La guerra in Ucraina: realtà e finzione
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14 Aprile 2022Non può essere un caso che, oltre alle grandi città come Roma, Firenze e Napoli, anche gli studenti del liceo Petrocchi di Pistoia abbiano deciso di occupare, per due volte, la propria scuola a partire dal 21 febbraio. “Ce ne occupiamo noi”: recitava così uno degli striscioni più in vista esposti nella sede centrale.
Gli studenti denunciavano da una parte forti carenze strutturali della scuola, dall’altra gravi atti omofobi, di discriminazione razziale e apologia del fascismo ad opera di due professori. Tuttavia non è stato fatto nulla di concreto né per fermare le aggressioni verbali di carattere omofobo e discriminatorio nei confronti degli studenti, né per far partire i lavori di ristrutturazione di alcune parti della scuola, che versano tuttora in condizioni penose e assolutamente inaccettabili. Gli studenti pistoiesi di certo non hanno deciso di utilizzare una forma di lotta così radicale dall’oggi al domani: la decisione di occupare la scuola è arrivata dopo un generale disinteresse da parte delle istituzioni.
Prima ancora che gli studenti occupassero la scuola, a metà ottobre era stata organizzata una manifestazione per denunciare le criticità delle strutture scolastiche, ma senza ottenere alcuna risposta da parte delle istituzioni. Solo dopo la prima occupazione la Provincia ha promesso l’avvio dei lavori di ristrutturazione, ma senza mettere nulla nero su bianco. Ad oggi non si sa ancora nulla di preciso, né dei lavori tantomeno del reperimento dei finanziamenti necessari. Si è trattato solo di vuote promesse fatte per fermare la lotta degli studenti.
Dopo alcune settimane di immobilismo da parte della Provincia, il 9 marzo l’assemblea permanente degli studenti ha deciso di occupare la scuola. Ne è seguito un parapiglia all’ingresso della scuola. I media locali e persino i telegiornali nazionali hanno condotto una campagna di criminalizzazione nei confronti degli studenti, provando a far passare l’idea che gli studenti fossero dei facinorosi che hanno utilizzato la violenza provocando il ferimento di alcuni professori. Gli studenti raccontano ben altra verità: sono stati alcuni insegnanti che hanno alzato le mani contro gli studenti per scongiurare una seconda occupazione. Ciò nonostante, la preside non si è fatta scrupolo a far partire le denunce nei confronti di 52 studenti. Oggi chi difende realmente la scuola pubblica, o non viene ascoltato o rischia di essere denunciato!
E’ da evidenziare che una buona parte degli insegnanti si è mostrata favorevole e solidale nei confronti degli studenti in occupazione, anche se non si sono organizzati per dare un reale supporto alla lotta, soprattutto per il timore di incorrere in provvedimenti disciplinari. In questo i sindacati come la CGIL avrebbero dovuto giocare un ruolo di sostegno e solidarietà reale agli studenti in lotta, non girarsi dall’altra parte.
L’intera vicenda mette inoltre in luce il ruolo del “dirigente scolastico”, una figura manageriale che al momento opportuno non esita ad utilizzare, in collaborazione con le forze dell’ordine, l’arma della repressione sia nei confronti degli studenti che degli insegnanti. Il compito degli insegnanti non è certo quello di fare i cani da guardia del preside contro le sacrosante lotte degli studenti, ma di unirsi ad esse sulla base di un programma di rivendicazioni comuni.
Il governo e le istituzioni locali, dallo scoppio della pandemia e dopo anni di controriforme e tagli alla pubblica istruzione, hanno sempre avuto la “faccia tosta” di dire che il loro interesse era quello di salvaguardare la scuola e il benessere di studenti e docenti, mentre i finanziamenti pubblici complessivi sono stati del tutto inadeguati per garantire spazi e strutture all’altezza delle esigenze reali, come dimostra il problema del sovraffollamento delle aule che, oltre a rendere la scuola insicura, peggiora considerevolmente la qualità della didattica.
L’esempio del Petrocchi ci insegna che delle semplici pressioni sulle istituzioni non portano a nulla e che le mobilitazioni studentesche dovranno necessariamente scontrarsi con la repressione. La soluzione di fronte a tutto questo non è arrendersi, ma portare la lotta ad un livello superiore.
E’ necessario discutere democraticamente in tutte le scuole un programma di rivendicazioni contro l’autonomia scolastica e lo strapotere dei presidi-manager, che preveda un massimo 15 studenti per classe, il rafforzamento del trasporto pubblico, l’assunzione di docenti e personale Ata, per una reale democrazia nelle scuole e per dire no a tutte le forme di repressione. Senza un programma generale di questo tipo, le singole vertenze rischiano di tradursi in un buco nell’acqua. Come coordinamento studentesco ALT! (Alziamo La Testa!) forniamo tutto il sostegno politico necessario agli studenti del Petrocchi affinché questa lotta non si fermi qui.