratori e di giovani cerca una via d’uscita dal vicolo cieco. Gli elementi migliori hanno compreso che l’unica soluzione è prendere la strada della rivoluzione socialista.
Cominciano a comprendere la natura dei problemi che hanno di fronte e gradualmente afferrano la necessità di soluzioni radicali. Ma la loro impazienza può indurli a commettere degli errori.
Il compito dei comunisti sarebbe molto semplice se si riducesse a bombardare la classe lavoratrice con slogan rivoluzionari. Questo invece è del tutto inadeguato e può persino diventare controproducente.
La classe lavoratrice può apprendere solo attraverso l’esperienza, in particolare di grandi avvenimenti. Solitamente apprende solo lentamente, troppo lentamente per molti rivoluzionari che a volte cadono nell’impazienza e nella frustrazione.
Lenin comprendeva che prima di poter conquistare il potere, i bolscevichi dovevano conquistare le masse e a questo fine è necessaria una grande flessibilità tattica. Lenin raccomandava sempre ai rivoluzionari di essere pazienti: “Spiegare pazientemente” era il suo consiglio ai bolscevichi, anche nel fuoco della rivoluzione del 1917.
Se non si padroneggia la tattica, partendo dall’esperienza concreta della classe lavoratrice, qualsiasi discorso sulla costruzione del movimento rivoluzionario è una chiacchiera oziosa. È come un coltello senza lama.
Per questo le questioni di strategia e tattica devono occupare un posto centrale nelle considerazioni dei comunisti. Sia Lenin che Trotskij avevano un’idea molto chiara del rapporto dell’avanguardia comunista con le organizzazioni riformiste di massa.
Questa fu riassunta in quella che indubbiamente fu la presa di posizione definitiva di Lenin sulla tattica rivoluzionaria, il libro L’estremismo, malattia infantile del comunismo. Più di un secolo dopo, gli scritti di Lenin su questo importante argomento rimangono un libro chiuso da sette sigilli per i settari pseudo-trotskisti.
Costoro hanno screditato ovunque la bandiera del trotskismo, facendo favori incalcolabili alla burocrazia. Si immaginano che le organizzazioni di massa possano essere semplicemente cancellate come anacronismo storico. Il loro atteggiamento verso queste organizzazioni si limita a stridule accuse di tradimento. Ma questa tattica porta dritto in un vicolo cieco.
Non ha nulla in comune con i metodi flessibili di Lenin e Trotskij, che comprendevano la necessità per i comunisti di costruire dei ponti verso la massa dei lavoratori che rimane sotto l’influenza dei riformisti.
Dobbiamo voltare decisamente le spalle a questo settarismo sterile e rivolgerci audacemente verso la classe lavoratrice. Spiegando pazientemente la politica comunista alle masse e ponendo delle rivendicazioni ai dirigenti riformisti, è possibile conquistare i lavoratori riformisti al comunismo.
“Tutto il potere ai soviet!”
È sufficiente citare il fatto che nel 1917 Lenin avanzò la parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet” in un momento in cui queste organizzazioni, che rappresentavano la massa degli operai e dei soldati, erano sotto il controllo dei riformisti menscevichi e socialrivoluzionari.
Con questa parola d’ordine, Lenin intendeva dire ai dirigenti riformisti dei soviet: “Molto bene, signori. Voi avete la maggioranza. Proponiamo che voi assumiate il potere per dare al popolo ciò che chiede: pace, pane e terra. Se lo farete, vi sosterremo, la guerra civile sarà evitata e la lotta per il potere si ridurrà a una lotta pacifica per l’influenza all’interno dei soviet.”
I codardi dirigenti riformisti non avevano alcuna intenzione di prendere il potere. Si subordinarono al governo provvisorio borghese, il quale a sua volta si subordinava all’imperialismo e alla reazione. Gli operai e i soldati nei soviet furono così in grado di constatare essi stessi la natura traditrice dei loro dirigenti, e si rivolsero ai bolscevichi.
Solo con questi metodi fu possibile per i bolscevichi passare dall’essere un piccolo partito di circa 8.000 militanti nel febbraio del 1917 a una forza di massa capace di conquistare la maggioranza nei soviet nel periodo immediatamente precedente alla Rivoluzione d’ottobre.
È necessario che oggi manteniamo soprattutto il senso della realtà. Le forze autenticamente comuniste sono state ricacciate indietro da forze storiche oltre il nostro controllo. Siamo ridotti ad essere la minoranza di una minoranza nel movimento operaio.
