Il marxismo e l’arte – Introduzione agli scritti di Trotskij sull’arte
11 Gennaio 2016La capitolazione della Cup in Catalogna
11 Gennaio 2016Questo opuscolo, scritto nel settembre 1917, contiene l’elaborazione compiuta dal partito bolscevico in un momento di grave crisi economica e sociale della Russia. Lenin in questo testo sviluppò una serie di rivendicazioni transitorie che un governo rivoluzionario avrebbe dovuto applicare e che costituirono il perno dell’agitazione bolscevica fra le masse, agitazione che fu decisiva per la conquista della maggioranza nei soviet e per la presa del potere nell’Ottobre. Leggendolo, siamo sicuri che il lettore lo troverà di straordinaria attualità: Lenin centra la sua attenzione su temi quali la bancarotta finanziaria e la nazionalizzazione del sistema bancario, l’abolizione del segreto commerciale e il controllo operaio, che devono trovare piena cittadinanza nel dibattito odierno del movimento operaio e della sinistra.
di Lenin
La carestia si avvicina
La Russia è minacciata da una catastrofe inevitabile. I trasporti ferroviari sono incredibilmente disorganizzate e la disorganizzazione aumenta. Le ferrovie si arresteranno. La fornitura delle materie prime e del carbone per le fabbriche cesserà e cesserà il rifornimento di cereali. I capitalisti sabotano (danneggiano, bloccano, minano, frenano) scientemente e incessantemente la produzione, con la speranza che una catastrofe inaudita porti al crollo della repubblica e della democrazia, dei soviet e, in generale, delle associazioni proletarie e contadine; faciliti il ritorno alla monarchia e la restaurazione dell’onnipotenza della borghesia e dei grandi proprietari fondiari. Una catastrofe di ampiezza senza precedenti e la carestia ci minacciano inesorabilmente. Tutti i giornali ne hanno parlato infinite volte. I diversi partiti e i soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, hanno approvato un numero inverosimile di risoluzioni nelle quali si riconosce che la catastrofe è inevitabile, imminente, che bisogna combatterla strenuamente, che il popolo deve fare “sforzi eroici” per scongiurare il disastro, ecc.
Tutti lo dicono. Tutti lo riconoscono. Tutti lo constatano.
E non si fa nulla.
Sono passati sei mesi di rivoluzione. La catastrofe si avvicina sempre più. Si è giunti alla disoccupazione di massa. Si pensi: nel paese vi è penuria di merci; il paese è in preda alla rovina perché mancano i prodotti, manca la manodopera mentre si hanno in quantità insufficiente grano e materie prime; e in questo paese, in un momento cosi critico, la disoccupazione ha assunto un carattere di massa! Quale prova occorre ancora per dimostrare che in sei mesi di rivoluzione (che alcuni chiamano grande, ma che, per il momento, sarebbe più giusto chiamare putrida), con una repubblica democratica ove abbondano le associazioni, gli organismi, le istituzioni che si dicono orgogliosamente “democratiche rivoluzionarie”, non si è fatto proprio nulla di serio contro la catastrofe, contro la carestia? Ci avviciniamo al crollo con rapidità crescente, poiché la guerra non attende, e la disorganizzazione che essa porta in tutti i campi della vita nazionale si aggrava sempre più.
E tuttavia basterebbe un po’ d’attenzione e di riflessione per convincersi che esistono i mezzi per combattere la catastrofe e la carestia, che i provvedimenti da adottare sono assolutamente chiari, semplici, realizzabili, adeguati alle forze del popolo e che questi provvedimenti non si prendono unicamente, esclusivamente perché la loro attuazione recherebbe pregiudizio ai profitti inauditi di un pugno di grandi proprietari fondiari e di capitalisti!
È un fatto. Posso affermare con certezza che non troverete un solo discorso, un solo articolo di giornale di qualsiasi tendenza, una sola risoluzione di qualsiasi assemblea o istituzione che non riconosca in termini chiari e precisi quali dovrebbero essere i provvedimenti fondamentali, principali, per combattere, per scongiurare la catastrofe e la carestia. Questi provvedimenti sono: controllo, sorveglianza, censimento, regolamentazione da parte dello Stato, ripartizione razionale della mano d’opera nella produzione e nella distribuzione, risparmio delle forze del popolo, soppressione di ogni loro sperpero, economia di queste forze. Controllo, sorveglianza, censimento: ecco da che cosa si deve incominciare per lottare contro la catastrofe e la carestia. Ecco ciò che è incontestabile e che tutti riconoscono. Ma è precisamente ciò che non si fa per tema di attentare all’onnipotenza dei proprietari fondiari e dei capitalisti, ai loro profitti smisurati, inauditi, scandalosi, profitti che essi intascano grazie all’alto costo della vita, alle forniture militari (per la guerra ora “lavorano”, direttamente o indirettamente, quasi tutti), profitti che tutti conoscono, che tutti osservano, e a proposito dei quali tutti strepitano. Ma non si fa assolutamente nulla per istituire con qualche serietà un controllo, una sorveglianza e un censimento da parte dello Stato.
Inerzia totale del governo
Ovunque si sabotano in modo sistematico e incessante ogni controllo, ogni sorveglianza e censimento, ogni tentativo compiuto in questo senso dallo Stato. E bisogna essere incredibilmente ingenui per non comprendere – o estremamente ipocriti per fingere di non comprendere – da dove proviene questo sabotaggio e con quali mezzi viene attuato, poiché questo sabotaggio, esercitato dai banchieri e dai capitalisti, questo siluramento di ogni controllo, di ogni sorveglianza e di ogni censimento, si adatta alle forme politiche di una repubblica democratica, all’esistenza di istituzioni “democratiche rivoluzionarie”. I singoli capitalisti hanno magnificamente assimilato questa verità, che a parole tutti i fautori del socialismo scientifico riconoscono, ma che i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari si sono sforzati di dimenticare appena i loro amici hanno avuto dei posticini da ministri, da sottosegretari, etc. La verità è precisamente questa: l’essenza economica dello sfruttamento capitalistico non viene affatto intaccata se alle forme monarchiche di governo si sostituiscono forme democratiche repubblicane; e viceversa, per salvaguardare con lo stesso successo il profitto capitalistico in regime di repubblica democratica come sotto la monarchia autocratica, basta cambiare la forma della lotta per l’intangibilità e la santità del profitto.
Il sabotaggio moderno, il più recente, il sabotaggio democratico repubblicano di ogni controllo, di ogni censimento e sorveglianza si fa così: i capitalisti (come, s’intende, tutti i menscevichi e i socialisti rivoluzionari) a parole riconoscono con calore il “principio” del controllo e la sua necessità, ma insistono semplicemente sulla sua applicazione “graduale”, metodica e “regolata dallo Stato”. In realtà sotto queste belle parole si nasconde il siluramento del controllo, che è ridotto a zero, a una finzione, a una commedia; tutti i provvedimenti seri e pratici vengono differiti, e si creano istituzioni di controllo straordinariamente complicate, ingombranti, burocratiche, senza vita, che dipendono interamente dai capitalisti e che non fanno e non possono fare assolutamente nulla.
Perché queste non sembrino asserzioni gratuite, ci appelleremo a testimoni menscevichi e socialisti-rivoluzionari, cioè appunto a coloro che hanno avuto la maggioranza nei soviet durante i primi sei mesi di rivoluzione, che hanno partecipato al governo di “coalizione” e che quindi sono politicamente responsabili di fronte agli operai e ai contadini russi per la loro compiacenza verso i capitalisti, per il siluramento di ogni controllo da parte di questi ultimi.
L’organo ufficiale del più elevato tra i cosiddetti organismi “investiti dei pieni poteri” (non si scherza!) della democrazia “rivoluzionaria”, la Izvestia del CEC (Comitato esecutivo centrale del congresso dei soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini di tutta la Russia), nel n. 164 del 7 settembre 1917, ha pubblicato una risoluzione approvata da un’istituzione apposita che si occupa dei problemi del controllo, creata da questi stessi menscevichi e socialisti-rivoluzionari, e che si trova interamente nelle loro mani. Questa istituzione apposita è la “Sezione economica” del Comitato esecutivo centrale. La risoluzione riconosce ufficialmente, come un fatto, “l’inerzia totale degli organismi centrali costituiti presso il governo e incaricati di regolare la vita economica”.
Davvero, si potrebbe forse immaginare una testimonianza più eloquente del fallimento della politica menscevica e socialista-rivoluzionaria, firmata di propria mano dai menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari?
Già sotto lo zarismo si era riconosciuta la necessità di regolare la vita economica e varie istituzioni erano state create a tale scopo. Ma sotto lo zarismo lo sfacelo non aveva cessato di aumentare, raggiungendo proporzioni spaventose. Fu riconosciuto immediatamente che compito del governo repubblicano rivoluzionario era di prendere provvedimenti seri e decisivi per mettere fine allo sfacelo. Quando si formò, con la partecipazione dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari, il governo di “coalizione”, in una sua dichiarazione solenne rivolta al popolo, in data 6 maggio, esso promise e prese l’impegno d’istituire il controllo e la regolamentazione della vita economica da parte dello Stato. Gli Tserèteli e i Cernov, come tutti i capi menscevichi e socialisti-rivoluzionari, giuravano e spergiuravano che non solo essi erano responsabili del governo, ma che gli “organi della democrazia rivoluzionaria investiti dei pieni poteri” che si trovavano nelle loro mani, sorvegliavano effettivamente l’attività del governo e la controllavano.
Dal 6 maggio sono passati quattro mesi, quattro lunghi mesi durante i quali la Russia ha sacrificato centinaia di migliaia di soldati in un’assurda “offensiva” imperialistica, nel corso dei quali la rovina e la catastrofe si sono avvicinate a passi da gigante, mentre la stagione estiva offriva tutte le possibilità di fare molte cose sia nel campo dei trasporti fluviali che nel campo dell’agricoltura e delle ricerche minerarie, ecc.; e dopo quattro mesi i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari sono costretti a riconoscere ufficialmente “l’inerzia totale” delle istituzioni di controllo costituite presso il governo!!
E questi menscevichi e socialisti-rivoluzionari, con un’aria seria da uomini di Stato, ciarlano oggi (scriviamo queste righe precisamente alla vigilia della Conferenza democratica del 12 settembre) della possibilità di porre rimedio al male, sostituendo alla coalizione con i cadetti una coalizione con i Kit Kityc del commercio e dell’industria, con i Riabuscinski, i Bublikov, i Terestcenko e soci!
Vien fatto di chiedersi: come spiegare questa sorprendente cecità dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari? Li si deve considerare come dei politici alle prime armi, che per stoltezza o ingenuità estreme non sanno quel che fanno e sbagliano in buona fede? Oppure l’abbondanza di posticini da ministro, sottosegretario, governatore generale, commissario, ecc. ha la proprietà di generare una cecità particolare, una cecità “politica”?
I provvedimenti per il controllo sono universalmente noti e di facile applicazione. Ma, ci si potrebbe domandare, i mezzi e i provvedimenti per effettuare il controllo sono forse qualcosa di eccezionalmente complicato, difficile, non ancora sperimentato, e persino sconosciuto? Si possono forse spiegare le dilazioni col fatto che gli uomini di Stato del partito cadetto, della classe industriale e commerciale, dei partiti socialista-rivoluzionario e menscevico da sei mesi sudano sangue per trovare, studiare, scoprire i provvedimenti e i mezzi per effettuare il controllo, ma il problema è incredibilmente difficile e continua a rimanere insoluto?
Niente affatto! Si cerca appunto di presentare le cose in questo modo e di “gettar polvere negli occhi” al mugik arretrato, ignorante, intimidito e ai filistei che tutto credono e nulla approfondiscono. In realtà persino lo zarismo, persino il “vecchio regime”, costituendo i comitati di mobilitazione industriale, sapeva quale era il provvedimento essenziale, il mezzo e il metodo principale per esercitare il controllo: associare la popolazione secondo le varie professioni, i tipi di attività e i rami di lavoro, ecc. Ma lo zarismo temeva l’associazione della popolazione e perciò limitava in tutti i modi, ostacolava artificiosamente questo mezzo e metodo di controllo universalmente noto, particolarmente facile e perfettamente applicabile.
