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La caduta di Assad – Gli islamisti prendono il controllo della Siria

immagine: Elizabeth Arrow

di Hamid Alizadeh

Il regime siriano è caduto. Bashar al-Assad è fuggito dal paese. Il suo esercito ha deposto le armi e il suo governo ha capitolato. Le prigioni sono state prese d’assalto e migliaia di prigionieri sono stati liberati. Nel frattempo, migliaia di siriani sono scesi nelle strade per festeggiare.

Il vuoto di potere è stato riempito dalle milizie locali e dai signori della guerra che si sono impadroniti delle diverse località del paese. Le milizie druse hanno preso il controllo di Sweida e delle vicine località nel sud. Le milizie appoggiate dagli Stati Uniti a Al Tanf stanno avanzando verso il centro del paese e sembra che le milizie iraniane si siano ritirate da Deir Ezzor, lasciandola nelle mani dei combattenti curdi delle SDF. Nel frattempo, le forze russe si sono ritirate nella zona costiera a occidente, insieme a ciò che rimane delle forze di Assad.

Tuttavia, nonostante tutte le speculazioni su un governo di transizione inclusivo, è il gruppo fondamentalista islamico Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ad essere emerso incontestabilmente come la forza dominante oggi in Siria. Quella che inizialmente doveva essere una limitata operazione militare nella periferia di Aleppo, da parte del suddetto gruppo, si è rapidamente trasformata nello smembramento dell’esercito e dello Stato siriano. Con loro stessa sorpresa, e dei loro sostenitori ad Ankara, l’avanzata fondamentalista ha attraversato tutta la Siria con facilità.

Per il momento, l’emozione è forte in Medio Oriente. Molti sono contenti della caduta di Assad, mentre altri sono preoccupati per il ritorno dei reazionari islamici e per la prospettiva di ulteriore instabilità. Tuttavia, il nostro compito come comunisti rivoluzionari è, per ripetere le parole di Spinoza, né ridere, né piangere, ma capire.

Ancora a proposito dei “ribelli” siriani

Risulta difficile non tapparsi il naso quando si legge della Siria sulla stampa occidentale. Gli stessi media che hanno regolarmente denunciato la “barbarie” di gruppi come Hamas e Hezbollah, e che celebrano con orgoglio il regime sanguinario di Israele come l’“unica democrazia in Medio Oriente”, si ostinano a descrivere HTS e i suoi alleati con il termine di “ribelli”, certo più rispettabile e perfino accattivante.

Un tempo, questi “ribelli” venivano chiamati “ribelli moderati” dall’Occidente. Spesso abbiamo chiesto: “moderati rispetto a cosa?”. Questa domanda non ha mai avuto risposta. Quello che si voleva dire era che questi gruppi jihadisti islamici erano ritenuti “più moderati” rispetto ai folli dello Stato Islamico che misero a ferro e fuoco l’Iraq e la Siria tra il 2014 e il 2019.

In realtà, le radici di HTS risalgono proprio allo Stato Islamico (ISIS) e alla rete fondamentalista internazionale di Al Qaeda. Le differenze con l’ISIS sono di carattere puramente tattico, mentre su tutte le questioni di principio, condividono la stessa ideologia reazionaria. HTS è emerso dal sottobosco dei gruppi fondamentalisti che vennero armati e finanziati da Stati Uniti, Turchia, Arabia Saudita e altri Stati del Golfo, durante gli otto anni della guerra civile che ebbe inizio nel 2012.

Dopo aver sgominato ogni reale opposizione all’interno dello schieramento islamico, questo gruppo e il suo capo, Abu Mohammad al-Jolani, hanno imposto il proprio dominio sulla regione nord-occidentale di Idlib, dove il movimento venne confinato dalle forze di Assad e dai suoi alleati. Poté sopravvivere solo grazie alla protezione militare e all’appoggio economico della Turchia.