Abbiamo le idee giuste, ma la gran maggioranza della classe lavoratrice deve ancora essere convinta che le nostre idee sono corrette e necessarie. Per la maggior parte, rimane sotto l’influenza delle organizzazioni riformiste tradizionali, per la semplice ragione che i dirigenti di queste organizzazioni offrono quella che sembra una via d’uscita semplice e indolore dalla crisi.
In realtà quella via porta solo a ulteriori sconfitte, delusioni e miserie. I comunisti non possono in nessun caso abbandonare la classe lavoratrice alle amorevoli cure dei burocrati e traditori di classe riformisti. Al contrario, dobbiamo condurre contro di essi una lotta implacabile. Ma non c’è modo che la classe lavoratrice possa evitare di passare per la dolorosa scuola del riformismo.
Il nostro compito non è lanciare frecciate critiche da bordo campo, ma attraversare l’esperienza con i lavoratori, spalla a spalla, aiutandoli a trarne le lezioni e a trovare la via per avanzare, come fecero i bolscevichi nel 1917.
Costruire un ponte verso i lavoratori!
Dobbiamo stabilire un dialogo con la classe lavoratrice, nella quale non ci veda come elementi alieni o nemici, ma come compagni nella lotta contro un nemico comune: il capitale. Dobbiamo dimostrare loro la superiorità del comunismo non a parole, ma nei fatti.
Dobbiamo trovare gli strumenti per conquistare un ascolto fra la massa dei lavoratori che rimane sotto l’influenza del riformismo. La burocrazia userà ogni metodo senza alcuno scrupolo per isolare i comunisti dai lavoratori di base: messe al bando, proscrizioni, espulsioni, menzogne, calunnie, insulti e attacchi di ogni genere. Ma i comunisti troveranno sempre i modi per superare questi ostacoli. Non c’è modo per cui la burocrazia, che ha usurpato la direzione delle organizzazioni operaie, possa impedire ai comunisti di raggiungere la classe lavoratrice.
Non esistono regole auree che determinino la tattica, la quale è dettata da condizioni concrete. Non è una questione di principio, bensì pratica. Lenin ebbe sempre un atteggiamento flessibile in materia di tattica. Lo stesso Lenin che nel 1914 era implacabilmente per la rottura con la socialdemocrazia e sostenne la formazione di un Partito comunista indipendente in Gran Bretagna, propose anche che il partito britannico richiedesse l’affiliazione al Partito Laburista, pur mantenendo il proprio programma, la propria bandiera e la propria politica.
In certe circostanze può essere necessario inviare tutte le nostre forze nelle organizzazioni riformiste per poter conquistare quei lavoratori che si spostano a sinistra a una chiara posizione rivoluzionaria.
Nella fase attuale, tuttavia, questo non si pone. Non ne esistono le condizioni. Ma in qualsiasi fase è necessario trovare una strada verso la classe lavoratrice. Questa non è una questione tattica, ma una questione di vita o di morte per l’avanguardia comunista.
I comunisti, anche quando agiscono come partito indipendente, hanno il preciso dovere di rivolgersi alle organizzazioni di massa della classe lavoratrice e di perseguire ovunque possibile una tattica di fronte unico, in modo da trovare una strada verso le masse. Questo è l’ABC per chiunque abbia anche la minima conoscenza delle idee e dei metodi di Marx, Engels, Lenin e Trotskij.
La nostra politica si fonda precisamente sui consigli di Lenin e sulle tesi dei primi quattro congressi dell’Internazionale Comunista. Se i nostri critici settari non lo comprendono, il problema è loro.
Per cosa combattiamo?
I fini essenziali dei comunisti sono gli stessi dei lavoratori in generale. Lottiamo per l’eliminazione completa della fame e della mancanza di alloggi, per un lavoro garantito in buone condizioni; per la drastica riduzione della settimana lavorativa e la conquista del tempo libero; per istruzione e sanità garantite e di qualità; per la fine dell’imperialismo e della guerra; e per la fine della folle distruzione del nostro pianeta.
Ma segnaliamo che in condizioni di crisi del capitalismo, questi fini posso essere raggiunti solo attraverso una lotta implacabile, e che in ultima analisi questa può avere successo solo quando conduca all’esproprio dei banchieri e dei capitalisti. Fu per questa ragione che Trotskij sviluppò l’idea delle rivendicazioni transitorie.
I comunisti interverranno con la massima energia in ogni lotta della classe lavoratrice. Le rivendicazioni che i comunisti proporranno nel movimento naturalmente cambieranno con frequenza, seguendo il variare delle condizioni, e saranno differenti a seconda della situazione di ciascun paese. Pertanto una lista di rivendicazioni programmatiche sarebbe fuori posto in un manifesto come quello presente.
