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Le lotte nella logistica e l’unità di classe

di Sonia Previato

Negli ultimi anni il comparto della logistica ha sperimentato una crescita del conflitto di classe, che ha consentito ad alcuni settori di lavoratori di riportare anche vittorie importanti sul padronato. Attorno a queste esperienze è nato, si è rafforzato un nuovo sindacato di base, il Si.Cobas, e si sono sviluppate delle teorie sulle nuove forme della “soggettività del conflitto”, oggetto di questo testo.

La crisi di strategia della Cgil, che in un contesto di continuo peggioramento delle condizioni di lavoro mostra una completa incapacità di reagire, ha rafforzato queste posizioni.

Vorremmo inserire questi conflitti in un contesto più ampio e comprenderne meglio valore e potenziale.

Produzione e servizi

Parliamo di un settore molto composito, che possiamo dividere in due macrosettori: quello dei servizi esternalizzati delle imprese manifatturiere e della grande distribuzione, e quello delle società di trasporto merci e logistica vere e proprie, che a loro volta danno in appalto larga parte delle loro attività (magazzino e consegna).

Le esternalizzazioni e le dislocazioni produttive, spesso in altri paesi, hanno alimentato in parte la crescita del settore del trasporto merci, nonostante quest’ultimo sia strettamente collegato all’andamento negativo della produzione industriale. È un fenomeno che ha investito non solo l’Italia e che, insieme alle chiusure dei siti produttivi e alle delocalizzazioni, è stata una risposta del padronato per abbattere i costi di produzione e aumentare la propria competitività. I vantaggi immediati sono soprattutto legati all’abbattimento del costo del lavoro.

Gli esiti di questa politica economica sono sotto gli occhi di tutti: peggioramento delle condizioni di lavoro, economia stagnante, calo degli investimenti e aumento dei profitti per il padronato. La cosiddetta crescita dei servizi a detrimento dei settori produttivi nasconde l’impoverimento del lavoro industriale. Se si pensa che il 54% delle aziende ricorrono all’esternalizzazione dei servizi di magazzinaggio, distribuzione e trasporto delle merci prodotte, oppure che ben il 40% del valore aggiunto dell’economia è determinato da servizi alla manifattura e sarebbe quindi in larga misura parte integrante di quel 20% del settore strettamente produttivo, si ha una idea dell’estensione del fenomeno e delle conseguenze che esso ha nello sviluppo della lotta di classe.

Italia, nuova piattaforma logistica?

È completamente fuori bersaglio la teoria secondo la quale l’Italia, a fronte di una crescente deindustrializzazione, si appresta a diventare una grande piattaforma logistica, nella quale conterà solo o prevalentemente lo spostamento di merci che verranno prodotte altrove. A corollario di questa tesi si vorrebbe avvalorare la centralità del conflitto di questo settore.

Le forze del mercato capitalistico sono cieche e lavorano incessantemente alla riduzione continua dei costi di produzione, a partire da quelli del lavoro. La borghesia non ha un piano e ancora meno ce l’ha quella italiana. Lo scopo è sopravvivere nella competizione mondiale, macinando profitti con il minor investimento possibile.

Secondo l’Indice della competitività globale pubblicato dal World economic forum, l’Italia risulta al 49º posto nella classifica mondiale e al 26° per qualità ed efficienza delle infrastrutture, superata da tutti i paesi Ue dell’area mediterranea ad eccezione della Grecia (36° posto). Per quanto riguarda la qualità dell’infrastruttura portuale, l’Italia si posiziona al 55° posto, superata addirittura dalla Croazia.

Che nei convegni e nei progetti ministeriali affiorino i sogni di gloria della borghesia italiana non c’è alcun dubbio, tuttavia, per passare dal regno dei sogni a quello della realtà e risalire le graduatorie di cui sopra, sono necessari tali investimenti che semplicemente né la borghesia, né lo Stato italiano sono in grado di fare. Ci ritroviamo così con grandi opere dal carattere speculativo, come dimostra il decreto “sblocca Italia” e l’annesso piano di riordino per i porti italiani approntato dal ministro Del Rio.

