Squid Game – Sotto il capitalismo non c’è nessun vincitore
20 Ottobre 2021Turchia – Un’ondata di scioperi segna un punto di svolta nella lotta di classe
25 Ottobre 2021La lotta della Gkn contro la chiusura – Cooperativa, intervento statale o nazionalizzazione?
La vertenza della Gkn ha conquistato una esposizione mediatica e soprattutto una larga simpatia tra i lavoratori e i giovani che era ben visibile nella grande manifestazione tenuta a Firenze lo scorso 18 settembre. Ha rimesso in evidenza anche un tema fondamentale per tutti i lavoratori: come difenderci davanti a padroni che decidono di chiudere le fabbriche o delocalizzare le produzioni in altri paesi.
Il tema è stato affrontato nella trasmissione televisiva di La7 “Piazzapulita” del 23 settembre scorso, dove come ospiti c’erano i lavoratori in presidio e in studio l’ex ministro Calenda, Federico Rampini e l’economista Giulio Sapelli. Quest’ultimo ha dichiarato sul fondo Melrose che “la società capitalistica non può che comportarsi così” e dobbiamo “cambiare l’assetto di proprietà”: suggeriva che bisogna “ricreare una cultura della impresa cooperativa” e quindi la soluzione alla delocalizzazione è la costituzione di una cooperativa con il tfr dei lavoratori, che possono così esercitare il controllo della produzione.
Le cooperative hanno una lunga storia alle spalle: nate alla metà del 1800 per migliorare le condizioni familiari e sociali dei soci, non hanno mai costituito una alternativa al modello di produzione capitalistico, ma anzi con il trascorrere del tempo si sono adattate al sistema e il capitalismo le ha tollerate anche con una legislazione favorevole.
Nei fatti nelle cooperative si sono riprodotte le gerarchie delle aziende private dove i lavoratori non hanno nessun potere decisionale nelle scelte. Oggi vengono sistematicamente usate solo per ridurre salari e diritti dei lavoratori.
Inoltre la cooperativa non è sinonimo di posto garantito in caso di crisi economiche. Dopo quella del 2008 che ha avuto un grosso impatto nell’edilizia, in Emilia-Romagna sono falliti dei colossi delle costruzioni come la Cesi di Imola, la Coop costruzioni di Bologna o la Coop muratori di Reggiolo, in totale circa 700 posti di lavoro persi.
Insomma non proprio una soluzione originale e alternativa.
La proposta di legge
L’assemblea permanente dei lavoratori Gkn insieme ad alcuni giuslavoristi ha formulato una proposta di legge contro le delocalizzazioni fondata su 8 punti.
In sostanza si chiede l’intervento dello Stato per impedire le procedure di licenziamento, nell’attuazione di un piano che deve essere votato dai lavoratori al fine di trovare una soluzione alternativa che potrebbe essere l’acquisizione da parte dello Stato, di cooperative
o di un privato.
È previsto che se l’azienda non rispetta il piano vengano annullati i licenziamenti e si proceda con il ricorso all’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori per condotta antisindacale.
Anche durante la trasmissione in più occasioni si è fatto appello all’intervento dello Stato, dal presidio dei lavoratori il delegato Dario Salvetti ha espressamente detto che “lo Stato deve avere la capacità di far rimanere lo stabilimento qua”.
Intervenire dunque, ma a che scopo? Lo Stato capitalista negli scorsi anni, in situazioni simili, è sempre intervenuto per limitare i costi sociali, ma ha usato questo intervento per risanare le aziende con soldi pubblici, per poi riproporle sul mercato al miglior offerente che intasca i profitti senza nessuna garanzia per i posti di lavoro. Sono emblematiche da questo punto di vista le vicende di Ilva e Alitalia, dove lo Stato deve continuare ad intervenire a ripianare i debiti, senza una soluzione definitiva.
Ma la cosa più grave in questi interventi è che i lavoratori non vengono minimamente coinvolti per incidere sulle trattative, ma vengono chiamati solo ad esprimersi attraverso referendum con un Sì o un No ad una eventuale soluzione, con la spada di Damocle che con un voto negativo si ripartirebbe da zero.
Non sarà certo una legge dello Stato borghese a fermare chiusure o delocalizzazioni da parte di padroni alla ricerca del massimo profitto.
Nazionalizzare sotto il controllo operaio
In Italia attualmente ci sono diverse fabbriche che stanno rischiando di chiudere, è il caso di Whirlpool, Blutec, Embraco, Gianetti Ruote, Gkn, Timken e altre, e i lavoratori si stanno facendo tutti la stessa domanda: come possiamo evitare la chiusura?
I lavoratori della Gkn in questi mesi sono stati un esempio per tanti, in quanto hanno messo in campo una lotta radicale con occupazione dello stabilimento e diverse manifestazioni tutte molto ben riuscite. Ora il giudice ha bloccato i licenziamenti invitando azienda, Rsu e istituzioni ad aprire una vera trattativa. I lavoratori hanno riportato una vittoria che seppure parziale ha ridato morale e fiducia a tutto il movimento operaio.
Questo clima positivo renderebbe possibile convocare una assemblea nazionale rappresentativa delle realtà in lotta e formare un coordinamento di delegati che metta al centro la rivendicazione della nazionalizzazione sotto il controllo operaio, senza alcun indennizzo per i precedenti proprietari.
Se la nazionalizzazione è l’unico modo per fermare chiusure e delocalizzazioni, il controllo dei lavoratori è indispensabile per gestire le fabbriche, per produrre e soddisfare i bisogni della collettività.
Nella storia del movimento operaio italiano ci sono esperienze che hanno dimostrato come l’iniziativa dal basso di delegati sia in grado di coinvolgere ampi settori di lavoratori, basti ricordare le esperienze del movimento degli autoconvocati del 1984 e all’inizio degli anni ‘90 che ebbero la capacità di far uscire dall’immobilismo tutta la Cgil.
I lavoratori della Gkn hanno dichiarato che sarebbero in grado di far ripartire la produzione in qualsiasi momento: ci sono le condizioni per gestire la fabbrica attraverso assemblee di reparto e di stabilimento con delegati eletti e revocabili in qualsiasi momento.
Un coordinamento di fabbriche occupate sotto il controllo dei lavoratori sarebbe un embrione di alternativa all’economia anarchica capitalista, che chiamiamo economia pianificata sotto la gestione operaia.
Certo non basterebbe che siano poche fabbriche a dare l’esempio, i capitalisti cercherebbero di stroncare sul nascere queste iniziative, ma si dovrebbe fare un appello ai lavoratori italiani e di tutto il mondo per chiedere supporto ed estendere le occupazioni.
È basandosi su questa forza e spontaneità della classe che anche una piccola avanguardia audace, fiduciosa e decisa ad andare fino in fondo può giocare un ruolo decisivo per farla finita con l’anarchia del capitalismo e inaugurare una società basata sull’economia pianificata.