Tutti gli Stati belligeranti, schiacciati dal peso enorme e dalle calamità della guerra, soffrendo in maggiore o minore misura dello sfacelo e della carestia, hanno già da lungo tempo stabilito, definito, applicato e messo alla prova una serie di provvedimenti per effettuare il controllo che, quasi sempre, si riducono a raggruppare la popolazione, a creare e incoraggiare associazioni di ogni genere alle quali partecipano rappresentanti dello Stato e che sono poste sotto il suo controllo, ecc. Tutti questi provvedimenti sono universalmente noti. Se ne è parlato e scritto molto; le leggi sul controllo, promulgate dalle potenze belligeranti progredite, sono state tradotte in lingua russa o esposte in tutti i loro particolari sulla nostra stampa.
Se il nostro governo volesse realmente applicare il controllo in modo serio e fattivo, se le sue istituzioni non si fossero condannate, con il loro servilismo verso i capitalisti, a una «inerzia totale», lo Stato non avrebbe che da attingere a piene mani nell’abbondante riserva dei provvedimenti di controllo già noti, già applicati. Il solo ostacolo che vi si frappone – ostacolo che i cadetti, i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi celano agli occhi del popolo – è, e continua ad essere, il fatto che il controllo rivelerebbe i favolosi profitti dei capitalisti e colpirebbe questi profitti.
Per meglio chiarire questa importantissima questione (che in sostanza è la questione del programma di ogni governo veramente rivoluzionario che voglia salvare la Russia dalla guerra e dalla carestia), enumereremo le principali misure di controllo, e le esamineremo una ad una.
Vedremo che per un governo che si chiamasse democratico rivoluzionario non solo per scherzo sarebbe stato sufficiente, fin dalla prima settimana della sua formazione, decretare l’applicazione dei principali provvedimenti di controllo, stabilire sanzioni serie – e non risibili – contro i capitalisti che avessero cercato di sottrarvisi in modo fraudolento e invitare la popolazione stessa a sorvegliare i capitalisti, a vigilare affinché essi rispettassero scrupolosamente le decisioni sul controllo, e il controllo sarebbe stato da lungo tempo applicato in Russia. Ecco i principali tra questi provvedimenti:
1) Fusione di tutte le banche in una sola banca e controllo delle sue operazioni da parte dello Stato, oppure nazionalizzazione delle banche.
2) Nazionalizzazione dei cartelli capitalistici, cioè dei monopoli capitalistici più importanti (trust dello zucchero, del petrolio, del carbone, della metallurgia, ecc.).
3) Abolizione del segreto commerciale.
4) Cartellizzazione forzata (cioè obbligo per tutti gli industriali, commercianti e padroni in generale di raggrupparsi in associazioni e unioni).
5) Raggruppamento obbligatorio della popolazione in società di consumo, o incoraggiamento a tale associazione, e controllo di queste società.
Esaminiamo quale importanza avrebbe ciascuno di questi provvedimenti a condizione di essere applicato con spirito democratico e rivoluzionario.
Nazionalizzazione delle banche
Le banche, come è noto, sono i centri della vita economica moderna, i principali gangli nervosi di tutto il sistema capitalistico dell’economia nazionale. Parlare della “regolamentazione della vita economica” ed eludere il problema della nazionalizzazione delle banche significa o dar prova della più crassa ignoranza, o ingannare “il popolino” con parole pompose e promesse magniloquenti che si è deciso in anticipo di non mantenere.
Controllare e regolare il rifornimento del grano e in generale la produzione e la distribuzione dei prodotti senza controllare e regolare le operazioni di banca è un nonsenso. Sarebbe dare la caccia a eventuali “copechi” e chiuder gli occhi su milioni di rubli.
Le banche moderne si sono cosi strettamente e indissolubilmente fuse col commercio (del grano e di qualunque altro prodotto) e con l’industria, che senza “mettere le mani” sulle banche è assolutamente impossibile fare qualcosa di serio, di “democratico rivoluzionario”.
Ma forse “mettere le mani” sulle banche è un’operazione molto difficile e complicata per lo Stato? Di solito si cerca di spaventare i filistei proprio in questo modo. E sono naturalmente i capitalisti e i loro difensori che lo fanno, perché ci trovano la loro convenienza.
In realtà la nazionalizzazione delle banche, che non toglie nemmeno un copeco a nessun “proprietario”, non presenta assolutamente nessuna difficoltà di carattere tecnico e culturale, essa è ostacolata esclusivamente dalla sordida cupidigia di un misero pugno di ricconi. Se la nazionalizzazione delle banche viene così spesso confusa con la confisca dei beni privati, la colpa di tale confusione è della stampa borghese che ha tutto l’interesse a ingannare la gente.
La proprietà dei capitali concentrati nelle banche, e che sono l’oggetto delle loro operazioni, viene autenticata da documenti stampati o manoscritti, chiamati azioni, obbligazioni, cambiali, ricevute, etc. Nessuno di questi documenti viene annullato o modificato con la nazionalizzazione delle banche, con la fusione, cioè, di tutte le banche in una sola banca di Stato. Chi aveva 15 rubli sul libretto di una cassa di risparmio, rimane possessore dei suoi 15 rubli anche dopo la nazionalizzazione delle banche, e chi aveva 15 milioni, anche dopo la nazionalizzazione delle banche, rimane in possesso dei suoi 15 milioni, sotto forma di azioni, obbligazioni, cambiali, titoli di credito, etc.
In che consiste dunque l’importanza della nazionalizzazione delle banche?
Nel fatto che un controllo effettivo sulle singole banche e sulle loro operazioni è impossibile (anche se il segreto commerciale è abolito, etc.), perché è impossibile seguire quei complicatissimi, imbrogliati e astuti procedimenti di cui si fa uso nello stendere i bilanci, nel formare imprese fittizie e filiali, nel far intervenire uomini di paglia e così via.
Solo la fusione di tutte le banche in una sola, fusione che di per sé non porta nessun cambiamento nelle relazioni di proprietà, che non toglie, lo ripetiamo, a nessun proprietario nemmeno un copeco, rende possibile un effettivo controllo, a condizione, naturalmente, che vengano attuati tutti i provvedimenti sopra indicati.
Solo la nazionalizzazione delle banche permette di ottenere che lo Stato sappia dove e come, da che parte e in che momento, scorrono i milioni e i miliardi.
E solo il controllo esercitato sulle banche – questo centro, questo fulcro e meccanismo essenziale della circolazione capitalistica – permetterebbe di organizzare sul serio, e non a parole, il controllo su tutta la vita economica, sulla produzione e distribuzione dei principali prodotti, di organizzare quella “regolamentazione della vita economica” che altrimenti sarebbe inevitabilmente condannata a rimanere una frase ministeriale, destinata ad ingannare il popolino.
Solo il controllo sulle operazioni di banca, a condizione che esse vengano effettuate in un’unica banca di Stato, permetterebbe di organizzare, con nuovi provvedimenti facilmente attuabili, la riscossione effettiva dell’imposta sul reddito, senza che sia possibile occultare i beni e gli introiti, poiché attualmente quest’imposta si riduce in gran parte a una finzione.
Basterebbe appunto decretare la nazionalizzazione delle banche; la realizzerebbero i direttori e gli impiegati stessi. Qui non occorre nessun apparato speciale, nessuno speciale provvedimento preparatorio da parte dello Stato: questo provvedimento può essere attuato con un solo decreto, “di colpo”, poiché la possibilità economica di un tale provvedimento è stata fornita appunto dal capitalismo che nel suo sviluppo è giunto sino alle cambiali, alle azioni, alle obbligazioni, etc.
Non resta dunque che da unificare la contabilità; e se lo Stato democratico rivoluzionario decidesse di convocare immediatamente, per telegrafo, in ogni città delle assemblee e in ogni regione e in tutto il paese dei congressi di direttori e di impiegati per la fusione immediata di tutte le banche in una sola banca di Stato, questa riforma verrebbe effettuata in qualche settimana.
Proprio i direttori e gli alti funzionari, s’intende, opporrebbero resistenza, cercherebbero di ingannare lo Stato, di menare le cose per le lunghe, etc., dato che quei signori perderebbero i loro posticini particolarmente redditizi, perderebbero la possibilità di lanciarsi in operazioni fraudolente particolarmente lucrative. Qui è il nocciolo della questione. Ma la fusione delle banche non presenta nessuna difficoltà tecnica; e se il potere statale fosse rivoluzionario non solo a parole (non temesse cioè di rompere con le vecchie concezioni e lo spirito abitudinario) e fosse democratico non solo a parole (agisse cioè nell’interesse della maggioranza del popolo e non di un pugno di ricchi), sarebbe sufficiente decretare, come misura di punizione, la confisca dei beni e l’arresto di quei direttori, membri di amministrazioni e grandi azionisti che tentassero la minima manovra dilatoria o cercassero di nascondere i documenti e i rendiconti.
Basterebbe, per esempio, raggruppare a parte gli impiegati poveri e concedere dei premi a chi fra di loro scoprisse le frodi e le manovre dilatorie dei ricchi, e la nazionalizzazione delle banche avverrebbe senza urti e scosse, in un battibaleno. I vantaggi della nazionalizzazione delle banche sarebbero immensi per tutto il popolo, e non tanto per gli operai (poiché gli operai hanno poco a che fare con le banche) quanto, particolarmente, per le masse dei contadini e dei piccoli imprenditori.
Il risparmio di lavoro sarebbe enorme; e, supponendo che lo Stato mantenga lo stesso numero di impiegati bancari, ciò verrebbe tuttavia a costituire un passo notevole verso l’universalizzazione dell’uso delle banche, verso la moltiplicazione delle loro succursali; le operazioni diverrebbero più accessibili, etc. Sarebbero precisamente i piccoli proprietari e i contadini che potrebbero ottenere crediti a condizioni molto più facili e accessibili. E lo Stato potrebbe per la prima volta anzitutto esaminare tutte le principali operazioni finanziarie, senza possibilità di occultamento, quindi controllarle, poi regolare la vita economica e, infine, ottenere milioni e miliardi per le grandi operazioni di Stato, senza dover pagare «per i servizi resi» provvigioni esorbitanti ai signori capitalisti. Ecco perché – e solamente per questo – tutti i capitalisti, tutti i professori borghesi, tutta la borghesia e tutti i suoi servitori, i Plekhanov, i Potresov e soci, sono pronti a lottare con la bava alla bocca contro la nazionalizzazione delle banche e ad addurre migliaia di pretesti contro questo provvedimento di estrema facilità e urgenza, benché, anche dal punto di vista della difesa del paese, cioè dal punto di vista militare, questo provvedimento presenti immensi vantaggi, elevi in grandissima misura la “potenza militare” del paese.
Ma qui ci si potrebbe obiettare: perché dunque Stati così progressivi quali la Germania e gli Stati Uniti di America attuano una ammirevole “regolamentazione della vita economica” senza neppure pensare a nazionalizzare le banche?
Perché – risponderemo noi – questi Stati, anche se uno è una monarchia e l’altro è una repubblica, sono tutti e due Stati non solo capitalistici, ma anche imperialistici. Come tali essi attuano le trasformazioni che sono loro necessarie seguendo la via burocratica reazionaria, mentre noi qui parliamo della via democratica rivoluzionaria.
Questa “piccola differenza” è di capitale importanza. Di solito non si usa pensarci. Le parole “democrazia rivoluzionaria” sono diventate da noi (soprattutto per i socialisti-rivoluzionari e per i menscevichi) una frase quasi convenzionale come l’espressione “grazie a Dio”, usata anche da persone che non sono tanto ignoranti da credere in Dio, o come l’espressione “onorevole cittadino”, con la quale ci si rivolge persino ai collaboratori del Dien o dell’ Edinstvo, benché quasi tutti comprendano che questi giornali sono stati fondati e sono finanziati dai capitalisti nell’interesse dei capitalisti e che, quindi, la collaborazione di sedicenti socialisti a tali giornali è molto poco “onorevole”. Se le parole “democrazia rivoluzionaria” non si adoperassero come un’abituale frase pomposa, non come un appellativo convenzionale, ma pensando al loro significato, essere democratico vorrebbe dire tener conto, di fatto, degli interessi della maggioranza del popolo e non della sua minoranza, essere rivoluzionario vorrebbe dire demolire nel modo più risoluto e implacabile tutto ciò che è dannoso e antiquato.
