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Il governo si vanta di aver adottato misure a favore dei salari, riducendo le tasse dei lavoratori e aumentando i soldi in busta paga. In realtà negli ultimi tre anni i lavoratori dipendenti e i pensionati hanno pagato 25 miliardi di tasse in più (senza contare le addizionali regionali e comunali). È un effetto del cosiddetto “fiscal drag”, l’aumento della pressione fiscale su stipendi e pensioni che si verifica quando l’inflazione cresce ma gli scaglioni e le detrazioni non vengono aggiornati.
Oltre a questo, le modifiche apportate dal governo nei meccanismi di funzionamento del taglio del cuneo fiscale hanno fatto sì che alcune fasce di lavoratori si siano trovate nel 2025 buste paga più basse rispetto a quelle del 2024, con una riduzione dei salari non solo reali ma anche nominali.
Nella legge di bilancio 2026 il governo sta proponendo una riduzione di 2 punti dell’aliquota Irpef per i redditi sopra i 28mila euro. Una misura che concentra vantaggi limitati sui salari medio-alti (chi ha un reddito di 50mila euro lordi risparmierebbe 440 euro l’anno), mentre lascia al palo quelli più bassi, che nel migliore dei casi riceveranno una detassazione degli aumenti contrattuali (chi li ha…).
L’altro punto su cui insiste la ridicola propaganda del governo sono i previsti 2,1 miliardi di aumenti dei fondi al Servizio sanitario nazionale: “Mai date così tante risorse alla sanità pubblica!” dicono Meloni e compagnia. In realtà parliamo di briciole: un aumento dell’1,5% del fondo, anche quest’anno inferiore all’inflazione. Prosegue, dunque, il suo smantellamento.
Per la promessa “cancellazione della Fornero” dobbiamo aspettare, e nell’attesa… si alzerà l’età pensionabile! Un mese in più dal 2027, tre mesi dal 2028.
Sulla scuola, invece, in questa Legge di Bilancio viene disposta la riduzione dell’organico triennale ad organico annuale e annullata la possibilità di indicare supplenze per i primi giorni di assenza del docente titolare della cattedra: provvedimenti che riducono la spesa per la scuola, peggiorano le condizioni di lavoro degli insegnanti e del personale tecnico e la qualità della formazione scolastica.
Mentre nella compagine governativa litigano sull’ipotesi di chiedere un piccolo contributo alle banche, le stesse che negli ultimi sette anni hanno accumulato utili netti per 162 miliardi di euro, non manca il sostegno alle imprese di 3 miliardi (i padroni valgono ben di più del diritto alla salute di una popolazione intera!).
Ma la parte del leone la fa la spesa per il riarmo che per il 2025 è cresciuta di 2 miliardi, arrivando a 31,2 miliardi. Ancora di più crescerà nel 2026 giungendo alla cifra record di quasi 34 miliardi. Nel complesso la spesa per la Difesa è di 45,2 miliardi di euro. Si fa strada l’obiettivo che il governo aveva inserito nel Documento Programmatico di Finanza Pubblica di aggiungere 23 miliardi nel triennio 2026-28 ed avvicinarsi al fatidico 5% del PIL nel 2035.
Ecco dove vanno i salari dei lavoratori e i soldi che tagliano alla sanità e alla scuola: alle armi e ai padroni!
Il movimento spontaneo che abbiamo visto a settembre e ottobre lo ha dimostrato ed è stato un messaggio inequivocabile alle direzioni sindacali: non c’è più spazio per l’immobilismo e la timidezza nella lotta. La lotta articolata in ogni posto di lavoro e in ogni quartiere, lo sciopero generale preparato e adeguatamente organizzato di più giorni fino alla cacciata del governo Meloni, sono una necessità impellente.
