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La curva dello sviluppo capitalistico

Scritto nel 1923, questo breve ma fondamentale testo di Trotskij affronta da un punto di vista teorico il problema delle diverse fasi storiche dell’evoluzione del capitalismo e della connessione tra queste e il “normale” ciclo capitalista di boom-recessione.

 

di Lev Trotskij

 

Nella sua introduzione al lavoro di Marx Le lotte di classe in Francia, Engels scrisse:

Nel giudicare avvenimenti e serie di avvenimenti della storia contemporanea non si sarà mai in condizione di risalire sino alle cause economiche ultime. Persino oggi, che la stampa tecnica specializzata fornisce un materiale così ricco, non è possibile nemmeno in Inghilterra seguire giorno per giorno il corso dell’industria e del commercio sul mercato mondiale e i mutamenti che sopravvengono nei metodi di produzione, in modo da poter in qualsiasi momento fare il bilancio generale di questi fattori multiformi, complessi e in continua mutazione, fattori di cui i più importanti, inoltre, agiscono a lungo e in modo latente prima di erompere improvvisamente e violentemente alla superficie. Una netta visione della storia economica di un periodo determinato non può mai formarsi contemporaneamente, ma soltanto successivamente, dopo che sia stato raccolto e studiato il materiale. La statistica è qui un ausiliare necessario ed arriva sempre in ritardo. Per la storia contemporanea corrente si è quindi costretti anche troppo spesso a considerare questo fattore, che è il più decisivo, come costante, ad assumere come data e immutabile per l’intero periodo la situazione che si riscontra all’inizio del periodo considerato, o a prendere in considerazione soltanto quei mutamenti di questa situazione che sgorgano da avvenimenti che sono manifesti e che perciò si presentano essi pure in modo aperto. Il metodo materialista dovrà perciò limitarsi anche troppo spesso a ricondurre i conflitti politici a lotte di interessi delle classi sociali e delle frazioni di classe preesistenti, determinate dall’evoluzione economica, e a ravvisare nei singoli partiti politici l’espressione politica più o meno adeguata di queste stesse classi o frazioni di classe.

È evidente che tale inevitabile negligenza di quei mutamenti della situazione economica – base vera di tutti gli avvenimenti che si devono indagare – che si producono durante gli avvenimenti stessi, non può essere che una fonte di errori.

Queste idee, formulate da Engels poco prima della morte, non furono ulteriormente sviluppate da nessuno dopo di lui. Da quanto ho letto, sono anche citate di rado, molto più di rado di quanto meriterebbero. Ancor di più, il loro significato sembra essere sfuggito a molti marxisti. La spiegazione di questo fatto è da trovarsi ancora una volta nelle cause indicate da Engels, che limitano ogni tipo di interpretazione fatta e finita economica della storia contemporanea.

È un compito molto difficile, impossibile da realizzarsi in tutta la sua interezza, determinare quegli impulsi sotterranei che l’economia trasmette alla politica al giorno d’oggi; ma la spiegazione dei fenomeni politici non può essere rimandata, perché la lotta non può aspettare. Da questo deriva la necessità di recuperare nell’attività politica quotidiana spiegazioni che sono così generali da trasformarsi, attraverso il loro continuo utilizzo, in luoghi comuni.

Finché la politica continua a scorrere nelle stesse forme, fra le stesse rive e più o meno alla stessa velocità, ovvero finché l’accumulazione di quantità economica non dà luogo a cambiamenti di qualità politica, questo tipo di astrazione chiarificatrice (“gli interessi della borghesia”, “l’imperialismo”, “il fascismo”) adempie tutto sommato al suo scopo: non interpretare un fatto politico in tutte le sue manifestazioni concrete, ma ridurlo a un tipo sociale familiare, il che è, naturalmente, di inestimabile importanza.

Ma quando si dà un profondo cambiamento della situazione, soprattutto con una svolta brusca, queste spiegazioni generali si rivelano del tutto inadeguate, trasformandosi in vuote ovvietà. In questi casi è invariabilmente necessario scavare analiticamente molto più in profondità per determinare gli aspetti qualitativi, e se possibile anche per misurare quantitativamente gli impulsi dell’economia sulla politica. Questi “impulsi” rappresentano la forma dialettica dei “compiti” che nascono nel fondamento dinamico e la cui soluzione è rimessa per la soluzione alla sfera della sovrastruttura.