Sia in America, sia in Germania i governi e le classi dirigenti non aspirano nemmeno, per quanto si sappia, al titolo di “democrazia rivoluzionaria”, che invece pretendono i nostri socialisti-rivoluzionari e i nostri menscevichi. In Germania vi sono in tutto quattro grandi banche private di importanza nazionale; in America due: per i re della finanza che sono a capo di queste banche è più facile, più comodo, più conveniente associarsi privatamente, occultamente, in modo reazionario e non rivoluzionario, burocratico e non democratico, corrompendo i funzionari dello Stato (e questa è una regola generale in America e in Germania), mantenendo il carattere privato delle banche proprio per poter conservare il segreto delle operazioni, proprio per poter percepire dallo Stato milioni e milioni di sopraprofitti, proprio per assicurarsi la possibilità di combinazioni finanziarie fraudolente.
Sia l’America sia la Germania “regolano la vita economica” in modo da creare un ergastolo militare per gli operai (e in parte per i contadini) e un paradiso per i banchieri e per i capitalisti. La loro regolamentazione consiste nello spremere gli operai fino a ridurli alla fame, mentre ai capitalisti si assicurano (in segreto, in modo burocratico-reazionario) profitti superiori a quelli dell’anteguerra.
Anche per la Russia imperialistica repubblicana è ben possibile seguire tale strada; ed essa viene appunto seguita non solo dai Miliukov e dagli Scingarev, ma anche da Kerenski, Terestcenko, Nekrasov, Bernatski, Prokopovic e soci, che difendono anch’essi, in modo burocratico-reazionario, l’ “inviolabilità” delle banche e il loro sacro diritto a profitti favolosi. Ma diciamo piuttosto la verità: nella Russia repubblicana si vuole regolare la vita economica in modo burocratico reazionario, ma spesso non si sa come attuare tale obiettivo data l’esistenza dei soviet, che il Kornilov numero uno non è riuscito a sciogliere, ma che tenterà di sciogliere un Kornilov numero due…
Questa è la verità. E questa verità semplice, per quanto amara, è più atta ad illuminare il popolo che non le menzogne inzuccherate sulla “nostra grande democrazia rivoluzionaria”…
La nazionalizzazione delle banche renderebbe estremamente facile la nazionalizzazione simultanea delle assicurazioni, cioè la fusione di tutte le compagnie di assicurazione in una sola, la centralizzazione della loro attività sotto il controllo da parte dello Stato. Congressi degli impiegati delle società di assicurazioni attuerebbero anche in questo caso la fusione, immediatamente e senza nessuno sforzo, se lo Stato democratico rivoluzionario la decretasse e ordinasse ai direttori delle amministrazioni di queste società, ai grandi azionisti, di attuarla senza il minimo ritardo, sotto la stretta responsabilità di ciascuno di essi. I capitalisti hanno investito centinaia di milioni nelle assicurazioni e tutto il lavoro vi è effettuato da impiegati. La fusione delle compagnie di assicurazione porterebbe a un ribasso dei premi di assicurazione e darebbe un gran numero di agevolazioni e di facilitazioni a tutti gli assicurati, permetterebbe di aumentarne il numero con lo stesso impiego di energie e di mezzi.
Nessuna, assolutamente nessun’altra ragione, fuorché le vecchie concezioni, lo spirito consuetudinario e la cupidigia di un pugno di titolari di posticini lucrativi si oppone a questa riforma, la quale d’altronde aumenterebbe anche la “capacità di difesa” del paese, economizzando il lavoro del popolo e aprendo serie possibilità, di fatto e non a parole, per la “regolamentazione della vita economica”.
Nazionalizzazione dei cartelli capitalistici
Ciò che distingue il capitalismo dai vecchi sistemi precapitalistici di economia nazionale è che esso ha stabilito una connessione e un interdipendenza molto strette fra i suoi vari rami. Senza di questo, sia detto tra parentesi, nessun passo verso il socialismo sarebbe tecnicamente realizzabile. Ma il capitalismo moderno, col dominio delle banche sulla produzione, ha portato al più alto grado questa interdipendenza dei vari rami dell’economia nazionale. Le banche e i rami più importanti dell’industria e del commercio si sono indissolubilmente fusi. Ciò significa, da una parte, che non si possono nazionalizzare le sole banche senza attuare provvedimenti diretti a istituire il monopolio dello Stato sui cartelli del commercio e dell’industria (monopolio dello zucchero, del carbone, del ferro, del petrolio), senza nazionalizzare questi cartelli.
Ciò significa, d’altra parte, che la regolamentazione della vita economica, se la si vuol realizzare in modo serio, esige che si nazionalizzino simultaneamente le banche e i cartelli. Prendiamo come esempio il trust dello zucchero. Esso si era già costituito sotto lo zarismo e aveva allora portato a un ampio raggruppamento capitalistico di fabbriche e di officine perfettamente attrezzate. E, naturalmente, questo raggruppamento era imbevuto da cima a fondo di spirito reazionario e burocratico; esso assicurava profitti scandalosi ai capitalisti e riduceva i suoi impiegati e i suoi operai in condizioni di completa schiavitù, li umiliava, li degradava, li privava di tutti i diritti. Già allora lo Stato controllava e regolava la produzione, a profitto dei magnati della finanza, dei ricchi.
Resta quindi solo da trasformare la regolamentazione burocratico-reazionaria in una regolamentazione democratico-rivoluzionaria mediante semplici decreti sulla convocazione di congressi degli impiegati, ingegneri, direttori ed azionisti, sull’istituzione di una contabilità unificata, sul controllo da parte dei sindacati operai, etc. È’ la cosa più semplice del mondo; eppure non viene attuata!! In regime di repubblica democratica l’industria dello zucchero rimane di fatto sottoposta a una regolamentazione burocratico-reazionaria; tutto rimane come prima: sperpero del lavoro del popolo, inerzia e stagnazione, arricchimento dei Bobrinski e dei Terestcenko. Bisogna invitare a dar prova d’iniziativa indipendente la democrazia e non la burocrazia, gli operai e gli impiegati e non i «re dello zucchero»: ecco ciò che si potrebbe e si dovrebbe fare in pochi giorni, di colpo, se i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi non annebbiassero la coscienza del popolo con piani di “coalizione” precisamente con questi re dello zucchero, di una coalizione con i ricchi, appunto, che rende assolutamente inevitabile l’ “inerzia totale” del governo nella regolamentazione della vita economica.
Prendete l’industria del petrolio. Essa era già stata “socializzata” in grandissime proporzioni da tutto il precedente sviluppo del capitalismo. Un paio di re del petrolio, ecco chi manipola i milioni e le centinaia di milioni. La loro occupazione: tagliare le cedole, intascare i profitti favolosi che fruttano le loro imprese già organizzate praticamente, tecnicamente, socialmente su scala nazionale e già dirette da centinaia e migliaia di impiegati, ingegneri, etc.
La nazionalizzazione dell’industria petrolifera è possibile subito; ed è obbligatoria per uno Stato democratico rivoluzionario, soprattutto quando esso è in preda a una gravissima crisi, quando bisogna ad ogni costo risparmiare il lavoro del popolo ed aumentare la produzione dei combustibili. È evidente che il controllo burocratico qui non servirà a nulla, non cambierà niente, giacché i “re del petrolio” avranno ragione dei Terestcenko, dei Kerenski, degli Avxentiev e degli Skobelev con la stessa facilità con cui ebbero ragione dei ministri zaristi, mediante dilazioni, pretesti, promesse e con la corruzione diretta o indiretta della stampa borghese (che è quella “opinione pubblica”, che Kerenski e Avxentiev “tengono in gran conto”), con la corruzione dei funzionari (che i Kerenski e gli Avxentiev lasciano ai loro posti nel vecchio apparato dello Stato rimasto intatto).
Per fare qualcosa di serio bisogna passare – e passare in modo veramente rivoluzionario – dalla burocrazia alla democrazia; dichiarare cioè la guerra ai re del petrolio e agli azionisti, decretare la confisca dei loro beni e la pena della prigione per il differimento della nazionalizzazione dell’industria del petrolio, per l’occultamento dei redditi e dei conti, per il sabotaggio della produzione, per il rifiuto a prendere provvedimenti atti ad aumentare la produzione. Bisogna fare appello all’iniziativa degli operai e degli impiegati, convocarli immediatamente in conferenze e congressi e concedere loro una certa parte dei benefici, a condizione che essi istituiscano un ampio controllo ed aumentino la produzione. Se questi provvedimenti democratici rivoluzionari fossero stati presi subito, sin dall’aprile 1917, la Russia, uno dei paesi più ricchi del mondo per le sue riserve di combustibile liquido, avrebbe potuto durante l’estate, utilizzando i trasporti fluviali e marittimi, fare molto, moltissimo per rifornire il popolo di combustibile in quantità sufficiente.
Né il governo borghese, né quello della coalizione dei socialisti rivoluzionari, dei menscevichi e dei cadetti, hanno fatto assolutamente nulla; si sono limitati a giocare burocraticamente alle riforme. Non hanno osato prendere un solo provvedimento veramente democratico rivoluzionario. Gli stessi re del petrolio, la stessa stagnazione, lo stesso odio degli impiegati e degli operai contro gli sfruttatori, e, di conseguenza, la stessa disorganizzazione, lo stesso sperpero del lavoro del popolo: tutto come sotto lo zarismo; di mutato vi sono solo le intestazioni sulle carte che entrano ed escono dalle cancellerie “repubblicane”.
Nell’industria del carbone – non meno “matura” dal punto di vista tecnico e culturale per la nazionalizzazione e non meno vergognosamente amministrata dai rapinatori del popolo, dai re del carbone – assistiamo a una serie di fatti lampanti di sabotaggio diretto, di deterioramento diretto e di arresto della produzione da parte degli industriali. Persino la Rabociaia Gazieta, giornale menscevico ministeriale, ha riconosciuto questi fatti. Ebbene? Non si è fatto assolutamente nulla all’infuori delle vecchie conferenze “paritetiche” burocratico-reazionarie dove gli operai e i banditi del sindacato del carbone hanno un egual numero di rappresentanti!! Nessun provvedimento democratico rivoluzionario; neppure l’ombra di un tentativo per istituire il solo controllo reale, il controllo dal basso, esercitato dai sindacati degli impiegati, degli operai, mediante il terrore verso gli industriali del carbone che portano il paese alla rovina e paralizzano la produzione! Ma come? Non siamo noi tutti per la coalizione, se non con i cadetti almeno con i circoli industriali e commerciali? Ma questa coalizione significa appunto lasciare il potere ai capitalisti, lasciarli impuniti, permettere loro di frenare la produzione, di far ricadere tutto sulle spalle degli operai, di accrescere lo sfacelo economico e preparare in tal modo una nuova rivolta alla Kornilov.
Abolizione del segreto commerciale
Senza l’abolizione del segreto commerciale, il controllo sulla produzione e sulla distribuzione o non rimane che una vana promessa (necessaria unicamente ai cadetti per ingannare i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi, e ai socialisti-rivoluzionari e ai menscevichi per ingannare le classi lavoratrici) oppure può essere attuato solo con mezzi e provvedimenti burocratico-reazionari. Per quanto ciò sia evidente per ogni persona che giudichi spassionatamente la cosa, per quanto la Pravda (che è stata soppressa in primo luogo proprio per questo dal governo di Kerenski, servitore del capitale) abbia reclamato con insistenza l’abolizione del segreto commerciale, né il nostro governo repubblicano, né “gli organismi autorizzati della democrazia rivoluzionaria” hanno neppure pensato a questa prima condizione del controllo effettivo.
Qui appunto è la chiave di volta di ogni controllo. È precisamente questo il punto più vulnerabile che consente al capitale di spoglia il popolo e sabotare la produzione. E precisamente per questo i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi temono di toccare questo tasto.
