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22 Luglio 2025La Russia emerge rafforzata dalla guerra in Ucraina, con profonde implicazioni per l’imperialismo occidentale

di James Kilby (da www.marxist.com)
“L’Europa pagherà in maniera PESANTE, come dovuto, e sarà la tua vittoria”, ha scritto tronfio a Donald Trump il segretario generale della Nato Mark Rutte. Infatti, la NATO, l’alleanza delle potenze imperialiste occidentali, ha concordato di aumentare la propria spesa per la “difesa” al 5 per cento del PIL entro il prossimo decennio, nel corso del recente vertice all’Aia. Senza dubbio, i padroni dell’industria bellica europea avranno gioito.
Ciò che il sicofante Rutte non ha menzionato in questa riunione di banditi è che la ragione di questa spesa frenetica è che la Nato versa in una condizione di profonda inferiorità nei confronti del potente complesso militare-industriale della Russia per quanto riguarda gli armamenti e, di conseguenza, l’Occidente è sulla buona strada per subire una sconfitta umiliante nella sua guerra per procura con la Russia in Ucraina.
L’imperialismo americano ha provocato in maniera deliberata la Russia per trascinarla in una guerra con l’Ucraina, nel tentativo di indebolire così uno dei propri avversari principali. Con tracotanza e arroganza in pari grado, si sono immaginati che l’economia russa sarebbe crollata sotto il peso delle sanzioni occidentali. Pensavano che, con l’appoggio delle armi e dei finanziamenti della NATO, l’esercito ucraino sarebbe stato un osso duro per la Russia.
In realtà, i loro piani sono falliti in maniera spettacolare. Le sanzioni occidentali non sono riuscite ad azzoppare l’economia della Russia. Nel frattempo, la Russia ha enormemente rafforzato la propria industria bellica, fino al punto che sta producendo molto al di sopra di tutte le forze europee messe insieme.
Ciò ha delle importanti conseguenze nei rapporti di forza tra le potenze imperialiste rivali. Trump è chiaramente propenso a ridurre il coinvolgimento americano in Europa e a reindirizzare le risorse per combattere il proprio rivale principale: la Cina. Presagendo il ritiro dall’Europa degli Stati Uniti, da cui dipendono da un punto di vista militare, le potenze europee stanno cercando disperatamente di rafforzare le proprie capacità militari in un tentativo frenetico di rimettersi in pari.
Una guerra di produzione
C’è ovviamente una campagna isterica nei media europei per fomentare la paura nei confronti della minaccia di un’invasione russa. Qualche giorno prima del vertice NATO, Mark Rutte aveva avvertito la stampa che:
“La Russia potrebbe essere pronta ad utilizzare la forza militare contro la NATO entro cinque anni. Non prendiamoci in giro, siamo tutti sul fronte orientale adesso.”
Questo non ha nulla a che vedere con la realtà, ma ha molto a che vedere con la necessità di giustificare un aumento della cosiddetta spesa per la “difesa”.
Tuttavia, sebbene l’idea che Putin stia pianificando di conquistare militarmente l’Europa sia vaneggiante, una Russia rafforzata sul piano militare rappresenta comunque una minaccia agli interessi generali degli imperialisti occidentali. Una Russia militarmente rafforzata eserciterà un’attrazione maggiore sui paesi dell’Europa orientale e centrale e sarà in grado di sfidare le potenze imperialiste europee nelle loro altre sfere di influenza, come in Africa Occidentale.
Gli imperialisti occidentali, e in particolare quelli europei, sono pertanto desiderosi di avere una valutazione accurata delle rispettive forze armate russe e dei paesi europei. A tal fine, sono stati di recente pubblicati numerosi studi che gettano luce sulle reali capacità della produzione bellica russa. E non preannunciano nulla di buono per le classi dominanti europee.
Per esempio, all’inizio del 2024, uno studio della NATO aveva concluso che la Russia stesse producendo circa tre milioni di proiettili di artiglieria all’anno, circa il doppio della produzione combinata di Stati Uniti ed Europa. Ciò è il frutto di decenni di declino industriale in Occidente, con chiusure di stabilimenti e delocalizzazioni. Mentre l’industria militare della Russia è sotto stretto controllo statale, un’eredità del periodo in cui l’Unione Sovietica la promuoveva come parte del proprio importante sforzo bellico, le industrie occidentali sono state indebolite da una carenza di lungo periodo di investimenti, essendo i loro padroni interessati soltanto a massimizzare i propri profitti.
Sebbene si possa obiettare che la NATO ha interesse ad esagerare la forza della Russia per creare l’isteria necessaria a fare accettare alla popolazione il riarmo, la realtà della situazione era già chiara dal campo di battaglia.