Ma, in un contesto in cui la guerra di Israele contro Gaza e contro il Libano ha assorbito gran parte delle risorse dell’Iran e di Hezbollah e la guerra in Ucraina ha assorbito l’attenzione dei russi, è chiaro che i fondamentalisti islamici abbiano visto in questa situazione un’occasione per estendere la propria influenza in Siria, su cui coltivano da tempo progetti ambiziosi.

Erdogan ha sempre avuto l’ambizione di dominare la Siria e l’Iraq settentrionale, in una specie di rinascita neo-ottomana. È anche ostile alle forze curde legate al PKK, che controllano la Siria nord-orientale con il sostegno degli Stati Uniti e con la collaborazione del regime di Assad. Allo stesso tempo, Erdogan deve fronteggiare una crisi economica in patria e sta cercando di rimpatriare i milioni di profughi siriani che il regime di Assad non voleva fare rientrare nel paese. Così, vedendo che i russi e gli iraniani erano distratti altrove, ha dato l’ok all’offensiva dell’HTS.

È tuttavia fuori di dubbio che la CIA e il Mossad fossero anch’essi al corrente dei preparativi dell’offensiva e che l’abbiano tacitamente o attivamente appoggiata. “Nessuno sa se l’Iran e il regime siriano si sarebbero indeboliti senza i recenti attacchi israeliani in Siria, che ci hanno permesso di tornare e liberare i territori e tutto il paese”, ha detto una fonte di HTS ai media israeliani. Senza la guerra militare ed economica di Israele contro l’Iran e i suoi alleati nella regione, che non conosce pause, nessuno degli eventi di queste ultime due settimane avrebbe potuto prodursi.

Intervento imperialista

Nel 2011, i fondamentalisti islamici dirottarono la nascente rivoluzione siriana, un fatto che inizialmente salvò il regime. Di fronte al terrore del fondamentalismo islamico, i siriani si schierarono con Assad, che rimase al potere grazie alle milizie filo-iraniane e dall’aviazione russa. Adesso, queste stesse forze jihadiste provocano indifferenza o vengono persino bene accolte da larghi settori della popolazione. Come può essere?

Come abbiamo spiegato in precedenza, la Siria era fino a poco tempo fa una delle società più avanzate in Medio Oriente. Dopo aver abbattuto il capitalismo negli anni ’70 grazie a una serie di circostanze particolari, la Siria raggiunse elevati livelli di industrializzazione e modernizzazione, oltre a un elevato livello culturale e di benessere che la distingueva dai propri vicini.

Fu l’introduzione di un’economia di mercato negli anni ’90 che portò nuovamente al dilagare della povertà e della disoccupazione nella società. Questo, insieme all’influenza esterna della Primavera Araba, costituì in ultima istanza la base socioeconomica della rivoluzione siriana del 2011.

L’insurrezione jihadista fomentata dall’Occidente e la guerra civile che ne seguì peggiorarono drammaticamente la situazione. Vennero uccise più di mezzo milione di persone e più della metà della popolazione del paese, che prima della guerra contava 21 milioni di persone, dovette fuggire dalle proprie case, verso altre regioni oppure nei paesi vicini. Un’intera generazione venne distrutta e lasciata allo sbando.

Nel frattempo, l’industria venne distrutta, così come le infrastrutture essenziali, e la Siria venne frammentata sotto il controllo delle differenti potenze imperialiste, privando il regime dei suoi terreni agricoli e dei pozzi di petrolio. Il Pil della Siria si ridusse di più della metà tra il 2010 e il 2020. Lo smantellamento della sua economia è stato devastante.

Le pressioni dopo la guerra

L’imperialismo occidentale, in linea di massima, perse la guerra civile. Gli jihadisti vennero isolati in un angolo nella parte nord-occidentale del paese, riuscendo a sopravvivere solo sotto la tutela dell’imperialismo turco. L’America mantenne una debole base militare ad Al Tanf nel sud e stabilì un protettorato sulle forze curde nel nord-est. Ma tutte le principali città e le zone industriali rimasero nelle mani di Assad.