Infatti il settore del trasporto merci non cresce in virtù di un aumento delle merci trasportate in Italia, che hanno subito un crollo dal 2003 al 2013 del 20%, in linea con quello della produzione industriale. L’Italia, anche nel trasporto su gomma, non è competitiva: i costi di movimentazione sono superiori del doppio rispetto alla media europea, il che è dovuto sia alle carenze infrastrutturali che alla piccola dimensione delle aziende. La crisi ha toccato anche questo settore, dal 2007 al 2013 sono andati persi circa 28mila posti di lavoro, con una contrazione enorme delle piccole-micro imprese.

Risultato, oggi il mercato del trasporto è controllato per il 65% da cinque grandi gruppi: Dhl, Brt, Tnt, Ups e Sda. Questa concentrazione di capitale avvantaggia queste società che traggono il massimo profitto da quello che oggi è il settore in piena esplosione: l’e-commerce, che ha quadruplicato in dieci anni il volume di affari ed è destinato a crescere ancora, essendo l’Italia uno dei paesi europei dove gli acquisti on line sono meno diffusi.

Non c’è nessuno sviluppo strategico, ma il massimo sfruttamento possibile della manodopera attraverso la parcellizzazione del servizio in miriadi di appalti e subappalti a tutto vantaggio delle committenze.

Nuovi soggetti?

In sintesi, l’Italia nello scacchiere internazionale è un paese in declino economico, dove cresce l’impoverimento della classe lavoratrice e l’imbarbarimento delle condizioni del lavoro industriale e non. Il meccanismo degli appalti, dove nella migliore delle ipotesi vengono applicati in modo arbitrario i contratti di minor favore e dove permangono larghe sacche di lavoro nero, schiaccia la manodopera al salario di sussistenza, spesso al di sotto della sussistenza.

Le vertenze di questi anni indicano un livello di sfruttamento intollerabile, amplificato dalla condizione di isolamento dei dipendenti degli appalti rispetto a quelli della committenza. Non esiste una ragione oggettiva se non quella determinata dalla necessità padronale di applicare il classico “divide et impera”.

Le peggiori condizioni negli appalti sono utile pressione al ribasso verso le condizioni di tutti. Il caso Ikea è molto significativo: a due anni dalla lotta dei facchini organizzata dal Si.Cobas per il riconoscimento dei diritti contrattuali e di agibilità sindacale, lotta eroica ma rimasta isolata ai facchini e successivamente sconfitta, Ikea è passata all’offensiva dei dipendenti diretti, revocando unilateralmente il contratto integrativo e ottenendo un peggioramento significativo delle condizioni dei propri dipendenti. La vicenda Esselunga ha avuto la stessa evoluzione e la lista di casi analoghi può allungarsi di molto.

Non si contano ormai le rotture unilaterali da parte padronale di accordi sindacali pregressi o l’uscita di imprese o di associazioni di imprese dagli accordi per i contratti nazionali con l’obiettivo della riduzione netta di di-ritti e salario. La pressione verso condizioni di sotto-salario è estesa a tutta la classe lavoratrice.

Per resistere a questa pressione è necessario porsi l’obiettivo strategico dell’unità di classe. Selezionare nella classe il settore più sfruttato o quello più disponibile oggi al conflitto significa relegarsi all’isolamento e alla sconfitta. È del tutto naturale che la rottura della pace sociale avvenga nel settore dove più barbaro è lo sfruttamento. Anche l’autunno caldo ha avuto la sua scintilla nel Veneto arretrato, quando nella fabbrica tessile della Marzotto le operaie si sono rivoltate contro i cronometristi arrivando ad abbattere la statua del conte nella piazza di Valdagno. Quella mobilitazione, insieme a quelle dei giovani immigrati nel 1962, era il segnale di una conflittualità crescente che avrebbe di lì a poco investito tutta la classe lavoratrice, travolgendo gli schemi e le organizzazioni tradizionali del movimento.

