No alla repressione politica in Fiom
9 Marzo 2016Rivoluzione n°15
11 Marzo 2016Parla di crimine di stato la famiglia di Isabel Berta Caceres, l’ambientalista uccisa lo scorso 2 marzo in Honduras, dichiarando che i responsabili dell’omicidio “sono i gruppi imprenditoriali in combutta con il governo nazionale, i governi municipali e le istituzioni repressive dello Stato, che coprono i nefasti progetti estrattivisti nella regione”. Per questo – ha dichiarato ancora la famiglia – “anche i finanziatori sono responsabili della scomparsa della nostra Berta e delle tante persone che lottano contro lo sfruttamento dei territori, poiché con il loro denaro rendono possibile l’imposizione degli interessi economici sui diritti ancestrali dei popoli”.
Berta Caceres non era solo un’ambientalista, costituiva un punto di riferimento per tutti coloro che lottavano contro le ingiustizie di questo sistema. È stata una delle protagoniste delle mobilitazioni contro il golpe che ha deposto nel 2009, con la copertura di Washington, Manuel Zelaya, il presidente democraticamente eletto tre anni prima.
Una interminabile scia di sangue
“Delle tante persone” denuncia la famiglia ed è infatti lunghissima la scia di sangue di chi, come Berta Caceres, ha provato ad opporsi; le cifre pubblicate dalla Ong Global Witness parlano di due omicidi a settimana, solo tra il 2002 ed il 2011 le cifre note sono di oltre 700 morti. Non è, invece, noto il numero delle vittime delle comunità indigene che non hanno accesso alle comunicazioni e che potrebbero essere oggetto di vere e proprie stragi, come quella compiuta il 13 marzo del 1982 dagli squadroni della morte della dittatura guatemalteca che dopo una giornata di violenze, sterminarono ben 177 donne e bambini del villaggio di Rio Negro. La strage faceva parte delle azioni di repressione della lotta dei Maya Achì contro la costruzione della diga di Chixoy che fra il 1981 ed il 1982 uccisero non meno di 444 indigeni.: La diga ha sommerso i villaggi dei Maya Achì a monte dello sbarramento e privato di acqua e risorse quelli a valle. L’imperialismo fa per sua intrinseca natura un uso violento delle tecnologie, calpestando qualunque diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Berta Caceres, insignita del premio Goldman per la difesa dell’ambiente, lottava in difesa del popolo Lenka ed in particolare contro la costruzione di due grandi dighe: quella di Agua Zarca sul fiume Guardarque e Blue Energy sul Rio Cangel. Dopo il suo assassinio la famiglia e l’International Rivers Network hanno chiesto l’immediata sospensione dei progetti, ritenendone responsabili l’impresa Desa e gli organismi finanziari internazionali che li sostengono, tra questi: Banca Holandes Fmo, Finn Fund, Bcie, Ficohsa e le imprese Castor, Grupo imprenditoriale Atala.
L’imperialismo ha interessi economici e militari ben consolidati in questa regione che impone tramite un governo fantoccio, che li persegue anche con il depistaggio delle inchieste per la morte degli oppositori.
L’affare delle grandi dighe
Ma perché le grandi dighe vengono definite dagli ambientalisti, come Berta Caceres, delle vere e proprie armi di distruzione di massa? Innanzitutto per l’uso che storicamente ne è stato fatto, infatti, dietro il progetto delle dighe più devastanti c’è sempre, o quasi sempre, una minoranza etnica oppressa, che si tratti dei nativi del Nord America, dei Palestinesi, delle popolazioni indigene del Sud America o di quelle asiatiche ed africane. E ad ulteriore dimostrazione che noi italiani non siamo tanto “brava gente”, una delle dighe di maggiore impatto realizzata in Italia nella prima metà del ‘900 fu imposta alla minoranza di lingua tedesca del paese di Resia, sfollato e successivamente allagato ed oggi noto come lago con il campanile dell’antica chiesa che svetta fuori dalle acque. Le grandi dighe sono armi di distruzione di massa anche per i danni provocati, del tutto simili a quelli dei bombardamenti, ed hanno causato un numero di sfollati valutato tra i 40 e gli 80 milioni di persone. Di fatto sommergono intere città come è accaduto in Cina per quella delle Tre Gole, villaggi, siti archeologici e sono usate nei conflitti bellici perché in grado di prosciugare quasi del tutto i fiumi a valle dello sbarramento. Si calcola ad esempio che se il governo turco realizzasse il progetto idroelettrico noto come Gap, il fiume Eufrate giungerebbe in Siria ridotto quasi della metà, con i riflessi che si possono immaginare per agricoltura ed attività produttive.
In sintesi le grandi dighe sono fonti energetiche sporche che oltre ai danni ambientali e all’impoverimento delle comunità, grondano del sangue di chi ha provato ad opporsi e secondo recenti studi non apportano benefici economici; ma sono davvero necessarie?
Jean Fallot scrive che “la bomba atomica o il transistor o più semplicemente qualsiasi oggetto non è il risultato dello sviluppo “naturale” della scienza, d’uno sviluppo extra-materialistico-storico, ma dello sviluppo della scienza in condizioni sociali determinate della produzione e del pensiero”. E questo è chiarissimo per le grandi dighe che potrebbero essere tranquillamente sostituite per la produzione energetica da centrali solari a concentrazione in aree desertiche e disabitate, o per gli scopi irrigui da opere di captazione meno invasive come i pozzi. Anche nel caso che il loro scopo occulto scopo fosse quello di bilanciare lo scioglimento dei ghiacciai, come misura di contrasto all’innalzamento del livello marino (secondo alcuni esperti questo avverrebbe già nella misura del 30% ed oltre), si potrebbero scegliere tecnologie che portino vantaggi e non danni alle comunità, prendendo a modello il ciclo dell’acqua e non snaturandolo con la cancellazione dei fiumi. Non modificare la natura è impossibile e nemmeno auspicabile, visto che quando (si spera fra miliardi di anni e per cause naturali) la Terra diventerà inabitabile solo le conquiste spaziali potrebbero consentire alla nostra e ad altre specie viventi di mettersi in salvo. Se non modificare la natura è impossibile, è invece possibile prenderla a modello inserendosi con impatto positivo nei cicli naturali e non con quello distruttivo di un sistema economico violento, acefalo e disumano. Questo presuppone industrie progettate in maniera molto diversa ed in grado di interagire positivamente con l’ambiente e di ridurre al minimo anche l’impatto delle attività estrattive contro cui si batteva Berta Caceres. Tutto ciò è incompatibile con il capitalismo, che si fonda sulla logica del profitto individuale.
Marx ed Engels scrivevano che la forza motrice fondamentale di tutto il progresso umano è lo sviluppo delle forze produttive: industria, agricoltura, scienza e tecnica ma questo, secondo Ted Grant ed Alan Woods, sarà possibile solo “attraverso un qualche tipo di società pianificata, in cui la scienza e la tecnologia siano messe a disposizione dell’umanità e non del profitto”.