L’argomento abituale dei capitalisti, che la piccola borghesia ripete senza riflettere, è che in generale l’economia capitalistica non ammette assolutamente l’abolizione del segreto commerciale, dato che la proprietà privata dei mezzi di produzione e la dipendenza delle piccole aziende dal mercato rendono necessaria la “sacra inviolabilità” dei libri commerciali e delle operazioni commerciali, comprese, naturalmente, quelle bancarie.
Coloro che in una forma o nell’altra ripetono questo argomento o altri analoghi si lasciano ingannare ed essi stessi ingannano il popolo chiudendo gli occhi su due fatti essenziali, fondamentali e notori della vita economica moderna.
Primo fatto: il grande capitale, cioè le particolarità dell’organismo economico delle banche, dei sindacati capitalistici, delle grandi officine, etc.
Secondo fatto: la guerra. Precisamente il grande capitalismo moderno, che si trasforma ovunque in capitalismo monopolistico, toglie ogni parvenza di fondatezza al segreto commerciale, ne fa un’ipocrisia e uno strumento che serve unicamente a dissimulare le frodi finanziarie e i profitti esorbitanti del grande capitale. La grande economia capitalistica, per la sua stessa natura tecnica, è un’economia socializzata; essa lavora cioè per milioni di persone e associa con le sue operazioni, direttamente o indirettamente, centinaia, migliaia e decine di migliaia di famiglie. È’ una cosa ben diversa dall’economia del piccolo artigiano o del contadino medio, i quali in generale non tengono nessun libro commerciale e perciò non hanno nulla a che vedere con l’abolizione del segreto commerciale!
Del resto, in una grande azienda, le operazioni sono conosciute da centinaia di persone, e anche più.
La legge che protegge il segreto commerciale non serve ai bisogni della produzione o dello scambio, ma alla speculazione e al lucro nella loro forma più brutale: la frode vera e propria che, com’è noto, è particolarmente diffusa nelle società anonime, mascherata abilmente con conti e bilanci manipolati in modo da ingannare il pubblico. Se nella piccola economia mercantile, cioè fra i piccoli contadini e gli artigiani, la cui produzione non è socializzata ma sparsa e frazionata, il segreto commerciale è inevitabile, nella grande economia capitalistica proteggere questo segreto significa proteggere i privilegi e i profitti letteralmente di un pugno di persone contro tutto il popolo.
Ciò è già stato riconosciuto dalla legge, in quanto essa fa obbligo alle società anonime di render pubblici i loro bilanci, ma questo controllo – attuato in tutti i paesi progrediti e anche in Russia – è appunto un controllo burocratico-reazionario, che non apre gli occhi al popolo, che non permette di conoscere tutta la verità sulle operazioni delle società anonime.
Per agire in modo democratico-rivoluzionario si dovrebbe emanare immediatamente una nuova legge che abolisca il segreto commerciale, che esiga dalle grandi aziende e dai ricchi i resoconti finanziari più completi, e che conferisca a ogni gruppo di cittadini, che raggiunga un numero sufficiente per esprimere un parere democraticamente valido (per esempio mille o diecimila elettori), il diritto di verificare tutti i documenti di qualsiasi grande azienda. Questo provvedimento è interamente e facilmente attuabile: basterebbe un semplice decreto; esso, e solo esso, darebbe libero corso all’iniziativa popolare del controllo esercitato dai sindacati degli impiegati, dai sindacati degli operai, e da tutti i partiti politici; esso, e solo esso, renderebbe il controllo efficace e democratico.
Aggiungete a questo la guerra. L’immensa maggioranza delle aziende commerciali e industriali non lavora oggi per il “libero mercato”, ma per lo Stato, per la guerra. Per questo ho già detto sulla Pravda che coloro che ci oppongono l’argomento dell’impossibilità d’instaurare il socialismo mentono, e mentono tre volte, perché non si tratta affatto d’instaurare il socialismo ora, subito, dall’oggi al domani, ma di svelare il saccheggio dell’erario. L’azienda capitalistica che lavora “per la guerra” (cioè l’azienda legata direttamente o indirettamente alle forniture militari) ne trae profitti enormi; e i signori cadetti, insieme ai menscevichi e ai socialisti-rivoluzionari che si oppongono all’abolizione del segreto commerciale, non sono null’altro che degli ausiliari, dei complici nel saccheggio dell’erario.
La guerra costa attualmente alla Russia cinquanta milioni di rubli al giorno. Questi cinquanta milioni vanno nella maggior parte a finire nelle mani dei fornitori dell’esercito. Di questi cinquanta milioni almeno cinque milioni al giorno, e più probabilmente dieci milioni e più, rappresentano i “profitti legittimi” dei capitalisti e dei funzionari che sono in qualche modo legati ad essi. Sono soprattutto le grandi ditte e le banche che, anticipando fondi per le operazioni delle forniture di guerra, ne traggono profitti favolosi, precisamente saccheggiando l’erario, poiché non si potrebbero chiamare altrimenti queste manovre volte a ingannare e a scorticare il popolo in occasione delle calamità della guerra, in occasione della morte di centinaia di migliaia, di milioni di uomini.
I profitti scandalosi sulle forniture di guerra, i titoli di credito occultati dalle banche, i nomi di coloro che si arricchiscono grazie al crescente costo della vita sono a tutti noti; nella “società” se ne parla con un sorriso ironico; persino la stampa borghese che, come regola generale, tace i fatti “spiacevoli” ed elude le questioni “delicate”, fornisce a questo proposito non poche indicazioni concrete. Tutti sanno e tutti tacciono, tollerano e si conciliano con un governo che parla con eloquenza del “controllo” e della “regolamentazione”. I democratici rivoluzionari, se fossero veramente rivoluzionari e democratici, promulgherebbero immediatamente una legge per sopprimere il segreto commerciale, per obbligare i fornitori e i commercianti a rendere dei conti, per proibire loro di abbandonare il loro genere di occupazione senza il permesso delle autorità pena la confisca dei beni e la fucilazione per l’occultamento dei profitti e l’inganno del popolo, una legge che organizzerebbe la verifica e il controllo dal basso, democraticamente, da parte del popolo stesso, dei sindacati degli impiegati, degli operai e dei consumatori, etc.
I nostri socialisti-rivoluzionari e i nostri menscevichi meritano a giusto titolo il nome di democratici spauriti, poiché su questo problema ripetono quel che dicono tutti i piccoli borghesi spauriti, e cioè che i capitalisti «scapperebbero» se si prendessero provvedimenti «troppo severi», che senza i capitalisti «noi» non potremmo cavarcela, che anche i milionari anglo-francesi che ci «sostengono» forse «si offenderebbero», ecc.
Si potrebbe pensare che i bolscevichi propongano qualcosa che non ha precedenti nella storia dell’umanità, che non è mai stato sperimentato, un qualcosa di «utopistico», mentre in realtà già 125 anni or sono, in Francia, uomini che erano dei veri «democratici rivoluzionari», realmente convinti del carattere giusto, difensivo, della guerra da essi condotta, uomini che realmente si appoggiavano sulle masse del popolo, anch’esse sinceramente convinte della stessa cosa, seppero esercitare un controllo rivoluzionario sui ricchi e ottenere risultati dinanzi ai quali s’inchinò il mondo intero.
E durante i cinque quarti di secolo trascorsi, lo sviluppo del capitalismo, avendo creato le banche, i sindacati, le ferrovie, ecc. ecc. ha reso cento volte più semplici e facili i provvedimenti per un controllo veramente democratico da parte degli operai e dei contadini sugli sfruttatori, sui grandi proprietari fondiari e sui capitalisti.
In fondo, tutta la questione del controllo si riduce a stabilire chi è che controlla e chi è controllato, cioè quale classe esercita il controllo e quale lo subisce.
Da noi, in una Russia repubblicana, con la partecipazione degli «organismi autorizzati» di una democrazia cosiddetta rivoluzionaria, sino ad oggi si riconosce e si lascia ai proprietari fondiari e ai capitalisti la funzione del controllo. Si ha come risultato inevitabile un banditismo capitalistico che suscita l’indignazione di tutto il popolo, e lo sfacelo economico che viene artificiosamente alimentato dai capitalisti. Bisogna passare decisamente, irrevocabilmente, senza tema di rompere con ciò che è vecchio, senza tema di edificare arditamente il nuovo, al controllo esercitato dagli operai e dai contadini sui grandi proprietari fondiari e sui capitalisti. Ma è ciò che i nostri socialisti-rivoluzionari e i nostri menscevichi temono come il fuoco.
Cartellizzazione forzata
L’associazione forzata, per esempio di industriali, in sindacati capitalistici, è già stata praticamente applicata dalla Germania. Anche qui non vi è nulla di nuovo. Anche qui, per colpa dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, noi assistiamo alla più completa stagnazione della Russia repubblicana, che codesti poco onorevoli partiti “intrattengono” con lo spettacolo della quadriglia da essi danzata ora con i cadetti, ora con i Bublikov, ora con Trestcenko e Kerenski.
La cartellizzazione forzata è da una parte un mezzo che serve allo Stato per stimolare lo sviluppo del capitalismo, che conduce ovunque all’organizzazione della lotta di classe, all’aumento del numero, della varietà e dell’importanza dei sindacati capitalistici.
Ma dall’altra parte questa “cartellizzazione” forzata è la necessaria condizione preliminare di ogni controllo serio e di ogni risparmio del lavoro del popolo. La legge tedesca obbliga per esempio i padroni delle concerie di una determinata località o di tutto il paese ad organizzarsi in associazione; un rappresentante del governo inoltre fa parte del consiglio di amministrazione di questa associazione per esercitarvi un controllo.
Tale legge, direttamente, di per sé, non intacca in alcun modo i rapporti di proprietà, non toglie nemmeno un copeco a nessun proprietario e non decide ancora se il controllo dovrà essere esercitato nelle forme, nel senso, nello spirito burocratico-reazionario o democratico-rivoluzionario.
Tali leggi potrebbero e dovrebbero essere promulgate da noi immediatamente, senza perdere nemmeno una settimana di tempo prezioso, e lasciando che la situazione sociale stessa determini le forme più concrete per la loro applicazione, la rapidità della loro applicazione e i mezzi per controllarla, etc.
Per promulgare una tale legge lo Stato non ha bisogno né di un apparato speciale, né di ricerche speciali, né di qualsiasi studio preliminare. Occorre semplicemente che sia deciso a rompere con certi interessi privati dei capitalisti che “non sono abituati” a una simile ingerenza nei loro affari, che non intendono perdere i sopraprofitti che una gestione all’antica, oltre alla mancanza di controllo, assicura loro. Non occorre nessun apparato, nessuna “statistica” (che Cernov vorrebbe sostituire all’iniziativa rivoluzionaria dei contadini) per promulgare una tale legge, perché la sua applicazione dovrà essere affidata ai fabbricanti e agli industriali stessi, alle forze sociali esistenti; dovrà avvenire sotto il controllo delle forze sociali (cioè non governative, non burocratiche), anch’esse esistenti, ma che devono assolutamente appartenere ai cosiddetti “strati inferiori”. cioè sfruttati, per la loro attitudine all’eroismo, all’abnegazione, alla disciplina fraterna.
Supponiamo che da noi esista un governo veramente democratico e rivoluzionario e che esso decreti: è fatto obbligo a tutti i fabbricanti e a tutti gli industriali di ogni ramo della produzione che occupano, poniamo, almeno due operai, di raggrupparsi immediatamente in associazioni di distretto e di governatorato. La responsabilità di una rigorosa applicazione della legge ricade innanzitutto sui fabbricanti, sui direttori, sui membri dei consigli di amministrazione, sui grandi azionisti (poiché sono loro i veri capi dell’industria moderna, i suoi veri padroni). Nel caso in cui essi si rifiutassero di cooperare all’applicazione immediata della legge, verrebbero considerati come disertori del servizio militare e come tali puniti, rispondendo con i loro beni in base al principio della responsabilità collettiva, uno per tutti, tutti per uno. La responsabilità ricade inoltre su tutti gli impiegati, obbligati anch’essi a formare un unico sindacato, e su tutti gli operai raggruppati nel loro sindacato.