Oggi come allora, conferire centralità solo sul settore che ha mostrato maggiore radicalità (dimenticando gli altri) è un errore grave, che aiuta il padronato a svolgere la sua azione di divisione e comando sulla classe. L’obiettivo vitale dei lavoratori pertanto è allargare e unire il fronte di classe e rifiutare il settorialismo, nonostante tutte le difficoltà.

Alcune vertenze pilota

Le vertenze Motovario, Carpigiana e Castelfrigo nel modenese e la vertenza nazionale degli appalti Ups, per quanto coinvolgano un numero circoscritto di lavoratori, rappresentano un modello di vertenza sindacale proprio da questo punto di vista.

Nella maggioranza dei casi tutta l’organizzazione del lavoro è volta a tenere separati i dipendenti degli appalti da quelli della committenza, e la presenza di lavoratori immigrati, spesso impiegati nelle mansioni più umili, aiuta il padronato ad alimentare questa separazione; tuttavia l’azione cosciente dei compagni del nostro movimento politico, Sinistra Classe Rivoluzione, orientata ad una paziente opera di costruzione della solidarietà di classe e del fronte unico di lotta, ha permesso di sfruttare al massimo la combattività dei lavoratori e di riportare importanti vittorie. In Motovario e alla Carpigiana, aziende metalmeccaniche, la disdetta del contratto di appalto della cooperativa nel primo caso ha portato, anche grazie ad un’azione unitaria Fiom–Si.Cobas, all’assunzione diretta presso la committenza, in attesa di nuovo fornitore che garantisse il pieno rispetto delle condizioni contrattuali di miglior favore; nel secondo caso, nonostante la durezza dello scontro e la difficoltà a coinvolgere i lavoratori della committenza, il continuo appello alla solidarietà ha costretto il padrone della Carpigiana a farsi carico dell’assorbimento di almeno parte della manodopera presso un nuovo fornitore del servizio.

Alla Castelfrigo 130 immigrati di due cooperative in appalto, assunti come facchini ma in realtà addetti alla lavorazione della carne, con il sostegno dei dipendenti della committente spingono i sindacati presenti Flai e Filt ad organizzare il blocco delle merci. Viene ottenuto il riconoscimento immediato degli istituti contrattuali (malattie, permessi, paga globale) e il passaggio al contratto corrispondente alle reali mansioni svolte. Dopo questa vittoria si apre la campagna per estendere le stesse tutele a tutto il settore degli alimentaristi.

La vertenza degli autisti dipendenti indiretti di Ups, tuttora in corso e che coinvolge un numero crescente di lavoratori a livello nazionale, ha del sorprendente. Due anni fa i lavoratori hanno iniziato una campagna per la corretta applicazione del contratto dei trasporti nei depositi di Roma, Milano e Como. In un clima di continue minacce da parte delle cooperative, con il silenzioso beneplacito della committenza, che hanno portato al licenziamento di due autisti a Milano, la vertenza ha ottenuto una prima importante vittoria a dicembre scorso in una delle cooperative del deposito milanese. Nonostante tutte le difficoltà (mansioni diverse, luoghi di lavoro diversi, filiali di appartenenza diverse, la presenza di organizzazioni sindacali diverse, ecc.) negli scorsi mesi i lavoratori diretti di Ups hanno approvato in assemblea mozioni di solidarietà con gli autisti. È bastata questa compattezza e la minaccia di azioni di sciopero per costringere una delle cooperative a sottoscrivere la piena e corretta applicazione del contratto. Ora si apre una duplice battaglia: estendere questa vittoria a tutte le società terze e costringere Ups a stringere relazioni commerciali solo con le società che applicano il contratto di miglior favore. La Filt Cgil, nonostante i 30mila iscritti nei soli appalti, è stata finora inerte di fronte al dilagante sfruttamento, ma ora è sottoposta a un pressione molto forte da parte dei lavoratori, che la costringono a reagire.