Il fallimento dell’offensiva ucraina del 2023 ha rivelato in maniera plastica la debolezza dell’Occidente per quanto riguarda l’artiglieria. Quando l’Ucraina cominciò a trovarsi a corto di proiettili, venne ordinato alle truppe di arrestare gli attacchi e di mettersi invece a scavare trincee. Sei differenti repart di prima linea hanno dichiarato, in un’inchiesta speciale di Reuters, che ritenevano che la carenza di munizioni in quel momento avesse cambiato il corso della guerra. Un alto ufficiale ucraino avrebbe rivelato che:
“Quando l’Ucraina sparava 10mila proiettili al giorno, venivano uccisi quotidianamente tra i 35 e i 45 soldati ucraini e venivano feriti dai 250 ai 300 soldati. Ma quando la potenza di fuoco crollò della metà, venivano uccisi ogni giorno più di 100 soldati ucraini e almeno un migliaio venivano feriti.”
Questo ha fatto suonare le campane d’allarme in Occidente, che ha cominciato a fare appello ad un drastico aumento della produzione per tenere il passo. “Adesso siamo in una guerra di produzione”, ha detto alla CNN un alto funzionario della NATO. “Il risultato in Ucraina dipende da come ognuna delle parti è equipaggiata per condurre questa guerra”.
Il rafforzamento della Russia
Νοnostante questi appelli, sembra che poco sia stato fatto di concreto per diminuire lo scarto tra l’industria militare dei paesi della NATO e quella della Russia. Questo è stato messo a nudo da un recente rapporto del Kiel Institute for the World Economy, un think tank liberale: “Pronti alla guerra nel 2030? Lo sforzo europeo verso il riarmo di fronte alla Russia” (il Rapport Kiel).
Data la natura della guerra, è impossibile giungere a statistiche del tutto accurate riguardo alla rispettiva forza dei belligeranti. Le valutazioni del rapporto del Kiel Institute sulla produzione bellica russa sono pertanto fondate su una stima di quanto sarebbe necessario per equipaggiare le unità di combattimento russe note in Ucraina, in uno stato di “prontezza al combattimento”. Dall’altra parte, i dati che danno sugli arsenali degli eserciti europei sono fondati sul “Military Balance” (bilancio militare, Ndt), un resoconto dell’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici, oltre a materiale di pubblico dominio.
Secondo il rapporto del Kiel Institute:
“L’esercito russo si è rafforzato qualitativamente e in maniera significativa dal 2022. La produzione è stata raddoppiata o si è accresciuta persino in misura ancora maggiore, come nel caso dei carri armati.”
Il rapporto procede a specificare come la produzione bellica russa abbia visto un rapido aumento in tutta una serie di sistemi d’arma fondamentali a partire dalla guerra. Dalla fine del 2022 si è registrato un aumento del 260% nella produzione trimestrale di carri carmati, del 180% di veicoli di fanteria, del 180% in quella dell’artiglieria, del 233% per i sistemi di difesa aerea a corto raggio e del 261% dei droni Lancet.
Sebbene vi sia un elemento di speculazione nei dati del rapporto Kiel, essi sono stati confermati da uno studio recente della Jamestown Foundation, che ha concluso che:
“La produzione di polvere da sparo in Russia è quasi raddoppiata dal 2022 al 2024, grazie all’aumento delle importazioni e della produzione interna di nitrocellulosa. Questo aumento suggerisce un raddoppio potenziale della produzione di proiettili di artiglieria nello stesso periodo.”
Il rapporto Kiel stima che la Russia stia producendo più dell’Europa intera con un rapporto di 1,7 per quanto riguarda i carri armati e di 3,1 per quanto riguarda l’artiglieria. Sebbene la produzione europea di artiglieria sia aumentata negli anni passati, essa è ancora inferiore in maniera decisiva rispetto a quella della Russia.
Proporzioni simili sono state stimate dall’azienda di consulenza Roland Berger, nel suo rapporto “L’imperativo della Difesa”. Sebbene diano dati diversi, c’è chiaramente uno scarto significativo tra la capacità produttiva combinata dell’Europa e quella della Russia. Per esempio, il rapporto suggerisce che l’UE stia producendo 600mila proiettili di artiglieria all’anno, mentre ne sarebbero necessari 2,9 milioni per raggiungere la “soglia di deterrenza”; 50 nuovi carri armati, dove ne servirebbero 370; e solo 130 missili da crociera, a fronte di un fabbisogno di 1.380.
L’unico settore in cui, secondo il rapporto Kiel, la produzione europea sembra superare la controparte russa è nella produzione di certi tipi di droni, molti dei quali vengon prodotti all’interno dell’Ucraina.