La cartellizzazione ha per scopo di istituire una contabilità il più possibile completa, rigorosa e particolareggiata, e soprattutto di coordinare le operazioni per l’acquisto delle materie prime, per lo smercio dei prodotti, per il risparmio delle risorse e delle forze del popolo. Grazie al raggruppamento in una sola associazione delle aziende sparse, quest’economia raggiungerebbe immense proporzioni, come c’insegnano le scienze economiche, come ci mostra l’esempio di tutti i sindacati, cartelli e trust. Inoltre, lo ripetiamo ancora una volta, questa cartellizzazione di per sé non cambia di una virgola i rapporti di proprietà e non toglie neppure un copeco a nessun proprietario.
Questo è un fatto che va particolarmente sottolineato, dato che la stampa borghese spaventa di continuo i piccoli e i medi padroni, dicendo loro che i socialisti in generale, e i bolscevichi in particolare, vorrebbero espropriarli. Quest’affermazione è una menzogna patente, perché i socialisti, anche nel caso di una rivoluzione socialista completa, non vogliono, non possono espropriare e non esproprieranno i piccoli contadini. Noi parliamo invece sempre e unicamente dei provvedimenti più indispensabili e urgenti che sono già stati presi nell’Europa occidentale e che una democrazia più o meno conseguente dovrebbe prendere immediatamente da noi per lottare contro la catastrofe imminente che ci minaccia.
L’associazione dei piccoli e piccolissimi padroni in sindacati padronali incontrerebbe serie difficoltà di carattere tecnico e culturale, dato l’estremo frazionamento delle loro aziende, la tecnica primitiva di queste ultime, l’analfabetismo o la poca istruzione dei loro proprietari. Ma proprio queste aziende potrebbero non essere contemplate da questa legge (come si è già detto nell’esempio ipotetico da noi riportato più sopra); e la loro mancata associazione, e a maggior ragione il loro ritardo nell’associarsi, non potrebbero rappresentare un ostacolo serio, poiché l’immenso numero di piccole aziende ha una funzione minima nel volume globale della produzione, nell’economia nazionale in generale; e per di più esse dipendono spesso in un modo o nell’altro dalle grandi aziende.
Solo le grandi aziende hanno un’importanza decisiva; e qui esistono i mezzi tecnici e culturali e le forze necessarie per la cartellizzazione; quel che manca perché questi mezzi e queste forze vengano messi in moto è l’iniziativa di un potere rivoluzionario, iniziativa ferma, risoluta, di una severità implacabile verso gli sfruttatori.
Più il paese è povero di forze tecnicamente istruite, e in generale di forze intellettuali, più è urgente la necessità di decretare nel modo più rapido e risoluto la cartellizzazione forzata, di cominciare ad attuarla dalle grandissime e grandi aziende, perché appunto la cartellizzazione economizzerà le forze intellettuali e darà la possibilità di utilizzarle pienamente e di ripartirle razionalmente.
Se persino i contadini russi, nei villaggi più remoti, sotto il governo zarista, nonostante le migliaia di ostacoli che venivano loro opposti, dopo il 1905 seppero fare un grande passo avanti nella creazione di associazioni di ogni genere, è ovvio che il raggruppamento delle grandi e medie aziende industriali e commerciali potrebbe essere attuato in pochi mesi, e anche più rapidamente, a condizione che esse vi fossero costrette da un governo veramente democratico-rivoluzionario, che poggi sul sostegno, sulla partecipazione, sugli interessi, sul vantaggio delle “classi inferiori”, della democrazia, degli impiegati, degli operai, e che chiami queste forze a esercitare il controllo.
Regolamentazione del consumo
La guerra ha costretto tutti i paesi belligeranti e molti Stati neutrali a ricorrere alla regolamentazione del consumo. È’ comparsa la tessera del pane, che è diventata una cosa abituale e ha portato con sé altre carte annonarie. La Russia non è rimasta fuori, e anch’essa ha istituito le tessere del pane. Ma questo esempio ci permette appunto di mettere a confronto nel modo migliore, mi sembra, i metodi burocratici reazionari di lotta contro la catastrofe – metodi che tendono a ridurre al minimo le riforme – e i metodi democratici rivoluzionari che, per meritare questo nome, devono proporsi come compito immediato di rompere in modo violento con ciò che è vecchio e sorpassato e di accelerare quanto più è possibile la marcia in avanti.
La tessera del pane, questo modello tipico di regolamentazione del consumo negli Stati capitalistici moderni, si prefigge un solo compito e serve (nel migliore dei casi) a un solo scopo: distribuire la quantità di grano disponibile in modo che basti a tutti. Si stabilisce il massimo del consumo, non certamente per tutti i prodotti, ma soltanto per i prodotti principali, “popolari”, e questo è tutto. Non ci si preoccupa di nient’altro. Si calcola burocraticamente la disponibilità di grano, la si divide per il numero di abitanti, si stabilisce una norma di consumo, la s’introduce e ci si limita a questo.
Gli articoli di lusso non si toccano, dato che comunque sono pochi e in ogni caso, per il loro prezzo elevato, non sono alla portata della borsa del “popolo”. Perciò in tutti i paesi belligeranti, senza alcuna eccezione, e persino in Germania, paese che credo possa essere considerato senza tema di contestazione un modello della regolamentazione più accurata, pedante e rigorosa del consumo, persino in Germania vediamo che i ricchi eludono continuamente qualsiasi “norma” di consumo. Anche questo è a “tutti” noto; “tutti” ne parlano con un sorrisetto ironico; sulla stampa socialista tedesca – e talvolta anche su quella borghese – nonostante la ferocia della censura tedesca con i suoi rigori da caserma, si possono vedere di continuo trafiletti e notizie sul “menu” dei ricchi, sui ricchi che ricevono pane bianco a volontà in un certo luogo di cura (facendosi passare per malati lo frequentano tutti… coloro che hanno molto denaro), sui ricchi che invece dei semplici cibi popolari consumano cibi scelti, rari, ricercati.
Lo Stato capitalistico reazionario, che teme di minare le basi del capitalismo, le basi della schiavitù salariata, le basi del dominio economico dei ricchi, teme di sviluppare l’iniziativa degli operai e in generale dei lavoratori, teme di “suscitare” le loro pretese. A uno Stato siffatto non occorre altro che la tessera del pane. Uno Stato simile non perde di vista nemmeno per un istante, qualsiasi cosa faccia, il suo scopo reazionario: rafforzare il capitalismo, impedire che esso venga scosso, limitare la “regolamentazione della vita economica” in generale e la regolamentazione del consumo in particolare esclusivamente ai provvedimenti che sono assolutamente necessari per assicurare al popolo l’alimentazione, senza azzardarsi a regolare veramente il consumo con un controllo sui ricchi, imponendo a coloro che stanno meglio, sono più privilegiati, sazi e ben pasciuti in tempo di pace, gli oneri maggiori in tempo di guerra.
La soluzione burocratico-reazionaria del problema che la guerra ha posto ai popoli si limita alla tessera del pane e all’eguale ripartizione dei prodotti “popolari” assolutamente indispensabili all’alimentazione, senza rinunciare minimamente alla linea burocratica e reazionaria, senza rinunciare cioè al seguente obiettivo: non suscitare l’iniziativa dei poveri, del proletariato, delle masse del popolo (del “demos”), non ammettere il loro controllo sui ricchi e lasciare a questi ultimi il massimo di scappatoie affinché possano rifarsi con generi di lusso.
E in tutti i paesi, lo ripetiamo, persino in Germania – della Russia è inutile parlare – si lascia una quantità di scappatoie; il “popolino” soffre la fame mentre i ricchi se ne vanno nei luoghi di cura e completano la magra razione ufficiale con “supplementi” di ogni genere e non si lasciano controllare.
Nella Russia, che ha fatto or ora la rivoluzione contro lo zarismo in nome della libertà e dell’eguaglianza, nella Russia, diventata di colpo una repubblica democratica per le sue istituzioni politiche effettive, ciò che colpisce particolarmente il popolo, ciò che suscita particolarmente il malcontento, l’irritazione, la collera e lo sdegno delle masse è la facilità – che tutti vedono – con cui i ricchi si sottraggono al “tesseramento del pane”. Questa facilità è estrema.
“Di sottobanco” e a prezzi molto elevati, soprattutto quando “si hanno delle aderenze” (che soltanto i ricchi hanno) ci si procura tutto e in gran quantità. È’ il popolo che ha fame. La regolamentazione del consumo è contenuta nei limiti più ristretti, reazionari, burocratici.
Il governo non ha la minima intenzione, non cerca minimamente di stabilire questa regolamentazione sulla base di principi veramente democratici rivoluzionari. “Tutti” soffrono a stare in coda, ma… i ricchi mandano le persone di servizio a far la fila e prendono persino una domestica apposita per farlo! Eccovi lo “spirito democratico”!
Una politica democratica rivoluzionaria non si limiterebbe, durante le calamità inaudite che il paese attraversa, a stabilire la tessera del pane per lottare contro la catastrofe imminente. Aggiungerebbe al tesseramento, in primo luogo, il raggruppamento obbligatorio di tutta la popolazione in società di consumo, poiché senza tale raggruppamento il controllo sul consumo non potrebbe essere esercitato in pieno; in secondo luogo, il lavoro obbligatorio per i ricchi, affinché essi compiano gratuitamente il lavoro di segretari e altre funzioni analoghe in queste società di consumo; in terzo luogo, la ripartizione eguale tra la popolazione di tutti, effettivamente tutti, i generi di consumo, affinché gli oneri della guerra siano ripartiti in modo veramente equo; in quarto luogo un’organizzazione del controllo che permetta alle classi povere della popolazione di controllare il consumo delle classi ricche.
L’applicazione in questo campo di una vera democrazia, la manifestazione, da parte delle classi più bisognose, di un vero spirito rivoluzionario nell’organizzazione del controllo, stimolerebbero potentemente la tensione di tutte le forze intellettuali esistenti, lo sviluppo delle energie veramente rivoluzionarie di tutto il popolo.
Oggi invece i ministri della Russia repubblicana e democratica rivoluzionaria, esattamente come i loro compari di tutti gli altri Stati imperialistici, pronunciano parole pompose sul “lavoro comune a vantaggio del popolo”, sulla “tensione di tutte le forze”, ma il popolo vede, intuisce, sente, quanto siano ipocrite queste parole. Risultato: si segna il passo e la disorganizzazione aumenta in modo irresistibile, la catastrofe si avvicina, perché il nostro governo non può istituire un ergastolo militare per gli operai alla maniera di Kornilov o di Hindenburg, o sul modello di tutti gli Stati imperialistici. Sono ancora troppo vive nel popolo le tradizioni, i ricordi, le tracce, le abitudini e le istituzioni della rivoluzione; ma il nostro governo non vuole fare nessun passo serio sulla via democratico-rivoluzionaria, poiché è impigliato interamente, da capo a piedi, nei rapporti di dipendenza verso la borghesia, nella “coalizione” con essa, nel timore di nuocere ai suoi reali privilegi.
Il governo sabota il lavoro delle organizzazioni democratiche
Abbiamo esaminato diversi mezzi e metodi per lottare contro la catastrofe e la carestia. Abbiamo visto ovunque quanto sia irriducibile l’antagonismo esistente tra la democrazia, da una parte, e il governo e il blocco dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi che lo sostengono, dall’altra. Per provare che questi antagonismi esistono nella realtà e non soltanto nella nostra esposizione e che la loro irriducibilità è dimostrata in pratica da conflitti che hanno una portata nazionale, sarebbe sufficiente ricordare due “bilanci” e insegnamenti particolarmente tipici di questo semestre della storia della nostra rivoluzione.
Il primo insegnamento è la storia del “dominio” di Palcinski. L’altra è la storia del “dominio” e della caduta di Pescekhonov. In sostanza i provvedimenti sopra descritti per lottare contro la catastrofe e la carestia si riducono a promuovere in tutti i modi (compresa la costrizione) l’ “associazione” della popolazione e innanzitutto della democrazia, vale a dire della maggioranza della popolazione; quindi, anzitutto, delle classi oppresse, degli operai e dei contadini, e soprattutto dei più poveri.
