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La guerra civile in Sudan – le conseguenze devastanti della controrivoluzione

di Joe Attard (da www.marxist.com)

Il Sudan sta sanguinando a morte. Dal 2023, almeno 150mila persone sono state uccise e ci sono 12 milioni di sfollati a causa di una guerra civile tra due eserciti controrivoluzionari, entrambi responsabili di atrocità ed appoggiati entrambi dalle diverse potenze straniere, desiderose di avere la propria fetta di questa nazione africana ricca di minerali e di rilevanza strategica.

Nel 2011 [anno della proclamazione dell’indipendenza del Sudan del Sud, Ndt], il paese venne fatto a pezzi dopo decenni di un conflitto sanguinoso. Oggi si prepara ad essere ulteriormente diviso in un’aspra lotta tra le “ufficiali” Forze Armate Sudanesi (SAF), comandate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le truppe paramilitari delle Rapid Support Forces (RSF), sotto il comando di Muhammad Hamdan Dagalo Musa, anche noto come Hemedti. Questi due tagliagole, che cooperarono per affogare la rivoluzione sudanese nel sangue, si stanno combattendo adesso l’uno con l’altro per impadronirsi del bottino.

Mentre scriviamo queste parole, la regione del Darfur Occidentale, in particolare, sta vivendo una barbarie inimmaginabile. Bande di miliziani ammazzano, stuprano e saccheggiano ovunque vadano. La portata della distruzione causata è letteralmente visibile dallo spazio. Nel frattempo, le SAF (presentate nei media occidentali come la forza più “rispettabile”) stanno bombardando in maniera indiscriminata e stanno deliberatamente affamando la popolazione civile. Come si è arrivati a questo incubo?

Orrore senza fine

La causa immediata di questa catastrofe è la sconfitta della rivoluzione che si sviluppò in Sudan tra il 2018 e il 2021. Ma le origini della rivoluzione e della controrivoluzione sono a propria volta legate allo sfortunato destino del Sudan, quello di essere un paese ricco di risorse situato tra il Medio Oriente e l’Africa Subsahariana, con accesso sia al Nilo che al Mar Rosso. Questo ha messo il paese al centro di uno scontro predatorio tra differenti interessi capitalistici.

Il Sudan era in passato una colonia della Gran Bretagna e dell’Egitto e la prima dei due utilizzò la sua tipica politica di “divide et impera” per mantenere il potere. L’imperialismo britannico alimentò deliberatamente le tensioni tra i 19 principali gruppi tribali del Sudan, i 597 sotto-gruppi etnici e i più di 100 gruppi linguistici e, in particolare, si appoggiò sugli arabi musulmani nel nord del paese contro la popolazione nera cristiana e animista nel sud.

Per gran parte della sua storia, dopo aver ottenuto l’indipendenza formale negli anni ’50, il Sudan è stato governato da una casta di ufficiali dell’esercito, che hanno sfruttato le proprie posizioni per arricchirsi e hanno continuato ad utilizzare la demagogia razzista per dividere la popolazione. Le SAF sono intimamente legate al capitalismo britannico: detengono le azioni di maggioranza nella banca centrale, possiedono enormi proprietà e i loro tentacoli si estendono nei vari interessi economici che estraggono grandi profitti dalle abbondati riserve di petrolio e oro del Sudan.

Negli anni Duemila, scoppiò una crisi nella regione del Darfur, durante la quale i ribelli non-arabi si sollevarono contro il governo di Khartum. Il regime del generale Omar Al-Bashir a Khartum inviò le milizie tribali Janjaweed [i “demoni a cavallo”, Ndt] a difesa del governo centrale. Queste forze, costituite da nomadi arabizzati sotto il comando di Hemedti (che appartiene egli stesso al gruppo nomade dei rezeigat) erano conosciuti per la loro brutalità e scatenarono il terrore genocida contro i non-arabi. Questi mercenari arretrati vennero ufficialmente inquadrati con il nome di Rapid Support Forces da Al-Bashir nel 2013.