Le oscillazioni della congiuntura economica (boom-recessione-boom) già di per sé indicano impulsi periodici che danno luogo ora a cambiamenti quantitativi, ora qualitativi, e a nuove formazioni nel campo della politica. I redditi delle classi possidenti, il bilancio dello Stato, i salari, la disoccupazione, l’entità del commercio con l’estero ecc., sono strettamente legati alla congiuntura economica, e a loro volta esercitano un’influenza molto diretta sulla politica. Già questo basta per farci capire quanto sia importante e fruttuoso seguire passo passo la storia dei partiti politici, delle istituzioni ecc., in relazione ai cicli dello sviluppo capitalistico.

Con questo non vogliamo affatto dire che questi cicli spiegano tutto; questo è escluso, fosse solo perché i cicli stessi non sono fenomeni economici fondamentali ma derivati. Si dispiegano sulla base dello sviluppo delle forze produttive attraverso il tramite delle relazioni di mercato. Ma i cicli spiegano molte cose, formando come fanno, attraverso pulsazioni automatiche, una molla dialettica indispensabile nei meccanismi della società capitalistica. Il punto di svolta della congiuntura industriale-commerciale ci porta molto più vicino ai nodi critici nell’intreccio dello sviluppo delle tendenze politiche e legislative e di tutte le forme dell’ideologia.

I cicli

Ma il capitalismo non è caratterizzato semplicemente dal ripetersi ricorrente di cicli, altrimenti avremmo una ripetizione complessa e non uno sviluppo dinamico. I cicli industriali-commerciali hanno carattere diverso nei diversi periodi. La differenza centrale tra di essi è determinata dalle interrelazioni quantitative tra le crisi e i periodi di boom in ogni dato ciclo. Se il boom ristabilisce con un sovrappiù la distruzione o il blocco avutisi durante la crisi precedente, allora lo sviluppo capitalistico si muove in senso ascendente. Se la crisi, che è il segnale della distruzione, o almeno di una contrazione delle forze produttive, sorpassa in intensità il corrispondente boom, ne deriva come risultato un declino nell’economia. Se, infine, la crisi e il boom approssimativamente si equivalgono, allora ne deriva un equilibrio temporaneo e stagnante dell’economia. Questo è lo schema nei suoi punti chiave.

Nella storia osserviamo che cicli omogenei sono raggruppati in serie. Per intere epoche lo sviluppo del capitalismo si svolge in una serie di cicli caratterizzati da boom particolarmente marcati e da crisi lievi e di breve durata. Di conseguenza c’è un notevole movimento ascendente della curva fondamentale dello sviluppo capitalistico. Ci sono epoche di stagnazione in cui questa curva, pur passando attraverso parziali oscillazioni cicliche, rimane circa allo stesso livello per decenni. E infine, in certi periodi storici, la curva fondamentale, pur presentando sempre oscillazioni cicliche, punta nel suo complesso verso il basso, indicando il declino delle forze produttive.

È già possibile ipotizzare a priori che epoche di vigoroso sviluppo del capitalismo devono avere, nella politica, nel diritto, nella filosofia, nella poesia, caratteristiche radicalmente differenti da quelle delle epoche di stagnazione o di declino economico. Ancor di più, una transizione da un’epoca di questo tipo a una di diversa natura deve produrre naturalmente le più profonde convulsioni nei rapporti tra classi e tra Stati. Al terzo congresso del Comintern abbiamo dovuto sottolineare questo punto, nella lotta contro una concezione puramente meccanica della disintegrazione capitalistica che abbiamo sotto gli occhi; se la sostituzione periodica di “normali” boom con “normali” crisi trova il suo riflesso in tutte le sfere della vita sociale, allora una transizione da un’epoca strutturalmente in ascesa a una fondamentalmente di declino, o viceversa, genera i più grandi sconvolgimenti storici; e non è difficile constatare che in molti casi guerre e rivoluzioni si collocano sul confine tra due epoche differenti di sviluppo economico, cioè, la congiunzione di due diversi segmenti della curva capitalistica. Analizzare tutta la storia moderna da questo punto di vista è davvero uno dei compiti più gratificanti del materialismo dialettico.