Questo dimostra la capacità di adattamento da parte delle forze armate ucraine, ma non è necessariamente un segno di forza. Nello specifico, le forze armate ucraine si sono concentrate sulla produzione di massa di droni a basso costo all’inizio della guerra, dal momento che non possono competere con la Russia per quanto riguarda armi più sofisticate. Laddove i russi sono rimasti indietro nei numeri, hanno cercato di recuperare in innovazione, come nel caso dei nuovi droni controllati con un cavo ottico e immuni al disturbo elettronico. Ma ora la Russia si sta mettendo in pari velocemente anche in termini quantitativi. Per quanto riguarda i droni a lungo raggio, si stima già che la Russia abbia superato l’Ucraina, raddoppiando la produzione solo nell’ultimo anno.
Dipendenza
Il rapporto deve essere stato una doccia fredda per gli strateghi dell’imperialismo europeo. Fin dalla Seconda Guerra Mondiale, il capitalismo europeo è stato tenuto in piedi dall’”ombrello di sicurezza” dell’imperialismo americano. Con l’attuale messa in discussione di questo legame, essi si trovano a dover affrontare il fatto di essere del tutto dipendenti nella propria capacità militare dagli Stati Uniti.
Il rapporto Kiel osserva che:
“Lo sviluppo e la produzione europei dei sistemi più avanzati, come i razzi, i sistemi autonomi e senza equipaggio, i sistemi integrati con l’IA, i velivoli di sesta generazione […], il trasporto aereo strategico, i sistemi integrati di difesa aerea, i sistemi aviotrasportati di preallarme e controllo (AEW&C), i satelliti, i missili a lungo raggio per attacchi in mare e su terra e i missili ipersonici, restano nel migliore dei casi limitati e nel peggiore assenti.”
Il rapporto lamenta che “una simile dipendenza tecnologica [dagli Stati Uniti] durerà per almeno un decennio, a meno che non si facciano politiche mirate ad affrontare questa arretratezza e dipendenza tecnologica”. Per affrontare questi problemi, esso presenta una lunga lista di settori che richiedono investimenti se l’Europa vuole essere “pronta alla guerra” entro il 2030 e conclude che:
“La produzione deve moltiplicarsi per un fattore di cinque circa, per far pendere la bilancia in maniera decisiva a favore dell’Europa.”
Nel frattempo, eliminare la dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti richiederebbe di:
“acquisire risorse strategiche che al momento nessuno dei paesi europei possiede in proprio, come sistemi di intelligence e comunicazione satellitari, capacità produttiva di sistemi di trasporto aereo strategico, di sistemi di difesa aerea, missilistici, e altro”.
Quando si arriva all’emancipazione dell’Europa dalla dipendenza dalla tecnologia militare americana, il rapporto Kiel stesso indica il “problema critico” della “assenza di alcune di queste tecnologie nella base industriale della difesa europea e dei tempi lunghi di sviluppo e produzione attuali”. Conclude che “la scala della produzione al momento non è incoraggiante, in particolare quando si tratta di costosi sistemi di supporto bellico strategici”, e che “i lungi cicli di sviluppo suggeriscono che l’Europa potrebbe impiegare decenni per sviluppare alcuni dei prodotti tecnologici di alta gamma”.
Come ci si immagina che gli europei debbano far quadrare il cerchio per essere “pronti” entro il 2030, il rapporto non lo dice. L’Europa sarà costretta a continuare a comprare armi americane, specialmente quelle ad alta tecnologia, laddove non ci sia un’industria equivalente in Europa che possa colmare il divario. Tali sistemi d’arma, per esempio, dipendono dai software americani e possono pertanto essere utilizzati, per la gran parte, solo con l’approvazione degli americani.
Un ostacolo cruciale che l’Europa ha di fronte nello sviluppo di un’industria bellica in grado di competere con la Russia e che sia indipendente dagli Stati Uniti, è che il continente europeo è frammentato e le classi dominanti dei 27 Stati membri hanno tutte i propri interessi specifici.
Ciò si è rivelato chiaramente nello sviluppo degli “Eurofighter”, una joint venture tra aziende britanniche, tedesche, francesi, italiane e spagnole. Le diatribe su quali industrie nazionali avrebbero dovuto produrre e assemblare i vari componenti hanno portato ad anni di ritardi e a sforare i costi. Alla fine, la Francia ha abbandonato il progetto per produrre i propri aerei da combattimento, in competizione con i propri vicini. L’imperialismo europeo ha già tentato in passato di costruire una propria capacità bellica indipendente e ogni volta si è giunti ad una débacle imbarazzante.