L’Occidente, però, considerando la Siria come una nazione ostile appoggiata dall’Iran, impose una serie di spietate sanzioni sul paese, rivolte a impedirne la ricostruzione. Oltre alle armi, le sanzioni presero di mira le importazioni energetiche, lo sviluppo infrastrutturale e le transazioni finanziarie, pilastri fondamentali dell’economia. Nel marzo 2022, la Siria era il terzo regime più colpito da sanzioni al mondo.

Intanto, in Siria un disastro seguiva l’altro, prima con la crisi bancaria libanese (parzialmente causata dalle sanzioni americane), poi con la pandemia di COVID-19, infine con una serie di siccità disastrose e con il terremoto devastante ad Aleppo nel 2023.

Un rapporto della Banca Mondiale traccia un ritratto cupo della situazione:

Nel 2023, la situazione economica in Siria ha continuato a peggiorare. L’attività economica, quantificata dalle emissioni luminose notturne, è diminuita dell’1,2% su base annua, soprattutto lungo il confine occidentale della Siria, in parte a causa di un indebolimento delle attività commerciali. I dati ottenuti misurando la luce prodotta dalla combustione di gas mostra anche un crollo del 5,5% su base annua della produzione petrolifera, in parte dovuto ai danni causati dal terremoto e dal conflitto. Nonostante una ripresa della produzione agricola dovuta a migliori condizioni meteo nel 2023 (in confronto al minimo storico del 2022), il conflitto ha tuttavia gravemente danneggiato il settore agricolo, con la fuga in massa dei contadini e danni estesi alle infrastrutture e ai sistemi di irrigazione, che hanno portato a un crollo della resa agricola. I danni causati dal conflitto hanno anche avuto un grave impatto sul commercio estero. La dipendenza dalle importazioni alimentari, che era già un problema prima del 2011, è incrementata con il conflitto. Nel 2023, la lira siriana si è deprezzata in maniera drastica del 141% rispetto al dollaro USA, mentre si stima che l’inflazione legata ai prezzi di consumo sia cresciuta del 93%, inasprita dai tagli ai sussidi governativi. Con il rallentamento dell’economia, le entrate fiscali continuano a diminuire. Di conseguenza, le autorità hanno ulteriormente ridotto la spesa, con tagli particolarmente consistenti alla spesa di capitale, e continuano a tagliare i sussidi.

Dietro questi dati, esiste una società le cui basi per una vita civilizzata sono state in gran parte erose. L’orgoglioso popolo siriano, nella sua stragrande maggioranza, è stato ridotto a un’esistenza miserabile e infelice. Più della metà dei siriani sono disoccupati e più del 90% vive sotto la soglia di povertà, con meno di 2 euro al giorno; un dato che prima nel 2009 era a livelli trascurabili. Secondo un sondaggio del 2023, solo nell’area di Aleppo, circa l’11% delle famiglie ha dichiarato che i propri bambini sono costretti a lavorare, perlopiù a causa di un reddito familiare insufficiente.

Le impronte insanguinate dell’imperialismo ricoprono il paese. Ha reso la vita insopportabile per milioni di persone in Siria e in tutta la regione.

Il regime di Assad e i suoi patrocinatori

Il capitalismo siriano era incapace di offrire una via d’uscita da questo vicolo cieco. La corruzione endemica e il degrado infestavano lo Stato siriano, che era diventato un fantasma tenuto in piedi grazie all’appoggio militare iraniano e russo. I soldati venivano a malapena pagati, gli ufficiali comandavano in maniera capricciosa, privi di qualsivoglia lealtà verso il paese o l’esercito, e i funzionari statali saccheggiavano impuniti le risorse. La gente pensava a dove si era arrivati dopo un decennio di guerra civile e non trovava nulla da festeggiare. Come i nostri compagni siriani mi hanno detto oggi: “La gente era disperata e nessuno era disposto a difendere Assad”.

