Lenin, il comunismo e l’emancipazione della donna

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Lenin, il comunismo e l’emancipazione della donna

di Marie Frederiksen

 

La maggioranza delle donne nel mondo è oggi molto lontana dal raggiungere l’uguaglianza, tanto meno la liberazione. Lo scarto salariale tra uomini e donne è un aspetto importante di ciò, ma la disuguaglianza e l’oppressione riguardano molti altri numerosi aspetti. Dalla paura di lasciare le nostre bevande incustodite quando passiamo la serata fuori, all’ansia di tornare a casa da sole dovendo subire costantemente commenti e occhiate sessiste, a svolgere la maggioranza del lavoro domestico, ai dottori che non prendono sul serio i “malanni delle donne” e, in generale, a essere trattate come se valessimo meno, e la lista potrebbe farsi lunga…

La disuguaglianza e l’oppressione sono talmente radicate nelle strutture della società da permeare la vita intera di una donna, in qualsiasi parte del mondo essa viva. Esse assumono una forma specifica e disgustosa sotto il capitalismo, ma sono state tramandate per millenni dalla società di classe.

Le cosiddette soluzioni che ci vengono offerte dai politici e dai vertici della società sono tutto fuorché soddisfacenti. Sono permeate da una prospettiva individualistica che esclude la lotta di classe e il cambiamento sistemico, in favore della promozione di un’ideologia della “donna manager”, all’interno della quale il sessismo e l’oppressione vengono presentati come qualcosa che può essere superato individualmente nel quadro del capitalismo.

Eppure, i più grandi avanzamenti nella liberazione delle donne non si sono prodotti grazie a illuminazioni isolate o a lotte individuali contro un male sistemico. Si sono prodotti grazie alla lotta collettiva rivoluzionaria per il cambiamento della società in maniera radicale.

Pertanto, sarebbe difficile nominare una persona che ha avuto un impatto sulla liberazione delle donne maggiore rispetto a Lenin. Questa affermazione probabilmente farà rabbrividire alcune femministe. Cosa ha da dire un “uomo defunto, bianco e russo” rispetto alla lotta per la liberazione delle donne oggi? Eppure, la Rivoluzione russa, guidata da Lenin, ha mostrato che è possibile farla finita con il sistema capitalista sotto il quale viviamo e cominciare a costruire una società senza disuguaglianza e oppressione. Finalmente, la liberazione reale delle donne era all’ordine del giorno. Tuttavia, questo non veniva semplicemente delegato agli individui, ma era parte di una lotta collettiva di tutti i settori oppressi della società. La Russia, prima del 1917, era una società con una cultura patriarcale estremamente oppressiva. La Rivoluzione d’Ottobre arrivò come un terremoto che fece tremare le fondamenta stesse di quella cultura. In un sol colpo, tutte le leggi che ponevano le donne in una posizione inferiore rispetto agli uomini vennero rimosse e l’omosessualità venne depenalizzata. Questo era solo l’inizio.

Il centenario della morte di Lenin ha scatenato, naturalmente, una campagna di calunnie da parte della stampa capitalista. Ma Lenin è stato rinnegato anche da molte femministe che si definiscono progressiste, sulla carta. Esse ripudiano Lenin, insieme con Marx e Engels, in quanto “vecchi uomini bianchi”. Ma coloro che si accodano a questa litania stanno, in realtà, aiutando politicamente la classe dominante. Esse ripudiano l’idea rivoluzionaria secondo la quale, per spazzare via l’oppressione della donna, bisogna spazzare via la società di classe. E questo fa un favore solo ai più ricchi, a coloro il cui potere e privilegi dipendono dall’oppressione e dalla disuguaglianza, in quanto parti integranti del loro sistema.

La lotta delle donne e la rivoluzione

Tutta la lotta politica di Lenin era rivolta a un obiettivo: il rovesciamento rivoluzionario della società di classe e la costruzione di una società completamente nuova, senza disuguaglianza e oppressione: una società comunista. La ragione per cui la classe capitalista nutre un odio talmente acceso nei confronti di questo uomo è che fu alla testa dell’unica rivoluzione operaia vittoriosa nella storia dell’umanità: una rivoluzione in cui la classe operaia prese il potere e che dimostrò che è possibile organizzare la società secondo le esigenze della popolazione invece che del profitto.