Da allora, Hemedti trasse vantaggio dalla propria posizione a capo di questo influente gruppo paramilitare per accentrare un grande potere politico ed economico. La sua forza nelle regioni tribali al confine gli ha permesso di arricchirsi con il contrabbando delle immense risorse aurifere del Sudan, di cui si stima che il 95% venga esportato illegalmente. Si è garantito anche il controllo sulle miniere d’oro di Jebel Amir nell’ovest del paese, in cambio del suo lavoro sanguinario nel Darfur. Ha ottenuto ricchezze e influenza ancora maggiori offrendo le proprie forze agli Emirati Arabi Uniti nella guerra contro gli Houthi in Yemen dopo il 2018.

Quando scoppiò la rivoluzione sudanese nel 2018, Hemedti giocò un ruolo chiave nella controrivoluzione. Preparò il terreno coltivando il consenso tra le tribù arretrate e i capi tradizionali nel paese, che temevano (correttamente) che le aspirazioni democratiche della rivoluzione avrebbero minacciato la loro posizione.

Dal momento che esisteva una certa simpatia nella base delle forze armate regolari per la rivoluzione, le milizie RSF di Hemedti funsero da spada della controrivoluzione, massacrando gli accampamenti fuori dal quartier generale dell’esercito a Khartum nel 2019.

Hemedti è un assassino senza scrupoli. Ma è anche un politico ambizioso che non gode della piena fiducia della casta militare dominante che lo ha assunto come proprio mastino. Avendo giocato un ruolo cruciale nella controrivoluzione e con un esercito stimato di 100mila soldati a propria disposizione, Hemedti si è sentito abbastanza forte per fare la propria mossa contro il suo precedente alleato Al-Burhan.

La guerra civile

Nell’aprile del 2023, le RSF lanciarono una guerra lampo durante la quale si impadronirono di gran parte di Khartum, presero l’aeroporto, attaccarono le basi militari e costrinsero Al-Burhan a ritirarsi a Port Sudan. Hemedti si dedicò poi ad un tour diplomatico in Africa, presentandosi come il nuovo governatore del paese, alla ricerca di alleanze. Un accordo di cessate il fuoco negoziato da Stati Uniti e Arabia Saudita a Jeddah a maggio venne presto disatteso e le promesse di proteggere i civili vennero ripetutamente infrante, mentre entrambe le fazioni commettevano atrocità.

Nel marzo 2025, dopo le sconfitte iniziali, le SAF si riassestarono, rioccuparono la capitale e gran parte della regione attorno a Khartum. Questa “liberazione” fu una vittoria di Pirro per eccellenza. I ministeri del governo, le banche, gli uffici e gli ospedali erano tutti stati demoliti dagli attacchi aerei e dal fuoco di artiglieria. Le dimensioni di questa distruzione totale sono visibili dalle immagini satellitari, che ricordano quelle della Striscia di Gaza dopo la guerra genocida dell’esercito israeliano.

Le RSF hanno reindirizzato i propri sforzi nella regione del Darfur, che ormai controllano quasi del tutto. E questo nonostante le SAF abbiano effettuato pesanti bombardamenti aerei nel Darfur per tutta la guerra, uccidendo moltissimi civili. Ad aprile del 2025, le RSF hanno messo vari gruppi ribelli e tribali sotto il proprio controllo e hanno dichiarato un regime parallelo (con il nome orwelliano di “Governo della Pace e dell’Unità”), che rivendica l’intero paese.

Il 26 ottobre, El-Fasher, la città più grande nel Sudan occidentale e ultima roccaforte delle SAF nella regione, è caduta in mano alle forze delle RSF. I civili intrappolati là dentro hanno patito la carestia e bombardamenti quotidiani durante un assedio di 18 mesi, con il timore che le RSF avrebbero causato un bagno di sangue se la città fosse caduta. In precedenza, le forze di Hemedti avevano sterminato in un’operazione di pulizia etnica la popolazione masalit nella città di Geneina nel Darfur.