In tutti questi casi l’esperienza del conflitto porta i lavoratori a stabilire relazioni di fiducia fra di loro, a rafforzare la coscienza di classe e ad un protagonismo crescente che implica il pieno controllo della vertenza. L’obiettivo è vincere e pertanto tutti i lavoratori, indipendentemente dalla mansione o dall’appartenenza sindacale, devono essere nel fronte di lotta. Nelle realtà dove esiste una presenza del Si.Cobas abbiamo registrato una notevole freddezza da parte dei vertici a promuovere l’unità dei lavoratori: un approccio non molto diverso da quello degli apparati confederali. Questo non riduce l’importanza di mantenere tale parola d’ordine. Saranno la forza e il sostegno dei lavoratori a scavalcare l’approccio burocratico dei sindacati, volto a tutelare i loro esclusivi interessi di organizzazione.

Una visione generale del conflitto di classe in Italia è fondamentale per l’applicazione di una tattica corretta che aiuti a superare tutti gli ostacoli oggettivi, determinati dall’organizzazione del lavoro, dall’azione padronale e anche dai pesanti limiti dei sindacati confederali e non.

Consideriamo decisivo per il Si.Cobas, ma soprattutto per le migliaia di lavoratori che ha mobilitato in tante vertenze, superare l’isolamento e il “ghetto” del sindacato dei facchini. Nonostante le importanti vittorie riportate in diverse vertenze, è evidente dalle esperienze di questi anni che non si costruisce un sindacato con la sola tattica dell’offensiva permanente e dei blocchi ai cancelli.

L’azione del Si.Cobas

Dalle tesi sindacali del nostro movimento politico: “(…) la conseguenza più importante della crisi del sindacato è la frammentarietà della conflittualità nel movimento operaio e il consolidamento di nuovi punti di riferimento, almeno per quanto riguarda il settore della logistica, di una forza come il Si.Cobas.

Il Si.Cobas è cresciuto sulla contraddizione di fondo dell’epoca attuale: il sindacato è assente e tuttavia non c’è mai stato così tanto bisogno di sindacato come ora. (…)

Cosa ha permesso al Si.Cobas di inserirsi in questo vuoto, a differenza degli altri sindacati extraconfederali? Quello di assumere lo scontro con il padronato quale leva decisiva per l’accumulo di forze ulteriori e di concentrarsi su un segmento della classe lavoratrice estremamente sfruttato, con aziende che avevano un mercato che tirava come da nessun’altra parte.

Su queste basi questo sindacato ha avuto una crescita degli iscritti arrivando a circa 10mila, un risultato che, per quanto importante, rappresenta pur sempre una piccola minoranza del settore, per non parlare della classe lavoratrice nel suo insieme.

Nel suo primo e al momento unico congresso, il Si.Cobas dichiara un orientamento anticapitalista e per l’unità di classe. Tuttavia, nella pratica sindacale, emergono molti problemi, a partire dal come si applica l’unità di classe quando la classe non è omogenea e soprattutto quando è influenzata da orientamenti diversi da quelli del Si.Cobas. La teoria dello scontro con il padrone è valida quando è fattore decisivo nell’aggregazione dei lavoratori, ma si trasforma nel suo opposto quando lo sciopero non trova il sostegno, almeno passivo, della maggioranza.

La vertenza Sda nella primavera 2015 ha trovato in diversi magazzini a livello nazionale un sostegno largo, che ha consentito di vincere e arginare l’azione antisciopero violenta di alcuni autisti, per altro sostenuti dal sindacato confederale. Alla Yoox, all’interporto di Bologna, o alla Bormioli di Fidenza, nonostante l’evidenza dell’isolamento crescente, l’unica linea considerata praticabile dal Si.Cobas è stata ed è tuttora la continuazione ad oltranza della lotta.

