“Miss Marx”, un’occasione mancata
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10 Ottobre 2020Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian sulla questione del Nagorno-Karabakh cresce giorno dopo giorno. La propaganda di guerra rende difficile una stima accurata delle vittime, ma secondo la Reuters, gli scontri armati avevano già fatto 1200 morti al 4 ottobre, in una sola settimana.
L’oggetto del contendere è la regione del Nagorno-Karabakh, enclave a maggioranza armena e autoproclamata “Repubblica dell’Artsakh” in territorio azero. Una ferita mai chiusa: a fine anni ottanta, insieme ai paesi baltici, fu proprio il problema delle nazionalità a produrre le prime, insanabili crepe all’interno dell’Unione sovietica. La guerra civile per l’indipendenza del Nagorno-Karabakh produsse oltre 30mila morti tra il 1991 e il 1994. Abbiamo assistito nel 2016 a nuove schermaglie, preludio alla conflagrazione attuale. Che la guerra in corso non sia stata un fulmine a ciel sereno, lo dimostrano anche le proteste “spontanee” a favore della guerra con l’Armenia per la riconquista del Karabakh avvenute nel luglio scorso a Baku, dove almeno 30mila persone sono scese in piazza.
L’Azerbaigian deve fare fronte all’aggravarsi della crisi economica (la previsione di calo del Pil per il 2020 è del 4,3%) in cui gioca un ruolo il crollo del prezzo del petrolio e del gas, di cui è fra i principali fornitori mondiali. I problemi per Baku erano iniziati anche prima dello scoppio della pandemia: nel 2019 gli investimenti esteri diretti sono diminuiti di tre volte rispetto al 2016. Il presidente Aliyev, al potere dal 2003 e figlio di Heydar che aveva governato il paese nel decennio precedente, gioca la carta del conflitto militare per distogliere l‘attenzione dai problemi economici.
Il Caucaso è inoltre diventato uno dei crocevia di diversi interessi,sia dal punto di vista energetico che per la spartizione delle sfere di influenza tra potenze come Russia, Turchia e Iran.
La strategia aggressiva di Erdogan è a riguardo emblematica. Dopo l’invasione del nord della Siria, l’intervento in Libia e lo scontro con la Grecia nel Mediterraneo, ora allunga le mani anche sul Caucaso. Alleato di Baku, con cui la Turchia ha storici legami culturali, il Sultano proclama: “Questa lotta durerà fino a quando il Nagorno-Karabakh non sarà liberato dall’occupazione”. Oltre ad aiuti militari ha inviato anche miliziani jihadisti siriani a combattere a fianco delle truppe azere.
Tale politica espansionista non è esente da pericoli. La Russia è legata all’Armenia da un accordo di difesa (che non riguarda tuttavia il Karabakh) e dispone di una base militare nel suo territorio: Putin ha cercato di mantenere una politica dei “due forni”, vendendo armi anche a Aliyev, ma è improbabile che lasci che l’Azerbaigian esca unico vincitore del conflitto. Dal canto suo, l’Iran ha già deciso di sostenere l’Armenia in chiave anti-turca. Ci sono tutte le condizioni, stante la situazione di crisi economica globale, perché la guerra possa durare e inasprirsi.
Questo terribile gioco, dove i diritti e le aspirazioni dei popoli all’autodeterminazione sono delle pedine nelle mani delle potenze imperialiste, affonda le sue radici nei crimini dello stalinismo prima e nella natura reazionaria delle borghesie nazionali nate dalla dissoluzione dell’Urss. Eppure non c’è nulla di inevitabile o di genetico nel conflitto tra azeri e armeni. Dopo la Rivoluzione,si stabilirono buone relazioni tra i due popoli e si costituì la Repubblica Trancaucasica, parte dell’Urss, che comprendeva Arrnenia, Azerbaigian e Georgia. Fu Stalin che nel 1923 consegnò il Nagorno Karabakh al controllo azero. Allora il problema sembrava irrilevante, tanto che quando il leader del PC azero propose di restituire il Nagorno-Karabakh all’Armenia, l’offerta fu rifiutata. Solo dopo diversi decenni, in pieno declino dell’Urss, quando ogni burocrazia locale tentò di rafforzare la sua base appellandosi ai sentimenti nazionalisti degli strati più arretrati della popolazione e alla teoria del socialismo in un paese solo, ritornarono in vita gli spettri dello scontro etnico.
Ritornare all’eredità del bolscevismo è l’unica strada per risolvere la questione nazionale nella regione, sviluppando una posizione di indipendenza di classe. La lotta per una Federazione socialista di tutti i paesi del Caucaso deve essere la bussola che guida la classe operaia di tutte le nazionalità.