Lo scioglimento dell’ETA: un passo avanti nella lotta per i diritti democratico-nazionali e per il socialismo nel Paese Basco

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La decisione dell’ETA di sciogliersi dopo 60 anni di esistenza, è uno degli avvenimenti più importanti degli ultimi decenni in Spagna. Come marxisti valutiamo positivamente questo passo e siamo contenti di questa decisione, un sentimento condiviso da milioni di persone comuni in tutta la Spagna. D’altra parte, per ovvi motivi, la destra, le associazioni delle vittime del terrorismo ad essa collegate, l’apparato statale, così come i giornalisti e i sostenitori del regime, non nascondono la loro delusione per la notizia.

 

L’ETA e i crimini impuniti del franchismo e della Transizione

Colpisce il fatto che coloro che sono più duri e vendicativi sul tema delle vittime dell’ETA sono gli stessi che non hanno mai condannato la rivolta fascista di Franco del 1936 né l’assassinio di centinaia di migliaia di persone causato dalla successiva repressione durata 40 anni.

Fino ad oggi, in un vergognoso spettacolo di disprezzo vendicativo, negano un solo euro per riesumare le vittime del franchismo dalle fosse comuni e dalle mura dei cimiteri. Non solo i rappresentanti politici della dittatura o del suo apparato statale non sono stati giudicati né epurati per i loro crimini, ma i famigerati ministri di Franco come Fraga, Fernando Suárez o Antonio Carro tra gli altri, con le mani macchiate del sangue dei condannati a morte dai governi del dittatore, sono stati deputati del PP della Spagna “democratica”.

Non a caso l’ ETA nacque durante la dittatura di Franco e, nei primi quindici anni di esistenza, è cresciuta grazie ai sanguinosi crimini dello stesso regime, all’odio della popolazione nei confronti della polizia e della Guardia Civil e alla repressione esercitata contro i baschi alla fine della dittatura e nei primi anni della Transizione, che sono continuate fino ad oggi.

Tutti i media sottolineano la cifra delle 829 vittime causate dall’ETA, ma dimenticano convenientemente di fare riferimento ai 188 morti durante la Transizione: lavoratori, studenti, indipendentisti baschi di sinistra e sì, anche membri dell’ETA, durante quella che fu nient’altro che una pratica di terrorismo di stato operata da polizia, Guardia Civil e sicari fascisti, tra il 1976 e il 1982. Pochissimi di questi assassini sono stati processati e condannati, e quando ciò è avvenuto, con pene trascurabili. Lo stesso è accaduto con il terrorismo di stato praticato dai GAL sotto i governi di Felipe González, con 24 omicidi commessi tra il 1983 e il 1987, per non parlare delle centinaia di casi di tortura, tra cui stupri e abusi sessuali, su detenuti gravitanti nell’orbita della sinistra nazionalista,. Il governo basco ha appurato oltre 4000 casi di tortura nel Paese Basco tra il 1960 e il 2013, di cui 3.000 dal 1978.

 

8 anni senza lotta armata ma la repressione continua

Questo interesse ad esacerbare il conflitto nei confronti dell’ETA, nella sua fase finale di declino, contrasta nettamente con quanto accaduto negli ultimi anni in processi simili in altre parti del mondo, dove i governi si sono impegnati in negoziati diretti con i gruppi armati, come l’IRA in Irlanda del Nord e le FARC in Colombia, affrontando temi come l’abbandono della lotta armata, l’eliminazione degli arsenali, il reinserimento nella vita civile degli attivisti di questi gruppi e la questione dei prigionieri. Ciò è ancora più sorprendente considerando che precedenti governi del PP e del PSOE hanno accettato di sedersi e negoziare con l’ETA anni fa, quando questa organizzazione non aveva nemmeno manifestato la sua volontà di rinunciare definitivamente e incondizionatamente alla lotta armata.

Il governo non rispetta nemmeno la legalità nel trattamento dei prigionieri, rifiutando il trasferimento in un carcere nelle loro zone di origine per facilitare i contatti con le famiglie, come dovrebbe invece fare, e mantenendone la stragrande maggioranza nelle carceri al di fuori di Paese Basco e Navarra, costringendo le loro famiglie a lunghi viaggi di centinaia di chilometri per andare a far loro visita per soli 40 minuti, negando i permessi o sospendendo le visite con falsi pretesti. Nel corso degli anni circa 20 persone sono morte in incidenti stradali mentre erano in viaggio per visitare i loro parenti imprigionati in carcere, secondo l’organizzazione Etxerat.

