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La nostra posizione generale in relazione all’Unione europea è rimasta la stessa per decenni. L’Ue dalla sua nascita è stata un blocco capitalista reazionario dominato dalle grandi banche e dai grandi monopoli. Originariamente dominata congiuntamente dalle borghesie tedesca e francese, è ora sotto il dominio della classe dominante tedesca.
Lenin e Trotskij sottolinearono come su basi capitaliste l’unificazione dell’Europa fosse un’utopia reazionaria. La natura reazionaria e antioperaia dell’Unione europea è dimostrata a sufficienza dall’oppressione spietata del popolo greco e dal perseguimento implacabile delle politiche di austerità e degli attacchi alla classe operaia dappertutto.
Ma la natura utopistica dell’idea di un’Europa capitalista unita è ora stata anch’essa svelata. Abbiamo spiegato quasi vent’anni fa che in occasione di una profonda recessione tutte le contraddizioni nazionali e le tendenze centrifughe sarebbero emerse di nuovo, portando alla rottura dell’Unione europea (si veda Un’alternativa socialista all’Unione europea di Alan Woods, http://www.marxismo.net/index.php/teoria-e-prassi/questione-nazionale/186-un-alternativa-socialista-all-unione-europea, Ndr). Ciò è stato dimostrato da quanto accaduto dopo la crisi economica del 2008.
Il capitalismo europeo attraversa una crisi profonda, con disoccupazione di massa e con una crescita minima o nulla. La crisi dell’euro non è stata risolta e neppure quella greca. L’accordo di Schengen è a pezzi. Questi dovevano essere i due pilastri fondamentali del processo di integrazione europea.
In aggiunta al caos generale, abbiamo l’esodo di milioni di profughi che fuggono da guerre, conflitti e miseria. Ciò ha avuto un effetto devastante in molti paesi, alimentando i fumi velenosi del razzismo e della xenofobia. In condizioni di crisi economica profonda e di disoccupazione di massa, il capitalismo non può fornire posti di lavoro e case e non può integrare il massiccio afflusso di profughi. Dunque è diventato una cosa semplice per i fascisti e i razzisti dare agli stranieri la colpa per la disoccupazione e la penuria di alloggi, un veleno per il quale i dirigenti riformisti fallimentari del movimento operaio non hanno alcuna risposta.
In realtà il movimento verso una graduale integrazione europea si è fermato e sta tornando indietro. Il voto per il “leave” nel referendum britannico è solo l’espressione più lampante di questo fatto.
Non a caso i riformisti di destra, gli agenti diretti del capitale nel movimento operaio, hanno brandito la bandiera dell’Ue come una parte centrale del loro programma in difesa del capitalismo. Mentre i riformisti di destra sono stati ampiamente smascherati e screditati per le loro politiche, i riformisti di sinistra cercano di conquistare un appoggio attorno alla loro proposta di “riforma dell’Ue”, per una ”Europa sociale”, ecc.. Quest’idea è condivisa dalla maggior parte dei riformisti di sinistra compresi Tsipras, Iglesias, la Linke, il Pcf, e così via. Altri si oppongono all’Ue su basi nazionaliste, ma senza una rottura col capitalismo. Gli stalinisti e i loro compagni di viaggio hanno la peggior posizione di tutte. Il nazionalismo e lo sciovinismo sono nel Dna di tutte le varianti di stalinismo come conseguenza della teoria reazionaria del socialismo in un solo paese. L’idea che una rottura con l’Ue su basi capitaliste possa risolvere i problemi della classe operaia è falsa. Conduce direttamente nel pantano del nazionalismo borghese e piccolo borghese ed è un inganno verso la classe operaia che fa il gioco degli elementi più reazionari.
Altri, come Varoufakis, cercano di “teorizzare” l’idea di “riformare l’Ue dall’interno”. Questa è semplicemente un’estensione dell’idea utopica seminata dai riformisti di sinistra che sia possibile riformare il capitalismo a livello nazionale e internazionale. Ciò è totalmente falso come teoria e disastroso nella pratica. Dobbiamo combattere questa idea utopica contrapponendole una politica socialista rivoluzionaria.