Esigenze versus realtà
Tuttavia, una cosa è identificare un’esigenza sulla carta ed un’altra soddisfarla nella pratica. Sebbene i paesi membri della NATO abbiano annunciato che aumenteranno la propria spesa per la difesa fino al 5% del PIL entro il 2035 per dare soddisfazione a Trump, rimane da vedere quanti di essi saranno davvero in grado di portare a termine quanto concordato.
Prendiamo, per esempio, il caso della Gran Bretagna. Persino prima dell’ultimo vertice NATO, Keir Starmer si era impegnato ad accrescere la spesa militare di 6,4 miliardi di sterline, portando il totale dal 2,3% al 2,5% del PIL. Per contribuire a coprire questa spesa, il governo ha tentato di tagliare 5 miliardi di sterline dai sussidi ai disabili. Questo provvedimento era talmente impopolare, che una rilevante ribellione dei parlamentari ha costretto il governo a lasciar cadere questi tagli, rimandando così il problema.
Eppure, si stima che per aumentare la spesa militare di base dal 2,5% (come è adesso) al 3,5%, come chiesto dalla NATO, servirebbero ulteriori 30 miliardi di sterline all’anno. Con un’economia stagnante, a seguito di oltre un decennio di austerità, da dove verranno questi ulteriori tagli? Qualsiasi governo disposto a seguire questa strada fino alla fine sta firmando la propria condanna a morte e sta preparando il terreno per una potente esplosione sociale. Lo stesso problema esiste in Francia, in Germania e altrove.
Per “avere un effetto di deterrenza nei confronti del Cremlino e per garantire la sicurezza europea”, il rapporto propugna anche investimenti per ottenere 50 unità della dimensione di una brigata. Questo richiederebbe qualcosa come tra i 200mila e i 300mila nuovi soldati e tutti i sistemi d’arma necessari per equipaggiarli.
Da dove dovrebbero arrivare le nuove truppe? Un sondaggio di YouGov in Gran Bretagna del settembre 2024 riscontrava che solo l’11% dei giovani tra i 18 e i 27 anni “combatterebbe per il proprio paese se gli venisse richiesto”. Sembra che, a seguito delle sconfitte in Afghanistan e in Iraq, la gioventù odierna non sia troppo entusiasta di sacrificarsi per gli interessi degli imperialisti. Infatti, le forze armate britanniche vivono una crisi di reclutamento da 25 anni.
Lo stesso problema è diffuso in tutti gli eserciti d’Europa e diversi paesi stanno persino considerando di introdurre la leva obbligatoria per colmare la mancanza di personale. Come spiega il Centro per l’Analisi delle Politiche Europee (CEPA): “I membri europei della NATO, senza la coscrizione, faticherebbero a mobilitare anche solo 300mila soldati in un conflitto prolungato.” Nel frattempo, l’esercito russo sta dichiarando 1,32 milioni di soldati in servizio attivo, che dovrebbe salire a 1,5 milioni nei prossimi tre anni.
Anni di austerità e di declino delle condizioni di vita hanno già fatto pagare il conto ai partiti politici tradizionali in tutta Europa. Ulteriore austerità, specialmente se nel frattempo si spendono altri miliardi in armi, inasprirà soltanto la crisi sociale e le sue conseguenze politiche. Politiche impopolari come la leva non aiuteranno di certo.
In assenza di qualsiasi alternativa credibile a sinistra, i populisti di destra stanno incrementando i propri consensi, grazie alle loro apparenti credenziali anti-sistema. L’avvento al potere di partiti come Reform UK, il Rassemblement National in Francia e Alternative für Deutschland accrescerebbe la frammentazione dell’Europa secondo il principio “Britain/France/Germany first”, inficiando così ulteriormente lo sviluppo di una forte industria bellica europea.
Come ha detto un ufficiale di alto rango francese a POLITICO: “Quello che potrebbe funzionare oggi con Macron, Starmer e Merz, potrebbe non funzionare domani con Marine Le Pen, Nigel Farage e Alice Weidel”, riferendosi ai leader di questi partiti. “Come è possibile costruire qualcosa con paesi che potrebbero diventare domani l’opposto di quanto sono oggi?”.
Le guerre solitamente hanno l’effetto di portare in superficie e di accelerare tutte le contraddizioni e i processi sociali prima sopiti. La guerra in Ucraina ha drammaticamente smascherato la debolezza relativa dell’imperialismo occidentale, se schierato in un combattimento corpo a corpo con la Russia. Tuttavia, sebbene siano le diverse cricche nazionali di miliardari a scontrarsi per il controllo dei mercati e delle sfere di influenza, sono i lavoratori di tutti i paesi che alla fine ne pagano il conto. Questo sta già avendo profonde implicazioni per la lotta di classe, e continuerà a farlo con l’intensificarsi delle tensioni.
14 luglio 2025