Nonostante negli ultimi 8 anni l’ ETA abbia abbandonato la lotta armata, la politica repressiva nei confronti dell’ambito indipendentista viene mantenuta, come se ciò non fosse accaduto. Continuano le torture, la messa fuori legge delle organizzazioni politiche e di solidarietà della sinistra indipendentista, la chiusura di media, ecc… costringendo molti giovani e attivisti a vivere in condizioni di clandestinità

 

L’insoddisfazione della destra franchista

L’ETA non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi politici. Da otto anni ha smesso di commettere attentati, un anno fa ha consegnato tutto il suo arsenale di armi, che incredibilmente le autorità spagnole si sono rifiutate di ricevere e visionare, e centinaia di suoi prigionieri riempiono ancora le carceri scontando lunghe pene. Nei suoi ultimi due comunicati, l’Eta si è scusata “per le sofferenze causate”. Tuttavia, la reazione continua a gridare: vendetta! Vendetta! Perché?

La spiegazione sta nel fatto che la destra spagnola, il PP e Ciudadanos, non hanno il minimo interesse a risolvere il cosiddetto “conflitto basco” e sperano di continuare a trarre vantaggi politici dall’attività passata dell’ETA per diversi fini. Il primo è quello di mantenere in evidenza la questione del “terrorismo” per distogliere l’attenzione della popolazione dai reali problemi sociali causati dalla crisi del capitalismo e dall’azione reazionaria del governo stesso. Il secondo obiettivo è estendere lo stigma del terrorismo a qualsiasi azione che metta in discussione lo status quo e il regime, come abbiamo visto di recente con le attività di disobbedienza civile dei Comitati per la difesa della Repubblica in Catalogna. In terzo luogo, non vogliono smantellare un codice penale altamente repressivo atto a reprimere le lotte sociali e la libertà di espressione in un contesto di delegittimazione popolare dell’intero regime del ‘78, impaurito dalla possibilità che lo scioglimento dell’Eta possa far aumentare le voci di dissenso e la pressione popolare per l’abrogazione di tutte queste leggi repressive. In quarto luogo, temono che la fine dell’ETA ceda il passo, come in Catalogna, a un potente movimento di massa in grado di aprire un “secondo fronte” nella sfida al regime. Infine, sfruttando ed esacerbando demagogicamente il tema delle vittime dell’ETA, intendono mantenere mobilitata la loro base elettorale d’appoggio tra i settori più arretrati della popolazione.

A questa strategia di mantenimento in “vita” l’ETA collaborano anche importanti settori dell’apparato statale, principalmente la polizia, l’esercito e i servizi segreti, l’attuale CNI. L’attività dell’ETA è sempre stata usata non solo per aumentare la repressione generale e per indurire il codice penale tanto caro alla destra spagnola, ma anche per giustificare l’impunità della polizia, i privilegi speciali per gli alti funzionari suoi e dell’esercito e l’esistenza di fondi riservati che sfuggono a tutti i controlli e con i quali hanno lucrato per decenni, grazie a oscuri affari, gli stessi vertici di polizia e protezione civile, come nei casi Perote, Roldán, Paesa, Villarejo, per citare solo i più noti.

La reazionaria “Associazione delle Vittime del Terrorismo” non nasconde la sua ideologia di destra. Ha ricevuto grandi aiuti da parte dello Stato, si oppone a qualsiasi riforma progressista del codice penale, difende ardentemente l’ergastolo, sotto l’eufemismo di “carcere permanente rivedibile”, ed è stata toccata da alcuni scandali di corruzione, per esempio cercando di far passare propri dirigenti come vittime che non erano per far loro ottenere aiuti economici, oltre ad essere una forte sostenitrice della teoria delirante secondo cui c’era l’ETA, piuttosto che il terrorismo islamico, dietro l’attentato dell’11 marzo 2004 a Madrid. Un’ associazione simile, la Fondazione Miguel Ángel Blanco, è apparsa legata al sistema di corruzione Gürtel, con un giro di fatture false del valore di 600.000 euro da utilizzare a vantaggio del PP. Naturalmente nessun procuratore ha avviato procedimenti penali contro l’AVT o la Fondazione Miguel Ángel Blanco per questi atti. E, naturalmente, tutti hanno bisogno della “presenza” dell’ ETA per rafforzare il loro ruolo sociale e le proprie rendite di posizione.