La nostra politica in relazione all’Ue è sempre stata chiara. Siamo contro l’Unione europea capitalista e ad essa contrapponiamo la parola d’ordine degli Stati uniti socialisti d’Europa. Questa era la posizione dell’Internazionale comunista ai tempi di Lenin e Trotskij, e deve essere la posizione adottata da ogni sezione dell’Internazionale. Difendiamo una federazione libera, volontaria e democratica costruita su basi socialiste. Queste sono nelle linee generali alcune delle considerazioni strategiche del nostro atteggiamento nei riguardi dell’Ue. Tuttavia, per rispondere in maniera adeguata a circostanze specifiche non è sufficiente ripetere le idee generali. Dobbiamo prendere in considerazione tutti gli aspetti concreti in ogni circostanza data.
La Brexit
L’iniziativa del referendum era partita da David Cameron che voleva risolvere la divisione nel Partito conservatore tra l’ala pro europea e quella sciovinista della “piccola Inghilterra”. Alla fine, Cameron ha ottenuto l’opposto di ciò che voleva. La campagna referendaria ha aperto profonde ferite nel Partito conservatore che sarà difficile, se non impossibile, sanare.
L’ambiente tra le masse nella campagna referendaria è stato di estrema confusione dall’inizio alla fine. La divisione non è stata su linee di classe, né tra sinistra e destra. Molti lavoratori poveri disoccupati del Nord dell’Inghilterra e del Galles hanno votato per il “leave”, in gran parte come protesta contro l’austerità, la povertà, e per il desiderio di dare un calcio all’establishment. Ma la maggior parte degli occupati ha votato per il “remain”, comprese Londra e le altre grandi città (Birmingham, Manchester e Liverpool).
La Scozia ha votato in grande maggioranza per il “remain” come ha fatto la maggioranza in Irlanda del Nord. La popolazione nera e asiatica ha votato massicciamente per il “remain”, come hanno fatto il 74% dei giovani e l’80% degli studenti.
Nel precedente referendum del 1975 tutta la sinistra (la sinistra laburista, il Partito comunista e i sindacati) si erano opposti a quella che allora si chiamava Comunità economica europea (Cee). Ciò determinò la tattica della nostra tendenza che diede un appoggio critico al voto per il No, che Ted Grant caratterizzò chiaramente come un voto tattico. Questa volta le circostanze erano totalmente diverse. Sia il Partito laburista sia i sindacati hanno appoggiato la campagna per il “remain” (solo un pugno di deputati laburisti hanno appoggiato il “leave”). Jeremy Corbyn, che è stato sempre contro l’Ue nel passato, è stato spinto dalla destra laburista a sostenere la campagna “remain” sulla base del fatto che era la linea politica del partito. Corbyn ha cercato un compromesso con la destra laburista sulla questione dell’Ue per evitare una scissione. In realtà, ha raggiunto l’esatto opposto. La destra ha attaccato senza pietà Corbyn precisamente perché non è riuscito a farsi portavoce del sostegno all’Ue, portando ad un conflitto aperto che ha diviso il partito laburista da cima a fondo.
Questo tipo di “errore” è caratteristico del riformismo di sinistra che cerca costantemente un compromesso con la destra che non mostra alcun desiderio di compromesso ma persegue aggressivamente una politica apertamente filo borghese sull’Ue e tutte le altre questioni. L’errore di Corbyn sull’Ue contiene i semi di altri e più pericolosi errori nel futuro. In realtà non è affatto un errore, ma una tendenza implicita del riformismo di sinistra a capitolare alle pressioni della destra [laburista] e della borghesia che in ultima analisi porta al tradimento. Il caso della Grecia è un esempio molto chiaro di ciò.
Da una parte c’era il campo “remain” capeggiato da Cameron, che rappresentava la maggioranza decisiva del grande capitale britannico e della City di Londra. Dall’altra parte il campo del “leave” rappresentava l’ala thatcheriana più reazionaria del Partito conservatore in alleanza con l’Ukip razzista di Nigel Farage.
