La guerra contro l’Iran e il ruolo di Trump – Fuori l’imperialismo dal Medio Oriente!

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26 Giugno 2025
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La guerra contro l’Iran e il ruolo di Trump – Fuori l’imperialismo dal Medio Oriente!

di Franco Bavila

La ricostruzione della cosiddetta “guerra dei 12 giorni” che ci viene propinata sui mass media occidentali è più o meno la seguente. Israele ha dovuto difendersi dall’Iran, che era un passo dalla costruzione della bomba atomica; gli USA sono lealmente intervenuti al fianco dell’alleato israeliano e hanno riportato una grande vittoria; la minaccia nucleare iraniana è stata definitivamente sventata e Trump, con la sua leadership vigorosa, ha mantenuto la promessa di riportare la pace in Medio Oriente. È una storia molto bella, quasi una sceneggiatura hollywoodiana, ma non potrebbe essere più lontana dalla verità.

Le armi nucleari dell’Iran

Innanzitutto la questione della “bomba atomica iraniana” non è altro che un pretesto fasullo, che ricorda parecchio le inesistenti “armi di distruzione di massa di Saddam Hussein”, inventate per giustificare l’invasione americana dell’Iraq nel 2003.

La CNN – non la televisione di Stato iraniana, ma la CNN – ha citato un rapporto congiunto di tutte le agenzie di intelligence statunitensi, in base al quale l’Iran era ancora molto lontano dalla capacità di produrre un’arma atomica e impiegarla. Persino Rafael Grossi, il direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), è stato costretto ad ammettere che “non risulta ci sia stato alcuno sforzo sistematico da parte dell’Iran di avere la bomba”.

Bisogna aggiungere che l’Iran aveva peraltro già firmato un accordo sul nucleare con gli USA nel 2015 e che questo accordo è stato fatto saltare nel 2018 proprio da Trump, all’epoca del suo primo mandato.

In tutto questo ci si dimentica poi, molto opportunamente, che invece è Israele a possedere un arsenale di almeno 90 testate nucleari, sebbene non lo abbia mai ammesso ufficialmente. Si è fatto molto chiasso sulle inadempienze dell’Iran circa le ispezioni dell’AIEA nei suoi siti nucleari, ma Israele non ha mai consentito agli ispettori dell’AIEA di accedere al grande sito di Dimona, che produce plutonio per uso militare, e nemmeno ha mai sottoscritto, a differenza dell’Iran, il Trattato di non proliferazione nucleare.

L’aggressione israeliana

Le vere cause della guerra vanno cercate non nel programma nucleare iraniano, bensì nelle relazioni USA-Israele. Nelle settimane precedenti, infatti, Trump aveva abbondantemente dimostrato come la sua linea “America First” si traducesse in Medio Oriente nel fatto che gli interessi americani venivano prima anche di quelli israeliani.

Il presidente americano aveva infatti compiuto una serie di passi scavalcando apertamente Netanyahu:

• Aveva siglato un accordo con gli houthi dello Yemen, che metteva al sicuro le navi americane ma non quelle israeliane.

• Aveva revocato le sanzioni contro la Siria, garantendo così il proprio appoggio al nuovo regime di Damasco, che è controllato dalla Turchia e avversato da Israele.

• Soprattutto aveva avviato nuove trattative proprio con l’Iran sul nucleare, tramite la mediazione dell’Oman.

Tutte queste mosse sono risultate oltremodo sgradite a Netanyahu, che ha lanciato l’attacco contro l’Iran soprattutto con l’obiettivo di costringere gli USA ad allinearsi nuovamente con Israele. Non è un caso che i bombardamenti siano iniziati il 13 giugno, due giorni prima di una nuova tornata di colloqui tra i rappresentanti iraniani e americani in Oman, facendo saltare le trattative.

Inizialmente il calcolo di Netanyahu ha funzionato. Come in tutte le occasioni precedenti, il “mondo libero” si è allineato compatto a sostegno dell’ennesima aggressione israeliana. Trump ha garantito pieno appoggio militare, diplomatico e politico a Israele, come aveva sempre fatto Biden prima di lui. Anche i governi europei, che pure in tutta la vicenda hanno giocato un ruolo del tutto marginale, hanno sì espresso “grande preoccupazione”, hanno parlato di “de-escalation”, di far ripartire i negoziati, ecc., ma alla fine si sono schierati dalla parte di Netanyahu sul presupposto che “Israele ha il diritto di difendersi” – un diritto che evidentemente appartiene solo agli israeliani e di cui sfortunatamente non godono i palestinesi, né il Libano o la Siria, tantomeno l’Iran. Anche Giorgia Meloni si è sentita in dovere di telefonare a Netanyahu per assicurargli che “l’Iran non può avere armi nucleari”.