 

Marxismo e terrorismo individuale: un bilancio della storia dell’ETA

La nascita dell’ETA, alla fine degli anni ’50, ha profonde cause politiche. Una delle principali, già menzionata, era la brutalità della dittatura di Franco che fece sì che gruppi di giovani baschi, emulando i movimenti di guerriglia contro l’oppressione imperialista dell’epoca in Asia, Africa e America Latina, si lanciassero sulla via della lotta armata per combattere la dittatura. In questo contesto, l’ETA ha adottato la lotta per il socialismo nella sua seconda assemblea, nonostante il fatto che molti dei suoi attivisti provenissero dai giovani del PNV. Un’altra causa era l’oppressione nazionale esercitata dallo stato franchista sul popolo basco, che continua anche oggi, con la negazione del diritto all’autodeterminazione. Se dobbiamo trovare quindi un responsabile dell’apparizione dell’ETA lo troviamo facilmente nel regime franchista.

Purtroppo l’abiura della posizione marxista sulla questione nazionale da parte di PSOE e PCE, che prevede innanzi tutto il diritto all’autodeterminazione nel contesto generale della rivoluzione socialista, insieme alla feroce repressione cui il regime di Franco ha sottoposto il popolo basco nel suo insieme, essendo questa l’area dove la lotta ha assunto una maggiore radicalizzazione e combattività, ha permesso agli attivisti dell’ETA di avere un terreno fertile per creare un proprio spazio politico e sociale. Inoltre, la morte e la tortura di molti attivisti per mano delle forze repressive hanno dato loro un’aura di martiri e aumentato il sostegno sociale all’organizzazione.

Molti attivisti della classe operaia e in particolare i giovani avevano simpatia e rispetto per i militanti dell’ETA, come parte del movimento anti-franchista. Così, molti di loro hanno intrapreso la strada del terrorismo individuale credendolo il modo più efficace per combattere contro il dittatore.

Quando da marxisti definiamo le azioni dell’ETA come terrorismo individuale, non facciamo una considerazione morale, ma politica: l’eliminazione fisica dei membri delle forze repressive, del governo o della borghesia da parte di un gruppo di individui autoreferenziali. Questo metodo è estraneo alla classe operaia ed è sempre stato combattuto dal marxismo. Il capitalismo come sistema sociale non si basa sugli individui, ma sul dominio della borghesia come classe sul resto della società. La classe dominante usa l’apparato statale (esercito, polizia, giudici, leggi, ecc.) per garantirsi il potere e contenere la risposta della classe operaia all’interno dell’ordine stabilito.

Eliminare singoli individui, sia pure responsabili della repressione, non serve a porre fine al sistema capitalista, né a una dittatura. Gli individui sono facilmente sostituibili. Le azioni terroristiche servono piuttosto allo stato per aumentare la sua capacità repressiva, giustificando le sue azioni davanti all’intera popolazione. Ma soprattutto, i metodi del terrorismo individuale cercano di sostituire l’azione rivoluzionaria della classe operaia, basata su lotta di massa, sciopero e insurrezione, con pistole, bombe e mitragliatrici. Indeboliscono l’organizzazione degli operai ostacolando così il processo di presa di coscienza. Se basta una pistola per porre fine all’oppressione, perché il dibattito politico e le manifestazioni di massa? Perché un partito? Perché i sindacati? Perché la rivoluzione socialista?

La natura controproducente del terrorismo individuale è stata dimostrata, già negli anni prima della caduta della dittatura, dall’assassinio del presidente del governo franchista, Carrero Blanco, il 20 dicembre 1973. Nonostante la sua natura spettacolare, questo atto non ha portato alcun vantaggio alla lotta antifranchista. Al contrario, ha causato la cancellazione delle mobilitazioni popolari e dei lavoratori che erano state preparate contro il cosiddetto “Processo 1001”, in cui si doveva processare la direzione delle Comisiones obreras (CCOO), e numerosi attivisti furono arrestati o costretti alla clandestinità.