La campagna del fronte del “leave” è stata totalmente reazionaria, faceva appello ai pregiudizi più bassi degli elementi più arretrati della società e manipolava un sentimento proletario contro l’establishment e l’austerità. All’inizio, l’ala “rispettabile” (Johnson e Gove) ha preso le distanze dalle posizioni razziste di Farage, ma alla fine hanno cantato tutti assieme lo stesso ritornello xenofobo. Il principale asse della campagna per la Brexit era la contrarietà all’immigrazione.
Nelle circostanze date i compagni britannici, avendo pesato attentamente tutti questi fattori, hanno deciso che non era possibile appoggiare nessuna delle due parti nel referendum. Hanno coerentemente portato avanti lo slogan: no all’Ue dei padroni, per gli Stati uniti socialisti d’Europa, mantenendo nel frattempo una critica implacabile sia della campagna del “leave” che di quella del “remain”, svelando le menzogne e la demagogia di entrambe.
Le implicazioni internazionali
Il risultato del referendum britannico ha causato un’onda d’urto in Europa, e anche più in là. Ha dato un impulso potente alle tendenze centrifughe precisamente in una fase nella quale il sentimento anti-Ue sta montando in molti paesi, come risultato di anni di austerità, particolarmente nell’Europa meridionale.
Il pericolo (come abbiamo visto in Gran Bretagna) è che di questo sentimento si avvantaggino partiti e organizzazioni di destra, razzisti e persino fascisti. In Francia, Marine Le Pen ha salutato con entusiasmo la Brexit e rivendica anche in Francia un referendum sull’Ue. Lo stesso vale per Geert Wilders in Olanda. Solo una guida ferma e di classe da parte delle organizzazioni di massa dei lavoratori può interrompere questa tendenza velenosa. Ma i dirigenti riformisti oppongono resistenza passiva e agiscono da ostacolo per lo sviluppo di un movimento di massa contro l’Ue su linee di sinistra.
Qui è decisivo il ruolo della direzione. Se Tsipras si fosse basato sull’appoggio di massa che l’Oxi aveva ottenuto nel referendum per sfidare la Merkel e la Troika, avrebbe potuto espropriare le banche e i grandi monopoli con il sostegno entusiasta delle masse, non solo dei lavoratori ma anche dei contadini, della piccola borghesia e degli altri settori sfruttati. Questo gli avrebbe permesso di rivolgere un appello ai lavoratori d’Europa a venire in sostegno del popolo greco. Avrebbe potuto essere l’inizio di un movimento rivoluzionario di massa pan-europeo. Egli ha invece tradito il movimento capitolando all’Ue e questo ha avuto un effetto depressivo, almeno per un periodo temporaneo, sulla sinistra in Grecia e in altri paesi.
La Gran Bretagna non è nell’eurozona e pertanto i lavoratori britannici non necessariamente incolpano la Ue per le loro difficoltà economiche. Le cose sono tuttavia molto diverse per i lavoratori in Italia, Grecia, Spagna e Portogallo. Questi vedono un rapporto diretto tra le politiche di austerità e la Ue in generale e l’euro in particolare. Molti lavoratori in questi paesi hanno gioito per la Brexit, vedendola come uno schiaffo in faccia ai padroni di Bruxelles.
Questo sentimento di odio verso la Ue da parte dei lavoratori ha un carattere progressista e potenzialmente rivoluzionario. Se trovasse una direzione corretta porrebbe una seria minaccia non solo all’Ue, ma al capitalismo stesso. Nel caso di un referendum in Italia, ci sono pochi dubbi che il popolo italiano voterebbe per lasciare l’Ue. In queste condizioni concrete, i marxisti italiani sarebbero tenuti a dare un appoggio critico al voto per lasciare la Ue, al tempo stesso facendo campagna sotto la bandiera degli Stati uniti socialisti d’Europa. Questa parola d’ordine indubbiamente avrebbe una eco entusiasta tra i giovani e i lavoratori avanzati.
Pur nella necessità di uno studio attento delle condizioni obiettive in ciascun caso distinto, la cosa più probabile è che la nostra posizione in referendum futuri in Europa (particolarmente nel Sud Europa, ma non solo) sia su questa linea. È necessario fare campagna attiva nel movimento operaio proponendo questa politica, avanzando rivendicazioni ai dirigenti del movimento operaio ed esigendo che rompano con l’Ue capitalista e avanzando una chiara alternativa socialista.
