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Alle elezioni europee del 8-9 giugno la nostra organizzazione non sosterrà nessuna lista e nessun candidato. Non esiste, come ora spiegheremo brevemente, alcun modo di usare queste elezioni per fare avanzare, sia pure di poco, le condizioni in cui la classe lavoratrice si trova ad affrontare le politiche imposte dal capitale e le loro pesanti conseguenze sulle nostre condizioni di vita e di lavoro.
La politica estera
Se guardiamo alla politica estera questo è particolarmente evidente. Siamo immersi in una spirale di guerra in cui la NATO, e quindi anche l’Italia, si trova sempre più coinvolta nel sostegno economico, diplomatico e militare sia in Ucraina che a Gaza. Due conflitti che non hanno nulla a che vedere con la difesa della democrazia, dei diritti dei popoli o altre belle parole che vengono spese ogni giorno sui media.
In Ucraina siamo entrati nel terzo anno di guerra (e nel decimo di conflitto non dichiarato) in cui la NATO affronta la Russia (e viceversa) nel tentativo di affermare il proprio predominio sulla regione, di espandere la propria presenza militare ed economica. Una guerra in cui cinicamente gli USA e la NATO affermano la propria inflessibile volontà di voler combattere… fino all’ultimo ucraino, e di cui paghiamo anche qui le conseguenze economiche con le sanzioni e l’aumento delle spese militari mentre si tagliano le spese sociali.
Peggio ancora stanno le cose rispetto al massacro in corso a Gaza, in cui Israele continua in totale impunità a condurre una politica di pulizia etnica contro i palestinesi mentre gli USA e gli altri paesi occidentali si sbracciano in dichiarazioni ipocrite sulla “soluzione dei due Stati” e sul fatto che Israele non deve “esagerare” nel suo diritto a “difendersi”.
Ricordiamo che l’Italia è pienamente coinvolta nel conflitto, avendo assunto la direzione della missione navale Aspides nel Mar Rosso.
Ebbene, quali sono le posizioni dei principali partiti che si presentano alle europee su queste guerre? Se guardiamo alla sostanza, ossia ai voti espressi, sono tutti d’accordo, hanno tutti sostenuto queste misure o, nel migliore dei casi, hanno espresso delle ipocrite astensioni o dei “distinguo” sulle virgole.
La retorica del PD
Il copione non cambia se si guarda alla politica economica e sociale. Certo, in Parlamento governo e opposizione periodicamente si scannano e si insultano, ma nella sostanza su cosa si distinguono oggi centrodestra e centrosinistra? I tagli alla sanità, le controriforme delle pensioni e della scuola, le privatizzazioni a favore della grande borghesia, l’aumento delle spese militari, l’autonomia differenziata… su tutti questi terreni le differenze nel migliore dei casi sono sui tempi e sui modi, non sulla sostanza. Lo testimonia anche la storia dei governi degli ultimi decenni, nonché il comportamento del centrosinistra, che non si distingue particolarmente dalla destra quando si trova a governare regioni e grandi città.
È vero che la destra si abbandona a misure particolarmente aberranti contro i diritti civili, in particolare contro le donne. Ultima la scelta di aprire alle associazioni integraliste e bigotte che si fanno chiamare “pro vita” le porte di ospedali e consultori allo scopo di umiliare le donne che accedono al diritto all’aborto.
Ma non ci stiamo al giochetto del PD e compagnia, che per due mesi di campagna elettorale gridano a tutto spiano al “fascismo”, alla difesa della Costituzione, dei diritti, della pace e dell’uguaglianza, per poi passare i cinque anni successivi a fare esattamente il contrario.
Certo, da quando Elly Schlein ha preso la guida del PD (e di fatto del centrosinistra) ha abbandonato le posizioni puramente confindustriali e padronali della stagione renziana. Oggi parlano di salario minimo, firmano referendum per ripristinare l’articolo 18, e via dicendo. Cercano di recuperare una parte del voto operaio che negli anni è finito nell’astensione o verso i 5 Stelle.