Anni dopo, alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80, furono il riflusso e il disincanto politico causati dal tradimento delle aspettative di cambiamento dopo la caduta della dittatura da parte dei leader del PCE e del PSOE a dare nuovo stimolo all’ETA. Non è un caso che sia stato proprio il periodo 1978-1980 quello in cui l’ETA ha commesso il maggior numero di attentati, parallelamente all’aumento del terrorismo da parte di bande fasciste in tutto lo Stato.

Vari tentativi negoziali tra l’ETA e lo stato spagnolo nel 1986 e nel 1989 si sono conclusi con un fallimento. Come dimostra il caso catalano di oggi, la borghesia spagnola non può permettersi di tenere referendum democratici, che considera tabù, sull’autodeterminazione nel Paese Basco o in Catalogna. Eppure, se ciò fosse stato permesso allora, non a causa dell’attività dell’ETA ma come un diritto democratico fondamentale, all’ETA sarebbero mancate le motivazioni politiche e, molto probabilmente, sarebbe stata costretta a sciogliersi 30 anni fa. Lo stato spagnolo ha quindi la stessa responsabilità avuta dal regime di Franco in precedenza per aver concesso spazi di manovra all’ETA nella “fase democratica”.

Di fatto, lo stato spagnolo, con la complicità di PP e PSOE, negli ultimi anni ha usato l’ETA per attaccare e limitare i diritti democratici ovunque, e in particolare nel Paese Basco. Quello che abbiamo visto in questi mesi in Catalogna (chiusura arbitraria di media, arresti e incursioni senza mandato da parte della polizia, repressione violenta, ecc.) è stata una pratica comune negli ultimi 30 anni in Euskadi e Navarra, insieme all’annullamento di diritti penitenziari ai detenuti (2 ° e 3 ° grado), messa fuorilegge di partiti come Batasuna e altri, e alla pratica quotidiana della tortura di prigionieri e detenuti.

Le azioni più spettacolari dell’ETA dalla metà degli anni ’80 all’inizio degli anni ’90 “per fare pressione sullo Stato”, con attentati particolarmente sanguinosi a Hipercor (Barcellona), nelle caserme della Guardia Civil di Saragozza e Vic, o in piazza della Repubblica Dominicana a Madrid, sono servite esclusivamente a spingere settori sempre più ampi della classe lavoratrice, non solo basca ma di tutta la Spagna, nelle braccia dello stato e a isolare socialmente l’organizzazione stessa. .

Dopo la caduta della storica cupola dell’ETA, costituita dalla “vecchia guardia” degli anni ’70, a Bidart (Francia) nel 1992, ai vertici arrivò una generazione successiva, con un profilo più “militaristico” e ancora più lontano dalla classe lavoratrice. È stato In questo contesto di crescente isolamento sociale in patria che l’ETA ha compiuto un salto nel buio, a partire dalla metà degli anni ’90, con l’omicidio predominante di funzionari pubblici e figure rilevanti legate al PP e al PSOE. Questo è stato il punto di svolta verso il suo declino irreversibile, soprattutto dopo l’assassinio nel 1997 del consigliere di PP di Ermua, Miguel Ángel Blanco, che ha causato il più grande movimento di massa mai registrato fino ad allora contro l’ETA, anche nel Paese Basco. Basti pensare che mentre negli 8 anni dal 1993 al 2001 l’ETA ha ucciso 104 persone, negli ultimi 8 anni di attività armata, dal 2002 al 2010, la cifra si è ridotta a 20.

In questa ultima fase, decimata dall’isolamento sociale, dal dissenso interno e dalle infiltrazioni della polizia, l’Eta ha dichiarato due tregue e ha partecipato a due negoziati, uno con il governo Aznar nel 1998 e l’altro con Zapatero nel 2006. Entrambi i governi però, sentendosi in una posizione di forza, rifiutarono di negoziare qualcosa di diverso dalla resa incondizionata, non solo respingendo la proposta di referendum sull’autodeterminazione, ma anche quella sulla libertà dei detenuti, che era la richiesta minima a cui l’ETA non poteva rinunciare in quel momento.