La Rivoluzione russa andò più in là di qualsiasi altro evento nella storia umana, per quanto riguarda la liberazione delle donne dalla schiavitù della società di classe. I bolscevichi fecero passi da gigante in direzione di una reale emancipazione delle donne, scatenando violente reazioni in tutto il mondo, facendo tremare i potenti e ispirando le lavoratrici (e i lavoratori) a livello globale. Non è un caso, dunque, se le donne in molte parti del mondo ottennero il diritto di voto (assieme a molti altri diritti) negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione.

La Rivoluzione russa rimane il contributo più importante alla lotta contro l’oppressione delle donne nella storia mondiale. Più di cento anni dopo, le misure prese da Lenin e dal resto del partito bolscevico dopo la rivoluzione rimangono le più avanzate nella storia dell’umanità.

I bolscevichi cancellarono tutte le leggi che imponevano una disuguaglianza tra i sessi. Le donne ricevettero il diritto all’aborto e al divorzio e la distinzione tra figli legittimi e illegittimi venne abolita. Per fare un confronto, in Danimarca il diritto al divorzio venne introdotto nel 1925 e il diritto all’aborto nel 1973! A scuola, ai bambini viene insegnato che la socialdemocratica Nina Bang è stata la prima donna ministro al mondo. Tuttavia, quest’ultima non divenne ministro prima del 1924, sette anni dopo che Alexandra Kollontai era stata nominata commissario del popolo (cioè, ministro) nell’Unione Sovietica.

Uno dei primi decreti della Kollontai si occupava della maternità e introdusse, tra le altre cose, sedici settimane di congedo di maternità, e ridusse la settimana lavorativa delle donne durante l’allattamento a solo quattro giorni. Di nuovo, bisogna ricordarsi che al tempo, il congedo di maternità era praticamente inesistente nella maggior parte del mondo. In Danimarca, una legge sul congedo di maternità che includesse tutte le lavoratrici salariate venne introdotto solo nel 1960. Ed era di sole quattordici settimane e con una riduzione del salario al livello del sussidio di disoccupazione. Sedici settimane di congedo di maternità retribuito, al giorno d’oggi, sono superiori al periodo che viene concesso alle donne persino nei paesi più ricchi al mondo, come gli Stati Uniti, dove le donne hanno diritto a soltanto dodici settimane di congedo di maternità non retribuito.

Ma l’uguaglianza di fronte alla legge ha rappresentato solo il primo passo intrapreso dai bolscevichi. Era soltanto il prerequisito formale per lo sradicamento della disuguaglianza. Al fine di raggiungere una vera uguaglianza, non basta avere delle nuove leggi scritte su carta. Sono richiesti cambiamenti radicali nelle condizioni sociali e economiche della società.

Questo è l’ambito dove ebbe inizio il vero lavoro dei bolscevichi per l’emancipazione delle donne: il lavoro di cambiamento delle condizioni materiali, strappando via le radici della disuguaglianza, nello specifico, la divisione di classe. Bisognava mettere fine alla proprietà privata dei mezzi di produzione, cioè alla proprietà delle fabbriche, delle imprese e della terra nelle mani dei capitalisti e dei latifondisti. In loro sostituzione, cominciarono a costruire un piano democratico della produzione rivolto a risolvere le esigenze sociali della stragrande maggioranza delle persone, della classe lavoratrice e dei contadini poveri.

Dopo che era stato conseguito il primo passo dell’uguaglianza di fronte alla legge, Lenin descrisse il passo successivo:

“Il secondo passo, quello più importante, è stato l’abolizione della proprietà privata della terra, delle fabbriche e delle officine. Quest’abolizione, ed essa solo, apre la strada all’emancipazione completa e effettiva della donna, alla sua liberazione dalla ‘schiavitù della casa’, perché segna il passaggio dalla meschina, chiusa economia domestica alla grande economia socializzata.