E la popolazione stessa, per lottare contro le inaudite difficoltà, gli oneri e le calamità della guerra, ha incominciato a mettersi spontaneamente su questo cammino. Lo zarismo intralciava con tutti i mezzi le associazioni libere e autonome della popolazione. Ma dopo la caduta della monarchia zarista, le organizzazioni democratiche incominciarono a sorgere e a svilupparsi rapidamente in tutta la Russia.
La catastrofe fu combattuta dalle organizzazioni democratiche sorte spontaneamente, da ogni genere di comitati di rifornimento e di approvvigionamento, da riunioni convocate per discutere il problema dei combustibili, etc. Ma ciò che è appunto degno di maggior rilievo nella storia dei sei mesi della nostra rivoluzione, per la questione in esame, è che il governo che si pretende repubblicano rivoluzionario, governo appoggiato dai menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari in nome “degli organismi della democrazia rivoluzionaria investiti dei pieni poteri”, questo governo ha combattuto contro le organizzazioni democratiche e le ha vinte!!
Palcinski si è conquistato con questa lotta la più triste e la più grande notorietà in tutta la Russia. Egli agiva dietro le spalle del governo, senza intervenire apertamente di fronte al popolo (esattamente come preferivano, in generale, agire i cadetti, i quali mandavano volentieri avanti, “per il popolo”, Tsereteli, mentre regolavano essi stessi alla chetichella tutti gli affari più importanti). Palcinski intralciava e sabotava tutti i provvedimenti seri presi dalle organizzazioni democratiche formate dalla popolazione, poiché nessun serio provvedimento poteva essere preso senza “incidere” sui profitti esorbitanti e sull’arbitrio dei pescecani.
E Palcinski era appunto il fedele servitore e difensore dei pescecani. Egli giunse – e questo fatto venne riportato dai giornali – ad annullare senz’altro le disposizioni di queste organizzazioni democratiche!! Tutta la storia del “dominio” di Palcinski – ed egli “dominò” per lunghi mesi, e precisamente quando Tsereteli, Skobelev, Cernov erano “ministri” – non è che un unico, inaudito scandalo, un sabotaggio della volontà del popolo, delle decisioni della democrazia, per compiacere i capitalisti e saziare la loro sordida avidità.
I giornali naturalmente non potevano pubblicare che un’infima parte delle “gesta” di Palcinski; un’inchiesta esauriente sui metodi da lui usati per intralciare la lotta contro la carestia, potrà farla soltanto un governo proletario veramente democratico quando avrà conquistato il potere e sottoposto al tribunale del popolo, senza nulla celare, gli affari di Palcinski e dei suoi simili.
Forse ci si obietterà che Palcinski era un’eccezione e che, d’altronde, è stato rimosso dal suo posto…
Ma il male è che Palcinski non è affatto un’eccezione, ma una regola; che con l’allontanamento di Palcinski le cose non sono affatto andate meglio; che il suo posto è stato preso da altri Palcinski, con altri nomi; e che tutta l’ “influenza” dei capitalisti e tutta la politica di sabotaggio della lotta contro la carestia, fatta per compiacerli, sono rimaste quali erano. Poiché Kerenski e soci non sono che un paravento per mascherare e difendere gli interessi dei capitalisti.
Le dimissioni di Pescekhonov, ministro degli approvvigionamenti, ne sono la prova più evidente. Com’è noto, Pescekhonov è un populista moderato, moderatissimo. Ma egli voleva lavorare onestamente per organizzare gli approvvigionamenti, mantenendosi in contatto con le organizzazioni democratiche e appoggiandosi ad esse. Quel che è più interessante nell’esperienza dell’attività di Pescekhonov e nelle sue dimissioni è che questo moderatissimo populista, membro del partito “socialista-popolare”, pronto a qualsiasi compromesso con la borghesia, si è visto tuttavia costretto a dare le dimissioni! Poiché il governo di Kerenski, per compiacere i capitalisti, i grandi proprietari fondiari e i kulak, ha aumentato i prezzi di calmiere del grano!!!
Ecco come M. Smit, nel giornale Svobodnaia Gizn, n. 1 del 2 settembre, descrive questo “provvedimento” e la sua importanza: “Qualche giorno prima che il governo decidesse di aumentare i prezzi di calmiere, in seno al Comitato nazionale degli approvvigionamenti si svolse questa scena: il rappresentante della destra, Rolovic, difensore accanito degli interessi del commercio privato e nemico implacabile del monopolio del grano e dell’ingerenza dello Stato nella vita economica, dichiarò apertamente, con un sorriso di compiacimento, che, secondo informazioni a lui pervenute, il prezzo di calmiere del grano sarebbe stato ben presto aumentato. In risposta, il rappresentante del soviet dei deputati degli operai e dei soldati dichiarò che lui non ne sapeva nulla, che finché la rivoluzione fosse durata in Russia non poteva avvenire una cosa simile, e che, in ogni caso, il governo non poteva farla senza consultare gli organi legittimi della democrazia: il Consiglio economico e il Comitato nazionale degli approvvigionamenti. Il rappresentante del soviet dei deputati contadini fece sua questa dichiarazione. Ma, ahimè, i fatti dovevano apportare in questa controversia una crudele rettifica: non i rappresentanti della democrazia, ma il rappresentante degli elementi abbienti, aveva ragione. Risultò che egli era assai ben informato sull’attentato che si preparava contro i diritti della democrazia, benché i rappresentanti di quest’ultima avessero respinto con sdegno l’eventualità stessa di un simile attentato”.
Così, sia il rappresentante degli operai che il rappresentante dei contadini dichiararono nettamente, a nome della stragrande maggioranza del popolo, qual era la loro opinione, ma il governo di Kerenski fece il contrario, nell’interesse dei capitalisti!
Il rappresentante dei capitalisti, Rolovic, era dunque perfettamente informato, all’insaputa della democrazia; esattamente nello stesso modo in cui, come abbiamo sempre osservato e osserviamo tuttora, i giornali borghesi Riec e Birgiovka sono benissimo informati di ciò che avviene nel governo di Kerenski. Che cosa dimostra questa impeccabile informazione? È chiaro: dimostra che i capitalisti hanno i loro “espedienti” e di fatto detengono il potere. Kerenski è l’uomo di paglia che essi fanno agire come e quando è loro necessario.
Gli interessi di decine di milioni di operai e di contadini sono sacrificati per salvaguardare i profitti di un pugno di ricchi. Come reagiscono a questa rivoltante mistificazione del popolo i nostri socialisti-rivoluzionari e i nostri menscevichi? Hanno forse rivolto un appello agli operai e ai contadini dichiarando che dopo questo fatto il posto di Kerenski e dei suoi colleghi non può essere che la prigione? Dio ce ne scampi!
I socialisti-rivoluzionari e i menscevichi, nella veste della “Sezione economica” che è nelle loro mani, si sono limitati a votare la minacciosa risoluzione da noi già menzionata. In questa risoluzione essi dichiarano che l’aumento dei prezzi del grano, decretato dal governo di Kerenski, è un “provvedimento funesto che assesta un gravissimo colpo al sistema dell’approvvigionamento e a tutta la vita economica del paese” e che questi funesti provvedimenti sono stati applicati in aperta “violazione” della legge!! Tali sono i risultati della politica di intesa, della politica del flirt con Kerenski e del desiderio di “risparmiarlo”!
Il governo viola la legge adottando, per fare piacere ai ricchi, ai grandi proprietari fondiari e ai capitalisti, un provvedimento che rovina tutta l’opera di controllo, di approvvigionamento e di risanamento delle finanze – scosse sino all’impossibile – e i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi continuano a parlare d’intesa con i circoli industriali e commerciali, continuano a conferire con Terestcenko, a risparmiare Kerenski e si limitano a votare, in segno di protesta, una risoluzione di carta, che il governo passa tranquillamente agli archivi!!
Ecco dove appare con particolare evidenza questa verità: i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi hanno tradito il popolo e la rivoluzione, e i bolscevichi diventano ora i veri capi delle masse, anche di quelle socialiste-rivoluzionarie e mensceviche. La conquista del potere da parte del proletariato, con il partito bolscevico alla testa, è infatti la sola cosa che potrebbe porre fine alle infamie commesse da Kerenski e soci e rinnovare l’attività delle organizzazioni democratiche di rifornimento, di approvvigionamento, etc., che Kerenski e il suo governo sabotano.
I bolscevichi agiscono – l’esempio citato lo dimostra con perfetta evidenza – come rappresentanti degli interessi di tutto il popolo, per assicurare il rifornimento e l’approvvigionamento, per soddisfare i bisogni più immediati degli operai e dei contadini, contro la politica esitante, indecisa dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, che è un vero tradimento e che ha condotto il paese a una vergogna come l’aumento del prezzo del grano!
La bancarotta finanziaria e i provvedimenti per combatterla
L’aumento del prezzo di calmiere del grano ha anche un altro aspetto. Quest’aumento significa un nuovo aumento caotico dell’emissione di carta-moneta, un nuovo passo in avanti dell’alto costo della vita, l’aggravamento del dissesto finanziario e l’avvicinamento della bancarotta finanziaria.
Tutti riconoscono che l’emissione di carta-moneta è la peggior forma di prestito forzoso, che essa peggiora soprattutto la situazione degli operai, della parte povera della popolazione ed è la fonte principale del dissesto finanziario. E il governo Kerenski, sostenuto dai socialisti-rivoluzionari e dai menscevichi, ricorre appunto a questo provvedimento!
Per combattere seriamente il dissesto finanziario e l’inevitabile bancarotta, non v’è altro mezzo che quello di rompere in modo rivoluzionario con gli interessi del capitale e di organizzare un controllo veramente democratico, cioè “dal basso”, il controllo degli operai e dei contadini poveri sui capitalisti, cioè il mezzo di cui abbiamo parlato in tutta la nostra precedente esposizione.
L’emissione illimitata di carta moneta incoraggia la speculazione, permette ai capitalisti di accumulare milioni e crea immense difficoltà all’allargamento, tanto necessario, della produzione, poiché i prezzi già elevati dei materiali, del macchinario, etc. continuano a salire e aumentano a sbalzi. Come si può porre rimedio al male, quando i ricchi nascondono le ricchezze accumulate con la speculazione?
Si può istituire un’imposta progressiva sul reddito, con un’aliquota molto elevata per i redditi grandi e grandissimi. Il nostro governo, seguendo le orme degli altri governi imperialistici, l’ha istituita. Ma essa rimane in gran parte una finzione, lettera morta, perché, in primo luogo, il danaro si svaluta con rapidità crescente e, in secondo luogo, i redditi vengono tanto più dissimulati quanto più la loro fonte è la speculazione e quanto meglio è salvaguardato il segreto commerciale. Per rendere quest’imposta reale e non fittizia, occorre un controllo effettivo, che non rimanga sulla carta. Ma il controllo sui capitalisti è impossibile se esso rimane burocratico, la burocrazia essendo legata e intrecciata alla borghesia con mille fili. Per questo negli Stati imperialisti dell’Europa occidentale, siano essi monarchie o repubbliche, il risanamento finanziario si ottiene unicamente a prezzo dell’istituzione dell’ “obbligo del lavoro”, che crea per gli operai un ergastolo militare, oppure la schiavitù militare.
Il controllo burocratico-reazionario è l’unico mezzo che gli Stati imperialistici conoscano – e non fanno eccezione nemmeno le repubbliche democratiche, la Francia e l’America – per far ricadere gli oneri della guerra sul proletariato e sulle masse lavoratrici.
La contraddizione fondamentale della politica del nostro governo consiste proprio nel fatto che il governo è costretto, per non inimicarsi la borghesia, per non rompere la “coalizione” con essa, ad effettuare un controllo burocratico-reazionario, che esso chiama “democratico rivoluzionario”, ingannando così ad ogni passo il popolo, irritando ed esasperando le masse che solo ieri hanno rovesciato lo zarismo. Ma sono precisamente i provvedimenti democratici-rivoluzionari che, raggruppando in associazione le classi oppresse, gli operai e i contadini, cioè le masse, darebbero la possibilità d’istituire il più efficace controllo sui ricchi e di lottare con il miglior esito contro l’occultamento dei redditi.