Lo scontro si trasforma così non più in uno strumento di accumulo di forze, ma in battaglia di principio contro il padrone. Che questa battaglia venga condotta da uno, dieci o centomila lavoratori, diventa un fattore irrilevante.

L’obiettivo di un sindacato che si professa rivoluzionario non è fare “le battaglie di principio”, ma conquistare la maggioranza dei lavoratori al proprio orientamento, saper gestire le offensive, ma anche le ritirate, quando sono necessarie, per preservare le forze e rilanciarle nel momento più propizio. Diversamente lo slogan dell’unità di classe si trasforma in vuota demagogia.

Quale strategia per rompere l’isolamento?

Il Si.Cobas ha suscitato una simpatia obiettiva in diversi settori operai e in tanti, nelle mobilitazioni contro il Jobs act, avrebbero voluto una Cgil “un po’ Si.Cobas”. L’adesione del Si.Cobas allo sciopero della Fiom del 14 novembre 2014 rispondeva a questa simpatia e alla necessità per il Si.Cobas di applicare una tattica di fronte unico per non essere schiacciato nell’angolo.

Tuttavia questa tattica ha avuto un respiro cortissimo. La presentazione di una piattaforma per il contratto del trasporto merci e logistica, con sciopero nazionale il 29 e 30 ottobre scorsi a suo sostegno, ha rappresentato un ulteriore tentativo di allargare la propria influenza a tutto il settore. Lo sciopero è stato un successo negli insediamenti consolidati, tuttavia è stato un fallimento perché ha mostrato che il Si.Cobas non è un sindacato nazionale. Della piattaforma non si sa più nulla, non ci sono stati altri appelli a sostenerla né convocazioni di sciopero, è stata semplicemente accantonata, secondo un metodo discutibile che non prevede un confronto con i militanti di base.

Infine registriamo con grande stupore il comunicato del Si.Cobas che critica con argomenti del tutto risibili l’accordo sottoscritto in Castelfrigo. Al di là delle argomentazioni (si legga la nostra puntuale risposta http://www.rivoluzione.red/sullaccordo-castelfrigo-e-il-giudizio-del-si-cobas-in-merito/) quello che colpisce è l’esclusivo interesse del Si.Cobas alla denigrazione dell’accordo siglato dai sindacati confederali, lì rappresentati dai suoi settori di opposizione, per mettere in evidenza la sua supposta superiorità vertenziale, a totale detrimento degli interessi e delle reali condizioni dei lavoratori di quella fabbrica.

Il Si.Cobas è ormai una forza riconosciuta e identificata come il sindacato più combattivo, tuttavia non ha le dimensioni per modificare i rapporti di forza fra le classi. Per queste ragioni è di fronte a un bivio: o elabora una strategia per rompere l’isolamento applicando la tattica del fronte unico o è destinato a isolarsi e a riprodurre le dinamiche burocratiche che già in passato abbiamo visto in tanti sindacati extraconfederali.

Le modalità con cui ha condotto la vertenza in Bormioli, l’arroccamento a difendere i propri iscritti anche entrando in conflitto con altri lavoratori e, non da ultimo, il settarismo mostrato dai vertici del Si.Cobas nei con-fronti delle vertenze dirette dai nostri compagni, sono tutti sintomi che spingono questo sindacato verso la seconda ipotesi. Il che sarebbe un vero disastro per i generosi combattenti di questo sindacato e amplificherebbe il peso della repressione delle cosiddette forze dell’ordine.