Questo passaggio è difficile: bisogna trasformare gli ‘ordinamenti’ più radicati, tradizionali, inveterati (in verità si tratta di infamia, di barbarie e non di ‘ordinamenti’). Ma il passaggio è cominciato; ci siamo messi al lavoro e già marciamo su una via nuova” (La giornata internazionale delle operaie, 1921, in V.I. Lenin, Opere Complete, Editori Riuniti).

Se le donne dovevano essere libere, era necessario porre fine al lavoro domestico che, nelle parole di Lenin, mantiene la donna nella “schiavitù della casa”. Il lavoro domestico doveva essere socializzato, il che significava concretamente la creazione di asili, scuole, mense comunitarie, lavanderie pubbliche, ecc.

Le donne – fin dalla nascita della società di classe, cioè da migliaia di anni – sono incatenate alle mura domestiche. Il capitalismo ha svolto un ruolo importante, nel trascinare le donne nella società in generale in qualità di lavoratrici, e quindi di soggetti che partecipano alla lotta di classe. Ma ha fallito per ciò che riguarda l’eliminazione della schiavitù domestica delle donne, il che comporta che le lavoratrici sotto il capitalismo soffrano il peso di un doppio giogo: quello di lavoratrici salariate e quello di donne.

Anche nei paesi capitalisti avanzati, la maggioranza del lavoro domestico ricade sulle donne. Oggi, in Danimarca, dove il tasso di occupazione femminile è quasi identico a quello maschile, le donne svolgono in media un’ora di lavoro domestico al giorno in più rispetto agli uomini. La nascita di un figlio ha un impatto significativo sulle donne in termini di salario, di pensione e, non ultimo, di tempo per attività al di fuori della famiglia, come gli interessi culturali o la partecipazione all’attività politica.

Il limite delle condizioni materiali

Tuttavia, le ambizioni dei bolscevichi non potevano superare i limiti della realtà materiale della Repubblica Sovietica. Lenin aveva detto chiaramente, fin dal primo giorno, che la rivoluzione doveva diffondersi nei paesi capitalisti più avanzati, se si voleva costruire il socialismo. Sfortunatamente, la Rivoluzione russa rimase isolata e, nei primi anni dopo il 1917, il giovane Stato sovietico lottò per sopravvivere in mezzo alla guerra civile che gli Stati capitalisti avevano provocato in Russia e per evitare la carestia.

Le risorse erano estremamente limitate e così lo erano anche le possibilità di realizzare i piani di socializzazione del lavoro domestico. Considerato questo contesto, il fatto che lo Stato sovietico abbia realizzato anche solo alcune di queste conquiste risulta del tutto strabiliante. Ma con la presa del potere dittatoriale di Stalin, molti dei progressi che le donne avevano fatto dopo la rivoluzione vennero cancellati, per esempio in relazione al diritto all’aborto e al divorzio.

Nonostante la degenerazione e i passi indietro avvenuti sotto Stalin e i suoi successori, l’economia pianificata apportò grandi progressi per le donne. L’aspettativa di vita delle donne crebbe più del doppio, da 30 anni nell’epoca zarista a 64 negli anni ’70. Nel 1971, c’erano più di 5 milioni di scuole materne e il 49% degli studenti delle scuole superiori erano donne. Gli unici paesi nei quali le donne costituivano più del 40% degli studenti delle superiori erano Finlandia, Francia, Svezia e Stati Uniti.

Le idee politiche di Lenin erano fondate sulla base di una filosofia materialistica, cioè della comprensione del fatto che sono le condizioni materiali che determinano la coscienza, il pensiero, l’ideologia, la cultura, ecc.

Il prerequisito per superare la cultura sessista e misogina, che per migliaia di anni ha svalutato la donna di fronte all’uomo e l’ha segregata dalla vita pubblica, è pertanto una mutazione nelle condizioni materiali. Ciò significa l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione.