Si cerca d’incoraggiare la circolazione degli assegni bancari per lottare contro l’inflazione. Questo provvedimento non ha alcuna importanza per i poveri perché essi, in ogni caso, vivono alla giornata, compiono in una settimana il loro “ciclo economico”, restituendo ai capitalisti i magri soldi che sono riusciti a guadagnarsi. Per ciò che concerne i ricchi, la circolazione degli assegni bancari potrebbe avere un’immensa importanza; essa permetterebbe allo Stato, soprattutto se combinata con provvedimenti quali la nazionalizzazione delle banche e l’abolizione del segreto commerciale, di controllare veramente i redditi dei capitalisti, di imporre loro in modo effettivo il pagamento delle imposte, di “democratizzare” (e al tempo stesso risanare) veramente il sistema finanziario!
Ma l’ostacolo che vi si frappone è appunto il timore di attentare ai privilegi della borghesia e di rompere la “coalizione” con essa. Infatti, senza provvedimenti veramente rivoluzionari, senza la più rigorosa coercizione, i capitalisti non si sottometteranno a nessun controllo, non sveleranno i loro bilanci, non metteranno le loro riserve di carta-moneta sotto il controllo dello Stato democratico.
Nazionalizzando le banche, emanando una legge che renda obbligatorio per tutti i ricchi l’uso degli assegni bancari, sopprimendo il segreto commerciale, punendo con la confisca dei beni l’occultamento dei profitti, etc. gli operai e i contadini, riuniti in associazioni, potrebbero con estrema facilità rendere effettivo e universale il controllo sui ricchi, controllo che restituirebbe all’erario la carta-moneta da esso emessa, togliendola a coloro che la detengono, a coloro che la occultano.
Ma per far questo occorre una dittatura rivoluzionaria della democrazia, diretta dal proletariato rivoluzionario; la democrazia deve cioè diventare di fatto rivoluzionaria. Qui sta il nocciolo della questione. Ma è appunto ciò che non vogliono i nostri socialisti-rivoluzionari e i nostri menscevichi che ingannano il popolo coprendosi con la bandiera della “democrazia rivoluzionaria” e appoggiando di fatto la politica burocratica e reazionaria della borghesia, il cui motto è, come sempre “après nous le déluge”, dopo di noi il diluvio!
Di solito non avvertiamo nemmeno fino a che punto si sono radicati in noi le abitudini e i pregiudizi antidemocratici a proposito della sacra proprietà borghese. Quando un ingegnere o un banchiere pubblicano le entrate e le spese di un operaio, dati sul salario e sulla produttività del suo lavoro, si considera la cosa arci-legale e giusta. Nessuno pensa di vederci un’intromissione nella vita privata dell’operaio, né un atto di spionaggio o una delazione da parte dell’ingegnere. La società borghese considera il lavoro e il guadagno degli operai salariati come un libro aperto che le appartiene, che ogni borghese ha il diritto di consultare in ogni momento per denunciare un “lusso” che l’operaio si permette, la sua pretesa “pigrizia”, etc. E il controllo inverso? E se i sindacati degli impiegati, dei contabili e dei domestici fossero invitati dallo Stato democratico a controllare le entrate e le spese dei capitalisti, a pubblicarne i dati e ad aiutare il governo nella lotta contro l’occultamento dei profitti? Quali grida selvagge leverebbe la borghesia contro lo “spionaggio”, contro le “delazioni”!
Quando i “signori” controllano i loro servitori, quando i capitalisti controllano gli operai, si considera che ciò sia nell’ordine delle cose. La vita privata del lavoratore e dello sfruttato non è considerata inviolabile; la borghesia ha il diritto di esigere da ogni schiavo salariato che egli le renda dei conti e di rivelare in qualunque momento al pubblico le sue entrate e le sue spese. Ma se gli oppressi tentassero di controllare l’oppressore, di svelare le sue entrate e uscite, di denunciare il suo lusso, non fosse che in tempo di guerra, quando questo lusso è la causa diretta della carestia e della morte di interi eserciti al fronte, oh no! la borghesia non tollererebbe lo “spionaggio” e la “delazione”! La questione si riduce sempre a questo: il dominio della borghesia è incompatibile con una democrazia vera, veramente rivoluzionaria. Nel secolo XX in un paese capitalistico non si può essere democratici rivoluzionari se si ha paura di marciare verso il socialismo.
È possibile andare avanti se si teme di marciare verso il socialismo?
A un lettore nutrito delle idee opportunistiche correnti fra i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi, quanto precede può facilmente suggerire la seguente obiezione: in sostanza, la maggior parte dei provvedimenti qui descritti non sono democratici, sono già provvedimenti socialisti!
Questa obiezione comune, che ricorre spesso in questa o quella forma sulla stampa borghese, socialista-rivoluzionaria e menscevica è una difesa reazionaria di un capitalismo arretrato, una difesa alla Struve. Noi, si dice, non siamo ancora maturi per il socialismo, è ancora troppo presto per “instaurarlo”, la nostra rivoluzione è borghese; bisogna perciò essere i servitori della borghesia (benché 125 anni or sono i grandi rivoluzionari borghesi della Francia abbiano reso grande la propria rivoluzione mediante il terrore contro tutti gli oppressori, i grandi proprietari fondiari, i capitalisti!).
Questi marxisti mancati, servitori della borghesia, ai quali si sono uniti anche i socialisti-rivoluzionari che ragionano in questo modo, non comprendono (se si esaminano le basi teoriche delle loro concezioni) che cosa è l’imperialismo, che cosa sono i monopoli capitalistici, che cosa è lo Stato, che cosa è la democrazia rivoluzionaria. Poiché, una volta compreso ciò, si deve riconoscere che non si può andare avanti senza marciare verso il socialismo.
Tutti parlano dell’imperialismo. Ma l’imperialismo non è altro che il capitalismo monopolistico. Che anche in Russia il capitalismo sia diventato monopolistico lo testimoniano con sufficiente evidenza il Produgol, il Prodamet, il cartello dello zucchero, etc. Lo stesso trust dello zucchero è una prova lampante della trasformazione del capitalismo monopolistico in capitalismo monopolistico di Stato. Ma che cos’è lo Stato? È l’organizzazione della classe dominante; in Germania, per esempio, quella degli junker e dei capitalisti.
Per questo, ciò che i Plekhanov tedeschi (Scheidemann, Lensch, etc.) chiamano “socialismo di guerra”, in realtà non è altro che il capitalismo di guerra, il capitalismo monopolistico di Stato, oppure, per parlare in modo più semplice e schietto, un ergastolo militare per gli operai, la protezione militare dei profitti dei capitalisti. Ma provatevi un po’ a sostituire allo Stato degli junker e dei capitalisti, allo Stato dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti, uno Stato democratico rivoluzionario, uno Stato, cioè, che distrugga in modo rivoluzionario tutti i privilegi e non tema di attuare in modo rivoluzionario la democrazia più completa! Vedrete che il capitalismo monopolistico di Stato, in uno Stato veramente democratico rivoluzionario, significa inevitabilmente e immancabilmente un passo, e anche più d’un passo, verso il socialismo!
Infatti se una grandissima azienda capitalistica diventa un monopolio, vuol dire che essa lavora per tutto il popolo. Se è diventata un monopolio di Stato, vuol dire che lo Stato (cioè l’organizzazione armata della popolazione e in primo luogo – in regime democratico rivoluzionario – degli operai e dei contadini) dirige tutta questa impresa. Nell’interesse di chi?
O nell’interesse dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti, e allora non avremo uno Stato democratico rivoluzionario, ma burocratico reazionario, una repubblica imperialistica; o nell’interesse della democrazia rivoluzionaria, e questo sarà allora un passo verso il socialismo. Perché il socialismo non è altro che il passo avanti che segue immediatamente il monopolio capitalistico di Stato.
In altre parole il socialismo non è altro che il monopolio capitalistico di Stato messo al servizio di tutto il popolo e che, in quanto tale, ha cessato di essere monopolio capitalistico. Non vi è via di mezzo. Il corso obiettivo dello sviluppo è tale che partendo dai monopoli (di cui la guerra ha decuplicato il numero, la funzione e l’importanza) non si può andare avanti senza marciare verso il socialismo.
O si è democratici rivoluzionari nei fatti, e allora non si deve temere di marciare verso il socialismo. O si teme di marciare verso il socialismo, si condanna questa marcia, adducendo, come fanno Plekhanov, Dan e Gernov, che la nostra rivoluzione è borghese, che non si può “instaurare” il socialismo, etc., e allora si scivolerà irresistibilmente verso Kerenski, Miliukov e Kornilov; si soffocheranno cioè in modo burocratico reazionario le aspirazioni democratiche rivoluzionarie delle masse operaie e contadine.
Non c’è via di mezzo. E in ciò sta la contraddizione fondamentale della nostra rivoluzione.
Nella storia in generale, e durante la guerra in particolare, non si può segnare il passo. Bisogna avanzare o indietreggiare. Nella Russia del secolo XX, che ha conquistato la repubblica e la democrazia per via rivoluzionaria, è impossibile avanzare senza marciare verso il socialismo, senza muovere dei passi verso il socialismo (passi condizionati o determinati dal livello della tecnica e della cultura: non si può “introdurre” la grande azienda meccanizzata nell’agricoltura a piccola economia contadina).
Ma aver paura di andare avanti vuol dire andare indietro; ed è appunto ciò che fanno i signori Kerenski, con gran giubilo dei Miliukov e dei Plekhanov, con la stolta complicità degli Tsereteli e dei Cernov.
La dialettica della storia vuole appunto che la guerra, che ha straordinariamente accelerato la trasformazione del capitalismo monopolistico in capitalismo monopolistico di Stato, abbia con ciò avvicinato in modo sorprendente l’umanità al socialismo.
La guerra imperialistica è la vigilia della rivoluzione socialista.
E non solo perché la guerra con i suoi orrori genera l’insurrezione proletaria – nessuna insurrezione creerà il socialismo se esso non è maturo economicamente – ma perché il capitalismo monopolistico di Stato è la preparazione materiale più completa del socialismo, è la sua anticamera, è quel gradino della scala storica che nessun gradino intermedio separa dal gradino chiamato socialismo.
I nostri socialisti-rivoluzionari e i nostri menscevichi affrontano il problema del socialismo in modo dottrinario. Lo affrontano dal punto di vista della dottrina che hanno imparato a memoria e mal compreso. Presentano il socialismo come un avvenire lontano, ignoto, oscuro. Ma il socialismo oggi ci guarda da tutte le finestre del capitalismo moderno, e il socialismo si delinea direttamente e praticamente in ogni provvedimento importante che costituisce un passo avanti sulla base di questo stesso capitalismo moderno.
Che cos’è il servizio del lavoro obbligatorio per tutti?
È un passo avanti, sulla base del moderno capitalismo monopolistico, è un passo verso la regolamentazione di tutta la vita economica secondo un determinato piano d’insieme, un passo verso il risparmio del lavoro del popolo, per prevenire lo sperpero insensato che ne fa il capitalismo. In Germania gli junker (grandi proprietari fondiari) e i capitalisti istituiscono il servizio del lavoro obbligatorio per tutti, che diventa allora fatalmente un ergastolo militare per gli operai. Ma prendete questa stessa istituzione e riflettete all’importanza che avrebbe in uno Stato democratico rivoluzionario.
Il servizio del lavoro obbligatorio per tutti, istituito, regolato e diretto dai soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, non è ancora il socialismo, ma non è più il capitalismo. È un passo gigantesco verso il socialismo, un passo dopo il quale, se viene mantenuta una completa democrazia, non si può tornare indietro verso il capitalismo, senza ricorrere a inaudite violenze contro le masse.
La guerra e la lotta contro la rovina economica
La questione dei provvedimenti da prendere per lottare contro la catastrofe imminente ci porta a mettere in luce un’altra questione importantissima: il legame tra politica interna e politica estera, o, in altre parole, il rapporto tra la guerra di conquista, imperialistica, e la guerra rivoluzionaria, proletaria; tra la guerra criminale di rapina e la guerra democratica, giusta.
