Fiat 1980: le lezioni dei “35 giorni”
14 Ottobre 2020Rivoluzione n°72
14 Ottobre 2020La discussione sulla nota di aggiornamento del Def (documento economico e finanziario) che tiene banco in questi giorni è illustrativa di come il governo intenda gestire la vicenda del Recovery Fund.
La linea è prorogare; prorogata la riforma del reddito di cittadinanza, la riforma delle pensioni, la revisione delle aliquote Irpef, la questione della revoca delle concessioni ad Autostrade, la decisione per l’impiego del Mes, così come tutti i progetti (più o meno green) che dovrebbero essere finanziati dai fondi europei. Ecco, in fila, una serie di scelte decisive che dovrebbe assumere il governo e che vengono sistematicamente rinviate.
Di questo passo sarà praticamente impossibile che l’Italia fornisca alla Commissione Ue il 15 ottobre un documento programmatico di bilancio e che la legge di Bilancio sia trasmessa alle Camere il prossimo 20 ottobre. Ai rinvii del governo si sommano i tentativi che in sede europea si propongono di procrastinare l’erogazione dei fondi, linea condotta con decisione dai cosiddetti paesi frugali (Olanda, Austria, Ungheria, ecc.), ai quali i ritardi del governo fanno obiettivamente buon gioco.
Il governo è sicuramente paralizzato dalle divisioni interne al M5S, dove c’è una fronda capitanata da Di Battista e Casaleggio, che vede l’alleanza strutturale con il Pd, come “la morte nera”. Ma non è questa l’unica contraddizione che ne rallenta l’azione, c’è la nuova Confindustria di Bonomi che vuole mettere mano sui soldi europei e trasformarli totalmente in erogazioni alle imprese a fondo perduto. Ci sono poi le pressioni di tipo localistico, di sindaci e governatori alla ricerca del consenso su progetti di piccolo cabotaggio. E a seguire le associazioni di categoria, le burocrazie sindacali, le mille corporazioni di cui è pieno questo paese.
Voragini nei conti
In poche parole il governo non ha la coesione interna e la solidità necessaria per definire gerarchie, e dietro di lui nessuno ha la forza necessaria, né tra le forze politiche, né tra quelle sociali, per imporre una linea. Neanche Confindustria. Bonomi strilla ma non morde. Il padronato parla di un nuovo piano per l’Italia, ma non ha la forza per imporlo a governo e sindacati, nonostante una linea estremamente cedevole da parte di quest’ultimi.
Nel frattempo si aprono delle voragini un po’ ovunque. L’ultima proiezione del debito pubblico per il 2020 parla di 194 miliardi di euro in più rispetto ai livelli di fine 2019. L’Inps in un solo anno ha accumulato un buco di 26 miliardi di euro (dati Il Sole 24 Ore).
Il 2020 si chiuderà con un debito pubblico al 158% del Pil. C’è un unico precedente in cui si è raggiunto un picco del genere, ed è nel periodo successivo alla prima guerra mondiale (nel mezzo della “spagnola” e del Biennio rosso), quando il debito pubblico raggiunse il 160%! Stiamo parlando di un contesto catastrofico per la borghesia, dal carattere prerivoluzionario.
Secondo il governo “all’accoppiata manovra finanziaria e Recovery plan toccherà il compito di avviare la discesa del debito già dal 2021”. Ma come sappiamo i primi effetti dei fondi europei inizieranno a sentirsi solo nella seconda metà dell’anno. Con i soldi della manovra di bilancio il massimo che il governo può fare è rifinanziare le misure già in vigore (Cig e ammortizzatori vari, bonus 100 euro, decontribuzione al Sud) e poco più.
Questo significa che non ci sarà in campo nessuna seria misura tesa a rilanciare l’economia e gli investimenti. Né tanto meno scuola, sanità e occupazione in un momento in cui si prevedono 1,5 milioni di posti che potrebbero andare persi.
Le previsioni di Gualtieri parlano di un calo del Pil del -9% per il 2020 e di una ripresa del +5,1% nel 2021. Ma sempre il governo sostiene che in caso di una seconda ondata del Covid queste cifre saranno rispettivamente del -10,5% nel 2020 e +1,8 nel 2021. Questo rimanderebbe ogni possibile “rilancio” dell’economia al 2022, e c’è chi dice al 2023.
Secondo Confesercenti in sei mesi si sono bruciati 59,3 miliardi di consumi delle famiglie. La frenata dei consumi continua nella sfiducia delle famiglie che preferiscono non spendere: l’Istat registra al momento una riduzione della propensione al consumo di quasi 5 punti. “Se proiettata su base annua, questa ritrosia alla spesa determinerebbe una contrazione di ulteriori 42 miliardi di consumi, che andrebbe ad aggiungersi a quella indotta dalla riduzione dei redditi (48 miliardi circa)”, stima Confesercenti.
Tutto questo al netto di futuri inasprimenti nello scontro commerciale tra Usa, Cina e Ue che non possono che peggiorare le già fosche previsioni economiche per il nostro paese.
Di fronte a tutto questo, i 209 miliardi del Recovery fund (se effettivamente tali saranno) per quanto ingenti rischiano di evaporare come gocce d’acqua su una piastra rovente. Ed è allora che riprenderanno le operazioni di macelleria sociale. Se non saremo in grado di fermarli.