La vittoria dei fondamentalisti islamici non ha niente a che vedere con la loro forza, bensì è arrivata grazie l’estremo marciume e alla debolezza del regime di Assad. Come una mela marcia, esso è caduto alla prima scossa.

Questo è un esempio di ciò che succede quando la lotta contro l’imperialismo rimane confinata all’interno dei confini del capitalismo. I piani dell’imperialismo per soggiogare la Siria vennero sconfitti. Ma la classe capitalista siriana si dimostrò totalmente incapace di risolvere i problemi del paese. Al contrario, ritenne più redditizio derubare le masse, piuttosto che sviluppare la società e migliorare le condizioni di vita. Questo fallimento non è dovuto alla cattiveria o all’incompetenza del regime, bensì alla natura del capitalismo nell’epoca attuale.

La Russia e l’Iran, che si sono a lungo presentati come anti-imperialisti e difensori di una Siria laica, se la sono data a gambe senza combattere. Le forze russe si sono ritirate sulla costa per difendere le proprie basi navali e le strutture militari. Le milizie iraniane si sono ritirate in Iraq.

Questo dimostra i limiti della Russia come potenza mondiale, che ha troppi limiti per combattere su due fronti: in Siria e in Ucraina. Anche l’Iran è stato evidentemente indebolito dopo un anno di conflitto con Israele e l’Occidente. Inoltre, dato lo stato d’animo di ostilità al governo, tentare di mantenere il controllo sulla Siria tramite i propri eserciti avrebbe rischiato di fare apparire entrambe le nazioni come forze di occupazione. Così, avrebbero potuto essere travolti da una nuova, più forte insurrezione.

Alla fine, il vecchio detto di Lord Palmerston si è rivelato corretto: “Le nazioni non hanno amici permanenti, né nemici permanenti, solo interessi permanenti”. Gli interessi dell’Iran e della Russia in Siria sono quelli delle loro rispettive classi capitaliste, non quelli delle masse della Siria e del Medio Oriente.

La lotta contro l’imperialismo

E’ ormai cominciata una nuova cinica partita per una nuova spartizione della Siria e dell’intera regione. Le guerre di Israele, appoggiate dall’Occidente, contro Gaza e il Libano hanno ribaltato il fragile equilibrio che si era appena consolidato in Medio Oriente. Ora, la direzione delle forze in movimento è impossibile da prevedere.

La Turchia ne è chiaramente uscita rafforzata, mentre l’Iran e la Russia sono state indebolite. Questo probabilmente ringalluzzirà le forze anti-iraniane in Iraq e in Libano, che sono entrambi estremamente instabili. Anche in Giordania, nei paesi del Golfo e in Egitto, c’è materiale infiammabile che aspetta solo la scintilla che gli dia fuoco.

Il fatto che gli imperialisti siano disposti a trascinare la regione verso la barbarie, piuttosto che abbandonare il proprio dominio su di essa, è l’ennesima prova del loro spietato cinismo. Finché questa forza reazionaria non verrà debellata, essa continuerà a diffondere il suo veleno in tutto il Medio Oriente e oltre.

La lezione che le masse siriane pagheranno a caro prezzo nel prossimo periodo è che le masse non possono fare affidamento su nessun regime capitalista per difendere i propri interessi nella lotta contro l’imperialismo. Non possono affidarsi che alla propria forza e a quella delle milioni di lavoratori e di poveri nella regione e in tutto il mondo. Tutti costoro soffrono gli effetti della crisi del capitalismo, che si è dimostrata essere una strada senza uscita per la società.

La lotta contro la povertà e la miseria e contro l’arretratezza e l’imperialismo può avere successo solo all’interno di una lotta contro la classe capitalista e il suo intero sistema. La rivoluzione siriana e la rivoluzione mediorientale trionferà nella forma di una rivoluzione socialista guidata dai lavoratori e dai contadini in prima persona o non trionferà affatto.

 

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