Il motivo di questa levata di scudi dei governi e della stampa occidentali è presto detto: l’Iran non appartiene al blocco imperialista guidato dagli USA; è un paese importante che in Medio Oriente persegue i propri interessi, ha la sua sfera di influenza e soprattutto è un alleato chiave della Russia e della Cina. Ogni colpo inferto da Netanyahu contro l’Iran e i suoi alleati (Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, Assad in Siria, gli Houthi in Yemen…) favorisce quindi gli interessi dell’imperialismo occidentale e ridimensiona l’influenza nella regione delle potenze rivali degli Stati Uniti. Questo è il vero motivo per cui la politica spregiudicata e criminale di Netanyahu alla fine viene sempre avallata sia dagli USA che dalle classi dominanti europee. Chi si è avvicinato più al vero è stato involontariamente il cancelliere tedesco Merz, il quale ha ammesso che “Israele sta facendo il lavoro sporco al posto nostro”.

“Regime change”

Sull’onda dei successi iniziali israeliani, in USA e in Europa si è iniziato a parlare di “regime change” per portare la democrazia in Iran. Sicuramente l’imperialismo americano ha una grande tradizione di “esportazione della democrazia” attraverso aggressioni militari. Ne sanno qualcosa i popoli dell’Afghanistan, dell’Iraq e della Libia, che hanno sperimentato sulla loro pelle la democrazia d’esportazione a stelle e strisce.

Su questo punto chiariamo fin da subito che, per quanto ci riguarda, il regime iraniano è totalmente reazionario e proprio per questo abbiamo sostenuto tutte le mobilitazioni delle masse iraniane che nel corso degli anni si sono sviluppate contro di esso. Ci basti ricordare che gli ayatollah hanno schiacciato la rivoluzione iraniana del 1979 e massacrato migliaia di membri del Tudeh, il partito comunista iraniano.

Ciò detto, non si può prendere in considerazione nemmeno per un istante l’idea di affidare la lotta contro il regime di Teheran ai missili di Trump e Netanyahu. Il compito di rovesciare il regime spetta alla classe lavoratrice iraniana e a nessun altro. Il nostro compito qua, nei paesi occidentali, è invece quello di lottare contro i crimini imperialisti degli USA, di Israele e dei loro lacchè europei.

I bombardamenti israelo-americani, peraltro, hanno ottenuto l’effetto opposto a quello sperato, compattando la popolazione attorno al regime contro l’aggressione esterna. Le manifestazioni di massa a Teheran non hanno rivendicato i diritti delle donne e diritti democratici (come nel 2022-23 dopo la morte di Mahsa Amini), ma hanno invocato la vendetta contro gli USA e Israele. Persino l’opposizione iraniana all’estero, legata a doppio (e triplo) filo all’imperialismo occidentale, è stata costretta a condannare gli attacchi stranieri per mantenere un minimo di credibilità tra la popolazione.

I missili iraniani

L’andamento della guerra sul campo non è stato così favorevole alle armi israeliane come lo hanno dipinto i presunti esperti e gli analisti in Occidente. Rispetto ad Hamas e ad Hezbollah, l’Iran si è rivelato una noce più dura da rompere per l’IDF. Certamente l’esercito israeliano, grazie alle forniture di armamenti avanzati statunitensi, può godere di una netta superiorità militare, ma è senza dubbio più semplice dimostrare tale superiorità sparando sui civili inermi a Gaza piuttosto che intercettando i missili lanciati dall’Iran.

Il sistema di difesa anti-missile israeliano, il tanto celebrato “Iron Dome”, si è dimostrato tutt’altro che impenetrabile. Nonostante le forze militari USA abbiano attivamente cooperato nella difesa dei cieli israeliani, i missili iraniani sono riusciti a bucare più volte lo scudo e a raggiungere Tel Aviv, Haifa e altre città importanti, distruggendo edifici, colpendo installazioni militari e provocando morti e feriti.

La situazione si è fatta ancora più critica nel momento in cui Israele ha visto rapidamente assottigliarsi le sue scorte di missili intercettori ed è stata costretta a concentrare le proprie difese aeree sulle infrastrutture militari, lasciando maggiormente sguarnite le città.

L’intervento americano

Anche il bombardamento americano su Fordow del 22 giugno è stato sì molto spettacolare, ma non altrettanto risolutivo. Ci sono molti dubbi sui danni effettivi provocati ai bunker sotterranei e, a quanto pare, gli iraniani hanno avuto il tempo di portare via le loro scorte di uranio prima dell’attacco.