Infatti, come era prevedibile, quando alla fine le SAF si sono ritirate da El-Fasher in una fuga disordinata, le RSF hanno sottoposto i 200mila civili intrappolati nelle mura della città ad un’orgia di omicidi, stupri e saccheggi.

Almeno 36mila persone sono fuggite e di molte altre di cui non si ha alcuna notizia. Sono state postate sui social media decine di video da parte degli stessi paramilitari delle RSF, che li ritraggono mentre massacrano senza pietà i civili, prendendo di mira i non-arabi. Coloro che sono riusciti a scappare raccontano che i loro familiari sono stati fucilati al loro cospetto ed che è stato loro ordinato di seppellirne i corpi a mani nude. Molti dei sopravvissuti vengono tenuti in ostaggio in attesa di un riscatto.

Il vicino campo profughi di Zamzam è sovrappopolato e affamato e la situazione viene peggiorata dagli attacchi mirati e dai saccheggi delle RSF. Allo stesso tempo, i funzionari a servizio delle SAF a Port Sudan hanno ritardato le spedizioni verso le zone controllate dalle RSF, inasprendo la carestia in queste regioni. Nonostante questo, il ministro dell’agricoltura del Sudan Abubakr al-Bushra ha dichiarato che “non esiste alcuna carestia”!

Il prossimo obiettivo di Hemedti è El-Obeid, la capitale ricca di petrolio dello Stato del Kordofan del Nord, dove si sono rifugiate almeno 137mila persone. Il 25 ottobre, le RSF hanno annunciato di aver riconquistato Bara, a solo 59 chilometri di distanza, da cui hanno lanciato attacchi aerei e di artiglieria contro la città. Le RSF si stanno preparando ad assediare El-Obeid, che rappresenta uno snodo strategico tra il Darfur e Khartum. Se dovesse essere catturata, le SAF perderebbero anche la fondamentale zona cuscinetto tra Khartum e il territorio delle RSF, oltre al fatto che ulteriori massacri sarebbero inevitabile.

In breve, nessuna delle parti è disposta ad accettare la fine del conflitto sulla base degli attuali rapporti di forza, né è in grado di imporre le proprie condizioni. Il 6 novembre le RSF hanno accettato un cessate il fuoco di tre mesi proposto dagli Stati Uniti per permettere l’ingresso degli aiuti umanitari, ma le SAF lo hanno rifiutato. Le RSF hanno lanciato allora un attacco con i droni su Khartum il giorno seguente. Le masse sudanesi sono intrappolate in una letale guerra di logoramento tra due bande di criminali sanguinari. E quando tutto finirà, è assicurato loro un governo di dittatura militare.

Le Nazioni Unite affermano che un quinto della popolazione del paese è stata cacciata dalle proprie case e che la metà, circa 21 milioni di persone, stanno vivendo una situazione di insicurezza alimentare potenzialmente mortale. Il Sudan sta attraversando al momento la sua terza guerra civile e il suo secondo genocidio dall’indipendenza. Questa situazione è l’esempio più lampante di un orrore senza fine.

Le potenze predatorie

Il disastro che sta avvenendo in Sudan viene alimentato dalle diverse potenze straniere. Il principale alleato di Hemedti sono gli Emirati Arabi Uniti, con cui ha intrattenuto una stretta collaborazione fin da quando ha mandato le truppe delle RSF come rinforzi nella guerra in Yemen.

Gli EAU stanno consistentemente aumentando la propria influenza in Africa nell’ultimo periodo. Sono il quarto investitore in Africa per investimenti diretti esteri, dopo Stati Uniti, Cina e Unione Europea e sono il primo investitore nel continente in quanto a nuovi progetti di impresa. Inoltre, gli EAU sono di gran lunga il principale acquirente di oro africano, incluso l’oro esportato illegalmente dalle miniere controllate da milizie reazionarie come le RSF.

Si sospetta che gli EAU siano il principale fornitore di armi per le RSF, per mezzo di traffici ombra che vengono fatti passare per il Ciad, la Libia e il Sud Sudan. I droni prodotti dagli EAU hanno aiutato le RSF a contrastare la superiorità aerea delle SAF e a minacciare roccaforti in precedenza considerate sicure come Port Sudan.