Ma i bolscevichi non stettero con le braccia conserte dopo aver nazionalizzato l’economia, diedero invece inizio a un lavoro esteso per combattere la cultura sciovinistica della Russia. Vennero creati programmi speciali per sradicare l’analfabetismo tra le donne e per coinvolgerle attivamente nella direzione dello Stato e del partito. Allo stesso tempo, i bolscevichi svilupparono un grande lavoro per elevare il livello culturale in generale, per eliminare in questo modo i pregiudizi religiosi e altre forme di sciovinismo.

Lenin condusse una battaglia per l’uguaglianza delle donne non solo di fronte alla legge, ma in ogni ambito. Questo è il motivo per cui, come comunisti, ci consideriamo i più ferventi sostenitori dell’emancipazione delle donne. A differenza delle femministe liberali, Lenin non rimase dentro il quadro del capitalismo. Il massimo che può essere raggiunto, in questo sistema, è l’uguaglianza davanti alla legge. E come chiunque può testimoniare, in Scandinavia, dove l’uguaglianza di fronte alla legge è stata ottenuta da molto tempo, ciò è lungi dal porre fine all’oppressione delle donne. Le femministe borghesi hanno ottenuto l’uguaglianza formale e, allo stesso tempo, aiutano a mantenere la disuguaglianza sociale e culturale che ancora è predominante.

Per Lenin, il punto centrale nella lotta delle donne era la questione di classe. È solo la questione di classe che permette di collegare tutte le altre forme di oppressione e tutte quante ruotano intorno ad essa. La classe dominante è una infima minoranza nella società e fa tutto ciò che è in suo potere per dividere la classe lavoratrice su linee di genere, etnia, religione, ecc., per cercare di mettere i differenti gruppi di lavoratori gli uni contro gli altri.

I comunisti e la lotta delle donne

Per Lenin, non solo la rivoluzione era necessaria per la liberazione delle donne, ma ad essere decisiva era anche la partecipazione delle donne, affinché la rivoluzione fosse vittoriosa. Questa non è una questione secondaria.

Furono le lavoratrici a dare inizio alla Rivoluzione russa, quando scesero in sciopero il Giorno Internazionale della Donna nel 1917. Lungo tutto l’arco della rivoluzione che sfociò nell’Ottobre, Lenin insistette più volte sulla necessità di organizzare le donne nella lotta. In una delle sue Lettere da lontano, scritte prima del suo ritorno dall’esilio nel 1917, scrisse:

E non è possibile garantire la vera libertà, non è possibile costruire nemmeno la democrazia, per non dire il socialismo, se le donne non partecipano al servizio civile, alla milizia, alla vita politica, se non vengono strappate all’ambiente della casa e della cucina che le abbrutisce [enfasi nell’originale]” (Lettere da lontano, Lettera terza, Sulla Milizia proletaria, 1917, in V.I. Lenin, Opere Complete, Editori Riuniti).

Senza la partecipazione delle donne, la rivoluzione non potrebbe vincere. E la questione dell’organizzazione delle lavoratrici nella lotta per il comunismo non solo venne considerata decisiva da Lenin nel periodo precedente alla Rivoluzione d’Ottobre, ma lo fu anche in seguito e nella costruzione della Terza Internazionale, come strumento per l’allargamento della rivoluzione a tutto il mondo. Tuttavia, l’oppressione delle donne sotto il capitalismo comporta anche che ci siano in generale meno donne che uomini organizzati nella lotta. Anche questo è un problema che Lenin affrontò:

Perché non abbiamo mai avuto nel partito un numero eguale di uomini e donne, neanche nella repubblica sovietica? Perché è cosi esiguo il numero delle donne lavoratrici iscritte nei sindacati? I fatti debbono indurci a riflettere. […] Soltanto se milioni di donne sono con noi possiamo esercitare la dittatura del proletariato, possiamo costruire seguendo direttrici comuniste. Dobbiamo trovare la maniera di raggiungerle, dobbiamo studiare per trovare questa maniera.