Tuttavia, il metodo con il quale i comunisti di ciascun paese dovrebbero formulare le proprie rivendicazioni concrete fu elaborato brillantemente da Trotskij nel 1938 e pubblicato nel documento fondativo della Quarta Internazionale, L’agonia mortale del capitalismo e i compiti della Quarta Internazionale o, come più spesso viene chiamato, Il programma di transizione.
Le rivendicazioni presentate il quel documento ricapitolano il programma elaborato da Lenin e dai bolscevichi e sono contenute nelle tesi e nei documenti dei primi quattro congressi dell’Internazionale Comunista.
L’idea basilare delle rivendicazioni transitorie può essere formulata semplicemente. Trotskij spiegò che nel periodo del declino capitalista, qualsiasi seria lotta per migliorare le condizioni di vita andrà inevitabilmente “al di là dei limiti dei rapporti capitalisti di proprietà e dello Stato borghese”.
Proprio come in guerra le battaglie difensive possono trasformarsi in offensive, così nella lotta di classe la lotta per le rivendicazioni più immediate può, a certe condizioni, condurre a un balzo nella coscienza e a un movimento in direzione di una lotta rivoluzionaria per il potere.
In ultima analisi nessuna riforma potrà mai acquisire un carattere durevole a meno che non sia legata al rovesciamento dell’ordine borghese.
I comunisti lottano per la completa emancipazione della classe lavoratrice, per la liberazione del lavoro dall’oppressione e dalla sofferenza. Questo si può raggiungere solo con la distruzione dello Stato borghese, l’espropriazione dei mezzi di produzione e l’introduzione di una pianificazione socialista sotto il controllo e la gestione democratica dei lavoratori.
Da ciò dipende il futuro dell’umanità. Nelle parole del grande marxista irlandese James Connolly:
“Poiché le nostre richieste sono quanto mai moderate, vogliamo solo la Terra”.
Il comunismo è un’idea utopistica?
L’ultimo rifugio dei difensori del capitalismo è l’affermazione che non c’è alternativa al loro sistema fallimentare. Ma una persona ragionevole può crederci?
È proprio vero che la razza umana è incapace di concepire un sistema che sia superiore all’attuale, terrificante situazione? Questa affermazione fantasiosa rappresenta una calunnia mostruosa all’intelligenza della nostra specie.
L’abolizione della dittatura dei banchieri e dei capitalisti permetterà di creare un’economia che sia pianificata razionalmente per soddisfare i bisogni dell’umanità e non la rapace avidità di un pugno di miliardari.
La soluzione è evidente a chiunque ragioni seriamente. E oggi è alla nostra portata. Questo è il solo modo per abolire la fame, la povertà, le guerre e tutte le altre malattie del capitalismo, e creare un mondo in cui gli esseri umani possano vivere degnamente.
I nemici del comunismo sostengono che sia un’idea utopistica. L’accusa suona ironica. Ad essere utopico è precisamente un sistema socioeconomico che sopravvive alla sua utilità, la cui stessa esistenza si pone in contraddizione palese con i veri bisogni della società. Tale sistema non ha alcun diritto di esistere ed è condannato alla spazzatura della storia.
Non c’è nulla di utopico nel comunismo. Al contrario, le condizioni materiali per una forma di società umana nuova e superiore esistono già su scala mondiale e stanno maturando rapidamente.
Gli enormi progressi nella scienza e nella tecnologia offrono un quadro entusiasmante di un mondo libero dalla povertà e dal bisogno. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, combinato con la robotica moderna, potrebbe ridurre le ore di lavoro fino al punto in cui, in ultima istanza, le persone non dovrebbero più lavorare se non per propria scelta.
L’abolizione della schiavitù del lavoro è precisamente la premessa materiale di una società senza classi. Oggi questo è del tutto possibile. Non è un’utopia, ma qualcosa del tutto alla nostra portata. Sta nascendo un nuovo mondo, che cresce silenziosamente ma senza sosta nel grembo del vecchio.
Ma sotto il capitalismo, tutto si trasforma nel suo opposto. In un sistema in cui tutto è subordinato alla ricerca del profitto, qualsiasi nuovo progresso tecnologico significa un aumento della disoccupazione, unito a un prolungamento della giornata lavorativa e a un aumento dello sfruttamento e della schiavitù.