Dall’altro lato, il principale sostenitore delle SAF è la dittatura militare di Abdel Fattah al-Sisi in Egitto, che condivide con il Sudan un’importante rotta commerciale lungo il Nilo. La Cina ha mantenuto un approccio relativamente distaccato, appoggiando in linea di principio il governo centrale, ma cercando di posizionarsi come mediatore. Il Sudan è una parte importante della Nuova Via della Seta cinese ed è in debito di 2,5 miliardi di dollari nei confronti delle banche cinesi, che dovrebbe ripagare con carichi di petrolio. Da questo deriva il desiderio di Pechino di un ritorno alla “stabilità”.

Anche i sauditi hanno appoggiato Al-Burhan, così come la Turchia e l’Iran, che hanno fornito droni alle SAF. La Russia aveva in precedenza mandato i paramilitari della Wagner ad addestrare le RSF in cambio di oro per aiutare a finanziare la guerra in Ucraina. Ma Putin ha cambiato tattica nel 2024, firmando un accordo con Al-Burhan per costruire una base navale nella costa del Sudan che si affaccia sul Mar Rosso. Questo servirà a mantenere un punto di appoggio russo nella regione dopo la caduta del regime di Assad in Siria.

Il governo centrale di Al-Burhan gode del tacito supporto dell’imperialismo americano e della cosiddetta “comunità internazionale”. La stampa occidentale solo adesso sta cominciando davvero a prestare attenzione agli orrori che accadono in Sudan, concentrandosi per lo più sui crimini delle RSF.

In primo luogo, dobbiamo dire chiaramente che anche Al-Burhan sta commettendo crimini di guerra e che fino a poco tempo fa era in combutta con Hemedti. E, in secondo luogo, in tutta questa guerra possono essere rintracciate le impronte insanguinate delle cosiddette democrazie occidentali.

L’imperialismo occidentale ha attivamente favorito la secessione del Sud Sudan nel 2011 al fine di impadronirsi delle riserve petrolifere del paese e tagliare la strada alla crescente influenza cinese nella regione. Il risultato è stato una sanguinosa guerra civile all’interno del nuovo Stato e una crisi economica da entrambi i lati del confine. Anche gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno collaborato nella guerra contro gli Houthi in Yemen, che ha fornito miliardi di dollari alle RSF.

Peraltro, uno dei modi con cui Hemedti è stato capace di costruire la propria forza è stato attraverso il “Processo di Khartum” dell’Unione Europea, nel corso del quale le sue RSF sono state letteralmente messe a busta paga e addestrate per fare da guardie di confine, per impedire ai profughi disperati di fuggire in Europa attraverso la Libia. Questa iniziativa si è conclusa solo nel 2023, quando cominciò la guerra civile. Persino nel mezzo della sanguinosa repressione della rivoluzione in Sudan, l’Unione Europea ha continuato ad appoggiare le RSF.

Il ruolo criminale del vecchio padrone coloniale del Sudan, l’imperialismo britannico, merita una menzione speciale. La Gran Bretagna è il cosiddetto “penholder” (portapenna, Ndt) del Sudan, che significa che le viene delegata la responsabilità diplomatica del paese da parte dell’Onu. Tuttavia, invece che utilizzare questa posizione per portare avanti gli interessi del Sudan, l’imperialismo britannico ha perseguito senza scrupoli i propri interessi sui cadaveri di innumerevoli civili.

Fino ad adesso, l’unica volta che la stampa borghese aveva menzionato il Sudan era stato per attaccare cinicamente il presunto “doppiopesismo” del movimento di solidarietà per la Palestina. Per esempio, un articolo sul giornale di destra Telegraph a firma di Lara Brown, intitolato “Perché le masse dell’Intifada tacciono sul Sudan?” afferma che il paese “potrebbe star vivendo un vero genocidio”. Tuttavia, osserva:

Quando passeggio per Whitehall [la strada dove è situato il palazzo del governo britannico, Ndt], non c’è quasi nulla per il Sudan. I marciapiedi fuori dal civico numero 10 sono ancora dominati da attivisti filo-palestinesi e da studenti con la kefiah.