Tutti i provvedimenti per lottare contro la catastrofe da noi descritti rafforzerebbero straordinariamente, come abbiamo già rilevato, la capacità di difesa o, in altre parole, la potenza militare del paese. Questo da un lato. Dall’altro lato, questi provvedimenti non potranno essere attuati senza trasformare la guerra di conquista in guerra giusta, senza trasformare la guerra condotta dai capitalisti nell’interesse dei capitalisti in una guerra condotta dal proletariato nell’interesse di tutti i lavoratori e di tutti gli sfruttati.
Infatti, la nazionalizzazione delle banche e dei sindacati capitalistici, con l’abolizione del segreto commerciale e l’istituzione del controllo operaio sui capitalisti, significherebbe non solo un immenso risparmio del lavoro del popolo, la possibilità di risparmiare forze e mezzi, ma significherebbe anche un miglioramento nella situazione delle masse lavoratrici, della maggioranza della popolazione. Nella guerra moderna, com’è a tutti noto, l’organizzazione economica ha un’importanza decisiva. In Russia vi è una sufficiente quantità di grano, di carbone, di petrolio, di ferro: sotto questo rapporto la nostra situazione è migliore di quella di qualsiasi altro paese belligerante europeo. E se lottasse contro la rovina economica con i mezzi sopra indicati, mobilitando per questa lotta l’iniziativa delle masse, migliorandone le condizioni, nazionalizzando le banche e i trust capitalistici, la Russia utilizzerebbe la sua rivoluzione e il suo carattere democratico per portare tutto il paese a un livello di organizzazione economica infinitamente superiore.
Se, invece di formare una “coalizione” con la borghesia che intralcia tutti i provvedimenti di controllo e sabota la produzione, i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi avessero, nell’aprile, attuato il passaggio del potere ai soviet e avessero speso le loro forze non giocando all’ “altalena ministeriale”, non per cercarsi burocraticamente dei posti accanto ai cadetti, nelle poltrone di ministro o di sottosegretario, ma per dirigere gli operai e i contadini nell’esercizio del loro controllo sui capitalisti, nella loro guerra contro i capitalisti, la Russia sarebbe ora un paese in piena trasformazione economica, dove la terra apparterrebbe ai contadini, dove le banche sarebbero nazionalizzate, sarebbe cioè sotto questi aspetti (e queste sono basi economiche estremamente importanti della vita attuale) superiore a tutti gli altri paesi capitalistici.
La capacità di difesa, la potenza militare di un paese in cui le banche sono nazionalizzate è superiore a quella di un paese in cui le banche rimangono nelle mani di privati. La potenza militare di un paese contadino, in cui la terra è nelle mani di comitati contadini, è superiore a quella di un paese con grandi proprietà fondiarie.
Si citano continuamente l’eroico patriottismo e i prodigi di valore militare dei francesi nel 1792-1793. Ma si dimenticano le condizioni materiali, storiche ed economiche che, sole, resero possibili questi prodigi. La distruzione veramente rivoluzionaria del feudalesimo in decadenza, il passaggio di tutto il paese – con una rapidità, risolutezza, energia ed abnegazione veramente democratiche e rivoluzionarie – a un modo di produzione più elevato, alla libera proprietà della terra da parte del contadino: queste sono le condizioni materiali ed economiche che, con una prodigiosa rapidità, salvarono la Francia, rigenerandone e rinnovandone la base economica.
L’esempio della Francia prova una cosa, e una sola: per rendere la Russia atta a difendersi, per suscitare anche in essa “prodigi” di eroismo di massa, bisogna spazzare con inesorabilità “giacobina” tutto ciò che è vecchio, e rinnovare, rigenerare la Russia economicamente. Ma non lo si può fare, nel XX secolo, semplicemente spazzando via lo zarismo (non si limitò a questo la Francia, 125 anni or sono). Né lo si può fare con la sola soppressione rivoluzionaria della grande proprietà fondiaria (che noi non abbiamo attuata – nemmeno questo! – poiché i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi hanno tradito i contadini), con il solo passaggio della terra ai contadini. Poiché viviamo nel XX secolo e il dominio sulla terra senza il dominio sulle banche non può portare nella vita del popolo la rigenerazione e il rinnovamento.
Il rinnovamento delle condizioni materiali, della produzione era, nella Francia della fine del XVIII secolo, legato al sua rinnovamento politico e spirituale, alla dittatura della democrazia rivoluzionaria e del proletariato rivoluzionario, (dal quale la democrazia non si era separata e col quale era quasi fusa), alla guerra implacabile contro tutto ciò che era reazionario. Tutto il popolo, e particolarmente le masse, cioè le classi oppresse, erano pervase da un entusiasmo rivoluzionario illimitato; tutti consideravano la guerra una guerra giusta, difensiva, ed essa era realmente tale. La Francia rivoluzionaria si difendeva contro l’Europa monarchica reazionaria. Non nel 1792-1793, ma molti anni più tardi, dopo la vittoria della reazione nell’intero paese, la dittatura controrivoluzionaria di Napoleone trasformò le guerre difensive della Francia in guerre di conquista.
E in Russia? Noi continuiamo la guerra imperialistica nell’interesse dei capitalisti, in alleanza con gli imperialisti, in virtù dei trattati segreti conclusi dalla zar con i capitalisti d’Inghilterra, etc., promettendo in questi trattati ai capitalisti russi il saccheggio di terre altrui, Costantinopoli, Leopoli, l’Armenia, etc. Finché la Russia non avrà proposto una pace giusta e non avrà rotto con l’imperialismo, la guerra da essa condotta rimarrà una guerra ingiusta, reazionaria, di conquista. Il carattere sociale della guerra, il suo vero significato non sono determinati dalla posizione che occupano le truppe nemiche (come credono i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi, abbassandosi fino alla volgarità di un mugik ignorante). Quale politica fa continuare la guerra (“la guerra è la continuazione della politica”)? qual è la classe che conduce la guerra e per quali fini la conduce? Son questi i problemi che determinano il carattere della guerra.
Non si può, in forza di trattati segreti, condurre le masse a una guerra di rapina e contare sul loro entusiasmo. La classe d’avanguardia della Russia rivoluzionaria, il proletariato, comprende sempre più chiaramente quanto sia delittuosa questa guerra, e la borghesia non solo non è riuscita a convincere le masse del contrario, ma anzi, la coscienza del carattere delittuoso della guerra aumenta. Il proletariato delle due capitali è diventato in Russia definitivamente internazionalista!
Come parlare ancora di entusiasmo delle masse per la guerra! Una cosa è indissolubilmente legata all’altra, la politica interna a quella estera. Non si può rendere il paese capace di difendersi senza il sublime eroismo del popolo che effettua audacemente e risolutamente grandi trasformazioni economiche.
E non si può suscitare l’eroismo delle masse senza rompere con l’imperialismo, senza proporre a tutti i popoli una pace democratica, senza trasformare in tal modo la guerra criminale, di conquista e di rapina in una guerra giusta, difensiva e rivoluzionaria.
Solo una rottura conseguente, senza riserve, con i capitalisti, nella politica interna e in quella estera, può salvare la nostra rivoluzione e il nostro paese, stretto nella morsa di ferro dell’imperialismo.
Democrazia rivoluzionaria e proletariato rivoluzionario
Per essere veramente rivoluzionaria la democrazia della Russia attuale deve unirsi strettamente al proletariato, appoggiandolo nella sua lotta, poiché il proletariato è la sola classe rivoluzionaria fino in fondo. Tale è la conclusione a cui porta l’esame dei mezzi atti a lottare contro la catastrofe imminente, che minaccia di assumere dimensioni inaudite.
La guerra ha generato una crisi così estesa, ha costretto le forze materiali e morali del popolo a una tale tensione, ha assestato colpi cosi rudi a tutta l’attuale organizzazione sociale, che l’umanità si trova di fronte a questa alternativa: o perire, o affidare la propria sorte alla classe più rivoluzionaria per passare quanto più rapidamente e radicalmente è possibile a un modo di produzione superiore.
In virtù di molteplici cause storiche – maggiore arretratezza della Russia, particolari difficoltà da essa incontrate nel condurre la guerra, decomposizione estrema dello zarismo, ricordo vivissimo delle tradizioni del 1905 –, in Russia la rivoluzione è scoppiata prima che negli altri paesi. La rivoluzione ha fatto si che la Russia, per ciò che si riferisce alla sua struttura politica, ha raggiunto in pochi mesi i paesi avanzati.
Ma ciò non basta. La guerra è inesorabile, essa pone la questione con un’acutezza spietata: o perire, o raggiungere i paesi più progrediti e superarli anche economicamente.
Ciò è possibile perché abbiamo davanti agli occhi l’esperienza già pronta di un gran numero di paesi progrediti, i risultati già pronti della loro tecnica e della loro cultura. Siamo appoggiati moralmente dal movimento di protesta contro la guerra che si estende in Europa, dall’atmosfera creata dalla rivoluzione operaia mondiale che avanza. Ciò che ci stimola, che ci sprona è una libertà democratica rivoluzionaria eccezionalmente rara in tempi di guerra imperialistica.
Perire o lanciarsi avanti a tutto vapore, cosi la storia pone il problema.
E l’atteggiamento del proletariato verso i contadini in tale momento ribadisce – modificandola adeguatamente – la vecchia tesi bolscevica: strappare i contadini all’influenza della borghesia. Questo è il solo pegno della salvezza della rivoluzione.
I contadini sono l’elemento più numeroso di tutta la massa piccolo-borghese.
I nostri socialisti-rivoluzionari e i nostri menscevichi si sono assunti una funzione reazionaria: mantenere i contadini sotto l’influenza della borghesia, condurre i contadini alla coalizione con la borghesia, e non con il proletariato.
L’esperienza della rivoluzione istruisce rapidamente le masse. E la politica reazionaria dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi fallisce: essi sono stati battuti nei soviet delle due capitali. In questi due partiti democratici piccolo-borghesi l’opposizione di sinistra si rafforza. Il 10 settembre 1917, la conferenza dei socialisti-rivoluzionari di Pietrogrado ha dato una maggioranza di due terzi ai socialisti-rivoluzionari di sinistra, che sono inclini all’unione con il proletariato e respingono l’alleanza con la borghesia.
I socialisti-rivoluzionari e i menscevichi ripetono la contrapposizione tanto cara alla borghesia: borghesia e democrazia. Ma in fondo tale contrapposizione è altrettanto insensata quanto il confronto fra chilogrammi e metri.
Esiste una borghesia democratica, esiste una democrazia borghese; soltanto un’ignoranza completa sia in fatta di storia che in fatto di economia politica potrebbe portare a negarlo.
I socialisti-rivoluzionari e i menscevichi avevano bisogno di questa falsa contrapposizione per nascondere il fatto incontestabile che fra la borghesia e il proletariato sta la piccola borghesia. Questa, inevitabilmente, data la sua posizione economica di classe, oscilla tra la borghesia e il proletariato. I socialisti-rivoluzionari e i menscevichi spingono la piccola borghesia a un’alleanza con la borghesia.
Qui è l’essenza di tutta la loro “coalizione”, di tutta la coalizione ministeriale, di tutta la politica di Kerenski, tipico semi-cadetto. In sei mesi di rivoluzione questa politica ha subito un fallimento completo. I cadetti manifestano una gioia maligna: la rivoluzione è andata incontro al fallimento, la rivoluzione non è riuscita ad avere ragione né della guerra, né dello sfacelo economico.
Non è vero. Sono i cadetti e i socialisti-rivoluzionari con i menscevichi che sono andati incontro al fallimento, perché questo blocco ha governato la Russia per sei mesi, e in questi sei mesi ha aggravato lo sfacelo economico, ha reso più intricata e difficile la situazione militare.
Quanto più il fallimento dell’alleanza della borghesia con i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi sarà completo, tanto più rapidamente il popolo si istruirà, tanto più facilmente troverà la giusta soluzione: alleanza dei contadini poveri, cioè della maggioranza dei contadini, con il proletariato.
10-14 settembre 1917