
Aulla (Massa Carrara) – Ancora abusi in divisa!
12 Maggio 2025di Carlotta Giorgis
A Gaza non si sopravvive. Chi non viene colpito da proiettili o bombe dell’IDF muore lentamente per fame, a causa del blocco imposto da Israele agli aiuti umanitari. Il 25 aprile, il World Food Programme ha dichiarato di aver distribuito l’ultima razione alimentare. Le sue mense, che coprivano solo il 25% del fabbisogno giornaliero e raggiungevano metà della popolazione, rappresentavano un’ancora di salvezza. Ora il rischio di una carestia di massa è imminente.
Negli ospedali la situazione è drammatica: mancano medicine e attrezzature. L’esercito israeliano prende di mira ambulanze, medici e strutture sanitarie. Tra gli attacchi recenti più gravi: il bombardamento dell’ospedale Al Ahli e l’esecuzione di personale medico della Mezzaluna Rossa e dell’ONU mentre recuperava i corpi di colleghi uccisi.
Da ottobre 2023 a oggi, oltre 50mila persone sono state uccise a Gaza, circa 2mila solo dalla rottura del cessate il fuoco il 18 marzo 2025. Le operazioni militari non sono confinate alla Palestina. Israele ha approfittato del caos in Siria per occupare una fetta di territorio siriano al di là delle Alture del Golan e ha bombardato Damasco con il pretesto di difendere la minoranza drusa dagli attacchi delle milizie islamiste.
Ora non si parla più di “distruggere Hamas” o “liberare gli ostaggi”, ma di occupazione permanente. Il ministro della Difesa Israel Katz ha annunciato che l’esercito resterà a Gaza, in Libano e in Siria anche in caso di accordi di pace. Sul campo, Israele demolisce edifici, costruisce basi militari e asfalta strade nei territori conquistati. Il 69% della Striscia è oggi inaccessibile o sotto ordine di evacuazione. Secondo l’associazione Breaking the Silence, i soldati israeliani ricevono ordini di distruggere sistematicamente ogni infrastruttura civile: case, serre, fattorie.
Nel frattempo, all’interno di Israele, aumentano le defezioni dei riservisti. Non ci sono dati ufficiali, ma se i rapporti sul 50-60% di presenze tra i riservisti richiamati sono accurati, significa che oltre 100mila persone hanno smesso di presentarsi. Chi rifiuta per motivi etici è una minoranza, la maggior parte di coloro che sfidano gli ordini di arruolamento sembrano essere motivati da stanchezza e difficoltà economiche. Un recente sondaggio del Servizio per l’impiego israeliano ha rilevato che il 48% dei riservisti ha riportato una significativa perdita di reddito dal 7 ottobre e il 41% ha dichiarato di essere stato licenziato o costretto a lasciare il lavoro a causa di lunghi periodi di servizio militare. Insomma, le crepe iniziano ad aprirsi nella roccaforte imperialista israeliana.
Di recente, città, paesi e campi profughi in tutta la Cisgiordania occupata hanno scioperato in solidarietà con Gaza. La rabbia delle masse palestinesi e arabe crescerà nella misura in cui i regimi arabi continueranno a guardare o a collaborare attivamente con Netanyahu. A un certo punto, le tensioni potrebbero esplodere, innescando potenzialmente una nuova ondata di rivoluzioni arabe.
La consapevolezza che un “cessate il fuoco” è insufficiente ha disperso le illusioni pacifiste e sta radicalizzando milioni di giovani e lavoratori in tutto il mondo, che stanno sempre più collegando la lotta per la liberazione palestinese con la lotta contro la propria classe dominante.