In seguito al terzo congresso del Comintern, il professor Kondratiev si è accostato a questo problema, come sempre, purtroppo, rifuggendo dalla formulazione che del problema ha dato il congresso stesso, e ha cercato di costruire accanto ai cicli “secondari”, che coprono un periodo di dieci anni, un concetto di “ciclo primario”, comprendente all’incirca cinquant’anni.

La teoria di Kondratiev

Secondo questo schema simmetricamente stilizzato, un ciclo economico primario consiste di circa cinque cicli economici secondari, e più in particolare, la metà di essi ha il carattere di un boom e l’altra metà di crisi, con tutti gli stadi transitori necessari. Le determinazioni statistiche dei cicli maggiori compilate da Kondratiev andrebbero sottoposte a una verifica accurata e non troppo ingenua sia relativamente ai singoli paesi che al mercato mondiale nel suo complesso. È già possibile confutare in anticipo il tentativo del professor Kondratiev di investire epoche da lui etichettate come cicli maggiori con lo stesso “ritmo rigidamente regolato” che è osservabile per i cicli minori; è una generalizzazione ovviamente falsa derivata da un’analogia formale.

Il ripetersi periodico dei cicli secondari è condizionato dalle dinamiche interne delle forze nel capitalismo e si manifesta sempre e dovunque, una volta che il mercato viene alla luce. Per quanto riguarda i grandi tratti della curva capitalistica di sviluppo (cinquant’anni) che il professor Kondratiev incautamente propone di chiamare sempre cicli, il loro carattere e la loro durata sono determinati non dal funzionamento intrinseco delle forze capitalistiche ma da condizioni esogene attraverso cui si svolge lo sviluppo del capitalismo. L’arrivo del capitalismo in nuovi paesi e continenti, la scoperta di nuove risorse naturali e, sulla scia di questa, alcuni fatti di importanza decisiva di ordine “sovrastrutturale” come guerre e rivoluzioni, determinano il carattere e il susseguirsi di epoche ascendenti, stagnanti o declinanti di sviluppo capitalistico.

Su quale sentiero dovrebbe procedere lo studio? Stabilire la curva dello sviluppo capitalistico nelle sue fasi non periodiche (fondamentali) e periodiche (secondarie) e i punti di svolta rispetto ai singoli paesi che ci interessano e a tutta l’economia mondiale, questa è la prima parte del compito. Con la curva disegnata davanti (il metodo con cui viene disegnata, naturalmente, è una questione specifica di per sé e per nulla semplice, ma concerne il campo delle tecniche economico-statistiche), possiamo suddividerla in periodi, sulla base dell’angolo di ascesa e di declino rispetto agli assi di un grafico. In questo modo otteniamo uno schema visivo dello sviluppo economico, ovvero la caratterizzazione della “base stessa di tutti i fattori sottoposti ad analisi” (Engels).

A seconda della concretezza e della quantità di dati nella nostra indagine, possiamo aver bisogno di più schemi: uno per l’agricoltura, un altro per l’industria pesante e così via. Partendo da questi schemi, dobbiamo quindi sincronizzarli con gli eventi politici (nel senso più ampio del termine) e possiamo quindi guardare non solo alle coincidenze – o per essere più cauti, alle relazioni tra epoche chiaramente delineate della vita sociale e i segmenti nettamente tracciati della curva di sviluppo capitalistico – ma anche a quegli impulsi diretti sotterranei che scatenano gli eventi.

Su questa strada è naturalmente nient’affatto difficile cadere nella più volgare schematizzazione e, soprattutto, ignorare il tenace condizionamento interno e la successione dei processi ideologici, tralasciando il fatto che l’economia è l’aspetto decisivo solo in ultima analisi. Non sono mancate le conclusioni caricaturali tratte dal metodo marxista! Ma rinunciare su tale base alla formulazione vista prima della questione (“puzza di economicismo”) significa dimostrare una totale incapacità di comprendere l’essenza del marxismo, che cerca le cause dei cambiamenti delle sovrastrutture sociali nelle trasformazioni della base economica e da nessun’altra parte.