Perciò è giusto formulare rivendicazioni a favore delle donne (…). Noi rivendichiamo dalla socie­tà borghese una legislazione sociale a favore della donna perché della donna noi comprendiamo la situazione e gli interessi ai quali dedicheremo le nostre cure durante la dittatura del proletariato. Naturalmente non come fanno i riformisti, non facendo uso di blande parole per convincere le donne a starsene inattive, non tenendole alla briglia. No, naturalmente no, ma, come si conviene a rivoluzionari, chiamandole a lavorare da pari a pari per trasformare la vecchia economia e la vecchia ideologia” (Clara Zetkin, Lenin e il movimento femminile, 1925).

Lenin sottolineò ripetutamente che la lotta per la liberazione delle donne non può essere separata dalla lotta per la rivoluzione socialista. Non si può porre fine alla disuguaglianza e all’oppressione senza porre fine alla società di classe. Tuttavia, ciò non significa che egli rifiutasse per questo la lotta per le rivendicazioni a favore delle donne prima della rivoluzione.

I comunisti vengono a volte ingiustamente accusati di trascurare la lotta delle donne, considerandola un problema che verrà risolto dalla rivoluzione. Ma questo è chiaramente falso. È corretto affermare che noi pensiamo che la rivoluzione sia l’unico modo per porre fine all’oppressione della donna, ma ciò non significa che rigettiamo la lotta per le rivendicazione democratiche qui ed ora.

Noi comunisti non rimaniamo seduti in attesa della rivoluzione, ma ci lanciamo nella lotta quotidiana. Come spiegava Lenin, i lavoratori possono essere mobilitati sulla base della lotta quotidiana per le riforme e per le rivendicazioni democratiche e, attraverso questa lotta, i limiti della democrazia capitalista diventano loro evidenti. Il compito dei comunisti è di utilizzare le lotte quotidiane per mostrare la necessità di lottare per una rivoluzione. Lenin spiegava che più una società è libera e democratica, più diventa ovvio che il problema non è semplicemente questa o quella legge, bensì il capitalismo stesso:

Solo chi è assolutamente incapace di riflettere o chi ignora del tutto il marxismo può trarre da questo la conclusione che la repubblica, la libertà di divorziare, la democrazia e l’autodecisione delle nazioni non giovino a niente! I marxisti sanno invece che la democrazia non distrugge l’oppressione di classe, ma rende solo più pura, più ampia, più aperta e più energica la lotta di classe: ed è quanto ci occorre. Quanto più completa è la libertà di divorziare, tanto più chiaro risulta per la donna che la fonte della sua ‘schiavitù domestica’ va ricercata nel capitalismo, e non già nella mancanza di diritti. Quanto più democratica è la struttura statale, tanto più risulta chiaro per l’operaio che la radice del male è il capitalismo, non la mancanza di diritti. (…) E così via ” (Intorno a una caricatura del marxismo e all’“economicismo imperialistico”, 1916, in V.I. Lenin, Opere Complete, Editori Riuniti).

Quanto più completa è la democrazia, tanto più risulta chiaro che non è semplicemente la mancanza di democrazia che deve essere additata per l’oppressione, ma che l’oppressione ha radici più profonde: è radicata nel capitalismo e nelle strutture stesse della società di classe.

Come ricordato in precedenza, l’oppressione delle donne è lungi dall’essere scomparsa nei paesi scandinavi, al netto di pari diritti democratici per uomini e donne. Sta diventando sempre più chiaro alle donne che la soluzione al sessismo, alla violenza contro le donne e al loro status di cittadine di seconda classe non risiede nel parlamento, ma in una revisione più profonda della struttura della società. Il nostro compito come comunisti è di gettarci in queste lotte quotidiane delle donne e, allo stesso tempo, utilizzarle per mostrare in che maniera sono collegate all’oppressione di classe e alla necessità di combattere il capitalismo.

