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L’orrore di Gaza e la risposta necessaria

di Roberto Sarti

La guerra a Gaza è in corso da ormai 24 mesi. In questi due anni i palestinesi sono stati sottoposti a ogni tipo di crudeltà e barbarie da parte di Israele. Al 31 agosto, si contavano oltre 63mila morti; di questi l’83% sono bambini, donne e anziani: lo afferma un database dei Servizi segreti israeliani pubblicato da The Guardian. Oltre 300 gazawi hanno già perso la vita per “lo stato di grave carestia” pianificato deliberatamente da Israele.

E non c’è tregua per il popolo palestinese nonostante l’IDF ammetta pubblicamente che “l’operazione militare è fallita”. La politica genocida di Netanyahu volta alla creazione di un “Grande Israele” ha fatto un salto di qualità.

Da una parte l’occupazione totale di Gaza, di concerto con l’amministrazione USA, che ha delineato di recente il progetto “Gaza Riviera”. Per chi lascia la striscia ci saranno 5mila dollari a testa. Per chi vorrà rimanere (la stragrande maggioranza) i campi di internamento.

Dall’altra l’annessione di gran parte della Cisgiordania amministrata dall’ANP, circa il 60% del totale (Israele gestisce già il resto). È un passo in questa direzione il progetto E1 che separa Gerusalemme est dal resto della Cisgiordania, tagliandola in due, con la costruzione di 3.400 insediamenti di coloni. Anche in questo caso, l’appoggio degli USA è sostanziale, come dichiarato pochi giorni fa dal segretario di Stato Marco Rubio.

Infine, più a nord, i coloni si spingono a occupare territori in Libano e in Siria. Sono utilizzati come testa d’ariete e solo per il momento fermati dall’IDF.

I crimini di Netanyahu hanno fornito nuovo vigore al movimento di solidarietà dal basso verso la Palestina, come dimostrano i cortei partecipatissimi da Genova all’Australia e il sostegno di massa alla Global Sumud Flotilla.

Che succede invece in alto? I governi europei si limitano a balbettare la loro “preoccupazione” per la reazione “non proporzionata” di Israele. Mentre l’UE annuncia il 19° pacchetto di sanzioni alla Russia, nulla del genere è previsto contro Tel Aviv, anzi, i paesi dell’UE sono i principali investitori in Israele, con 72,1 miliardi di euro nel 2023, cifra cresciuta nel 2024. L’Italia continua a vendere a Netanyahu armi e munizioni: solo nel 2024 per 5,2 milioni di euro.

E i “mediatori” arabi? Fanno affari come mai prima con il governo sionista: l’Egitto ha aumentato l’export del 50% nei primi sei mesi del 2025.

Numerosi governi europei sembrano essersi accorti ora della tragedia e sono pronti a riconoscere lo Stato palestinese, “a meno che Israele non accetti il cessate il fuoco”. Il diritto a una patria per Macron o Starmer non è quindi un diritto inalienabile, ma una foglia di fico, un teatrino da dare in pasto all’opinione pubblica. L’ironia macabra è che non c’è rimasto più nulla da riconoscere e che la Palestina non è mai stata più lontana dalla conquista di una propria indipendenza.

Mentre il ritiro annunciato della missione UNIFIL al confine tra Libano e Israele sancisce il fallimento della diplomazia internazionale, è sempre più chiaro che l’unica via d’uscita dall’inferno palestinese è nella lotta rivoluzionaria, in tutto il Medio Oriente come in Occidente, per rovesciare i governi complici del genocidio.

 

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