Anche se è vero che molti fra i lavoratori e i giovani più avanzati accetterebbero l’idea di lasciare la Ue, avranno illusioni che con ciò risolveranno i loro problemi. Queste illusioni vengono alimentate da riformisti di sinistra come Lafazanis in Grecia e dagli stalinisti ovunque.
L’idea che i lavoratori greci, italiani, britannici o di qualsiasi altro paese possano risolvere i loro problemi semplicemente lasciando la Ue (o l’euro) su basi capitaliste è sbagliata da cima a fondo. Dobbiamo spiegare pazientemente che su basi capitaliste non c’è futuro per la classe operaia, né dentro né fuori dall’Ue. Dobbiamo schierarci con chiarezza per l’internazionalismo socialista e combattere i pregiudizi nazionalisti e patriottici incoraggiati dagli stalinisti e dai riformisti di sinistra.
Dopo la Brexit
Nonostante il carattere chiaramente reazionario della campagna per la Brexit, il risultato è stato uno shock per la classe dominante sia in Gran Bretagna sia su scala mondiale. Ha destabilizzato l’ordine esistente, approfondito la crisi economica ed esacerbato tutte le contraddizioni esistenti.
Come la campagna referendaria stessa, l’effetto immediato in Gran Bretagna è stato contraddittorio, con elementi di reazione misti a elementi potenzialmente rivoluzionari. C’è stato un brusco aumento degli attacchi contro gli immigrati e dell’ostilità contro gli stranieri tra gli strati arretrati della popolazione. Ma ci sono stati anche effetti positivi dal punto di vista rivoluzionario. Ha approfondito la crisi tanto del Partito conservatore che del Partito laburista. La destra blairiana che domina il gruppo parlamentare laburista ha tentato un golpe contro Corbyn, accusandolo di essere stato troppo poco entusiasta nella campagna per il “remain”. Questo ha provocato una reazione immediata dal basso.
Come risultato, la situazione in Gran Bretagna si è rapidamente trasformata, 130mila persone si sono iscritte al Partito laburista nel giro di pochi giorni, e in tutto il paese si sono tenute assemblee di massa degli iscritti per difendere Jeremy Corbyn contro l’assalto della destra.
Questo apre nuove possibilità per i marxisti britannici. Il nostro compito principale oggi in Gran Bretagna è svolgere il ruolo più attivo nella lotta che si sviluppa nel Partito laburista, continuando al tempo stesso a sviluppare il nostro lavoro di grande successo fra i giovani e gli studenti. In Gran Bretagna la questione dell’Ue è passata in secondo piano rispetto alla lotta di classe estremamente aspra che si sta combattendo nelle fila del Partito laburista e dei sindacati.
Il movimento rivoluzionario in Europa si sviluppa a ritmo diseguale e assume forme diverse in diversi paesi. Mentre in Gran Bretagna la questione dell’Ue è ora relegata in una posizione secondaria (anche se non è del tutto scomparsa), in altri paesi europei assumerà un’importanza crescente. In paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna e il Portogallo – forse anche la Francia – la lotta di classe può riflettersi nella forma di una lotta contro l’Ue. Dobbiamo preparare le nostre forze per questa eventualità.
La lotta contro l’Unione europea è quindi parte integrante del programma e della propaganda dell’Internazionale e in particolare delle sezioni europee, come una lotta necessaria contro uno degli strumenti più importanti che la classe dominante utilizza per implementare le sue politiche.
Nel lottare contro la Ue è necessario che in ogni momento manteniamo la bandiera della completa indipendenza di classe del proletariato, combattendo tutte le tendenze reazionarie, scioviniste e xenofobe così come le tendenze all’adattamento alla Ue. Siamo incondizionatamente per la difesa dell’unità della classe lavoratrice al di sopra di tutte le divisioni di nazionalità, etnia, genere, religione o lingua. Non è compito del proletariato erigere nuove frontiere, ma intraprendere l’abolizione radicale di tutte le frontiere, non solo in Europa ma su scala mondiale.
Abbasso l’Unione europea, strumento dei padroni!
Per gli Stati uniti socialisti d’Europa!
Per la federazione socialista mondiale!
Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!