Soprattutto è stata un’azione isolata che Trump ha utilizzato non per allargare il conflitto, come Netanyahu avrebbe voluto, ma per concluderlo. Si è affrettato a cantare vittoria, sostenendo che il programma nucleare iraniano era stato “annientato” e che non ci sarebbero stati altri bombardamenti. La ritorsione iraniana, con l’attacco missilistico contro la base americana di Al Udeid in Qatar, è stata “telefonata” – gli americani sono stati informati in anticipo e non ci sono state vittime – e subito dopo è seguita la tregua. Tutto questo ha reso evidente che erano nel frattempo intercorsi accordi sottobanco, con la mediazione del Qatar e probabilmente anche della Russia. Guarda caso, quando il governo israeliano ha provato a far saltare il cessate il fuoco a poche ore dalla sua entrata in vigore, è stato aspramente e platealmente rimbrottato dallo stesso Trump.

La verità è che, dopo le catastrofiche esperienze in Iraq e Afghanistan, la maggioranza della popolazione e anche della classe dominante americana è contraria a impegnare gli USA in una guerra regionale a tutto campo in Medio Oriente, che avrebbe conseguenze imprevedibili. Una cosa è fornire copertura alle nefandezze israeliane, ben diverso è impelagare l’esercito americano in una guerra di lunga durata con l’Iran. Trump ha basato buona parte del suo consenso proprio sulla promessa di mettere fine alle avventure militari e, se non avesse agito così, si sarebbe trovato in contrasto persino con la base reazionaria del MAGA, anch’essa contraria a nuove guerre mediorientali.

Missione compiuta?

Trump e Netanyahu hanno celebrato in maniera davvero tronfia i loro successi militari, parlando di operazioni “senza precedenti nella storia”, di “vittorie monumentali”, ecc. Tuttavia valutazioni più sobrie raccontano una storia diversa. Persino secondo il Pentagono, il programma nucleare iraniano è stato tutt’al più ritardato di alcuni mesi.

Al di là di questo, quel che conta è che il regime iraniano, che fino ad oggi non aveva la bomba atomica ed era disposto a trovare un accordo con gli USA sul nucleare civile, dopo gli attacchi subiti farà di tutto per dotarsi di vere testate nucleari, nella convinzione che un’effettiva deterrenza atomica è il modo migliore per evitare di subire nuove aggressioni. Lo ha spiegato Foad Izadim, professore di relazioni internazionali dell’Università di Teheran: “Credo che questa guerra unirà l’Iran e forse lo porterà a cambiare la sua dottrina nucleare. La Repubblica islamica non può più fidarsi degli Stati Uniti in un eventuale negoziato sul nucleare. C’è molta pressione da parte dell’opinione pubblica sulla necessità che il paese abbia un’arma atomica, perché se l’Iran avesse un’arma atomica, non ci sarebbero stati più di 500 civili uccisi.”

Questa guerra ha inoltre dimostrato una volta di più tutta la falsità della propaganda della classe dominante sionista, che giustifica tutte le sue atrocità con la promessa di proteggere la sicurezza degli ebrei. In realtà, come hanno dimostrato gli attacchi missilistici iraniani, il cinismo e le avventure militari di Netanyahu hanno portato la guerra fin dentro le città israeliane.

Pace attraverso la forza?

Una fragile tregua è stata raggiunta, ma finché Israele e i suoi alleati imperialisti mantengono la loro presa sulla regione, non sarà possibile arrivare a un accordo di pace durevole. È bene ricordare che dal 7 ottobre 2023 a oggi, più di una volta sono state raggiunte delle tregue (a Gaza, in Libano, in Yemen…), ma nei fatti queste tregue non sono state altro che una breve pausa tra un’offensiva israeliana e l’altra. Non dimentichiamo che il massacro a Gaza continua e anche gli altri fronti del conflitto (Libano, Cisgiordania, Siria) rimangono aperti.

È inaccettabile che la guerra e la pace, la vita e la morte dei popoli mediorientali siano determinate da come Trump si alza al mattino, se quel giorno riterrà più utile per gli interessi imperialisti americani togliere il guinzaglio a Netanyahu oppure rimetterglielo.

In questo contesto i generici appelli alla pace servono meno di niente. La verità è che, per riportare la pace in Medio Oriente, di un “cambio di regime” ci sarebbe bisogno – ma per via rivoluzionaria – prima di tutto negli USA, in Europa e in Israele. Solo in questo modo si potrebbe porre fine alle politiche guerrafondaie, liberare il Medio Oriente dalle ingerenze nefaste dell’imperialismo occidentale e aprire la strada a una nuova epoca di convivenza tra i diversi popoli della regione.

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