Tutto ciò che proponiamo è di sostituire un sistema ingiusto e irrazionale dove ogni cosa è subordinata all’insaziabile avidità di pochi, con una economia pianificata razionale e armoniosa, basata sulla produzione per la soddisfazione dei bisogni umani.
Per una vera Internazionale Comunista!
Tre decenni fa, all’epoca della caduta dell’Unione Sovietica, Francis Fukuyama proclamò trionfalmente la fine della storia. Ma non è così facile sbarazzarsi della storia, che continua il suo cammino, incurante delle opinioni degli scribacchini borghesi. E ora la ruota della storia ha fatto un giro di 180 gradi.
La caduta dell’Unione Sovietica fu indubbiamente un grande dramma storico. Ma retrospettivamente sarà vista solo come il preludio di un dramma di gran lunga maggiore: la crisi terminale del capitalismo.
Per le ragioni delineate in precedenza, la crisi attuale avrà una natura prolungata. Può durare anni e persino decenni, con alti e bassi, a causa dell’assenza del fattore soggettivo. Questo, tuttavia, è solo un lato della medaglia.
La crisi sarà lunga e protratta, ma non significa affatto che sarà pacifica e tranquilla. Al contrario! Siamo entrati nel periodo più turbolento e conflittuale nella storia moderna.
La crisi colpirà un paese dopo l’altro. La classe lavoratrice avrà molte occasioni di prendere il potere. In tutta la situazione sono impliciti cambiamenti bruschi e repentini. Possono esplodere quando meno ce li aspettiamo. Dobbiamo essere pronti.
Non è più necessario convincere ampi strati della gioventù della superiorità del comunismo. Sono già comunisti. Cercano una bandiera pulita, un’organizzazione che abbia rotto radicalmente con il riformismo e con il codardo opportunismo “di sinistra”.
Dobbiamo prendere tutte le misure pratiche possibili per trovarli e reclutarli. Questo comporta la proclamazione di un nuovo partito e di una nuova internazionale. Tutta la situazione lo esige. È un compito assolutamente necessario e urgente, che non ammette ritardi.
È necessario un autentico Partito comunista, che si basi sulle idee di Lenin e degli altri grandi maestri del marxismo, una Internazionale sulle linee dell’Internazionale Comunista nei suoi primi cinque anni.
I nostri numeri sono ancora ridotti se paragonati ai grandi compiti che abbiamo di fronte, e non ci facciamo illusioni al riguardo. Ma ogni movimento rivoluzionario nella storia ha sempre cominciato la sua vita come un elemento piccolo e apparentemente insignificante.
Abbiamo un lavoro importante da compiere, che sta già portando risultati importanti e sta raggiungendo una tappa decisiva.
Stiamo crescendo rapidamente perché ora abbiamo a favore la corrente della storia. Soprattutto abbiamo le idee corrette. Lenin disse che il marxismo è invincibile perché è giusto. Questo fatto ci colma di fiducia nel futuro.
Il grande socialista utopista francese Fourier definiva il socialismo come il modo di rendere attuale il potenziale della razza umana.
Sotto il comunismo, per la prima volta nella storia, le masse troveranno spalancate le porte che conducono a impadronirsi realmente del mondo della cultura che è stato loro negato. Si aprirà la strada per una fioritura inimmaginabile dell’arte, della musica e della cultura quale il mondo non ha mai visto.
Per un nuovo mondo nel quale la vita acquisterà un significato interamente nuovo. E per la prima volta, uomini e donne potranno innalzarsi alla propria vera statura, sulla base di una completa eguaglianza. Sarà il balzo dell’umanità dal regno della necessità a quello della libertà.
Uomini e donne non dovranno più rivolgere lo sguardo alle nuvole in cerca di una vita migliore dopo la morte. Vivranno un nuovo mondo, nel quale la vita stessa, ripulita dall’oppressione, dallo sfruttamento e dall’ingiustizia, acquisterà un significato del tutto nuovo.
Questo è il fine meraviglioso per cui lottiamo: un paradiso in questo mondo.
Questo è il vero significato del comunismo.
Questa è la sola causa degna di una lotta.
Per questo siamo comunisti!
È responsabilità di ciascuno di noi assicurare che questo lavoro sia intrapreso immediatamente, senza esitazione e con assoluta convinzione nel nostro successo.
Che le parole d’ordine della nostra lotta siano:
- Abbasso i banditi imperialisti!
- Abbasso la schiavitù capitalista!
- Espropriare i banchieri e i capitalisti!
- Viva il comunismo!
- Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!
- Avanti alla costruzione di una nuova Internazionale!