È stato così che nel 2011 l’ETA ha dichiarato una tregua permanente, pochi giorni prima delle elezioni del 20 novembre. Per ragioni già spiegate, il PP non ha voluto in questi anni negoziare la fine delle ostilità, ciò che ha spinto i dirigenti e l’ambiente dell’ETA, colpito dalla repressione e stanco dopo decenni di attività, al doloroso riconoscimento di essere stato sconfitto. Così nell’aprile del 2017 c’è stata la consegna dell’ arsenale e un anno dopo, il 3 maggio 2018, la dichiarazione della propria dissoluzione.

 

La loro morale e la nostra

Sì, siamo soddisfatti della fine dell’ ETA, ma la nostre ragioni non hanno nulla a che fare con quelle dei nostri nemici di classe o dei loro agenti nella sinistra spagnola, fondamentalmente nella direzione del PSOE.

Non abbiamo nulla in comune con gli eredi di coloro che massacrarono i nostri fratelli, padri, nonni e bisnonni nella Guerra Civile, durante la dittatura di Franco e negli anni della Transizione, con coloro che promuovevano il terrorismo di stato e la “guerra sporca” nei governi di Felipe González, con la destra neofranchista che negli ultimi anni ha tagliato i diritti democratici duramente conquistati, con la diffusa criminalizzazione in tutta la Spagna di tutti coloro che decidono di combattere il flagello di questo sistema con l’’attività politica, sui social network o nel mondo artistico.

Non abbiamo nulla a che fare con i capitalisti e le loro marionette nel PP, con Ciudadanos e la socialdemocrazia, tutti responsabili di un altro terrorismo, quello dei datori di lavoro, che passa inosservato per i suoi scrupoli morali, ma causa le morti per incidenti sul lavoro come conseguenza dello sfruttamento della classe operaia per ingrassare i loro profitti. Migliaia di lavoratori sono stati uccisi negli ultimi 50 anni, 30 o 40 volte le vittime dell’ETA. Solo l’anno scorso, 618 lavoratori sono morti per questa causa.

E che dire del terrore quotidiano sofferto da migliaia di famiglie di lavoratori sfrattati dalle loro case, licenziati dai loro posti di lavoro, condannati al precariato a vita o spinti all’esilio economico e, in casi estremi, al suicidio.

E dal momento che c’è grande preoccupazione per la vita umana e la morte di persone innocenti, che dire dei criminali di guerra di quei governi spagnoli che hanno sostenuto e partecipato alle guerre imperialiste in Medio Oriente (come nelle due guerre in Iraq nel 1991 e 2003) causando la morte di centinaia di migliaia di persone e portando la regione alla barbarie. No, la nostra morale non ha niente a che fare con la loro. Anche i 200 morti dell’attacco dell’11 maggio 2004 a Madrid, la reazione del terrorismo islamista al coinvolgimento del nostro paese nella guerra in Iraq guidata da Aznar, devono essere messi in conto al PP e al capitalismo spagnolo.

Questa gente non risolverà mai uno solo dei nostri problemi sociali, né tanto meno le questioni democratiche che rimangono in sospeso in tutto lo stato, come quelle legate alle nazione basca e catalana, perché l’unica soluzione è legata al superamento del regime monarchico del ‘78 e del sistema capitalistico stesso.

In questo senso non condividiamo la posizione assunta dal leader di PODEMOS, ansioso di ottenere la patente di rispettabilità dal regime, di adesione acritica al coro dei partiti nella condanna alla decisione dell’ETA di sciogliersi, “arrivata tardi e male “, che invece noi valutiamo positivamente, e senza alcuna critica alla destra e allo Stato che hanno responsabilità principale nel prolungamento del conflitto e per l’ ipocrisia di non aver condannato i crimini della dittatura, di fatto appoggiandola, e dei primi anni della Transizione.

Da parte nostra, contro la posizione della destra e e delle forze reazionarie, esigiamo, come misure immediate, il trasferimento dei detenuti dell’ETA nelle prigioni basche e della Navarra e che questi abbiano gli stessi diritti di tutti i detenuti comuni, quali 2 ° e 3 ° grado di giudizio, corrispondenti riduzioni legali della pena, fine del regime di isolamento, permessi per motivi familiari e di salute, ecc… nonché il rilascio dei detenuti politici baschi e il libero ritorno degli esuli, la revoca dei provvedimenti che hanno reso illegali partiti indipendentisti e associazioni civili e la riapertura dei loro mezzi di comunicazione.