Continua dicendo:

Gli attivisti hanno passato due anni a sfilare in strada ogni sabato, lamentandosi di un presunto genocidio a Gaza. E invece in Sudan c’è una guerra civile che infuria da decenni e non sembra importare a nessuno […]. Anche ai progressisti piace trasformare le guerre all’estero in battaglie per procura interne alla politica britannica.

Prima di tutto, non sono i “progressisti”, ma gli imperialisti inglesi che hanno ignorato il disastro che si sta svolgendo in Sudan. Come rivelato dal Guardian, la Gran Bretagna era informata del fatto che c’era un genocidio incombente a El-Fasher già nei primi sei mesi dell’assedio, ma ha optato per il piano “meno ambizioso” di proteggere i civili sudanesi.

In realtà, la Gran Bretagna non ha fatto proprio niente. Questo ha spinto Shayna Lewis, un’esperta di Sudan che lavora per l’organizzazione statunitense per i diritti umani Paema (acronimo inglese che sta per Prevenire e Fermare i Massacri di Massa) a descrivere il governo britannico come “complice nel genocidio in corso della popolazione del Darfur”.

In secondo luogo, i genocidi a Gaza e in Sudan hanno tantissimo a che vedere con la politica britannica, perché il governo britannico sta fornendo armi ad entrambi. Non è un segreto che la Gran Bretagna invii armi e altre forniture militari alla macchina bellica di Israele. Ma come è stato rivelato da un’inchiesta, la Gran Bretagna sta vendendo armi agli EAU pur sapendo benissimo che esse finiranno nelle mani delle RSF nelle zone dei massacri in Sudan, in barba alla legge internazionale.

Secondo documenti visionati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dispositivi di mira per armi di piccolo calibro e motori per blindati per il trasporto di truppe prodotti in Gran Bretagna sono stati ritrovati nelle zone di conflitto a Khartum e nella limitrofa città di Omdurman. La Gran Bretagna ha anche condotto negoziati segreti con le RSF e avrebbe fatto pressione sui diplomatici di nazioni africane alleate per non criticare apertamente gli Emirati nel corso dei negoziati per il cessate il fuoco.

Esattamente come Israele è un importante alleato geopolitico in Medio Oriente, che gli imperialisti non hanno intenzione di abbandonare, non importa quanto terribili siano i suoi crimini, la Gran Bretagna ha importanti interessi commerciali e strategici legati agli EAU. Nel 2013, l’allora primo ministro conservatore David Cameron creò un’unità segreta a Whitehall al solo scopo di attirare investimenti da parte degli sceicchi ricchi di petrolio. Questa politica è stata continuata diligentemente dal Partito Laburista di Keir Starmer.

Le vite dei sudanesi sono un piccolo prezzo da pagare per proteggere gli interessi capitalistici della Gran Bretagna. Così, quando un qualsiasi apologeta di Israele in Gran Bretagna o altrove, osa sfruttare la tragedia del Sudan per distogliere l’attenzione dai crimini dell’IDF, dobbiamo smascherare questo disgustoso cinismo. Noi diciamo a questi avvoltoi: tenete il popolo sudanese lontano dalle vostre menzogne!

L’imperialismo americano sta anch’esso chiudendo un occhio sul ruolo degli EAU nell’alimentare il conflitto, perché fa affidamento sugli emirati per controbilanciare l’influenza cinese nella regione. Sia la Gran Bretagna che gli Stati Uniti in sostanza sostengono entrambe le parti in contesa.

L’ONU è il solito fallimento. La Corte Internazionale di Giustizia si è rifiutata di stabilire se le RSF stiano commettendo un genocidio, visto che il Sudan non rientra nella sua giurisdizione. Così, persino un gesto simbolico sul piano legale è al di là delle possibilità dell’organismo più elevato del diritto internazionale.