“Economicismo”

Con il rischio di incorrere nelle ire teoretiche degli avversari dell’“economicismo” (e anche per provocarne l’indignazione) presentiamo qui un grafico schematico che traccia arbitrariamente una curva dello sviluppo capitalistico per un periodo di novant’anni lungo le linee sopra evidenziate. La direzione generale della curva fondamentale è determinata dal carattere delle curve congiunturali parziali da cui è composta. Nel nostro grafico abbiamo tre periodi chiaramente delineati: venti anni di sviluppo capitalistico molto moderato (segmento A-B); quarant’anni di forte ascesa (segmento B-C); e trent’anni di crisi prolungata e di declino (segmento C-D).

Se introduciamo in questo diagramma gli eventi storici principali dei periodi corrispondenti, la giustapposizione grafica degli eventi politici più importanti rispetto alle variazioni della curva è sufficiente da sola a fornire un’idea dell’importanza dei punti di partenza degli studi basati sul materialismo storico. Il parallelo di eventi politici e cambiamenti economici è certamente molto relativo. Come regola generale, la “sovrastruttura” registra e riflette nuove formazioni nella sfera economica solo con notevole ritardo. Ma questa legge deve essere messa a nudo con un’indagine specifica delle complesse interrelazioni di cui diamo un abbozzo visivo.

Nell’ultimo rapporto al terzo congresso mondiale, abbiamo illustrato la nostra idea con alcuni esempi storici tratti dall’epoca della rivoluzione del 1848, l’epoca della prima rivoluzione russa (1905) e il periodo in cui ci troviamo ora (1920-’21). Rimandiamo il lettore a questi esempi, che non ci forniscono niente di conclusivo, ma caratterizzano sufficientemente l’importanza straordinaria dell’approccio proposto da noi, soprattutto per la comprensione degli snodi decisivi della storia: le guerre e le rivoluzioni. Se in questo lavoro utilizziamo uno schema grafico puramente arbitrario, senza cercare di prendere un periodo storico reale come base, lo facciamo per la semplice ragione che ogni tentativo di questo tipo assomiglierebbe fin troppo a un’incauta anticipazione di quei risultati che derivano da una dura e complessa investigazione che ancora non è stata fatta.

In questo momento, è naturalmente ancora impossibile prevedere con un qualsiasi grado di precisione quale campo della storia sarà illuminato e quale luce verrà gettata dall’analisi materialista che deriverebbe da uno studio più concreto della curva capitalistica e delle interrelazioni tra questa e tutti gli aspetti della vita sociale. Le conquiste che potrebbero ottenersi su questa strada possono essere determinate solo come risultato di questa indagine stessa, che deve essere più sistematica, più ordinata delle escursioni del materialismo storico intraprese finora.

Insomma, un tale approccio alla storia moderna promette di arricchire la teoria del materialismo storico con conquiste ben più preziose delle acrobazie speculative assai dubbie con i concetti e la terminologia del metodo materialista. Infatti, grazie agli scritti di alcuni dei nostri marxisti, si sono trapiantati i metodi del formalismo nel campo del materialismo dialettico e si è riusciti a ridurre il proprio compito a quello di rendere più precise le definizioni e le classificazioni e a suddividere vuote astrazioni in quattro parti egualmente vuote; questi hanno, in breve, deformato il marxismo per mezzo delle affettazioni indecorosamente eleganti degli epigoni kantiani nel campo marxista.

Fa davvero pena vedere affilare e riaffilare senza sosta gli strumenti logorando l’acciaio marxista, quando si tratta di applicare questi strumenti per lavorare la materia prima!

Secondo noi questo tema fornirebbe la materia per il lavoro più fruttuoso dei nostri seminari marxisti sul materialismo storico; indagini indipendenti intraprese in questo campo fornirebbero senza dubbio nuovi punti di vista o almeno getterebbero nuova luce su eventi storici singoli ed intere epoche. Infine, la stessa abitudine al pensiero in termini di categorie dinamiche faciliterebbe grandemente l’orientamento politico in questa epoca, che è un’epoca che mostra più apertamente che mai la connessione tra l’economia capitalistica, che ha raggiunto il picco di saturazione, e la politica capitalistica, che non ha più freni.

Avevo promesso tanto tempo fa di sviluppare questa questione per il Vestnik Sotsialisticheskoj Akademij. Finora le circostanze mi hanno impedito di onorare l’impegno. Non sono sicuro di poterlo adempiere nel prossimo futuro. Per tale motivo mi sono limitato nel frattempo a questa lettera.

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