Ora, per quanto queste proposte siano minimaliste e incoerenti, se ci fosse una vera mobilitazione, anche su obiettivi parziali, per i salari, i diritti dei lavoratori o una autentica difesa dei servizi pubblici, sarebbe giusto partecipare e incalzare per allargare la lotta e i suoi obiettivi.
Ma qui non c’è niente di tutto questo, anzi: si propongono queste campagne parlamentari e referendarie, puramente d’immagine, per evitare di porre il problema di una vera mobilitazione, di una lotta di classe reale.
AVS e la lista di Santoro
Pienamente partecipe di questa strategia è anche Sinistra Italiana, presente alle elezioni con la lista Alleanza Verdi Sinistra (AVS). Periodicamente AVS ha bisogno di distinguersi con qualche (ininfluente) voto in parlamento in cui si differenzia anche dal centrosinistra, ma non ha mai messo in discussione un ruolo consolidato ormai da anni di copertura del fianco sinistro del PD.
La candidatura di Ilaria Salis nelle liste di AVS della circoscrizione del Nordovest ha attratto la simpatia di molti attivisti della sinistra che vedono la possibilità di esprimere un voto militante e antifascista. Ora, se la solidarietà con chi, come Ilaria, è vittima di un pesante apparato repressivo, è chiaramente un dovere per tutti noi, non possiamo però non vedere come questa candidatura non apra alcuna contraddizione nella politica di AVS. Essa non può quindi generare una indicazione di voto da parte nostra, tanto più che è limitata ad una sola circoscrizione elettorale.
Al di fuori dai blocchi rimane la lista della Pace Terra Dignità di Michele Santoro. Una operazione trasformista che unisce esponenti di sinistra con vari transfughi politici, uno scrittore alquanto simpatizzante di Putin, ex leghisti, cattolici, pacifisti, ecc., attorno a un programma totalmente confuso e che non ha un briciolo di contenuto di classe.
In questo scenario non diamo quindi indicazione di voto per nessuna delle liste in campo. Peraltro gli allarmi ricorrenti contro l’elevato astensionismo confermano che, in particolare fra i giovani e i lavoratori, c’è una percezione forte di quanto queste elezioni siano oggi non solo distanti, ma anche estranee e ostili a qualsiasi espressione dei loro interessi reali.
Questa nostra posizione non ha un carattere generale o “di principio”, ma si lega a una valutazione della situazione concreta, della quale fanno anche parte le leggi che obbligano a raccogliere una quantità spropositata di firme chi voglia promuovere una lista “al di fuori dei giochi” (dato che i partiti già presenti in parlamento o nel parlamento europeo si sono graziosamente auto-esentati da questo obbligo).
Indubbiamente la classe lavoratrice trarrebbe vantaggio dalla presenza di una lista, o perlomeno di candidature, chiaramente identificabili con i propri interessi nazionali ed internazionali. Tuttavia ad oggi questa possibilità è preclusa. Se e quando in futuro si ponesse la questione concreta di condurre la nostra battaglia anche nel pantano delle elezioni borghesi, questo non potrà che avvenire sulla base di tre considerazioni fondamentali: 1) Il terreno elettorale è il terreno più arretrato e sfavorevole per una battaglia di classe, e di norma non è quello decisivo. 2) Solo l’assoluta chiarezza di programmi, simboli e candidature può costituire una base solida per questo tipo di battaglie. Questo vale per qualsiasi strumento si scelga di impiegare: costruzione di una lista, candidature indipendenti o appoggio critico ad altre liste. 3) Solo una chiara connessione politica e organizzativa con la classe, e innanzitutto con un suo settore organizzato e cosciente, può garantire che una campagna elettorale non sia terreno per carrierismi, personalismi e avventure politiche.
A futura memoria per le prossime campagne elettorali.