 

La sconfitta politica dell’ETA

Lo scioglimento dell’ETA è anche la conferma definitiva del fallimento dei metodi della cosiddetta “lotta armata”, praticata per 50 anni da questa organizzazione, che non ha raggiunto nemmeno uno dei suoi obiettivi, cioè la liberazione nazionale del popolo basco e il socialismo. Inoltre, i metodi dell’ETA si sono rivelati totalmente controproducenti in quanto sono stati utilizzati dai governi che si sono succeduti e dall’apparato statale per rafforzare l’apparato stesso, indurire la repressione e limitare i diritti democratici di tutti. Ha gettato al vento e sprecato le vite e le iniziative rivoluzionarie di due generazioni di combattenti baschi.

L’attività armata dell’ETA ha svolto per decenni un ruolo pernicioso nel vanificare le straordinarie lotte del popolo basco per i diritti democratico-nazionali, favorendo la strategia della reazione, cioè sfruttare ogni tipo di pregiudizio nazionale e moralistico per isolare la lotta dei baschi da quella dei loro fratelli di classe nel resto dello stato. Parliamoci chiaro, il popolo catalano in 5 anni di incessanti lotte di massa è andato ben oltre sulla strada dell’affermazione dei propri diritti in questo senso, e ha portato la sfida allo stato a livelli più alti di quanto l’indipendentismo di sinistra sia mai stato in grado di sognare.

In sostanza, la fine dell’attività armata dell’ETA e l’avanzata della lotta di massa, come si è visto in Catalogna, sono i presupposti fondamentali per la difesa dei diritti democratico-nazionali baschi, catalani e galiziani, in particolare quello all’autodeterminazione, e potrebbe scatenare una mobilitazione più ampia, come è già accaduto, dopo essere stato demonizzato per decenni.

Constatiamo che, con la sua dissoluzione, l’ETA e tutta la sinistra indipendentista puntano sulla via della lotta politica per raggiungere i propri obiettivi. Dal nostro punto di vista, questo percorso politico deve essere basato su lotta politica di massa e agitazione, dimostrazioni, scioperi e, giunto all’apice, su di un movimento rivoluzionario di massa. Sarebbe un errore incanalare l’azione politica sui classici binari riformisti del cretinismo parlamentare, confinando il programma politico entro i limiti del capitalismo, o mendicare un fronte comune con la borghesia basca, sempre pronta a tradire il movimento favorendo la borghesia spagnola per difendere i propri interessi commerciali e di classe, come stiamo vedendo in relazione al governo del PP, e come ha recentemente dimostrato il sostegno dato dal PNV ai bilanci statali.

 

Vincolare la lotta per i diritti democratico-nazionali a quella per il socialismo

La classe operaia e la gioventù basche sono tradizionalmente un’avanguardia di lotta e coscienza politica in Spagna. È stato nel Paese Basco dove la lotta contro la dittatura e durante la Transizione è andata più avanti. Euskadi e Navarra sono stati i territori spagnoli in cui la Costituzione del 1978 ha ottenuto meno voti favorevoli e dove più grande è stato il rifiuto popolare di adesione alla NATO nel referendum del marzo 1986. Non è un caso che nelle elezioni legislative del 20 Dicembre e del 26 giugno, Podemos e Unidos Podemos abbiano ottenuto qui la loro più alta percentuale di voti a livello nazionale, risultando le forze più votate nel Paese Basco.

La lotta per i diritti democratico-nazionali è inseparabile da quella per il socialismo. Solo la classe operaia è in grado di portare a termine la lotta contro ogni tipo di sfruttamento e oppressione e di assicurare la piena soddisfazione dei diritti democratici più avanzati , a cominciare da quello dei baschi di decidere da soli quale relazione vogliono mantenere con gli altri popoli di Spagna, compresa quella di formare uno stato indipendente, se questa fosse la volontà della maggioranza.

Per raggiungere l’obiettivo, l’unità ci rende più forti. La posta in gioco è rafforzare l’unità nella lotta di lavoratori e gioventù basca con i loro fratelli di classe del resto dello stato per sconfiggere il nostro nemico comune, il capitalismo e i suoi sostenitori, cioè le borghesie spagnola e basca, e avanzare verso il socialismo risolvendo definitivamente la questione nazionale basca.

4 maggio 2018

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