Lenin era chiaro riguardo al fatto che questo lavoro fondamentale, del coinvolgimento delle donne con coscienza di classe nel movimento rivoluzionario, non era solo un compito delle donne, ed era contrario a un movimento comunista separato delle donne. Era il compito di tutto il partito. Era necessario educare e avvicinare tutti i comunisti, inclusi i compagni maschi, ai problemi dell’oppressione delle donne e all’importanza del lavoro rivoluzionario tra le donne, affinché questo lavoro potesse avere minimamente successo. Ciò significava anche, a volte, superare la resistenza dei compagni maschi, come disse Lenin secondo i ricordi della marxista tedesca Clara Zetkin:

Il lavoro di agitazione e propaganda tra le donne, la diffusione dello spirito rivoluzionario tra di loro, vengono considerati come questioni occasionali, come faccende che riguardano unicamente le compagne. Soltanto alle compagne si rivolgono i rimproveri se il lavoro in questa direzione non procede più speditamente ed energicamente. Ciò è male, assai male. È separatismo bello e buono, è femminismo à rebours, come dicono i francesi, femminismo alla rovescia!

(…) Pochissimi uomini — anche tra i proletari — si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano ‘al lavoro della donna’. Ma no, ciò è contrario ai ‘diritti e alla dignità dell’uomo’: essi vogliono pace e comodità. La vita domestica di una donna costituisce un sacrificio quotidiano fatto di mille nonnulla. La vecchia supremazia dell’uomo sopravvive in segreto. La gioia dell’uomo e la sua tenacia nella lotta diminuiscono di fronte all’arretratezza della donna, di fronte alta sua incomprensione degli ideali rivoluzionari: arretratezza e incomprensione che come tarli, nascostamente, lentamente ma senza scampo rodono e corrodono. Conosco la vita dei lavoratori non dai libri soltanto. Il nostro lavoro di comunisti tra le donne, il nostro lavoro politico, comporta una buona dose di lavoro educativo tra gli uomini. Dobbiamo sradicarla del tutto la vecchia idea del ‘padrone’! Nel partito e tra le masse. È un nostro compito politico non meno importante del compito urgente e necessario di creare un nucleo direttivo di uomini e donne, ben preparati teoricamente e praticamente per svolgere tra le donne un’attività di partito” (Clara Zetkin, Lenin e il movimento femminile, 1925).

La lotta delle donne e il comunismo

Il capitalismo è in una profonda crisi. Non si tratta di una crisi solo economica, bensì di una crisi storica che permea tutti i pori della società. Ovunque guardiamo, il mondo sembra sprofondare nelle guerre e nei disastri climatici. Dilagano sessismo, razzismo, transfobia e altre forme di discriminazione e oppressione. Questa crisi viene sentita in maniera particolarmente acuta dai giovani, che ne fanno esperienza in tutti gli aspetti della vita. Essa comporta un deterioramento della cultura, delle relazioni umane e della nostra psiche, come possiamo appurare dalla crisi della salute mentale.

Le uniche cose che vengono offerte ai giovani e ai lavoratori sono un pessimismo incurabile e soluzioni individuali. Ma la crisi del capitalismo non sta conducendo solo al pessimismo. Il vicolo cieco nel quale è finito il sistema sta provocando un salto qualitativo nella coscienza di sempre più persone che non si contentano delle soluzioni individuali. Esse sono in cerca di idee che possono fornire una via d’uscita alla crisi. Milioni di donne e uomini in tutto il mondo si stanno mobilitando nella lotta contro la disuguaglianza e l’oppressione.

L’alternativa al pessimismo e alle soluzioni individuali deve essere trovata in Lenin e nei bolscevichi. La loro soluzione era una lotta collettiva contro l’intero sistema. E non si fermarono di fronte ai limiti del capitalismo. Strapparono alla radice la causa stessa dell’oppressione e della disuguaglianza.

Questa è la tradizione sulla base della quale noi comunisti agiamo oggi. Ci impegniamo nelle lotte delle donne, ma armati con una chiara prospettiva che tali lotte non si possono separare dalla lotta per il comunismo e che chiunque voglia lottare seriamente contro l’oppressione delle donne deve organizzarsi nella lotta per il comunismo. Lenin e i bolscevichi diedero inizio alla lotta. Spetta a noi completarla una volta per tutte e creare una società in cui le donne e gli uomini possano vivere un’esistenza pienamente umana, senza disuguaglianza e oppressione.

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