Il Sudan dalla rivoluzione alla controrivoluzione

Prima della guerra, il Sudan era già uno dei paesi più poveri al mondo, nonostante le proprie immense risorse naturali. Nel 2022, 46 milioni di persone vivevano con un reddito annuale medio di 750 dollari (647 euro).

Questo conflitto ha di gran lunga peggiorato la situazione. Lo scorso anno, il ministro delle Finanze sudanese ha detto che le entrate dello Stato si sono ridotte dell’80%. L’economia è complessivamente crollata del 40%. Queste difficoltà economiche si sommano al terribile costo in termini di vite umane causato dalla guerra.

Le sofferenze del popolo sudanese oggi sono proporzionali alla forza della loro rivoluzione. Più di una volta, il potere è stato a portata di mano. Gli scioperi generali del 2019 ebbero una adesione quasi totale nella capitale e paralizzarono il paese. Per mezzo dei loro comitati di resistenza nei quartieri, svilupparono l’embrione del potere operaio. Sarebbe bastato che la rivoluzione si proclamasse come nuovo governo e arrestasse i generali, organizzando la fraternizzazione tra la rivoluzione e i ranghi inferiori delle forze armate per preparare le masse allo scontro finale.

Ma come Trotskij osservò all’inizio della Rivoluzione Spagnola, anche le condizioni più favorevoli per la vittoria possono essere mandate in fumo da una direzione inadeguata. Le masse sudanesi non erano guidate da un partito bolscevico con la prospettiva di prendere il potere e costruire il socialismo, bensì da una accozzaglia di liberali, pacifisti e nazionalisti, molti dei quali sotto l’influenza delle ONG occidentali, che si limitarono a “negoziare” con i generali la transizione democratica. I generali non dovettero far altro che prendere tempo, in attesa dell’occasione buona per contrattaccare.

Le masse sudanesi vennero lasciate indifese di fronte alle forze della reazione. Nel tentativo di sventare una guerra civile tra le forze della rivoluzione e della controrivoluzione, la leadership liberale facilitò l’inizio di una guerra civile all’interno della controrivoluzione, mentre la rivoluzione venne liquidata, insieme con tutte le organizzazioni dei lavoratori e dei giovani. Questo condannò il Sudan ad un periodo di barbarie. Quando durerà non possiamo saperlo. L’eventuale risveglio della rivoluzione al momento dipenderà quasi sicuramente dalle spinte provenienti dall’esterno del paese e dalla classe operaia egiziana che, essendo la più avanzata nella regione, potrebbe giocare un ruolo cruciale.

Nonostante le attuali condizioni di reazione imperante, la lotta eroica delle masse sudanesi mostra l’immenso potenziale rivoluzionario che esiste in tutto il mondo. Vediamo manifestarsi questo potenziale ancora una volta nell’ondata insurrezionale che sta attraversando l’Asia e l’Africa proprio mentre scriviamo. Per questa nuova generazione di combattenti della classe lavoratrice, il Sudan rappresenta un avvertimento fatale: la rivoluzione non può essere lasciata a metà.

I liberali spinti alla testa della rivoluzione sudanese hanno rivelato la propria totale impotenza nell’ottenere un governo democratico e hanno tradito le masse. L’unica forza, oggi come allora, capace di conquistare la democrazia e un’esistenza degna per il popolo sudanese sono i lavoratori, i giovani e i poveri organizzati in comitati di resistenza.

Tutto quello che è mancato nel 2018-2021 è stato un partito che ascoltasse il desiderio delle masse di portare la rivoluzione fino alla sua conclusione. Questo avrebbe ispirato enormemente le masse in tutta l’Africa e il Medio Oriente, diventando la scintilla di un movimento rivoluzionario più ampio per sradicare il capitalismo dall’intera regione.

Per citare ancora una volta Trotskij, le condizioni per la vittoria di qualsiasi rivoluzione futura sono tre: un partito, ancora un partito e di nuovo un partito!

10 novembre 2025

 

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