Il ruolo della Cgil

I settori più moderati della burocrazia confederale hanno osservato con terrore l’adesione del Si.Cobas allo sciopero della Fiom nel 2014, vedendo in esso il possibile inizio di una unità di azione fra i settori più combattivi della classe operaia. Un dirigente della Filt, nel corso di un direttivo nazionale della Cgil ancora lo scorso novembre, inveiva contro coloro i quali avessero partecipato alla innocua manifestazione del 21 novembre della Fiom, additandoli come possibili fiancheggiatori del Si.Cobas, se non addirittura del terrorismo. Non ci stupiamo del ruolo di crumiraggio e di fiancheggiamento padronale svolto da alcuni delegati Cgil nelle vertenze degli ultimi anni (Sda, Bormioli, ecc.). Queste azioni non sono state denunciate o addirittura sono state vergognosamente giustificate dall’apparato con l’obiettivo preciso di approfondire il solco fra lavoratori di diverse appartenenze sindacali.

Di fronte ad una crescente sindacalizzazione del settore, di cui anche la Cgil è investita, e ad una crescita dei conflitti la risposta del sindacato confederale non è univoca: arginare o cavalcare la tigre? Nelle vertenze dirette dal Si.Cobas, quasi ovunque, l’apparato della Cgil ha avuto un atteggiamento ostile, facendo leva sulle paure dei lavoratori per isolare gli attivisti combattivi. Le prese di posizione settarie del Si.Cobas hanno reso ancora più facile il lavoro dei vertici confederali. Laddove i conflitti non vedevano la presenza del Si.Cobas, l’apparato ha aggirato l’ostacolo, sottraendosi dal prendere una iniziativa qualsiasi, sia di aperto contrasto che di sostegno, se non verbale, puntando sulla debolezza della pressione dei lavoratori. Vedremo quanto potrà durare questo attendismo.

Il caso della Castelfrigo di Modena rappresenta una novità. Nei giorni dello sciopero con il blocco delle merci, Flai e Filt-Cgil si sono ritrovate, sospinte dai lavoratori, a dirigere uno scontro, con tanto di carica della polizia sul picchetto, con modalità non molto diverse da quelle del Si.Cobas.

Nonostante le condizioni oggettive in peggioramento per tutti, permane in settori importanti della classe l’illusione di poter risolvere i problemi con una politica sindacale gradualista. Questa è la base oggettiva del consenso degli apparati sindacali. La crescita di iscritti alla Cgil nelle categorie dove più forte è lo sfruttamento, commercio e trasporti, dimostra questa realtà con cui fare i conti.

Al tempo stesso questa illusione non è scolpita nella pietra, anzi, come tutte le illusioni, è destinata a scontrarsi con la realtà. La vicenda Castelfrigo e le vertenze nelle quali siamo coinvolti dimostrano che è possibile rompere l’isolamento ed è possibile costringere gli apparati sindacali ad allinearsi alle esigenze dei lavoratori.

La crisi di strategia del riformismo e il protagonismo di consistenti settori di lavoratori nel prendere in mano il proprio futuro non sono che i primi segnali del terremoto che la classe operaia di questo paese sta preparando. Sarebbe grave se in un tale contesto l’azione degli attivisti sindacali fosse quella di separare l’avanguardia dalla massa dei lavoratori. Si farebbe il gioco dei riformisti, dei burocrati e in ultima analisi dei padroni che non aspettano altro che di inserirsi nelle divisioni del movimento.

 

Fonti

Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, edizione 2015, Istat.

Piano strategico nazionale della portualità e della logistica, luglio 2015, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Piano nazionale della logistica: analisi demo-socio-economica e infrastrutturale delle piattaforme logistiche territoriali, giugno 2011, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Analisi e previsioni per il trasporto merci in Italia, maggio 2015, Ufficio studi Confcommercio.

Nota congiunturale sul trasporto merci, gennaio-dicembre 2015, Confetra.

Cristian Benna, “Corrieri. Dhl. Ups, Brt e Sda alla guerra dell’ultimo miglio”, La Repubblica, 12 ottobre 2015.

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